L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

giovedì 18 giugno 2020

I politici lombardi hanno fatto strike diffusa perdurante manifesta per incompetenza&dolo

I conti non tornano perché i dati sull’epidemia in Regione Lombardia non sono affidabili

18 giugno 2020

La poca trasparenza dei numeri sul coronavirus è la principale critica mossa verso l’assessore al Welfare Giulio Gallera. Ma i nodi da sciogliere sono anche altri: dal rifiuto di renderli accessibili a tutti con un meccanismo open source alla creazione di un concorso per accedere ai database regionali

(Miguel MEDINA / AFP)

La Regione Lombardia è alle prese con un’emergenza dentro l’emergenza: ovvero la gestione dei dati su contagi e decessi da coronavirus. La principale critica nei confronti della Regione riguarda la diffusione dei numeri: in quelli presentati dal team del presidente Attilio Fontana (Lega) e l’assessore al Welfare Giulio Gallera (Forza Italia) mancano i decessi divisi almeno per provincia e i casi positivi accertati divisi per comune.

Questo perché la pubblicazione giornaliera riguarda numeri aggregati ed elaborati dalla Regione stessa, tra cui ci sono quelli dei nuovi positivi accertati, dei morti, dei guariti e dei ricoverati negli ospedali.

Pochi giorni fa il sindaco di Bergamo Giorgio Gori ha contestato alla Regione l’accessibilità dei dati, dicendo che per le province «sono stati accessibili fino al 26 aprile, collegati ad una mappa sviluppata con il software ArcGis» e «dopo l’inchiesta di InfoData sulle Rsa, del 24 aprile, è stato fatto sparire tutto».

Regione Lombardia smentisce, ma io mi permetto di confermare. I dati sui decessi per province sono stati accessibili fino al 26 aprile, collegati ad una mappa sviluppata con il software ArcGis. Dopo l’inchiesta di InfoData sulle Rsa, del 24 aprile, è stato fatto sparire tutto.

Dagli uffici regionali, però, smentiscono ogni tipo di accusa, rimandando le motivazioni degli attacchi a strategie politiche e propagandistiche.

Ma come sono stati realmente trattati dalla Regione Lombardia i dati dell’emergenza sanitaria? E quanto è importante avere una distribuzione aperta e accessibile di questi?

Conoscere giorno dopo giorno il numero delle persone positive a livello comunale è importante perché la crisi non è la stessa a Bergamo o a Milano. Di conseguenza anche le soluzioni da adottare si muovono sulla base dei contagi presenti di zona in zona.

A questo proposito, una fonte che lavora alla Regione svela a Linkiesta i principali errori commessi dagli uomini di Gallera: «I dati che hanno cominciato a dare a inizio di marzo sono i soliti che compaiono oggi. I comuni del bergamasco, per esempio, non hanno mai avuto un’analisi dei flussi dei dati. In provincia di Bergamo da inizio coronavirus si continua ad avere il totale dei contagiati più il dato giornaliero. Niente di più, niente di meno».

Quelli che mancano, di fatto, sono i dati geografici: cioè quanti sono i positivi in città, quanti per comune (pratica che in molte regioni d’Italia è stata adottata) o nelle campagne; e con quale tempistica e forma si è manifestato il virus. «Se nelle provincia di Bergamo i positivi fossero circa 14mila, come la Regione Lombardia dichiara, sarei, con tutto il rispetto, molto sollevato», ammette la fonte. «Il vero dato invece è che il 35% della popolazione ha avuto sintomi da Covid-19 negli ultimi tre mesi, a questi si dovrebbero aggiungere un 10% di asintomatici. Il che significa che circa la metà della popolazione di quella zona è stata positiva al coronavirus: almeno 500mila persone».

Il risultato è che la proporzione dei malati nel bergamasco non è uno su cento ma uno su due, conclude la fonte. I dati emessi tutti i pomeriggi riguardano la capacità del sistema sanitario regionale di intercettare il virus: quanto gli ospedali sono in grado di trattare e curare la malattia, un numero parziale rispetto alla reale diffusione del contagio.

In più, nei bilanci giornalieri, risulta anche chi ha fatto il test sierologico, pagandolo di tasca propria, e risultato positivo decide di sottoporsi al tampone, oppure anche chi il tampone lo ripete più di una volta. 

I test su base volontaria uniti ai dati globali della regione, che non consentono di individuare la geografia precisa dell’andamento dell’epidemia, rendono complicato calcolare la curva di evoluzione a lungo termine.

Comunicare il numero di tamponi positivi non è molto utile se non si sa quando e a chi siano stati fatti, e se non si sa chi ha ripetuto il test più volte.

In più, i dati comunicati non corrispondono al reale stato del contagio. Le autorità regionali non lo ammettono ufficialmente, ma i dati diffusi e caricati sulla dashboard Arcgis sono retrodatati al giorno in cui i laboratori di analisi hanno ricevuto i tamponi che poi si sono rivelati positivi.

Perché? Dalla Regione non danno una risposta precisa, anche se la strategia si può trarre dalle dichiarazioni che l’assessore Gallera ha rilasciato durante le varie interrogazione regionali, tra cui l’ultima istituita dal consigliere regionale in Lombardia per +Europa-Radicali, Michele Usuelli.

La Regione ha diffuso solo alcuni dati parziali sull’epidemia, e sempre già elaborati e aggregati. Non ha quasi mai dato modo di un open source dei database e quindi di poter elaborare i dati. Anzi, il modello adottato sembra voler porre dei limiti all’accesso informatico.

«Il fatto di pubblicare solo i dati aggregati fa sì che sia la Giunta a decidere quali indicatori vanno commentati, ed evidentemente sceglie i più favorevoli. Così come la risposta dell’assessore Gallera è stata evasiva in merito alla mia richiesta di maggior trasparenza perché in realtà la conduzione degli studi dei database è stata assegnata a enti indipendenti» chiosa Michele Usuelli a Linkiesta.

Gallera durante l’audizione del 12 giugno ha infatti dichiarato che per la ricerca sui dati è stato indetto un bando per ricercatori. L’unico bando che tratta questi temi presente sul sito della Regione è il “Bando per il finanziamento di progetti ricerca in ambito sanitario connessi all’emergenza Covid-19”. Data di apertura il 1° aprile, data di chiusura il 15 aprile.

Ammessi al bando enti e operatori (Areu, Ats, Asst, Irccs, Università presenti sul territorio regionale), per un capitale a disposizione di 4 milioni di euro da investire per «raggiungere risultati comuni e strumenti quali l’accesso ai database da fonti correnti, dati raccolti ad hoc e cartelle cliniche, la raccolta di campioni in repository e in biobanche».

Trovare il concorso non è semplice, in quanto in Regione in molti hanno riposto di non essere a conoscenza della sua esistenza e la stessa opposizione ha confermato di aver appreso la notizia dalle parole di Gallera durante la suddetta audizione.

Chi è informata dei fatti è, invece, l’Università degli studi di Milano. Interpellato da Linkiesta, l’Ateneo conferma di essere ancora in attesa della graduatoria, in uscita nei prossimi giorni e al quale si dovrà aggiungere il tempo di lavoro che comporta l’elaborazione di così tanti dati.

«La Lombardia ha bisogno adesso di numeri aggiornati. E il fatto che abbiano finanziato un bando perché i ricercatori possano studiare i database dell’epidemia è di per sé lodevole, ma non rappresenta un’alternativa rispetto alla diffusione in maniera open source. I dati dovrebbero essere fruibili da parte di tutti non sulla base di una gara, che è esclusiva per sua natura» conclude Usuelli.

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