L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 28 marzo 2020

Proposta

NO MES! Occorrono interventi "italiani" urgenti e strutturali

Scritto da Redazione ASI Categoria: Politica Nazionale Pubblicato: 27 Marzo 2020



(ASI) Ieri Lista Civica Italiana ha inviato un documento ai parlamentari circa le possibili alternative concrete "italiane" per finanziare l'emergenza in Italia. Occorrono interventi urgenti e strutturali. Non mettiamoci da soli il cappio al collo.

Lista Civica Italiana appoggia le linee della a proposta (ancora in fase di ultimazione) di alcuni economisti, esperti di finanza ed altri intellettuali italiani tra cui Vadim Bottoni, Alessandro Coluzzi, Fabio Conditi, Nicoletta Forcheri, Antonino Galloni, Guido Grossi che si confrontano sul tema da anni e che chiedono di approvare un Piano di intervento da 350 miliardi di euro, suddiviso in 100 miliardi immediati e 250 miliardi a brevissimo termine.

Lista Civica Italiana, chiede al Parlamento e al Governo:
- una valutazione seria ed approfondita della proposta da parte del Governo;
- un’ampia informazione pubblica;
- un confronto diretto degli autori del documento con rappresentanti del Governo e del Parlamento.

Lista Civica Italiana ritiene che l’Italia, colta in questo periodo di emergenza nella sua massima fragilità finanziaria, aggravata da un diffuso disinteresse della popolazione verso le istituzioni, può correre grandi rischi ma trovare grandi opportunità.
L’emergenza sanitaria può trasformarsi, pur con la sofferenza e il dolore causati dalla situazione, nell’inizio di una fase nuova di rinascita sociale, economica e civile.
Ogni speranza potrebbe però essere soffocata definitivamente se il Governo trascinasse il Paese e le generazioni future nelle paludi di quel grande prestito internazionale che molti avidi speculatori auspicano e sollecitano. L’esperienza della Grecia insegna!

Non abbiamo bisogno di prestiti internazionali. L’ alternativa al prestito internazionale ma anche ad un eventuale prestito forzoso è costituita dall’offerta alle famiglie italiane di strumenti finanziari semplici che proteggano il risparmio mettendolo al servizio della comunità.

L’Italia può infatti cogliere, con uno scatto d’orgoglio nazionale, le enormi opportunità offerte dalle circostanze, se cittadini, cittadine e Istituzioni insieme, decideranno di intervenire ben oltre l’emergenza, con uno sguardo verso la svolta epocale che sta interessando tutta l’umanità, prendendo decisioni politiche strutturali e coraggiose, lungimiranti, di ampio respiro.
Le azioni avviate dal Governo in questi giorni sembrano rispondere all’emergenza, e sebbene lo facciano con decisione e coraggio, mancano di prospettiva futura.

Lista Civica Italiana auspica che il rilancio dell’economia italiana sia connesso al Green New Deal Europeo e preveda investimenti per la transizione del sistema produttivo e industriale partendo dal contrasto al cambiamento climatico, dalla strategia energetica, dall’implementazione dell’economia circolare, dalla riconversione dell’industri delle armi bonifica e riconversione dei SIN.

Questo è il tempo delle responsabilità condivise.

Per ulteriori informazioni e approfondimenti sul documento:

Guido Grossi 339 162 517 0

Allegato: estratto del documento a cura di Lista Civica Italiana

Riportiamo un estratto del documento degli economisti liberamente tratto da Lista Civica Italiana

INTERVENTI URGENTI E STRUTTURALI VERSO NUOVI PARADIGMI

L’emergenza sanitaria ed economica, che è globale e sta sospendendo le libertà democratiche, spinge tutto il mondo verso mutamenti epocali, che si manifestano con interventi politici drastici, sorprendenti ed immediati.

Si intravedono nuovi auspicabili paradigmi globali:
- ricerca di equilibri geopolitici diversi e più sostenibili;
- la finanza viene ridimensionata e torna al servizio del lavoro e della produzione;
- la Politica governa la moneta e l’economia;
- il commercio globale si ridimensiona alla ricerca di scambi sostenibili;
- la produzione si orienta prevalentemente al mercato interno;
- la grandissima dimensione aziendale privata ha mostrato limiti insuperabili che vanno corretti;
- la democrazia e la partecipazione vanno rivitalizzate.

Scivoliamo verso la sospensione definitiva delle libertà costituzionali, o sviluppiamo una nuova capacità di decisioni trasparenti e condivise?

Ogni speranza di rinascita potrebbe essere soffocata definitivamente se il Governo trascinasse il Paese e le generazioni future nelle paludi di quel grande prestito internazionale che molti avidi speculatori auspicano e sollecitano.

NON ABBIAMO BISOGNO DI PRESTITI INTERNAZIONALI. TUTTI DEBBONO ESSERE INFORMATI A RIGUARDO.

L’Italia può invece cogliere, con uno scatto d’orgoglio nazionale, le enormi opportunità offerte dalle circostanze, se sapremo scegliere, popolo e Istituzioni insieme, di intervenire ben oltre l’emergenza, con uno sguardo verso la svolta epocale che sta interessando tutta l’umanità, prendendo decisioni politiche strutturali e coraggiose, lungimiranti, di ampio respiro.
Le azioni avviate dal Governo in questi giorni sembrano rispondere all’emergenza, e sebbene lo facciano con decisione e coraggio, mancano di prospettiva futura.
Questo è il tempo delle responsabilità condivise.
In questo documento sono raccolti i suggerimenti pratici in grado di trasformare l’emergenza in uno strutturale cambiamento di rotta.
Si prevede un Piano di intervento da 350 miliardi di euro, suddiviso in 100 mld immediati e 250 mld a brevissimo termine.
……….

Quadro d’insieme di interventi per un totale di 350 miliardi

Fase 1 (oggi). Misure immediate per 100 mld

Per tamponare l’emergenza sanitaria, il rischio reddito per famiglie e imprese e mettere le istituzioni finanziarie pubbliche in grado di sostenere misure strutturali, occorre portare nelle casse dello Stato liquidità immediata per un totale di almeno 100 miliardi. In questo modo si scongiura il prestito internazionale.
Le misure immediate più adeguate hanno natura transitoria, e andranno sostituite, non appena superata l’emergenza, da interventi più strutturali.

Possono essere di due tipi:

1) Emissione di Titoli di Stato a breve termine, garantiti e riservati esclusivamente al risparmio di famiglie, aziende, operatori nazionali
Tutto ciò consente di:
- mobilitare rapidamente al servizio della comunità parte del risparmio finanziario privato nazionale, di cui almeno 1500 miliardi sono disponibili (conti correnti e depositi) o facilmente liquidabili;
- mettere al sicuro questa preziosa risorsa nazionale, attualmente poco o male utilizzata e oltretutto a rischio di un prelievo forzoso col perverso meccanismo del bail-in;
- dare finalmente attuazione alla prescrizione costituzionale dell’articolo 47 che impone alla Repubblica di tutelare il risparmio;
- tranquillizzare i mercati che vedrebbero l’Italia impegnarsi autonomamente senza ricorrere a ulteriori prestiti con l’estero. Ciò porterebbe a una graduale scomparsa dell’odioso ricatto dello spread.
In questo modo si sostituisce di fatto il “debito pubblico estero”, concetto odioso, con ben più rassicuranti e graditi “strumenti di protezione e impiego del risparmio dei cittadini”.

2) Emissione diretta da parte del MEF di stato-note (denaro utilizzabile dalla pubblica amministrazione e dai cittadini/e ) a circolazione interna all’Italia, anche in versione elettronica.
Ciò consente di:
- coprire con immediatezza ogni esigenza della spesa non coperta da entrate;
- arrestare ogni trasferimento verso la popolazione di qualsiasi “turbolenza” dovuta ai mercati speculativi;
- contribuire al processo di sostituzione del debito estero.

Entrambe le misure – se presentate adeguatamente - saranno facilmente accettate dai cittadini, e sicuramente gradite dagli investitori che oggi, temono un default giustificato esclusivamente da moventi speculativi e politicamente arbitrari.
E saranno tanto più gradite e accettate se vengono accompagnate dall’impegno verso la popolazione da parte di Governo e Parlamento, ad implementare nella fase immediatamente successiva misure strutturali a favore di tutti.
In sostanza si tratterebbe di un nuovo patto sociale.

Fase 2 (3/6 mesi). Misure strutturali per 250 mld

1) Si predispone un piano strategico di investimenti produttivi per 250 mld.
Obiettivi:
creare nuovo lavoro sostenibile sia socialmente che ambientalmente;

acquisire aziende strategiche al patrimonio pubblico, necessarie a garantire alla cittadinanza ed alla struttura produttiva privata l’erogazione dei servizi essenziali (sanità, credito, energia, trasporti, logistica, ricerca, formazione e informazione, telecomunicazioni).

sostenere le piccole e medie imprese private;

rafforzare il mercato interno e riorientare la produzione.

Interventi per tutelare strutturalmente il risparmio pubblico e contemporaneamente metterlo al servizio della comunità:

1) Le istituzioni finanziarie pubbliche vengono messe a rapporto diretto e stringente con il Governo, ricapitalizzate, e vengono impiegate per creare la rete dei servizi.
In questo modo il Governo avrebbe un efficace strumento di trasmissione delle decisioni politiche prese dal Parlamento.
Si rimette l’apparato pubblico in grado di offrire a cittadini e imprese i servizi pubblici essenziali di elevata qualità.
È possibile ed auspicabile prevedere forme di partecipazione diretta alla proprietà popolare diffusa nelle aziende pubbliche che erogano servizi, accompagnate da forme di coinvolgimento nella gestione, al fine di assicurare il contenimento dei costi.

2) viene realizzata una piattaforma elettronica presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, con due finalità.
a) Consentire alle famiglie, aziende e banche italiane di effettuare Conti di Risparmio (CDR), volontari e trasferibili.
In tal modo si mette definitivamente al sicuro il risparmio nazionale, e si garantisce che sia sistematicamente utilizzabile per la sua fluida circolazione nel mercato domestico.
b) Si mette il MEF in grado di accreditare crediti fiscali trasferibili su appositi conti correnti fiscali intestati a tutti i codici fiscali/partite IVA.
Serve a garantire che ogni credito verso la pubblica amministrazione sia reso immediatamente disponibile per il cittadino, che potrà usarlo anticipatamente per effettuare pagamenti nel mercato italiano.

3) Viene aperto a tutti i cittadini su una banca pubblica da individuare, un conto corrente gratuito e con saldo positivo (es. 100 €), utilizzabile mediante convenzione con gli sportelli di Banco Poste o altri istituti residenti, anche privati.
Serve a collegare la struttura finanziaria pubblica alla rete delle banche private ed al sistema internazionale dei pagamenti.

Così in un comunicato della Lista Civica Italiana.

Questi giornalisti da strapazzo che omettono di dire che le banche centrali stanno iniettando montagne di soldi perchè le aziende sono diventate zombi, e le borse in mano a giocatori incalliti che sfruttano il fatto non li faranno fallire e di volta in volta aumentano la posta nei loro giochetti per trarre il massimo benefici, il sistema è malato strutturalmente e hanno imboccato un sentiero stretto a senso unico

Helicopter money, ossia come governi e banche centrali stanno distruggendo l’economia mondiale dalle fondamenta

Soldi gratis a tutti e spesa pubblica senza limiti. Siamo entrati nell'era della Moderna Teoria Monetaria, che distruggerà le basi della stessa convivenza pacifica. Stiamo ballando sul Titanic.

di Giuseppe Timpone , pubblicato il 28 Marzo 2020 alle ore 08:57


E alla fine del giorno, la cura si rivelerà peggiore della malattia. Mai nella storia si era visto un coordinamento dalla portata così espansiva tra governi e banche centrali, con l’intento di alluvionare i mercati finanziari e quelli reali di liquidità. La Federal Reserve sta pompando dollari a un ritmo di 125 miliardi al giorno, la BCE ha varato stimoli monetari per 870 miliardi di euro e che si vanno ad aggiungere ai già 20 miliardi mensili varati agli sgoccioli dell’era Draghi. E che dire della Banca del Giappone, che ormai detiene quasi la metà del debito pubblico nipponico e che ancora ipotizza di aumentare gli acquisti?

Dal canto loro, abbiamo un governo americano che ha appena trovato un accordo con il Congresso per varare un piano emergenziale di sostegno all’economia da 2.000 miliardi, mentre la Germania cerca di rispondere alla crisi con 750 miliardi, il 20% del pil tedesco. Ovunque, è ormai corsa a chi offre di più. Certo, nel caso di Berlino esistono gli spazi di manovra per attuare un simile piano straordinario, grazie ad anni di cospicui risparmi, che hanno ridotto persino in valore assoluto l’entità del debito pubblico.

Ma che la situazione sia del tutto sfuggita di mano lo conferma il fatto che ormai nemmeno i rendimenti negativi bastino più a tenere a galla l’economia e i debiti accumulati e non sembra ipotizzabile nemmeno prestare denaro a interessi zero. Siamo al ribaltamento dei ruoli: chi presta denaro deve pagare chi lo riceve. Questa assurdità, che non ha alcun significato economico, tranne che non si fosse in deflazione, è sorta dopo l’allentamento monetario globale seguito alla crisi finanziaria del 2008.
Da allora, le banche centrali, a partire dalla Federal Reserve, si sono avventurate in quelle che hanno definito misure non ortodosse e che, in teoria, avrebbero dovuto durare poco, giusto il tempo di ripristinare un po’ di calma sui mercati.

La droga monetaria

Invece, come qualcuno aveva avvertito a suo tempo, se dai la droga al mercato, non puoi pensare di sottrargliela quando ritieni opportuno. Né basterà sostituirla con il metadone, alias bassi tassi d’interesse, negativi in termini reali. L’America, pur in piena crescita dell’economia (?!?!), non si è potuta permettere di alzare i tassi al di sopra del tasso d’inflazione, che i mercati stavano andando nel panico e la Fed, approfittando del rimprovero della Casa Bianca, ha fatto marcia indietro, arrivando un anno più tardi a ri-azzerarli. La BCE non ci aveva neanche provato e quando ha resistito alle richieste per un ulteriore taglio dei già negativi tassi overnight all’ultimo board, le borse europee hanno reagito con la loro peggiore seduta di sempre.

Siamo entrati allegramente nell’era del cosiddetto “helicopter money” e mai immagine fu più profetica ed evocativa di quanto stia per avvenire. Le banche centrali stanno inondando i mercati di moneta creata dal nulla, finalmente pacificandosi con le chiacchiere da bar, dove tra una birra e l’altra non si era capito ad oggi perché mai lo stato non stampi moneta quando deve finanziare una spesa. Senonché, la “Modern Monetary Theory” (MMT) dà perfettamente ragione a questo dubbio popolare, sostenendo che non siano le tasse a finanziare la spesa pubblica e che, semmai, queste sarebbero un di più che lo stato incasserebbe per non surriscaldare troppo l’economia.

Moneta, non le tasse, per finanziare la spesa pubblica

Secondo questa teoria post-keynesiana e che sta nei fatti prendendo piede tra i governi e le stesse banche centrali, lo stato non avrebbe nemmeno bisogno di indebitarsi, chiedendo soldi ai creditori privati, perché già dispone di una stamperia per fabbricarsi tutta la moneta di cui ha bisogno.
Il pagamento delle tasse servirebbe essenzialmente a fare circolare tale moneta. Assurdo che possa apparire, questa stramba ideologia del denaro illimitato e sempre prontamente disponibile sta sostituendo progressivamente l’idea per la quale sarebbe la produzione di beni e servizi alla base della ricchezza di una nazione. E la moneta avrebbe semplicemente la funzione di consentire gli scambi e, pertanto, la sua quantità deve seguire necessariamente le variazioni della produzione, ossia del pil.

Alla base dell’helicopter money c’è un ragionamento solo apparentemente confortante per quanti pensino che la MMT risponda maggiormente alle esigenze delle classi sociali più deboli. In realtà, questa teoria distrugge le basi non solo dell’economia, bensì della stessa convivenza civile pacifica, smantellando l’assunto per cui per vivere bisogna lavorare, punendo la stessa idea di risparmio, ossia di sacrificio, e deresponsabilizzando totalmente i governi, non più costretti a scegliere tra una lista di priorità. Poiché la moneta è sempre disponibile per tutti, si può al contempo spendere senza limiti e tenere basse le tasse, accontentando ricchi, poveri e nullafacenti.

Per quale assurdo motivo dovrei accettare di lavorare, se posso sempre beneficiare di una spesa pubblica illimitata e che mi consente di godere di beni e servizi senza compiere sacrifici, grazie allo stampa-stampa della banca centrale? E per quale altrettanto assurdo motivo dovrebbe esistere la stessa idea di impresa, visto che già lo stato avrebbe i mezzi per provvedere a tutto senza nulla pretendere in cambio? Ma è evidente che se nessuno lavorasse e producesse qualcosa, non ci sarebbero beni e servizi da scambiare. A quel punto, la moneta non avrebbe alcun valore, perché non riuscirebbe a comprare alcunché. Dunque, è la ricchezza reale a dare valore alla moneta.

Ci stiamo imbarcando sul Titanic

Ora, sul piano prettamente “ideologico” quasi nessuno crede a sciocchezze come la MMT, almeno non tra i ranghi dei governi e negli istituti centrali.
Ma l’idea viene carezzata per la disperazione di chi sa di averla fatta grossa in anni, se non decenni, di insana gestione della politica monetaria e adesso cerca di vendere aria fritta per strizzare l’occhio alla finanza e all’uomo della strada con un’operazione simpatia tesa a limitare un clima da Norimberga quando il castello di carte crollerà miseramente. A ogni crisi, le banche centrali stanno rispondendo esasperando la portata degli interventi rispetto alla volta precedente. Non esistono più limiti, nemmeno di pensiero, alle loro azioni. Stanno acquistando di tutto, premiando anche quanti andrebbero lasciati fallire, evitando che si faccia pulizia sul mercato.

Invece, è finita che anche il debito delle imprese e dei governi che avevano agito irresponsabilmente venga acquistato illimitatamente dagli istituti con la scusa di dover sostenere le aspettative d’inflazione, perpetuando non solo un modello comportamentale sbagliato – il famoso “azzardo morale” – ma anche la bassa crescita dell’economia, visto che stanno restando in piedi banche, aziende e persino governi dalla conclamata inefficienza. E diffidate da chi vi spiega che la MMT sia stata validata dalla realtà sull’osservazione che un decennio di liquidità a pioggia iniettata sui mercati non abbia alimentato alcuna spirale inflazionistica. Eh, no! Semplicemente, quella liquidità non è affluita sul mercato reale, restando confinata alla sfera finanziaria, dove i prezzi di azioni e obbligazioni sono letteralmente esplosi. E anche questa è inflazione, anche se non viene percepita al momento in cui si compra il pane, il latte o si va dal parrucchiere.

Anzi, proprio questa inflazione galoppante degli assets finanziari, che in gergo prende il nome di “bolla”, sta spingendo le banche ad esportarla sul mercato di beni e servizi nel tentativo disperato di evitare l’implosione dei prezzi, le cui conseguenze sarebbero disastrose per lo stesso uomo comune, in qualità di risparmiatore, investitore, lavoratore e contribuente. Vi spiegheranno che per decenni abbiamo sbagliato tutto, che l’idea di tenere i bilanci pubblici ordinati fosse frutto di una follia ideologica ingiustificata e classista, che il denaro vada prestato gratis e che i governi non siano tenuti a indebitarsi, potendo spendere senza limiti e senza dare nemmeno conto a nessuno. E quello sarà il segnale che ci siamo imbarcati su un Titanic con biglietto di sola andata, perché per il ritorno non ci sarà bisogno.

Non siamo contenti che le nostre previsione sul paese del precariato che sarebbe spazzato via dalla polmonite virale sono confermate dai dati

New York, 25 marzo 2020. (Mary Altaffer, Ap/Lapresse)


Alessio Marchionna, giornalista di Internazionale
27 marzo 2020

Il 26 marzo Donald Trump stava tenendo una conferenza stampa alla Casa Bianca quando è arrivata la notizia che gli Stati Uniti sono balzati in cima alla lista dei paesi con il maggior numero di contagiati dal nuovo coronavirus, superando la Cina e l’Italia. Al momento, secondo il New York Times, sono almeno 85mila le persone contagiate, un dato destinato a crescere visto che da qualche giorno il numero di casi e di decessi ha cominciato ad aumentare in modo esponenziale e stanno arrivando notizie allarmanti da tante parti del paese.

La reazione di Trump, durante la conferenza stampa, è stata di mettere in discussione le statistiche fornite dagli altri paesi. “Questi numeri”, ha detto, “sono dovuti alla quantità di test che stiamo conducendo. Non so se possiamo essere sicuri del fatto che la Cina stia facendo dei test oppure no. Credo sia difficile”. Le sue parole hanno sorpreso e allarmato la comunità scientifica, già preoccupata dal fatto che il presidente, nonostante lo stato d’emergenza e le misure eccezionali messe in atto dalla sua amministrazione, continui a sottovalutare la gravità della situazione.

L’eventualità che gli Stati Uniti potessero diventare il paese con più contagi era prevista: il 24 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) aveva avvertito che il paese sarebbe potuto presto diventare l’epicentro della pandemia. Trump ha praticamente ignorato l’avvertimento, e ha detto di auspicare la fine delle misure di distanziamento sociale entro Pasqua, facendo capire che la sua priorità è far ripartire l’economia il prima possibile.

Carenze enormi
I racconti che arrivano dagli amministratori e dai cittadini raccontano una realtà parallela rispetto a quella in cui sembra muoversi Trump. A New York, dove è stata registrata la metà dei casi statunitensi, gli ospedali denunciano da giorni la carenza di respiratori, mascherine e tamponi per i test. “Ogni scenario realistico ci dice che il nostro sistema sanitario non riuscirà a reggere il colpo”, ha detto il governatore dello stato Andrew Cuomo in una conferenza stampa. Inoltre ha definito “astronomica” la carenza di respiratori: “Non abbiamo scorte a disposizione”.

Quanto ai posti letto, Cuomo ha spiegato che l’obiettivo è passare rapidamente dall’attuale disponibilità di 53mila a 140mila attraverso la creazione di ospedali da campo. A proposito dei respiratori, il governatore ha detto che il suo stato avrà bisogno di almeno 30mila unità per fronteggiare l’aumento dei ricoverati delle prossime settimane. In un’intervista a Fox News, Trump ha risposto così: “Ho la sensazione che i numeri che vengono dati in alcune zone siano più grandi di come saranno in realtà. Non credo che abbiano bisogno di 30mila o 40mila respiratori. A volte vai in degli ospedali importanti e vedi che ne hanno solo due, e ora all’improvviso dicono ‘ordiniamone trentamila’”.

Nella stessa intervista Trump ha fatto tante altre dichiarazioni surreali e preoccupanti. Ha detto, per esempio, che quando gli Stati Uniti hanno bloccato i voli provenienti dalla Cina “molte persone hanno deciso di andare in Italia e in Spagna, e ora guarda che problemi hanno quei paesi”. Inoltre ha di nuovo dato la colpa della situazione alle precedenti amministrazioni: “Abbiamo ereditato un sistema guasto”. In realtà molti esperti di sanità ed economisti sostengono che negli ultimi tre anni Trump abbia indebolito la capacità del sistema sanitario di reagire a una crisi come quella in corso. Infine il presidente ha detto che gli Stati Uniti hanno condotto più test di qualsiasi altro paese. È vero, ma gli Stati Uniti hanno 330 milioni di abitanti, l’Italia e la Corea del Sud ne hanno rispettivamente 60 e 50 milioni. Se si prendono in considerazione i test condotti ogni 100mila persone, gli Stati Uniti sono molto indietro rispetto agli altri due paesi.

C’è preoccupazione per quelle zone degli Stati Uniti dove le condizioni di salute e l’aspettativa di vita sono più basse che nel resto del paese

Intanto arrivano notizie di nuovi focolai e decessi in altre aree, dove spesso le strutture sanitarie sono meno efficienti e moderne rispetto a quelle di New York. La situazione più preoccupante è quella della Louisiana, uno degli stati più poveri, che negli ultimi anni è stato messo in ginocchio da uragani e disastri naturali. A quanto pare qui il virus si è diffuso principalmente durante i festeggiamenti per il martedì grasso. La Reuters riporta le parole del governatore John Bel Edwards, secondo cui lo stato rischia di finire senza respiratori il 2 aprile e senza posti letto per i contagiati entro il 7 aprile.

Attualmente in Louisiana circa l’80 per cento dei pazienti in terapia intensiva ha bisogno del sostegno delle macchine per respirare, una percentuale doppia rispetto a una situazione normale. In tutto lo stato gli ospedali denunciano la carenza di strumenti basilari come mascherine e guanti. In alcuni casi medici e infermieri riciclano vecchie mascherine o le costruiscono da soli usando, per esempio, sacchetti della spazzatura.

Scambio di favori
Preoccupazioni arrivano anche da quelle zone del paese dove da molti anni l’aspettativa di vita è più bassa che altrove, per esempio città come Detroit, nel Michigan, colpita duramente dal declino dei settori industriali e dalla crisi economica del 2008. O come il West Virginia, lo stato più povero, dove una percentuale importante della popolazione soffre di malattie respiratorie causate dal lavoro nelle miniere.

Di fronte alle richieste di aiuto, Trump ha prima detto ai governatori statali di cavarsela da soli, poi ha spiegato che per ricevere l’aiuto del governo federale devono smetterla di attaccare la sua amministrazione: “Le cose vanno bene con quasi tutti i governatori, credo. Ma è uno scambio reciproco: devono trattarci bene”.

Notizie preoccupanti arrivano dalle prigioni, dove le autorità penitenziarie non sembrano in grado di gestire la situazione, e dai centri di detenzione per immigrati: il 23 marzo ProPublica ha raccontato che i migranti rinchiusi in una struttura del New Jersey stavano per protestare per chiedere di ricevere più sapone (attualmente lo ricevono solo una volta a settimana e se ne vogliono altro devono comprarlo).

Il 26 marzo sono stati pubblicati i dati del dipartimento del lavoro, secondo cui nell’ultima settimana 3,3 milioni di statunitensi hanno fatto richiesta per i sussidi di disoccupazione, un record assoluto nella storia del paese. Un dato che gli esperti interpretano come il segnale di un’imminente crisi economica senza precedenti. Secondo il dipartimento del lavoro, i settori più colpiti sono quelli dell’industria della ristorazione e dei fast food, nei quali generalmente i posti di lavoro sono poco tutelati e che in luoghi come New York rappresentano una fetta rilevante dell’economia. “Siamo di fronte a una crisi occupazionale catastrofica, paragonabile a quella della grande depressione degli anni venti”, ha detto al Guardian Andrew Stettner del centro studi Century foundation.

Per affrontare la situazione la Federal reserve, la banca centrale statunitense, ha proposto un piano per iniettare 1.500 miliardi di dollari sui mercati, e il congresso ha approvato una manovra da circa duemila miliardi di dollari, che tra le altre cose prevede assegni fino a 1.200 dollari per ogni adulto, sostegni per chi è rimasto senza lavoro, la sospensione delle rette universitarie, prestiti per i settori che rischiano di crollare (per esempio le compagnie aeree) e sussidi per le aziende in difficoltà.

Il 27 marzo il New York Times ha pubblicato un editoriale in cui critica la strategia del governo di offrire sussidi di disoccupazione senza proteggere i posti di lavoro, com’è stato fatto in Europa, a cominciare dalla Danimarca e dai Paesi Bassi. “Preservare i posti di lavoro è importante, anche perché negli Stati Uniti chi perde il lavoro perde anche l’assistenza sanitaria” e, una volta finita l’emergenza, farà fatica a trovare un nuovo impiego con un salario paragonabile a quello che aveva in precedenza.

Ci siamo ma non ci siamo

sabato 28 marzo 2020

Indronati [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Lockdown. Quando ancora non vestivo i panni criptoeditoriali del Poliscriba, scrissi, come altri sproloquiatori seriali della blogosfera, che il mondo doveva essere azzerato, resettato.
Non mi ero reso conto che il Nemico tutto vedeva, leggeva, ascoltava.
Io mi ero fermato lì, lui è andato oltre, molto oltre, verso il confinamento sotto legge marziale … e l’arresto di tutto ciò che si muove sotto il sole … o quasi.

2011, annus horribilis. Usciva nelle sale il film Contagion diretto e sceneggiato da Scott Z. Burns, il produttore del documentario Una scomoda verità (2007) che regalò il Premio Nobel per la Pace ad Al Gore, nonché l’Oscar a Davis Guggenheim per la regia, in quell’occasione anche direttore della fotografia.
È l’anno in cui fu aperto il portale dell’Africa, divelto dalla falsa guerra civile libica imposta da LORO, così d’ora in poi li chiamerò gli architetti dei disastri che mantengono l’umanità nel caos perenne per poter strutturare il piano, qualunque esso sia, comunque venga chiamato o numerato: perché LORO adorano la numerologia, in special modo quella che rimanda alla ricchezza, ai fasti, all’aspirazione dell’eternità in questo mondo, all’estetica e alla bellezza narcisistica ben inscenata nel film La morte ti fa bella.
A noi lasciano la gematria o l’ isopsefia per trastullarci alla ricerca di segni… sogni… bisogni.

2007, l’anno del vero contagio. Tra febbraio e marzo del 2007 si rende noto al mondo intero che uno shock finanziario di proporzioni planetarie sta per abbattersi sulle banche e gli investimenti del pianeta.
Anche lì si era trattato di una pandemia: una truffa dal nome popolare, Crisi dei subprime, un virus inoculato nelle vene dell’economia reale, parliamo del mercato immobiliare, che non è mai stato sanato, il cui vaccino, fino a ieri, è stato il QE, l’elicopter money, l’emissione di moneta virtuale, di trilioni di euro e dollari, per drogare un mercato finanziario completamente stravolto dall’avidità umana: stessa cura che viene invocata a gran voce da tutti gli Stati infettati dal COVID-19.La catastrofe spedì nell’inferno della povertà decine di milioni di americani, europei e asiatici. A quei milioni si aggiungeranno i nuovi di quest’anno e seguenti.
Sempre LORO, nel 2007, aprono la stura a una quantità devastante di documenti segreti attraverso il sito Wikileaks: viene spalancato, apparentemente, un altro portale.
E al micco si presentano i soliti vecchi numeri da illusionisti consumati, gli arcani x-files, maggiori e minori, sfoderati con assistenza di cosce e lustrini nel merdomondo del Quinto Potere.
La questione Assange, come spesso avviene tra di LORO, è un problema interno che ha risvolti spettacolari da dare in pasto all’opinione pubblica attraverso i media, il seno della Anderson e il tentato sucidio della Manning … per dire.
A proposito: per LORO non esistono media mainstream e indipendenti, informazione corretta o scorretta.
Le LORO piattaforme e la LORO carta straccia, ospitano il consenso e il dissenso… è solo una questione di monetizzazione, destabilizzazione e propaganda pubblicitaria, con qualche blocco qua e là, giusto per tirare su un po’ di indignazione e far sfogare i subumani sopra le LORO tastiere, gridando al GOMBLOTTO seduti nelle LORO caverne.
Ficcatevelo bene in testa: la proprietà privata è una fase transitoria di possesso, è in affitto, appartiene a LORO e verrà un giorno in cui vi verrà sfilata via senza tanto clangore.

UniNettunoUniversity. Proprio ieri, durante la conta degli infetti, dei morti e dei guariti, per/con/di coronavirus del triunvirato di turno in conferenza stampa, il noto laurificio telematico, interattivo ha iniziato il corso dall’emblematico titolo: e-democracy.
D’altronde, gli arruffapopolo sul web tengono già i loro comizi: è ora della democrazia diretta, del televoto da applicare alle elezioni.
Che venga a noi l’ e-Parlamento.

Noi restiamo a casa. Come direbbe Cetto principe Buffo di Calabria: la minchiata giusta al momento giusto per fottere senzaindubbiamente gli italiani… ‘n tu culo, ‘n ta casa!
L’esortazione al lieto viver domestico, una decameronata internos propinata da attori, comici, starlette che vivono in 300mq con giardini, piscine e terrazzi, è accompagnata da sottofondo massonico in salsa OZ … Over the Rainbow su Sky … net ... walker … dead.

IPERCONNESSIONE. Nel 2015 Internet divenne un Diritto Umano irrinunciabile. In questo istante più di 30 mln di utenti italiani, compreso il sottoscritto, è connesso alla rete, ma l’80% dei fruitori sta giocando, perdendo e guadagnando in valuta e criptovaluta.
La rete è congestionata, ergo, nessuna rivoluzione per le strade: la droga c’è, sono decenni che sta dissolvendo la volontà dei popoli.
Sento un brusio che presto diverrà urlo dai balconi, un gigantesco flahmob di massa che inneggerà al meme-hastag: “VOGLIAMO IL 5G, VOGLIAMO IL 5G!!!”
Altro che paura di essere bruciati a 100GHZ o spiati dai droni.
C’è un tale voyeurismo e desiderio di apparire, esserci, che selfie più, selfie meno, sarà figo finire nell’occhio digitale di un quadricottero e sparato in webvisione: intronati e indronati.
Per tutto il resto c’è Mastercard, Glovo, l’homebanking, Amazon prime, TNT, un’ora di yogafit at home ed Esselunga che la spesa te la porta a domicilio.

25 marzo 2020, arcobaleno a Lourdes. Nell’ultimo giorno della novena per chiedere una grazia speciale contro il coronavirus a Maria Vergine, appare un arcobaleno tra le grigie nuvole di un santuario deserto, blindato dalle disposizioni governative, ormai internazionali, una delle ultime roccaforti consolatorie per i poveri pezzenti di cui ho scritto, nello stesso giorno in cui Aquerò si svelò a Bernadette come Immacolata Concezione nel 1858… una banale coincidenza, ovviamente.

28 marzo 2020, San Pietro con il Pastore senza gregge (che attende l’immunità). L’esposizione del SS.Sacramento davanti all’erede di Pietro, sotto un diluvio che effonde un’aura bluastra, mortifera, piangente sul Cristo che scacciò la peste di francescana memoria, è il vero segno dei tempi, la vera apocalisse.
Bergoglio … l’orgoglio che, al cospetto del Verbo che si è fatto carne, sceglie il trono e non l’inginocchiatoio, mi fa pensare a Celestino V, ma ancor più a quella data vergata sul marmo che si frappone ai piedi dell’ara sacra, tra le due Santità: XI ottobre MCMLXII… chi ha occhi per intendere, intenda.

1-6-2016. Con un sabba sfacciato, così LORO stuzzicano l’immaginario collettivo, si inaugurava il tunnel del Gottardo. Presenti tutti i burattini: Macron, Merkel, Renzi, Junker, etc …
Quale demone si evocò per l’occasione?
La lista è estesa: Mnemoth, Nergal, Rosacarnis … Cthulhu.

EVENT-201. Si legge sul LORO sito: “Il Johns Hopkins Center for Health Security in collaborazione con il World Economic Forum e la Bill and Melinda Gates Foundation ha ospitato l'Evento 201, un esercizio di pandemia di alto livello il 18 ottobre 2019 a New York, NY. L'esercizio ha illustrato le aree in cui saranno necessari partenariati pubblico / privato durante la risposta a una grave pandemia al fine di ridurre le conseguenze economiche e sociali su larga scala”.
Se la nostra in-civiltà dovesse finire a causa della pandemia definitiva, Bill e Melinda saranno Adamo ed Eva alle Svalbard dove possiedono il più grande deposito di semi al mondo.
Saranno aperte le selezioni per superstiti aspiranti zappaterra.

2020 Visions. È una serie di fumetti di James Delano, una premonizione, si direbbe, come la maggior parte della fantascienza dall’800 ad oggi… ma è quello che LORO ci hanno sempre fatto credere.

KABBALAH. 20x20 da 400, valore numerico che corrisponde all’ultima lettera dell’alfabeto ebraico: la Taw, la fine.

2Q2Q. Poker di donna.

Questi giornalisti da strapazzo che omettono di dire che espulsione di 13 giornalisti statunitensi dalla Cina è la risposta ad una precedente posizione di espulsione/contingentamento di giornalisti cinesi in territorio statunitense- E' guerra vera è guerra totale, niente illusioni

Guerra Usa-Cina da Covid-19, tutte le ultime novità

28 marzo 2020


Mosse e contromosse di Usa e Cina nella guerra diplomatica per la pandemia di Covid-19. L’articolo di Giuseppe Gagliano

L’amministrazione del presidente degli Stati Uniti Donald Trump sta valutando la possibilità di espellere dal paese decine di diplomatici e giornalisti cinesi che si ritiene siano spie sotto copertura. Le espulsioni riguardano il conflitto tra Washington e Pechino, scoppiato nelle ultime settimane a seguito della pandemia di Covid-19.

All’inizio di questo mese, il governo cinese ha annunciato che avrebbe espulso 13 giornalisti americani da tre importanti quotidiani, il Wall Street Journal, il New York Times e il Washington Post. Pechino stabilì inoltre che tutte le organizzazioni di stampa americane che operavano in Cina dovevano fornire al governo informazioni dettagliate sulle loro attività finanziarie, sulla struttura dei dipendenti e su altre informazioni organizzative. I giornalisti hanno affermato di essere stati espulsi per aver cercato di riferire sullo stato della pandemia di Covid-19 all’interno della Cina.

Nello stesso periodo, il presidente Trump e membri della sua amministrazione, incluso il segretario di stato Mike Pompeo, iniziarono a riferirsi alla grave sindrome respiratoria acuta da coronavirus (SARS-CoV-2, noto come nuovo coronavirus) come “virus cinese” o “Il virus Wuhan”. Il termine si riferisce alla provincia cinese in cui si ritiene che il virus abbia avuto origine. Il presidente Trump afferma di aver deciso di usare il termine “virus cinese” in risposta a affermazioni non comprovate da parte di funzionari del governo di Pechino secondo cui il nuovo coronavirus sarebbe stato portato in Cina da membri dell’esercito americano.

Giovedì, il New York Times ha riferito che l’amministrazione Trump stava considerando di espellere dagli Stati Uniti un gran numero di cittadini cinesi che lavorano come diplomatici o giornalisti. In alcuni casi la Casa Bianca sta valutando la possibilità di chiudere gli uffici di alcuni media cinesi negli Stati Uniti. Secondo un certo numero di funzionari dell’amministrazione, molti giornalisti cinesi con sede negli Stati Uniti sono in realtà ufficiali dell’intelligence sotto copertura, che riferiscono regolarmente al Ministero della Sicurezza dello Stato, la principale agenzia di intelligence esterna della Cina. Alcuni di questi presunti funzionari dell’intelligence sotto copertura – noti nel mondo dell’intelligence come “copertura non ufficiale” – sono presumibilmente integrati all’interno della China Global Television Network, il braccio di lingua straniera della China Central Television (CCTV) di proprietà statale.

Il 2 marzo, l’amministrazione Trump ha imposto bruscamente determinate quote sul numero di cittadini stranieri autorizzati a lavorare per le organizzazioni dei media cinesi negli Stati Uniti. I gruppi di media cinesi hanno rispettato la nuova direttiva in modo tempestivo, richiamando oltre 60 membri del loro personale in Cina. Tuttavia, la Casa Bianca ora crede che un numero significativo di giornalisti cinesi – circa cento – che continuano a operare negli Stati Uniti siano ufficiali dell’intelligence sotto copertura.

Nel frattempo, il 25 marzo, il quotidiano cinese The Global Times in lingua inglese di proprietà del governo ha sollevato le sopracciglia ripetendo le accuse secondo cui il coronavirus sarebbe stato portato in Cina da un ciclista americano, che ha visitato Wuhan nell’ottobre dello scorso anno per competere nei Giochi del mondo militare.

La guerra diplomatica e mediatica continua fra Usa e Cina.

L'influenza non è banale ma dal momento che la conosciamo l'affrontiamo senza paura. La polmonite virale da covid-19 è data dalla maggior virulenza di questo virus

Vi racconto il Coronavirus Sars-Cov-2. Parla Ilaria Capua

28 marzo 2020


Parla Ilaria Capua, virologa che dirige, all’Università della Florida, l’One Health Center of Excellence, intervistata da Scienzainrete

Recentemente sei finita – tanto per cambiare – al centro di polemiche per aver derubricato Covid a una banale parainfluenza.

Attenzione! io ho usato questo termine ben consapevole di cosa stavo facendo. Volevo dare una definizione del nuovo virus comprensibile ai più, anche per togliergli lo stigma di virus misterioso e spaventevole, per relativizzare il mostro dicendo in modo chiaro cose corrette. E poi, caro Luca, basta con questo termine “banale influenza”. L’influenza non è mai banale. Provoca una tempesta di citochine, un vortice di segnali dannosi a tutto il corpo. Cerchiamo di cogliere con un minimo di freddezza i ”silver lining”, i contorni luminosi che si osservano intorno alle nubi. La prima lezione da trarre è che dobbiamo rivalutare l’importanza dell’influenza, che ci prendiamo ogni anno e che lascia sul campo le sue vittime fra i più fragili (8.000 morti attribuibili a influenza e sue complicazioni nella passata stagione, ndr.). Il vaccino antinfluenzale (preso da circa la metà della popolazione anziana in Italia, sotto la media europea, ndr) non protegge ovviamente da coronavirus, ma quanto meno toglie dagli ospedali un buon numero di casi gravi da influenza e riduce il dubbio diagnostico. Anche le influenze possono dare polmonite. Peraltro, sarebbe interessante analizzare il tasso di copertura vaccinale per influenza e stratificarlo per i ricoveri gravi da coronavirus. Paradossalmente un intervento di prevenzione per un’altra malattia può essere un elemento che fa virare verso il precipizio o la risalita un sistema sanitario in crisi.

Stai dicendo che il frutto dell’attuale pandemia risente anche di co-infezioni con altri virus?

Non vogliono mettermi nei panni dei clinici che adesso si trovano a fronteggiare questa ondata. Ti posso dire cosa vedo io negli animali. I coronavirus negli animali sono degli opportunisti e direi mai patogeni primari. Sugli animali il semplice virus non li fa ammalare, se non in condizioni di stress che trovano in allevamento, tipo la scarsa ventilazione, l’acqua (che influenza il microbioma, la clearance renale, etc.). Ma questo succede negli animali. Io però sono convinta che l’attuale coronavirus sia un patogeno che va a colpire un servizio sanitario al quale si ricorre troppo spesso, e che potrebbe diffondersi opportunisticamente anche negli ospedali. proviamo magari a fare una correlazione fra vetustà dell’edificio e positività al coronavirus fra i suoi ospiti. Se tu hai un edificio che ha una ventilazione degli anni ottanta, crei soltanto delle infezioni ospedaliere!

Però questo virus è stato chiamato SARS-CoV-2, appunto per indicare un suo effetto specifico molto chiaro, una polmonite con certe caratteristiche.

Certo, ma ricordiamoci che SARS sta per Severe Acute Respiratory Syndrome, in altre parole una polmonite che ti spedisce al creatore in due-tre giorni. Io ho forti dubbi che in tutti gli anziani cardiopatici e fragili ricoverati per Covid ci fosse in atto una polmonite interstiziale acuta! Più facile che l’anziano muoia di arresto cardiaco e non di polmonite interstiziale. Ma non voglio sostituirmi ai clinici. Ai lettori segnalo però un lavoro scientifico tedesco che insieme a molti altri dice che nella stragrande maggioranza dei casi si comporta come un comune raffreddore. Non dimentichiamocelo.

Tu alludi al fatto che la grande differenza fra la nostra mortalità e quello, per dire, della Germania e di altri paesi dipenda da una diversa notifica del motivo della morte?

È probabile che ci sia una sovradiagnosi di Covid. Basta vedere i posti in cui il tasso di letalità è bassissimo. Come esattamente vengono notificati i decessi da Covid? Voglio poi segnalarti anche il problema della antibiotico resistenza, in cui l’Italia maglia nera in Europa insieme a Grecia e Cipro. Io mi chiedo: c’è qualcosa in certe aree più colpite che può aver trasformato queste infezioni virali asintomatiche in una porta di ingresso per i batteri antibiotico resistenti?

Possibile?

Se una persona immunodepressa, scompensata, infettata da un patogeno che interessa le vie respiratorie, si prende una infezione ospedaliera, diciamo da Klebsiella pneumoniae, gli esiti non possono essere che un aggravamento. Bisognerebbe anche vedere l’andamento delle polmoniti virali (da influenza e altri virus) dei mesi passati rispetto ad altri anni per capire tutte queste complesse interazioni. Non dimentichiamo che nel mondo le polmoniti sono fra le cause più diffuse di morte nell’anziano: 450 milioni di casi all’anno, fra virali e batteriche, 4 milioni di morti all’anno, il 7% della mortalità mondiale. Come va inquadrato nella situazione epidemiologica della polmonite questo virus opportunista e “scippatore”?

Che previsioni si possono fare? Andrà via da solo questo virus? Dovremo immunizzarci tutti con un vaccino?

Il virus si sta cercando di endemizzare nella popolazione. Non sarei sorpresa se in futuro si dovessero infettare anche degli animali domestici e selvatici. Come impressione generale su quello che poco sappiamo è un virus che è ancora troppo giovane evolutivamente, troppo vicino al suo progenitore animale per essere completamente stabile nell’uomo. Le popolazioni virali si selezionano, noi adesso stiamo selezionando le popolazioni dominanti. Quindi non è da escludere, per esempio, che il virus diventi patogeno in manifestazioni diverse, come gastroenteriti nei bambini. Quanto meno questo i coronavirus fanno negli animali. Sono dei trasformisti. Io mi auguro che col tempo si andrà nella direzione di un nuovo virus del raffreddore. Purtroppo non sappiamo quanto tempo ci vorrà. Abbiamo forzato il tempo d’innesco e diffusione iniziale, quindi adesso siamo costretti a navigare a vista. Learning by doing.

(Estratto di una intervista ad Ilaria Capua pubblicata su Scienza in Rete, qui la versione integrale)

21 marzo 2013 - H1N1: la falsa pandemia

Maxim Gorky ci ha insegnato che il fondo non c'è, si può sprofondare sempre di più. La nostra società è malata proiettata solo alla dimensione economica che ci ha fatto perdere di vista l'ontologia sociale dell'uomo. Le crepe che la polmonite virale ha aperto possono essere il grimaldello affinché si produca un tessuto di intellettuali che si fanno carico della "coscienza infelice"

A che punto è l'incubo

di Sebastiano Isaia
21 marzo 2020


1. Il salto non è evolutivo…

La virologa Ilaria Capua, ultimamente molto presente sui media nazionali, dà un’interpretazione storico-sociale della pandemia che sta investendo l’intero pianeta che trovo molto interessante, sebbene questa interpretazione risulti appesantita dal suo peculiare approccio scientista ai fenomeni sociali. Per molti aspetti la scienziata non fa che ripetere quanto aveva scritto qualche giorno fa Mario Tozzi sulla Stampa di Torino e da me citato nel precedente post. Dal mio punto di vista le tesi esposte dai due personaggi è molto significativa perché mostrano la natura essenzialmente sociale dell’attuale crisi sanitaria, ossia la sua profonda e ramificata radice capitalistica – parlare di una generica “globalizzazione” e tirare in ballo un altrettanto generica prassi tecnoscientifica non coglie il cuore del problema e anzi contribuisce a rendere difficile la sua individuazione. Ma questa è una “problematica” che spetta all’anticapitalista affrontare.

Veniamo alla dottoressa Capua, intervistata da Raffaele Alberto Ventura per Le grand continent:

«L’esperienza delle precedenti pandemie bastava a immaginare questo scenario. Tuttavia si tratta di fenomeni che toccano una tale quantità di sfere, da quelle naturali a quelle sociali, con innumerevoli ramificazioni, che per affrontarli un approccio interdisciplinare è fondamentale. Nel mio libro Salute Circolare mi ero precisamente concentrata sugli squilibri globali che rendono sempre più probabili simili scenari. In un certo senso, questa pandemia la stavamo tutti aspettando. […]

Questa emergenza ha rivelato che il vero punto di fragilità del sistema è la sua velocità. Attraverso le infrastrutture di comunicazione siamo riusciti ad accelerare (e quindi a trasformare qualitativamente) dei fenomeni che prima mettevano millenni ad accadere. Pensiamo al virus del morbillo: non era altro che una mutazione della peste bovina che si è trasmessa all’essere umano quando abbiamo iniziato ad addomesticare la mucca. Il morbillo ha invaso il mondo camminando a piedi. Pensiamo all’influenza spagnola, che un secolo fa ci ha messo ben due anni per diffondersi. Questa volta invece sono bastate un paio di settimane. Un virus che stava in mezzo a una foresta, in Asia, è stato improvvisamente catapultato al centro della scena, passando da un mercato in cui venivano radunati animali provenienti da aree geografiche molto diverse. Siamo noi ad aver creato l’ecosistema perfetto per generare spontaneamente delle armi biologiche naturali. Nel ciclo naturale, se pure il virus usciva dalla foresta andava a finire in un villaggio di cento persone e lì esauriva il suo ciclo di vita. Noi stiamo vivendo un fenomeno epocale, ovvero l’accelerazione evolutiva del virus. […] Ma volendo essere ottimisti, possiamo sperare che la crisi che stiamo vivendo cambierà anche questo. Il coronavirus è un cigno nero che stravolgerà il rapporto tra scienza e società, il modo di lavorare, il modo di comunicare. Ora dobbiamo essere pronti a quello che verrà. Forse ci sarà un riavvicinamento alla scienza, che è una delle cose per la quale mi sono più battuta negli ultimi anni con l’One Health Center. Stiamo vivendo un grandissimo esperimento evolutivo. Ma siamo ancora noi la specie animale in cabina di pilotaggio, non possiamo chiedere al lombrico di venire a risolvere i nostri problemi. Non c’è dubbio che di tutto questo conserveremo i segni più nella coscienza che nei corpi».

Ma siamo proprio sicuri che siamo noi «la specie animale in cabina di pilotaggio»? Io ne dubito fortemente, e penso anzi che come umanità non abbiamo il controllo di ciò che noi stessi facciamo e costruiamo: penso che nella metaforica cabina di pilotaggio ci siano rapporti sociali di dominio e di sfruttamento (degli uomini e della natura) che capovolgono il rapporto tra il produttore e il prodotto. La peculiare socialità capitalistica prende corpo alle nostre spalle, in guisa di potenza «estranea e ostile». Rimando ai miei diversi scritti dedicati al tema. A proposito di cigni neri e di opportunità offerte dall’attuale crisi sociale, ho l’impressione che la “nuova normalità” post-crisi sarà peggiore di quella vecchia, come vuole la pessimistica (ma quanto realistica!) tesi secondo cui, posta questa disumana società, il peggio non conosce alcuna saturazione.

«Mentre in Italia attraversa la quarantena per il Coronavirus, i cigni appaiono nei canali di Venezia, e i delfini nuotano giocosamente. La Natura ha semplicemente premuto il tasto reset. Immaginate se tutti noi venissimo messi da parte, cosa potrebbe diventare il nostro pianeta al di là dei nostri sogni più selvaggi»: è quanto ha scritto l’attrice Sharon Stone su Instagram, postando una foto dei canali della città lagunare. Naturalmente sono piovute sulla famosa attrice le indignate risposte degli italiani, in questi giorni così gonfi di orgoglio nazionale. La riflessione di Sharon Stone è a mio avviso assai sintomatica della nostra pessima condizione umana, perché essa rivela come spesso dietro l’amore per la natura si celi un invincibile odio e un abissale disprezzo per il genere umano, accusato in blocco di aver distrutto l’ecosistema. Non pochi individui ecologicamente sensibili cullano la misantropica ”utopia” di un mondo radicalmente inumano, ossia completamente vuoto di uomini: Il mondo dopo l’uomo. E già: si fa prima a pensare la fine dell’uomo, magari per mano di un Virus Sterminatore, che la fine di una società ostile all’uomo. Viviamo tempi eccezionalmente cattivi, c’è poco da dire. E da fare? Fate un po’ voi!

2. Repetita iuvant? Mah!

Nel volgere di pochi giorni siamo passati dalla metafora («è come se fossimo in guerra», alla constatazione di un dato di fatto: «siamo senz’altro nel bel mezzo di una guerra», con ciò che questo salto logico e reale presuppone e pone sul terreno delle pratiche sociali. Come abbiamo visto, non c’è sfera della prassi sociale che non sia stata toccata e profondamente sconvolta da questo eccezionale evento bellico. Si contano i morti, mentre il numero dei feriti è incalcolabile: siamo tutti noi. La guerra moderna non distingue più tra militari e civili, né tra fronte e retrovia: l’intera città è un solo enorme campo di battaglia. Lo stato di guerra implica necessariamente l’esistenza di un nemico, interno o esterno che sia, e come ho cercato di dire nel corso di queste sciagurate settimane l’impalpabile (ma quanto duro e feroce!) nemico che minaccia la nostra salute, la nostra qualità della vita e la nostra stessa nuda esistenza va individuato nei vigenti rapporti sociali di dominio e di sfruttamento – degli uomini e della natura. La pandemia dei nostri giorni si spiega solo con la natura disumana, e quindi necessariamente ostile alla natura, dei rapporti sociali capitalistici oggi dominanti su scala planetaria; si spiega con la sua inestinguibile fame di profitti, con le sue contraddizioni, con i suoi insuperabili limiti, con i suoi continui fallimenti. Nella sua impalpabilità, nella sua aggressività e nel suo cosmopolitismo il Coronavirus si presta benissimo come metafora del Male che ci tiene sotto scacco fin dalla nostra nascita.

«Per Ken Rogoff, economista americano di 66 anni professore a Harvard University, e campione di scacchi, “Non è una crisi come le altre. Siamo in guerra. È come se fossimo stati invasi dagli alieni”» (Il Corriere della Sera). La metafora dell’invasione aliena, così amata dalla “scienza economica” (vedi, ad esempio, Paul Krugman), la dice lunga sulla “potenza concettuale” di quella scienza. Siamo dunque in guerra? Ebbene, si tratta della guerra “esistenziale” che questa società ci dichiara ogni giorno, sempre di nuovo, minacciando continuamente quel poco di felicità che riusciamo a strappare al Moloch.

In questi giorni ho anche cercato di esprimere un concetto che il pensiero comune non può né capire né accettare: l’evento eccezionale mette in luce la vera natura di questa società, l’autentica funzione dello Stato, il quale rivela la sua natura di «forza pubblica organizzata di asservimento sociale», di «strumento del dispotismo di classe», per citare il solito Marx. Nei periodi di “pace sociale” la classe dominante riesce facilmente a occultare questa verità perché le classi subalterne si sono abituate ad accontentarsi di quel poco che hanno, che spesso ai loro occhi appare molto solo perché ormai da troppo esse sono avvezze alle miserie, materiali e spirituali, che questa società offre loro, una società che queste classi subiscono come la sola realtà possibile e concepibile. È su questa tragica incoscienza dei nullatenenti che si regge il dominio delle classi che detengono il potere sociale. «L’assurdità si perpetua e si riproduce mediante se stessa.; il dominio si tramanda attraverso i dominati» (T. W. Adorno, Minima moralia).

Quando però la crisi sociale mette in questione, o semplicemente rischia di poterlo fare, anche quel poco che le classi subalterne si fanno bastare, per così dire, ecco che le loro vecchie “certezze” iniziano a vacillare, a indebolirsi, a creparsi, così da lasciare aperte sulla loro superficie fessure dalle quali è possibile vedere squarci di verità. Una verità che fa orrore, e difatti i dominati quasi sempre reagiscono chiudendo gli occhi, puntandoli altrove, perché il disinganno provoca dolore e chiede un’immediata assunzione di responsabilità, cosa a cui essi non sono abituati, avvezzi come sono alla maligna logica della delega che ne fa dei bambini incoscienti e socialmente impotenti. Il massimo di “azione diretta di governo” che la massa dei nullatenenti riesce a concepire si esaurisce nel recarsi ai seggi elettorali quando è il turno di “scegliere” la classe dirigente che deve amministrarci per conto del Leviatano e della conservazione sociale. Chi pensa che l’anticapitalista sostenga la tesi del “tanto peggio, tanto meglio” dimostra di avere in testa un’immagine macchiettistica dell’anticapitalista, il quale invece sa benissimo che quasi mai l’incremento del male si trasforma automaticamente, spontaneamente in una presa di coscienza da parte dei subalterni e in una loro autentica azione rivoluzionaria. Per quanto riguarda il tanto peggio, poi, ci pensa questa società a non farcelo mai mancare.

3. La scienza non ci salverà

Quando l’integrazione della società, soprattutto negli stati totalitari, determina i soggetti, sempre più esclusivamente, come momenti parziali nel contesto della produzione materiale, la “modificazione nella composizione organica del capitale” si continua negli individui. Cresce così, la composizione organica dell’uomo […] La tesi corrente della “meccanizzazione” dell’uomo è ingannevole, in quanto concepisce l’uomo come ente statico, sottoposto a certe deformazioni ad opera di un “influsso” esterno, e attraverso l’adattamento a condizioni di produzione esterne al suo essere. In realtà, non c’è nessun sostrato di queste “deformazioni”, non c’è un’interiorità sostanziale, su cui opererebbero – dall’esterno – determinati meccanismi sociali: la deformazione non è una malattia che colpisce gli uomini, ma è la malattia della società, che produce i suoi figli come la proiezione biologistica vuole che li produca la natura: e cioè “gravandoli di tare ereditarie” (T. W. Adorno, Minima moralia).

Scrive lo storico israeliano Yuval Noah Harari: «A metà del XIV secolo la peste nera ci impiegò dieci anni per arrivare dalla Cina in Europa, e devastò il continente. Oggi ci sono volute due settimane per diffondere il coronavirus, ma la velocità del sistema non è necessariamente un male, anzi. In due settimane gli scienziati hanno mappato il Dna del virus, lo hanno decifrato. Sanno che cos’è, cosa fa. La peste, nel passato, è sempre rimasta un mistero. Non si sapeva nulla di quale fosse l’origine, di come si propagasse. La nostra situazione è molto diversa. Resta ovviamente sempre una misura di incertezza: il virus ci grida che non abbiamo il controllo totale sulla natura, e ciò è inquietante. È un fattore di destabilizzazione» (La Stampa). A mio avviso il virus ci grida tutt’altro, e cioè che non abbiamo il controllo, nemmeno parziale, sulla nostra stessa esistenza, le cui fonti materiali sono assoggettate alle necessità dell’economia capitalistica.

Ormai da parecchio tempo non esiste più una natura selvaggia, non toccata (“contaminata”) dalla civiltà come ancora prosperava nelle epoche precapitalistiche: ciò che oggi sopravvive di quella natura è inglobata nella dimensione sociale, essa è parte della “periferia allargata” delle zone rurali delle megalopoli. È in queste zone che gli animali “selvatici”, alcuni dei quali peraltro entrano nella dieta alimentare e culturale di alcune popolazioni urbanizzate, entrano più facilmente in contatto con gli animali “civilizzati”, soprattutto con quelli allevati per scopi commerciali. A questo punto il salto dei virus dagli animali selvatici a quelli “civilizzati” (materia prima per l’industria capitalistica), e da questi ultimi agli uomini («trasferimento zootecnico») è una questione di tempo, e in ogni caso questo salto di specie è una possibilità pronta a trasformarsi in un fatto appena se ne presenti l’occasione, la quale può essere la più diversa, fortuita e persino bizzarra.

Le stesse rapide mutazioni dei virus che da almeno tre decenni registrano i virologi di tutto il mondo sono in larga misura indotte dai periodici abbattimenti “di massa” del bestiame e dei volatili contaminati da virus e batteri; la produzione di virus sempre più resistenti e “intelligenti”, ossia adattabili alle modificazioni dell’ambiente naturale causate dalle attività umane, è spesso il paradossale effetto della lotta ai virus come è in grado di pianificarla e realizzarla questa società, la quale, come già detto, deve sempre tenere presente le vitali esigenze dell’economia, e questo significa innanzi tutto che quella ai virus deve sempre essere concepita come una guerra lampo: il profitto non può aspettare e gli affari hanno bisogno di certezze! D’altra parte, non parliamo forse di resilienza batterica dovuta all’uso eccessivo di antibiotici che facciamo? Abbiamo i virus e i batteri che ci meritiamo (alleviamo)! Scherzo, scherzo. Come diceva qualcuno, «la vita vuole vivere», lo vuole con tutte le sue forze, e quale che sia la sua dimensione, il suo corredo biologico e la sua struttura organica, prima di soccombere questa vita cercherà in tutti i modi di cambiare se stessa per non morire. Mi scuso per le indegne citazioni “filosofiche”. In questo contesto, parlare di “natura” mi sembra quantomeno esagerato.

Insomma, nella società capitalistica la relazione uomo-natura è necessariamente una relazione malata, irrazionale, contraddittoria, pericolosa – per entrambi i poli della relazione.

Ancora Harari: «La scienza è più forte del virus. L’arma fondamentale di cui l’umanità dispone oggi e che non aveva in passato è la conoscenza. La scienza è conoscenza più metodo: questa combinazione fa tutta la differenza, nella guerra contro il coronavirus». Oggi la scienza, inseparabile dalla sua “fenomenologia” tecnologica, è uno degli strumenti più formidabili che ha in mano il Moloch capitalistico, che si serve della tecnoscienza per sfruttare e saccheggiare uomini e natura. In questo senso la scienza non è parte della soluzione, come crede il nostro storico, ma del problema. Naturalmente il problema di cui parlo non è il coronavirus, ma il rapporto sociale capitalistico, è la condizione disumana a cui siamo assoggettati tutti, in primis chi tira a campare nei gironi più bassi di questo inferno. Più che di scienza e di conoscenza, avremmo piuttosto bisogno di una coscienza critico-rivoluzionaria.

Per evitare “spiacevoli” equivoci, preciso che qui non intendo riferirmi a una generica scienza, alla scienza astrattamente concepita, alla scienza “in sé e per sé” (concetto astorico che non ha alcun significato), ma alla scienza come si dà nella società capitalistica del XXI secolo. Il concetto di uso capitalistico della scienza e della tecnologia investe, a mio avviso, ogni ambito della prassi scientifica e tecnologica, a partire dal contenuto eminentemente teorico dell’una e dell’altra.

L'ideologia dell'Austerità è l'anima intorno a cui è nato Euroimbecilandia, che nella crisi data dalla polmonite virale non è sconfitta ma trova sempre il terreno per riprodursi/riproporre mantenere i rapporti di potere in Europa e nei vari stati favorendo la finanza, il sistema produttivo che rapina quotidianamente ai subordinati quote consistenti di reddito lasciandogli solo margini di una sopravvivenza precaria

Il debito ai tempi del Coronavirus: la borsa e la vita

di coniarerivolta
20 marzo 2020


La rapida diffusione della Covid-19 ha creato una situazione di emergenza, non solo in Italia, che rende necessario un tempestivo intervento pubblico per sostenere il settore sanitario e l’economia nel suo complesso. La violenza di questo shock, manifestatosi nel mezzo di una situazione economica già precaria, con l’Italia in stagnazione e la locomotiva tedesca in frenata, ha indotto persino i più ferrei sostenitori dell’austerità ad ammettere la necessità che lo Stato faccia immediatamente ricorso alla spesa in deficit per arginare l’imminente crisi. Quando a rischiare non sono solo i lavoratori e i loro salari, ma anche i profitti di imprese e banche, il debito pubblico è il benvenuto: i soldi, che non ci sono mai, come per miracolo ora ci sarebbero. Alfieri del neoliberismo e maître à penser dell’austerità di matrice europea (Mario Monti, Carlo Cottarelli, Elsa Fornero, Alesina e Giavazzi, e la neo-insediata commissaria Von der Leyen) incoraggiano i governi a fare tutto il possibile, ricorrendo al malum necessarium della spesa in deficit, contro la Covid-19. Possiamo dire che la prima vittima del nuovo virus sia dunque l’austerità? Purtroppo, no. Perché l’austerità è un progetto politico teso a trasformare la nostra organizzazione economica e sociale che va ben oltre le politiche restrittive imposte negli anni recenti: questo disegno di governance può ricorrere all’uso spregiudicato della crisi quando deve scardinare le conquiste di decenni di lotte dei lavoratori, lo stato sociale, i diritti e i salari, ma può anche far ricorso a strumenti di stabilizzazione, quando ritiene che la crisi possa compromettere i profitti di imprese e banche. In sintesi, l’austerità non è solo recessione: l’austerità è controllo e disciplina, e in questo frangente proverà ad arginare la caduta della produzione senza per questo ammorbidire un modello di crescita che continuerà a fondarsi sulla precarietà, lo sfruttamento e la disoccupazione di massa.

Dalla crisi greca all'epidemia di Covid-19, il sistema produttivo non è mai stato infatti abbandonato al totale fallimento: i soldi sono sempre stati trovati, ma solo alla fine, all'ultimo momento, ed a determinate condizioni. La Grecia, a tal proposito, è un caso di scuola: il tempismo con cui le autorità monetarie europee, BCE in primis, gestiscono fin dal principio le crisi, rivela la natura intima del meccanismo dell’austerità. Il sostegno finanziario è necessario affinché il sistema produttivo non collassi e continui a produrre, ma quel sostegno deve essere condizionato all'applicazione delle politiche di austerità, delle riforme, cioè quell'insieme di misure economiche che modellano il sistema economico favorendo il profitto a discapito dello stato sociale. Nel contesto europeo, la politica monetaria è usata come un’arma per disciplinare i singoli Paesi e costringerli sulla via dell’austerità. Per questo, gli aiuti finanziari devono essere offerti solo quando la crisi è acuta, immediatamente prima del collasso, perché solo un Paese sull'orlo del precipizio accetterà qualsiasi condizione pur di salvare il proprio sistema economico. In conclusione, la cifra di questa stagione dell’austerità non è la scarsità di risorse in sé, ma piuttosto il fatto che chi gestisce le risorse ne subordina la disponibilità all'attuazione di un preciso progetto politico: i soldi ci sono sempre, se accetti di tagliare lo stato sociale, i salari, le pensioni. Per questo, i soldi ci vengono concessi solo quando abbiamo l’acqua alla gola. O il virus alle porte.

Proviamo a riportare questa lettura ai fatti di questi giorni. Il 12 marzo scorso, quando l’Italia era l’unico paese europeo in piena emergenza Covid-19, il Presidente della BCE Lagarde, ad un giornalista che le chiedeva se l’autorità monetaria europea avrebbe fatto qualcosa per contenere lo spread, dunque per aiutare l’Italia a finanziare il proprio debito pubblico a costi moderati, ha risposto candidamente: “useremo tutta la flessibilità a nostra disposizione, ma non siamo qui per contenere gli spread”. Fondi speculativi e banche d’investimento hanno subito interpretato queste parole come la conferma che la BCE si sarebbe comportata come sempre ha fatto, negando qualsiasi aiuto al Paese in difficoltà, e dunque hanno iniziato a vendere titoli italiani, nella consapevolezza che il loro valore non sarebbe stato difeso dalla BCE. Prima che la Lagarde rispondesse a questa domanda, verso le 14.40, i BTP decennali mostravano un rendimento dell’1,22%, balzato dopo la dichiarazione all’1,88%. Contro le parole del Presidente della BCE è addirittura intervenuto il Capo dello Stato Mattarella, in un gioco delle parti che – come accadeva ai tempi di Salvini – si sviluppa a uso e consumo dell’opinione pubblica, senza alcun riflesso concreto. Difatti, la Lagarde ha detto la pura e semplice verità, ribadendo quello che prima di lei Trichet e Draghi hanno operativamente messo in pratica dall’inizio della crisi europea: la BCE non presta soldi ai Paesi in difficoltà, il suo compito non è quello di contenere il costo del debito pubblico dei singoli Paesi.

Ma la Lagarde è stata ancora più precisa nella sua dichiarazione. Nessuno sembra infatti aver prestato attenzione alla chiosa, che concludeva la risposta del Presidente della BCE sul tema del contenimento degli spread: “Questa non è né la funzione né la missione della BCE; vi sono altri strumenti per fare questo, altri attori che possono gestire questo problema”.

A cosa allude la Lagarde? Evidentemente, allude agli strumenti sviluppati negli anni della crisi per erogare prestiti agli Stati in difficoltà, cioè esattamente per contenere il costo del debito pubblico dei Paesi che finiscono nel vortice della speculazione e dell’instabilità finanziaria. Già, perché in tutto l’arco della lunga crisi europea la BCE non ha mai prestato il denaro direttamente agli Stati in difficoltà. L’architettura istituzionale europea ha introdotto, mentre la casa era in fiamme, nuovi attori e nuovi strumenti, per l’appunto, specificamente destinati alla gestione delle crisi del debito pubblico. In principio fu il Greek Loan Facility (GLF), un fondo destinato a raccogliere le risorse da prestare alla Grecia, a condizione che il Paese sottoscrivesse un Memorandum of Understanding, cioè un documento in cui si impegnava ad applicare rigidissime politiche di austerità negli anni a venire. È la nascita del paradigma europeo della condizionalità: lo strumento del GLF ha poi subito numerose evoluzioni (EFSM, EFSF), intervenendo in Portogallo, Irlanda e Spagna sotto stretta condizionalità, ed oggi esiste sotto forma di Meccanismo Europeo di Stabilità, il fatidico MES di cui tanto si è discusso nei mesi scorsi. Ecco spiegate le parole non troppo criptiche della Lagarde: se volete salvarvi dall'instabilità finanziaria e dalla speculazione, accomodatevi pure, chiedete aiuto al MES. Richiesta che comporterebbe la sottoscrizione di un Memorandum of Understanding da parte dell’Italia, l’impegno a realizzare negli anni a venire una serie ulteriore di riforme di precarizzazione del mercato del lavoro, tagli alla spesa pubblica, aumenti delle tasse, smantellamento dello stato sociale, sotto la minaccia di non ricevere la tranche periodica di aiuti. È questo l’ennesimo addentellato mefistofelico dell’austerità, a cui dovremmo sottoporci per avere subito quei soldi che ci servono ad evitare, oggi, il collasso economico e sociale paventato dall'emergenza sanitaria.

Le avanguardie italiane di questo ricatto sono già all'opera per caldeggiare l’operazione. Sul Sole 24 Ore, Galli e Codogno hanno indicato chiaramente la via. È in procinto di essere varata una riforma del MES che rende più agile il ricorso a quelle linee di credito precauzionale in favore di Paesi che non hanno ancora perso l’accesso ai mercati. Si tratterebbe di uno strumento perfetto, secondo Galli e Codogno, per la situazione italiana attuale: si firma un Memorandum e si ottiene un prestito che evita la spirale speculativa. Sarebbe sufficiente posporre, a detta di Galli e Codogno, l’attuazione del Memorandum alla fine dell’epidemia (che anime candide!), in modo da evitare di ammazzare il paziente con la medicina, e il gioco sarebbe fatto. In questo modo, la riforma del MES viene presentata come salvifica per il nostro Paese, mentre fino a poche settimane in molti, persino lo stesso Galli, sottolineavano i possibili rischi per l’Italia del nuovo modello di MES.

Tornando all'emergenza innescata dalla pandemia, un disastro che pare aver messo tutti d’accordo sulla necessità di fare spesa in deficit e debito, occorre fare attenzione alle modalità con cui si contrae questo nuovo debito, perché la fregatura sta nelle condizioni a cui avremo accesso a tali risorse: puoi fare debito se trovi qualcuno disposto a prestarti denaro, e dunque puoi indebitarti solo alle condizioni richieste dai creditori.

Esistono essenzialmente due tipologie di creditori per lo Stato. La prima tipologia è il mercato: uno Stato emette titoli del debito pubblico sui mercati finanziari (BOT, BTP) che vengono sottoscritti da banche e fondi di investimento, i quali trovano tanto più conveniente prestare il loro denaro quanto maggiore è il tasso di interesse che posso ottenere. Da quando è esplosa l’epidemia, da quando cioè si è reso evidente che l’Italia avrebbe avuto bisogno di raccogliere risorse aggiuntive sui mercati, gli investitori privati hanno preteso un tasso di interesse sempre più elevato, dallo 0,8% di inizio febbraio a oltre il 2,4% di questi giorni sui titoli di Stato decennali. Il fatidico spread, che misura la differenza tra il costo del debito pubblico italiano e quello tedesco, si è ampliato nello stesso intervallo temporale da poco più dell’1% a oltre il 2,8% della metà di marzo: questo è il sovrapprezzo, rispetto alla Germania, che i mercati pretendono dall'Italia per comprare BTP. Il mercato, in parole povere, si sta comportando da mercato, con banche e fondi di investimento che ci prestano denaro, in questo momento di difficoltà, ad un tasso d’interesse sempre più alto, come farebbe qualsiasi usuraio che si rispetti.

Sarà allora il caso di guardare alla seconda tipologia di creditore a cui lo Stato può affidarsi per emettere debito pubblico, la banca centrale, cioè l’autorità pubblica che ha il potere di creare moneta. Dovremmo ormai sapere tutti che la BCE non può prestare soldi direttamente agli Stati; al più, acquista titoli di Stato sui mercati (il cosiddetto Quantitative Easing, QE), cioè titoli già emessi dai governi dei vari paesi e detenuti da banche e fondi di investimento, ma lo fa solo per amministrare la stabilità finanziaria dell’insieme dell’Unione monetaria. Nella notte tra il 18 e il 19 marzo, la BCE ha introdotto una nuova misura straordinaria atta a fronteggiare l’instabilità finanziaria. Si tratta di un vero e proprio QE, parallelo al programma originario (l’Asset Purchase Programme, APP), denominato Programma di acquisti per l’emergenza pandemica (PEPP dall’acronimo inglese) che prevede l’acquisto di 750 miliardi di euro di obbligazioni pubbliche e private entro la fine del 2020. Il nuovo programma ricalca esattamente le modalità operative del vecchio APP, e può quindi essere considerato a tutti gli effetti un rafforzamento del QE. Oggi la BCE può opporre alle vendite speculative una massa molto più consistente di acquisti, in modo da contenere la caduta delle quotazioni dei titoli di Stato e, con essa, il costo del debito pubblico per i governi europei. In parole povere, dopo il varo del PEPP la BCE esercita un dominio indiscusso e palese sui mercati finanziari, perché dispone di una capacità di acquisto che non è commensurabile a quella degli speculatori. Questa potenza di fuoco permette alla BCE, oggi più che mai, di decidere a tavolino il tasso di interesse sul debito pubblico di ciascun Paese europeo. Per rendersi conto di questa capacità, basta guardare alla dinamica dello spread tra BTP e Bund: mentre nei giorni scorsi questo valore oscillava costantemente (tra 245 a 280 il 17 marzo, addirittura tra 240 e 320 il 18 marzo), nel giorno in cui è stato varato il PEPP lo spread si è miracolosamente fissato nell’intorno del valore 200. Un equilibrio che non ha evidentemente nulla di naturale, ma è il risultato dell’azione della BCE, che sta esercitando la sua autorità monetaria in tutta la sua potenza.

Il fatto che la BCE possa controllare a suo piacimento gli spread non significa, però, che questo potere si tradurrà in un’azione conseguente. La BCE potrebbe, in linea teorica, esercitare pienamente la sua capacità di tenere a bada gli spread attraverso un QE potenziato, consentendo a governi come quello italiano di indebitarsi per decine di miliardi di euro ad un tasso calmierato e fare fronte, così, agli effetti recessivi dell’emergenza Covid-19. Sarebbe bellissimo, ma non per questo meno improbabile. Questo scetticismo non sembra essere prerogativa nostra o di chi ha in uggia la gabbia dell’austerità. Lo stesso Governo italiano sembra pensarla allo stesso modo: il Tesoro, infatti, non sta emettendo nuovo debito pubblico per reperire sul mercato, sotto lo scudo del QE, le risorse necessarie a fronteggiare l’emergenza. Evidentemente, a Palazzo Chigi e dintorni non sono così certi che la BCE intenda proteggere con il suo scudo ulteriori manovre in deficit. A conferma di ciò, il Presidente del Consiglio Conte, piuttosto che azzardarsi a contrarre nuovo debito sui mercati, ha chiesto all’Unione Europea di mettere in campo le risorse del MES per fronteggiare l’emergenza. Cosa teme Conte?

Ci sembra molto probabile che a Francoforte prevarrà la tentazione di sfruttare questo contesto per rafforzare la disciplina delle singole economie nazionali, e questo il Governo italiano lo sa bene. Si profila dunque un secondo scenario ben più plausibile: l’intervento della BCE si limiterà a contenere gli effetti più deteriori e drammatici della pandemia, mantenendo comunque l’Italia (e qualunque altro Paese si facesse venire strane idee) sotto il ‘controllo’ del ricatto del debito. Il QE, secondo le peggiori tradizioni, sarebbe usato non per fermare la speculazione ma, piuttosto, per governarla, guidarla e calibrarla meglio ai fini dell’imposizione dell’austerità. Questo significa che, se l’Italia provasse a indebitarsi massicciamente per uscire dalla recessione in tempi rapidi, lo spread tornerebbe a crescere immediatamente, e l’Italia si troverebbe nuovamente in balia dell’instabilità finanziaria. Ecco allora che si palesa l’unica via d’uscita lasciata aperta al Paese: accettare la riforma del MES, e dunque l’imposizione di una condizionalità che garantirà alle istituzioni europee la rigida applicazione dell’austerità in Italia. Sembrerebbe la strada che Conte ha intrapreso dal giorno successivo al varo del nuovo QE.

Così, dopo aver sofferto l’epidemia con un sistema sanitario devastato da decenni di tagli e definanziamenti, ci troveremmo condannati a nuovi e ulteriori sacrifici per i prossimi anni. La trappola è predisposta. Otterremmo, oggi, il denaro necessario a superare la burrasca innescata dalla Covid-19, ma ci condanneremmo a lustri di rigida austerità. Una tragica emergenza sanitaria trasformata in un’opportunità d’oro per estendere il controllo delle istituzioni europee sull’economia italiana, costringendo il nostro Paese nella camicia di forza dell’austerità per i prossimi anni. La borsa e la vita.