L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 25 luglio 2020

Vincolo esterno - Recovery Fund, è l'ultimo strumento escogitato per uniformare qualsiasi politica di qualsiasi partito al demenziale controllo degli stati stranieri

Ecco che cosa Bruxelles imporrà all’Italia con il Recovery Fund

25 luglio 2020


L’accordo di Bruxelles prevede che il prossimo autunno il governo italiano, come «precondizione» per accedere al Recovery fund, dovrà presentare un Piano di riforme molto dettagliato. Ecco quali L’articolo di Tino Oldani, firma di Italia Oggi

Riforme strutturali che in Italia non sono state attuate per decenni, ora dovranno essere fatte di corsa. Addirittura presentate entro la fine di quest’anno a Bruxelles. Altrimenti gli oltre 200 miliardi promessi dal Recovery fund, tra sussidi e prestiti, resteranno sulla carta, bloccati dai veti politici di nuovo conio, introdotti proprio dall’intesa raggiunta a Bruxelles dopo quattro giorni di faticose trattative.

Nei commenti a caldo, in Italia di questi veti si è parlato poco, mentre sono abbondati gli evviva per il pingue bottino di miliardi ottenuto dal premier Giuseppe Conte, nonostante l’opposizione del premier olandese Mark Rutte.Lungi da noi l’idea di sminuire la capacità negoziale di Conte in un contesto non facile, dove l’Italia era il sorvegliato speciale d’Europa. Sui numeri, vale a dire sulla quantità teorica di miliardi ottenuti dall’Italia, Conte ha vinto. Lui stesso è però il primo a sapere, per averlo concordato con Rutte e con gli altri leader europei, che ora, per avere questi soldi, sia pure a rate nei prossimi anni, dovrà consegnare a breve a Bruxelles un programma con l’indicazione puntuale di alcune riforme che i governi italiani non sono mai riusciti a fare negli ultimi 30 anni, in alcuni casi (burocrazia e giustizia) neppure a partire dal dopoguerra.

L’accordo di Bruxelles, infatti, prevede che il prossimo autunno il governo italiano, come «precondizione» per accedere al Recovery fund, dovrà presentare un Piano nazionale di riforme molto dettagliato. La Commissione Ue deciderà entro due mesi se dare disco verde in base ai criteri stabiliti da Ursula von der Leyen: non solo il rispetto delle politiche verdi e digitali, ma anche delle raccomandazioni Ue già comunicate in febbraio al governo italiano (vedi ItaliaOggi del 17 giugno). Raccomandazione che si riassumono nell’obbligo di attuare riforme strutturali, quali: pensioni, lavoro, giustizia, pubblica amministrazione, istruzione, sanità. Riforme volte a rendere più efficiente e meno costosa la macchina statale, più competitiva l’economia, così da rilanciare il pil e ridurre deficit e debito.

Per il governo Conte, diviso al suo interno e con numeri incerti al Senato, sempre più assediato da una crisi economica e sociale indotta dal Covid-19 che rischia di portare a tensioni sociali (Lamorgese dixit), si annuncia un autunno caldissimo, sia sul piano interno che europeo. In fondo, cancellare quota cento di Matteo Salvini sulle pensioni, cosa richiesta a gran voce da mezza Europa, potrebbe rivelarsi l’ostacolo perfino più facile. Gli ostacoli più insidiosi lo aspettano a Bruxelles, dove in base alla richiesta di Rutte, contrastata da Conte senza successo, l’eventuale parere positivo della Commissione Ue sul piano di riforme italiano dovrà essere poi votato anche da un gruppo di paesi che rappresenti almeno il 35% della popolazione europea. Tetto superiore alla somma dei cosiddetti paesi frugali, i quali potrebbero però bloccare il tutto con l’eventuale alleanza di un paese medio-grande.

Non basta. Infaticabile nell’inventare nuovi veti contro l’Italia, il premier olandese ha ottenuto anche un «super freno d’emergenza» per condizionare gli esborsi agli obiettivi intermedi del piano di riforme. Anche se, sulla carta, è meno di un veto, i pagamenti della Commissione dovranno avere prima l’ok degli sherpa dei ministri finanziari della zona euro. E visto che i pagamenti saranno scaglionati su vari anni, ai frugali non è parso vero di introdurre un altro paletto, su cui a Bruxelles si è litigato di brutto per giorni: «Se uno o più governi dovessero riscontrare serie di deviazioni dai target», essi avranno la facoltà di chiedere che la situazione di un singolo paese sia discussa dai leader al Consiglio Ue successivo, con il blocco momentaneo dei pagamenti da parte della Commissione. Un veto mascherato a disposizione anche di un singolo paese, appoggiato da Rutte, ma contrastato con forza da Conte.

Dopo litigi notturni furibondi tra Rutte e Conte, la soluzione è stata trovata da Angela Merkel ed Emmanuel Macron: la discussione sulle «eventuali deviazioni dal piano di riforme» tra i leader della Commissione, che nella bozza in esame doveva risolvere il caso «in modo decisivo», sarà meno vincolante, in quanto il piano delle riforme sarà valutato «in modo esaustivo», senza ricorso all’unanimità.

A conti fatti, nel migliore dei casi, l’espletamento di questa complessa procedura richiederà almeno tre mesi prima che l’Italia, una volta presentato il piano di riforme, possa ricevere i primi miliardi dall’Europa. E il premier Conte, che ha puntato tutto sul Recovery Plan, sapendo di giocarsi una partita politica vitale, farà di tutto per essere lui a spendere sussidi e prestiti europei nei primi mesi del 2021. Ma non è un mistero che il bottino è talmente gonfio da suscitare, specie nel Pd, ma anche tra i cinque stelle, la tentazione di un cambio di governance, con la scusa delle riforme molto dure da fare, tali da richiedere una maggioranza più ampia e sicura.

(Estratto di un articolo pubblicato su ItaliaOggi)

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