18 AGOSTO 2020
L’incertezza che aleggia sui mercati mondiali a causa della pandemia ha rafforzato quello che è il bene rifugio per eccellenza:
l’oro. Il metallo prezioso rappresenta un investimento in grado di reggere meglio alle incertezze dei mercati e dato che il Covid-19 ha messo una forte pressione sui bilanci delle società e sulle Borse, il suo valore è letteralmente schizzato verso l’alto raggiungendo i 2046 dollari l’oncia. La progressione è notevole se si considera che, ad inizio anno, l’oro valeva 1500 dollari l’oncia ed a marzo era già cresciuto fino a raggiungere i 1700 dollari l’oncia. I mercati sono instabili per diversi motivi: dal coronavitus alle tensioni tra Cina e Stati Uniti, dalle elezioni americane ad una possibile ripartenza dell’inflazione ed a beneficiarne sono quegli investimenti ritenuti più sicuri come l’oro.
Il parere degli esperti
Secondo
Ruchir Sharma, dirigente della banca d’affari Morgan Stanley, ” l’oro è piuttosto interessante” e resterà tale “almeno che un vaccino non emerga il più in fretta possibile, le banche centrali smettano di stampare moneta in maniera frenetica ed i tassi d’interesse tornino a crescere”.
Secondo altri l’oro ha raggiunto picchi talmente alti da rendere improbabile un proseguimento della crescita. La febbre dell’oro, in questo scenario, potrebbe rivelarsi pericolosa ed essere foriera di perdite importanti. Osservando gli ultimi trend i pessimisti potrebbero non avere tutti i torti: l’oro ha subito, all’inizio della settimana appena trascorsa, una forte contrazione, la maggiore degli ultimi sette anni, che l’ha portato a toccare il valore di 1942 dollari per oncia. Secondo Peter Hug, a capo della divisione metalli del sito di investimenti Kitco, l’iper-estensione dei prezzi dell’oro è avvenuta troppo in fretta e ciò ha portato molti investitori a vendere per cercare di ricavare i profitti maggiori: una slavina dalle conseguenze nefaste. Hug ha poi affermato come sia probabile un consolidamento ed in seguito una nuova crescita.
Gli effetti del Covid sulla catena produttiva
Il Covid 19 ed in particolar modo i lockdown hanno
indebolito la catena produttiva e distributiva dell’oro a tutti i livelli. Diverse miniere hanno dovuto interrompere ogni attività estrattiva: i lavoratori erano infatti a rischio di poter contrarre il morbo. Le spedizioni sono state compresse da regolamenti di viaggio restrittivi e dalla minore disponibilità di rotte aeree. Le raffinerie hanno decrementato le proprie attività a causa del minore afflusso del metallo e ciò ha influito anche sulle attività dei rivenditori. Gli acquirenti finali hanno invece subito gli effetti di un alto tasso di domanda, dei rifornimenti al ribasso e del rialzo dei costi: una triplice mazzata che li ha costretti ad acquistare spendendo di più.
Una panoramica globale
L’oro ha una
funzione molto importante: è in grado di stabilizzare la valuta qualora si verifichi il fenomeno dell’iperinflazione e tanto più in presenza di una grave crisi mondiale come quella in corso. Relativamente pochi Paesi, però, dispongono di ampie riserve d’oro che, per oltre l’80 per cento, sono detenute da appena 25 stati. Si tratta di alcune tra le nazioni più prospere del Pianeta che in parte posseggono queste riserve in quanto Paesi produttori, come Cina, Russia e Stati Uniti ed in parte perché lo hanno acquistato. I dati di gennaio 2020, diffusi dal World Gold Council, vedono al primo posto gli Stati Uniti, con riserve stimate a 408 miliardi di dollari, in seconda posizione la Germania, con circa 169 miliardi di dollari ed al terzo posto l’Italia, con 123 miliardi di dollari di riserve aurifere.
Tra i maggiori produttori di oro c’è la Cina che, nel 2018, ne aveva estratte ben 399 tonnellate seguita dall’Australia, al secondo posto con 312 tonnellate ed a seguire la Russia con 283 tonnellate. L’industria mineraria contribuisce alla metà delle esportazioni australiane e contribuisce all’8 per cento del Prodotto Interno Lordo del Paese. L’Europa è invece il mercato privilegiato dell’export russo che, per l’83 per cento, è diretto qui. Il trend produttivo della Cina è invece in fase calante a causa delle politiche ambientali imposte recentemente da Pechino. Altri Paesi produttori con numeri importanti sono gli Stati Uniti, il Canada, il Sudafrica ed il Ghana.
Nessun commento:
Posta un commento