L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 18 aprile 2020

La Germania riparte ... si da sola ...

EUROPA SPACCATA

La Germania "domina" il Coronavirus e annuncia la ripartenza, indietro Spagna e Francia

17 Aprile 2020


La Germania è leader in Europa anche ai tempi del coronavirus e senza stressare più di tanto le terapie intensive di un sistema sanitario evidentemente ben attrezzato dichiara per prima che l’epidemia è sotto controllo e, forte di un tasso d’infezione sceso allo 0,7 per cento, si prepara alla ripartenza economica. Mentre la Spagna fa i conti con i suoi quasi 19.500 morti, in Gran Bretagna il numero dei decessi resta al livello dei picchi record per l’Europa con oltre 840 vittime nelle ultime 24 ore e la Francia 'compiè un mese esatto di lockdown in attesa della exit strategy promessa dal presidente Macron dopo l’11 maggio.

«Le misure fin qui adottate hanno avuto successo e l'esplosione del contagio è attualmente governabile», ha annunciato il ministro della Salute tedesco, Jens Spahn, in conferenza stampa, 'confortatò da un tasso di infezione sceso a 0,7 per cento, vale a dire che ogni malato di Covid-19 contagia in media meno di una persona. I decessi sono poco più di 4.100, nulla rispetto ai dati spaventosi di Italia, Spagna, Francia e Regno Unito e Spahn snocciola i numeri record dei tamponi: 1,7 milioni fatti finora con una media di 350 mila a settimana che possono, al bisogno, arrivare a 700 mila. E se è ancora difficile reperire mascherine, da metà agosto la produzione sarà di 50 milioni a settimana mentre la Sassonia da lunedì sarà il primo Land tedesco a introdurne l’obbligo nei mezzi di trasporto pubblico e nei negozi. Intanto la Confindustria tedesca preme per una tabella di marcia che velocizzi la ripresa e il suo presidente Dieter Kempf ricorda che ogni settimana di prolungamento delle misure di contenimento è una sfida eccezionale per l’economia del Paese.

La ripartenza è invece ancora lontana per la Gran Bretagna. Il governo conservatore, annuncia il ministro delle Attività Produttive Alok Sharma, torna ad allargare i cordoni della borsa della spesa pubblica con l’estensione di almeno un mese del piano straordinario di sussidi statali per il pagamento di congedi retribuiti fino all’80% dello stipendio e a un tetto di 2500 sterline mensili a tutti i lavoratori costretti a casa dall’emergenza coronavirus che continua a seminare contagi e mietere vittime. Nelle ultime 24 ore i decessi negli ospedali, senza contare case di riposo e abitazioni private, sono oltre 840. I contagi diagnosticati superano quota 108 mila con una curva d’aumento attorno a 5.500. E il sindaco laburista di Londra, Sadiq Khan, invoca mascherine protettive per chiunque esca di casa.

È sempre emergenza in Francia dove i decessi sono stati poco più di 760 nelle ultime 24 ore per un totale, dall’inizio dell’epidemia, di oltre 18.600. Per il secondo giorno consecutivo diminuiscono i ricoverati che sono ora quasi 31.200 ( 115 meno di ieri), ma nelle terapie intensive ci sono ancora 6.027 pazienti. Ed è allarme sulla portaerei nucleare Charles de Gaulle, ora nel porto di Tolone, e sul gruppo aeronavale che la accompagnava. I positivi al Covid-19 sono saliti ad oltre mille casi.

Anche il governo spagnolo prende tempo sul fronte dell’economia e la ministra del lavoro Yolanda Diaz avverte che per alcuni settori chiave, come il turismo, ci sarà poco da fare per tutto il 2020. Anche perché i dati sull'epidemia non sono rassicuranti: quasi 19.500 morti e più di 188 mila contagi che fanno della Spagna il secondo Paese al mondo, dopo gli Stati Uniti, per casi di Covid-19. Nelle ultime 24 ore i decessi sono stati oltre 580, qualche decina in più del giorno precedente, e i nuovi casi sono stati più di 5.200 a segnalare che la situazione è tutt'altro che stabile. «Credo sia impossibile che si possa tornare in campo questa estate», ha detto il direttore dell’ospedale da campo di Ifema, Antonio Zapatero, spalleggiato da un coro di colleghi. E se ci sono problemi per un ritorno al calcio giocato che di tutte le corsie preferenziali ha la migliore, i segnali non sono buoni.

Guerra del petrolio ha una vittima illustre il fracking statunitense

Rapporto Cer - La geopolitica del petrolio


Come cambia, e come cambierà, il mercato mondiale dell’energia, durante la grande recessione che abbiamo davanti. A offrire interessanti chiavi di lettura è il rapporto del Cer – Centro Europa Ricerche analizza così lo scneario energetico globale, curato dall'analista di geopolitica e energetico Demostenes Floros, autore di "Guerra e Pace dell'energia" e noto ai lettori de l'AntiDiplomatico per un'intervista che ha riscosso molto successo recentemente. 

In sintesi, ecco gli elementi principali dell’analisi. Siamo dinanzi alla più grande riduzione della domanda di petrolio mai verificatasi, e l’accordo OPEC plus plus raggiunto il 12 aprile 2020 riduce la sovrapproduzione evitando che i prezzi crollino sotto i 10 $/b, ma non riporta il mercato in equilibrio. Nella seconda metà del 2020, la domanda di petrolio della Cina supererà il livello pre crisi.
Per un gigante che tornerà presto ad andare a gonfie vele, un altro vede scenari foschi davanti a se. I tagli Usa non sono vincolanti, ma il crollo del fracking allontana la leadership estrattiva di petrolio e gas, nonché il sogno dell’agognata indipendenza energetica.

Di contro l’Arabia Saudita non ripete gli errori del passato e si affida al proprio Fondo Sovrano, mentre la Federazione Russa fa leva sulla propria stabilità finanziaria e sulla flessibilità del rublo.

Il tutto, all’interno di un mercato dell’energia destinato a profondi cambiamenti: dalla proprietà privata si tenderà ad andare verso quella pubblica, ci saranno molte fusioni, e le compagnie statali e i Fondi Sovrani acquisteranno una centralità sempre maggiore.

Notizia del: 16/04/2020

Quando Porta a Porta immerge pezzi di verità in un mare di fake news

Finirà mai l'emergenza Covid-19? Intervista al virologo Giulio Tarro


Finirà mai l’emergenza Covid-19? Se lo chiedono milioni di italiani di fronte alle terroristiche dichiarazioni di “esperti” idolatrati in TV e sui giornali mainstream. Noi lo abbiamo chiesto al Prof Giulio Tarro, illustre virologo e che avevamo già intervistato qui, qui, qui e qui.

«Ci sono due aspetti di questa domanda. Quello prettamente medico, permette risposte tranquillizzanti. Tutt’altro, invece, per quello politico-sanitario dove una già fallimentare gestione dell’emergenza sanitaria oggi rischia di essere procrastinata da una davvero sconsolante “informazione ufficiale”».

Ad esempio?

«Ad esempio, quella che, presenta il Covid-19 come un flagello che potrà essere sconfitto solo con la vaccinazione. E che, dopo aver cercato di zittire, ad esempio, l’uso di clorochina e idroclorochina e diffamato il suo propugnatore Didier Raoult, ora si direbbe disinteressarsi di una davvero promettente sieroterapia».

A tal riguardo, si direbbe illuminante il trattamento da lei subito durante la trasmissione “Porta a Porta

«Non è che mi illudessi che, partecipando ad un affollato talk show, avrei potuto compiutamente illustrare una terapia; comunque, considerate le potenzialità di questa mi sarei aspettato un po’ più di spazio».

E, allora, spieghiamola qui questa terapia

«La documentazione più esaustiva sulla plasma-terapia in pazienti affetti da Covid la si può trovare in questo articolo, qui solo poche parole. La trasfusione di plasma (ovvero la parte più ‘liquida’ del nostro sangue, dove sono presenti anticorpi formatisi dopo la battaglia vinta contro il virus) è stata utilizzata con successo nelle altre due epidemie da coronavirus, la Sars del 2002 e la Mers del 2012, immettendo il plasma in uno stadio preciso della malattia; e cioè quando già si evidenzia una scarsa ossigenazione e il paziente è sottoposto a ventilazione assistita con casco C-pap, ma non è ancora intubato.

È una terapia che, come molte, presenta rischi ma, francamente, non si capisce proprio perché l’Organizzazione mondiale della sanità - che ne aveva confinato l’utilizzo “solo nel caso di malattie gravi per cui non ci sia un trattamento farmacologico efficace” – non ne abbia suggerito, almeno, la sperimentazione durante questa emergenza Covid19.

Nonostante ciò, dopo i positivi risultati attestati nell’articolo di cui sopra, timidamente, sfidando burocratiche disposizioni, non pochi medici, anche in Italia, hanno cominciato le sperimentazioni; in alcuni casi – come l’equipe del policlinico San Matteo di Pavia - elaborando in una settimana protocolli sanitari che avrebbero richiesto mesi. Ma sa qual è l’aspetto più incredibile dell’impiego di questa terapia, che sta ottenendo ottimi risultati?»

No, qual è?

Che se non fosse stato per un messaggio audio veicolato su Whatsapp e diventato subito (mi si perdoni il gioco di parole) “virale”, quasi nessun medico in Italia avrebbe saputo qualcosa di questa terapia. Del resto, se il collega Didier Raoult - dopo aver constatato il boicottaggio e il linciaggio mediatico al quale veniva sottoposta la terapia anti Covid19 basata sulla clorochina (un farmaco che non avendo più brevetti è visto come fumo negli occhi da Big Pharma) - non si fosse “sporcato le mani” mettendo su Youtube un suo video che denunciava questo scandalo, per il trattamento farmacologico del Covid19 staremo ancora a brancolare nel buio.

Intervista di Francesco Santoianni
16 aprile 2020

Pareggio di Bilancio i partiti silenti sui guai che hanno prodotto


GIUSEPPE FAILLA 16 APRILE, 2020

Pareggio di bilancio in Costituzione, ecco cosa significa e chi ha votato: focus su un’aspetto molto interessante che riguarda l’intero Paese

Cosa significa il “Pareggio di bilancio in Costituzione”? Significa diverse cose. In primo luogo, che da oggi il nostro ordinamento costituzionale si ispira ad una precisa concezione economica, quella neoliberista in salsa tedesca, secondo cui la ricetta per la crescita consiste di 3 elementi: libertà dei mercati, politiche monetarie unicamente rivolte al controllo dell’inflazione e divieto per lo Stato di qualsivoglia intervento in deficit spending sull’economia. Di fatto, viene illegalizzato il keynesismo. Non solo.

Questa modifica alla Costituzione rende tra l’altro inattivabili i diritti previsti da altri articoli della Costituzione, qualora per dare attuazione ad essi lo Stato debba chiudere in deficit il proprio bilancio. Questo può riguardare, ad esempio, la tutela della salute quale fondamentale diritto dell’individuo, e le garanzie di cure gratuite agli indigenti, previste dall’art. 32 della Costituzione. Oppure il diritto alla gratuità dell’istruzione per gli otto anni della scuola dell’obbligo, o il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi, garantito ai capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi (art. 34). O ancora quanto previsto dall’art. 38: “i lavoratori hanno diritto che siano preveduti e assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria”. In tutti questi casi i tagli necessari al bilancio dello Stato per raggiungere il pareggio possono pregiudicare, ancora di più di quanto già accada oggi, l’esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti.

Infine, l’introduzione in Costituzione del pareggio di bilancio impedirà allo Stato di effettuare gli investimenti necessari a migliorare le condizioni generali di produzione (si pensi alle infrastrutture fisiche, a quelle immateriali che consistono nella promozione della ricerca e della conoscenza, e a quelle giuridiche, ossia a un sistema giudiziario ben funzionante), la produttività e la crescita economica. Questo è molto grave, perché introduce un ulteriore vincolo in un periodo delicatissimo della vita economica di questo Paese.

La verità è che nessun Paese ha mai sostenuto una crisi come l’attuale in presenza di vincoli del genere. La stessa Germania ha introdotto il vincolo del pareggio di bilancio con una modifica alla propria Costituzione appena nel 2009, ossia svariati decenni dopo il periodo della ricostruzione del Paese (per la quale risultò essenziale fra l’altro la decisione statunitense di non esigere il pagamento dei debiti di guerra della Germania, ossia di annullare il debito tedesco), e a distanza di poco meno di venti anni dalle spese sostenute dopo la riunificazione della Germania. Del resto, ancora verso la metà del decennio scorso si poteva assistere a cospicui deficit del bilancio pubblico tedesco (non per caso il debito pubblico di quel Paese nel decennio trascorso è cresciuto di 750 miliardi di euro).

Tornando a noi, devo dire che trovo davvero impressionante il silenzio dei media su una modifica del nostro ordinamento così gravida di conseguenze negative. È un altro colpo alla democrazia e alla libertà e affidabilità dell’informazione nel nostro paese. Non ne sentivamo il bisogno. Questo il parere di Vladimiro Giacchè in un’intervista dopo l’approvazione del pareggio di bilancio in Costituzione.
CHI HA VOTATO IL PAREGGIO DI BILANCIO IN COSTITUZIONE

Il voto si è svolto il 30 novembre 2011 ed hanno votato a favore il PD, PDL, FUTURO E LIBERTÀ’, UDC, LEGA NORD, ITALIA DEI VALORI, POPOLO E TERRITORIO. Qui il link ufficiale per vedere nel dettaglio la votazione.

17 aprile 2020 - News della settimana (10-17 apr. 2020)

Appalti senza controllo e con punti di riferimenti all'interno delle amministrazioni

Comune di Cosenza, 800mila euro per qualche raccomandata: revocato l'appalto scandalo

La Sercamm avrebbe dovuto gestire il patrimonio immobiliare del Comune. Tuttavia la società di consulenza, ritenuta vicina a Luciano Vigna, si è limitata in tre anni a spedire qualche raccomandata. Durissima relazione del dirigente Francesco Giovinazzo

di Salvatore Bruno 
18 aprile 2020 
11:42


Il dirigente del settore bilancio di Palazzo dei Bruzi, Agostino Rosselli, ha disposto con propria determina, il recesso unilaterale del contratto di durata quinquennale, sottoscritto nel maggio 2017 con la Sercamm Srl, cui il Comune di Cosenza aveva affidato il servizio di supporto alla gestione del patrimonio immobiliare.

Importo record

La società con sede a Roma, rappresentata da Maurizio Cardinale, si era aggiudicata la gara d’appalto offrendo un ribasso del 33 percento sull’importo a base d’asta pari ad un milione e duecentomila euro. L’incarico era stato quindi affidato per la somma complessiva di 804 mila euro oltre Iva.

Tre anni di lavoro, zero risultati

La Sercamm avrebbe dovuto mettere a frutto terreni e fabbricati di proprietà del Comune, valorizzandoli e consentendo all’ente di ottimizzare gli introiti degli affitti o della loro alienazione. Sul fronte della dismissione sappiamo tutti com’è andata a finire: per anni sono stati iscritti milioni di euro nei bilanci di previsione immaginando di poter incassare cifre da capogiro dalle vendite immobiliari, con il risultato di essere bacchettati dalla Corte dei Conti e di finire in dissesto. Quanto alle locazioni, l’economo comunale ha certificato entrate accertate addirittura inferiori a quelle registrate negli anni immediatamente precedenti alla sottoscrizione del contratto.

Società chiacchierata

Nelle carte il suo nome non figura, ma chi frequenta Palazzo dei Bruzi ha spesso sentito associare la Sercamm a Luciano Vigna, già assessore comunale al bilancio, ancora in carica alla data dell’aggiudicazione dell’affidamento e poi, dopo le dimissioni da componente della giunta maturate nel marzo del 2018, diventato componente dello staff del sindaco.

Un incarico dietro l’altro

Ma il nome di Luciano Vigna compare poi anche nella determina con la quale, il 15 marzo 2019, l’allora dirigente del settore bilancio Giuseppe Nardi, gli attribuisce, fissando un compenso mensile pari a 1.872 euro lordi, l’incarico di supporto all’ingegner Arturo Mario Bartucci, a sua volta nominato Responsabile Unico del Procedimento per il servizio di supporto alla gestione del patrimonio immobiliare di proprietà del Comune di Cosenza aggiudicato alla società Sercamm.

La formula contorta

In sostanza, traducendo la contorta formula burocratese, il Comune, dopo aver ingaggiato la Sercamm per farsi supportare nella gestione del patrimonio, ha poi ingaggiato Luciano Vigna per supportare il Rup Bartucci nel supporto alla Sercamm. Un giro vorticoso di attribuzioni da far venire il mal di testa. Ma quali mai saranno state le attività attribuite alla società, pagata, lo ricordiamo, più di 800 mila euro, così gravose da dover nominare un supporto esterno e che i dipendenti comunali non potevano espletare?

Incombenze gravose

Sono sintetizzate proprio nella determina di attribuzione dell’incarico a Vigna: realizzazione sistema gestionale informatizzato finalizzato alla gestione del patrimonio edilizio; rilevazione anagrafica e reddituale utenza; predisposizione nuovi contratti di locazione; rinnovi e proroghe; predisposizione, stampa e invio avvisi di pagamento del canone di locazione; gestione delle morosità. Tutte attività di cui, a quanto pare, a tre anni dall’affidamento dell’appalto, non vi è traccia.

Ma ci sono altre spese sostenute dall’amministrazione connesse a questo appalto: nel dicembre 2017 per la modica cifra di 39 mila euro + Iva, viene chiesto alla Sercamm di affiancare le strutture comunali per mettere a punto le procedure propedeutiche all’alienazione degli immobili di proprietà. E ancora, nell’aprile 2019 l’architetto Benito Canetti è stato nominato Direttore per l’esecuzione del contratto (Dec) stipulato con la Sercamm, per una parcella annuale lorda di 22.464.

La durissima relazione di Giovinazzo

Tra Rup, Dec e consulenti vari, per accorgersi che in tre anni l’unica attività condotta dalla Sercamm srl sia stato l’invio di poche centinaia di raccomandate per la riscossione dei canoni degli alloggi Erp, abbiamo dovuto attendere l’arrivo alla guida del settore bilancio di un dirigente assunto per concorso e non per nomina politica: Francesco Giovinazzo, autore di una durissima valutazione sui servizi erogati dalla Sercamm, contenuta nella determina di revoca dell'appalto

Mancato adempimento

Fin dal suo insediamento Giovinazzo ha chiesto alla società una dettagliata relazione, inviata soltanto dopo ripetuti solleciti, nel gennaio del 2020. La Sercamm ha provato a giustificarsi imputando i ritardi alle criticità gestionali in cui versava il settore. Giustificazione ritenute da Giovinazzo, infondate. E qui bisogna fare un passo indietro. Perché la Sercamm aveva già ricevuto dal Comune di Cosenza, nel novembre del 2014, un affidamento diretto sottosoglia da trentamila euro proprio per valorizzare e mettere ordine nel patrimonio immobiliare. Affidamento rinnovato anche nel 2015 per una somma di poco inferiore ai ventimila euro. Entrambe le determine sono state redatte dal dirigente ora in pensione, Ugo Dattis. Per cui, come si evince anche nella relazione di Giovinazzo «la società aveva già svolto il medesimo servizio negli anni precedenti». Quindi nessuna scusa poteva accampare, a meno di non voler imputare le criticità gestionali riscontrate a se stessa.

Il prosciutto sugli occhi

Sulla scorta della relazione di Giovinazzo, l’avvocato Rosselli, nel frattempo subentrato proprio a Giovinazzo alla guida del settore bilancio, ha così deciso per la rescissione unilaterale per inadempienza del contratto, la cui scadenza era fissata nel maggio 2022. Ma non si può fare a meno di valutare, nell’ambito dell’intera questione, l'atteggiamento di Luciano Vigna, rimasto impassibile davanti alle inefficienze della Sercamm, nonostante i suoi molteplici ruoli tecnici e istituzionali. In tre anni non ha visto quello che un anonimo funzionario, probabilmente slegato da interessi di natura politica, ha immediatamente colto. E se interpreterà anche il ruolo di Capo Gabinetto della Regione allo stesso modo, con il prosciutto sugli occhi, stiamo freschi.

Ormai solo i politici euroimbecilli possono ancora credere a Euroimbecilandia

Il sogno europeo condannato a morte dall’Eurogruppo

di coniarerivolta
12 aprile 2020 


“Amarti m’affatica, mi svuota dentro”. Dovrebbe essere questo il ritornello che da anni riecheggia negli animi di migliaia di elettori di sinistra, impegnati nella costruzione del sogno europeo. Un sogno a cui la realtà, e non il virus, ha in questi giorni inferto il colpo finale. Chi ha seriamente la volontà di spostare le condizioni di vita delle classi subalterne su un sentiero di progresso e uguaglianza non può che prendere atto di come la miseria delle scelte politiche di queste ore, ed in particolare le recenti risultanze dell’Eurogruppo, sia certificata dal marchio CE. Un Eurogruppo che è stato chiamato a pronunciarsi, vale la pena ricordarlo, in un contesto sanitario, quello della Covid-19, che neanche la generazione che ha vissuto l’ultimo conflitto mondiale aveva mai visto, con ormai 50mila morti in Europa, di cui 20mila solo in Italia.

Alla questione sanitaria però, con sempre più cogenza, si stanno affiancando le questioni economiche e sociali. Questioni che, per definizione, sono questioni politiche, e che pertanto non possono prescindere dal contesto istituzionale, quello dell’Unione Europea, nel quale ci troviamo ad agire, e che oggi più che mai ci impone di fare i conti con la storia. Il progetto europeo, infatti, ha radici profonde, e si sostanzia quasi subito come un progetto di unione monetaria. Questo processo, che fino all'inizio degli anni ’80 aveva visto l’opposizione delle sinistre italiane, è l’unica gamba di un soggetto volutamente zoppo. In barba a tutti i rapporti specialistici che suggerivano di avviare la fase di unificazione partendo dalla politica fiscale (tra cui il Rapporto Werner, un report della Commissione Europea del 1977 e il Rapporto Delors), le classi dominanti e i loro rappresentati politici hanno scientemente sviluppato la sola unione monetaria.

Questo esito, tuttavia, non è un risultato casuale, non è un errore di valutazione, né il deragliamento di un treno che viaggiava verso la solidarietà tra i popoli e la giustizia sociale. Come se non fossero bastati i milioni di disoccupati, dinamiche salariali stagnanti e la distruzione dello stato sociale, gli ultimi eventi certificano quale sia la progettualità politica implicita nell’Unione europea: un costrutto nato e sviluppato per favorire la lotta di classe dall’alto verso il basso a suon di rigore e disciplina fiscale, in una cornice di competizione tra economie incentrata sulla deflazione salariale. Niente di più lontano dall'Europa dei popoli che qualcuno benevolmente sognava.

La pandemia da Coronavirus, un fatto fortuito, un incidente della realtà, poteva rappresentare un’occasione per smentire anche i più scettici sulla bontà del progetto europeo. Un imprevisto, quello della Covid, che sta portando molti Paesi, specialmente quelli del sud europeo, a fronteggiare l’emergenza sanitaria ed economica attraverso l’aumento della spesa pubblica per risolvere questioni di urgenza drammatica.

Di fronte a questa impellenza, di fronte a questa necessità di mettere in campo risorse per salvare vite umane e posti di lavoro, Germania, Austria e Paesi Bassi stanno mostrando le carte. Nessuna possibilità di finanziare questa emergenza nel modo apparentemente meno dannoso per i Paesi più danneggiati, ossia attraverso titoli di debito comuni quali i Covidbond. Poche, se non nessuna, possibilità per i Paesi più colpiti, Italia in primis, di emettere titoli del debito pubblico e di collocarli sul mercato: con una banca centrale che non perde occasione per lasciar scatenare la speculazione, lo spauracchio dello spread sarebbe dietro l’angolo. Ovviamente, la decisione di lasciare i Paesi in balìa della pandemia e della recessione è tutta politica. Una decisione che certifica che il sogno europeo è finito, sfiancato da decenni di politiche reazionarie e seppellito dalla risposta indecorosa data alla pandemia. Una non risposta che, quando tutto questo sarà alle spalle, comporterà l’aumento della disoccupazione e il peggioramento della situazione sociale nei Paesi meridionali.

Le drammatiche scelte di questi giorni, quelle non risposte che, qualora ce ne fosse ancora bisogno, certificano l’inesistenza del sogno europeo, sono riassunte nell’esito dell’Eurogruppo, la riunione dei Ministri dell’Economia dei Paesi dell’area euro che si è conclusa nella notte tra il 9 e il 10 aprile scorso. Cosa è davvero stato deciso?

L’Eurogruppo ha indicato i tre strumenti che, nel breve termine, dovrebbero far fronte all’emergenza derivante dall’epidemia di Covid-19: il rafforzamento dell’azione della Banca Europea degli Investimenti (BEI), la creazione di un nuovo fondo per la cassa integrazione e altre misure di sostegno a chi perde un lavoro (SURE), ed una particolare modalità di attivazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).

Le fanfare delle istituzioni hanno annunciato la messa a disposizione di un mare di denaro, addirittura più di 1000 miliardi di euro, 1040 per l’esattezza. Tanto per cominciare, però, circa 500 miliardi sarebbero quelli di un Recovery Fund, un fondo per il finanziamento di un “piano di ripresa” post-emergenza. Peccato che queste risorse non stiano scritte da nessuna parte nel documento prodotto dall’Eurogruppo e non esistano, sebbene vengano aggiunte surrettiziamente dalla propaganda ignobile dei portaborse dei poteri dominanti. Restano circa 540 miliardi di euro, cifra raggiunta sommando 200 miliardi di prestiti della Banca Europea degli Investimenti (BEI), 100 miliardi del fondo SURE e 240 miliardi del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES). Come vedremo, si tratta anche qui di pura propaganda che serve a nascondere un intervento finanziario assolutamente inadeguato alla gravità della situazione.

I 200 miliardi di prestiti della BEI sono una mera previsione, la stima di quello che potrebbe accadere se piccole e medie imprese – ovvero i destinatari della misura – vi ricorressero per tamponare le perdite subite. Quel denaro non esiste ancora, e gli Stati si sono limitati a stanziare 25 miliardi di euro a garanzia del fondo rivolto alle imprese in difficoltà che, nelle migliori delle ipotesi, attiveranno 200 miliardi di credito privato. In pratica la BEI, che in quanto banca presta e non regala denaro, si aspetta, con quei 25 miliardi, di riuscire a coprire le perdite derivanti dal mancato rimborso dei prestiti da parte delle imprese. Lo scopo del fondo è quindi quello di facilitare l’accesso al credito delle imprese, le quali dovranno sperare di tornare a vendere e fatturare, quando riapriranno i battenti, per onorare quel debito. Dovranno, dunque, sperare che dopo l’emergenza non ci sia una recessione, per evitare di continuare a registrare perdite mentre pende su di loro la spada di Damocle del creditore.

Il fondo SURE si dovrà occupare di finanziare la cassa integrazione e altre misure di sostegno a chi ha perso il lavoro nei Paesi colpiti dalla pandemia. In questo caso, si tratta di un’attivazione del debito pubblico che, tuttavia, è assolutamente insufficiente. I dettagli mostrano come lo sbandierato intervento solidaristico non sia che una strategia falsa e menzognera: mentre l’art. 5 della proposta di istituzione del SURE redatta dalla Commissione Europea fissa in 100 miliardi l’ammontare massimo erogabile dal fondo, l’art. 9 specifica che “l’ammontare fornito dall’Unione annualmente non può eccedere il 10% dell’ammontare previsto dall’art. 5”. Insomma, fuori dagli arzigogoli della burocrazia europea, il SURE prevede 10 miliardi all’anno da dividere tra tutti i Paesi membri. Poco meno di briciole se si considera che, in ‘normali’ tempi pre-pandemia, la sola Italia dedicava a questa tipologia di spese poco meno di 30 miliardi all’anno e che il già gravemente insufficiente Cura Italia stanzia circa 9 miliardi per coprire il fabbisogno di 9 settimane.

Possiamo tirare le prime somme: dei 300 miliardi propagandati, ad ora sul piatto ci sono 10 miliardi di SURE per quest’anno e i 25 messi a disposizione da un meccanismo di creazione di debito privato che rischia di schiantarsi contro l’imminente recessione.

Non resta che il MES. Esso, nel suo assetto attuale, può agire attraverso due diversi strumenti. Il primo è l’accensione di un prestito per Paesi già in crisi che, tuttavia, devono sottoscrivere un Memorandum, impegnandosi ad attuare una serie di misure di austerità e di riforme strutturali. Il secondo è l’attivazione di linee di credito precauzionale, che prevedono una condizionalità limitata ai soli settori dell’economia ritenuti a rischio, e che porta con sé una sorveglianza rafforzata: i creditori (ossia, le istituzioni europee), monitorano costantemente e nel dettaglio l’evoluzione dei principali parametri economici e finanziari del Paese per verificare che questo continui a trovarsi solo sull’orlo della crisi e non in una situazione peggiore. La distinzione tra i prestiti e le linee di credito precauzionale è esattamente questa: solo ai Paesi considerati finanziariamente solidi è concesso di attingere alle risorse del MES senza passare per le forche caudine della più rigida condizionalità. Se stai male devi chiedere un prestito, quindi per avere accesso alle linee di credito precauzionali devi dimostrare di stare bene.

L’Eurogruppo ha proposto una nuova forma di accesso alle linee di credito, per stanziare 240 miliardi derivanti dal vecchio ‘fondo salva-Stati’, istituito durante la crisi dei debiti sovrani. Tale novità consisterebbe nella possibilità di accedere al credito senza neppure dover sottostare a quella ‘minima’ condizionalità prevista dalle linee di credito. Ogni Stato membro potrà chiedere l’accesso alle linee di credito per un ammontare pari al 2% del proprio PIL (nel caso dell’Italia si tratterebbe di circa 36 miliardi) con un unico vincolo: dimostrare che quelle risorse siano effettivamente destinate a finanziare la spesa sanitaria necessaria a fronteggiare l’epidemia. Da qui l’idea che l’Eurogruppo abbia varato un MES “senza condizionalità”, mettendo a disposizione dei Paesi risorse fresche senza il ricatto dell’austerità.

L’inganno, in quest’ultimo caso, è tutto concentrato sulla nozione di condizionalità. Per condizionalità si possono intendere molte cose. Fino ad ora, l’Europa ha conosciuto la forma più dura di condizionalità, quella che hanno sperimentato Grecia, Irlanda e Portogallo quando hanno fatto ricorso al prestito del MES sottoscrivendo il famigerato Memorandum: una serie di misure di austerità aggiuntive, in ogni settore dell’economia (dal mercato del lavoro alle privatizzazioni, dalle pensioni alle liberalizzazioni), rispetto all’ordinaria disciplina fiscale che viene imposta a tutti i Paesi europei dal Fiscal Compact. Il fatto che l’Eurogruppo abbia escluso questo scenario apocalittico significa che il nuovo accesso al MES sarebbe incondizionato? La risposta è evidentemente negativa: il credito concesso dal MES sarebbe comunque condizionato al rispetto della cornice ordinaria di disciplina fiscale fissata dal Fiscal Compact, il che basta a sottoporre il Paese al ricatto del debito.

Questa volta, però, il ricatto potrebbe prendere altre forme, se vogliamo ancora più cogenti e subdole. Ogni anno, puntualmente, l’Italia si trova con una situazione di finanza pubblica peggiore di quella promessa alle istituzioni europee nell’ambito degli obiettivi di disciplina fiscale. Ogni anno, dunque, si discute della possibilità che il Paese incorra in una procedura d’infrazione delle regole europee che, per essere evitata, conduce a una lunga e farraginosa fase di negoziazione politica entro cui si contrattano margini di flessibilità nell’interpretazione degli stringenti vincoli fiscali. Margini che verrebbero meno se si facesse ricorso al MES. Una violazione del perimetro degli obiettivi di finanza pubblica, infatti, significherebbe la perdita delle precondizioni per mantenere l’accesso alle linee di credito precauzionali. L’interruzione del credito fornirebbe ai mercati finanziari un segnale inequivocabile: si può attaccare il Paese, stritolandolo nei tentacoli della speculazione fino alla capitolazione, fatta di tutta l’austerità che le istituzioni europee riterranno necessaria per poter concedere di nuovo un salvagente.

Se dunque sulla carta è vero che non esistono condizionalità aggiuntive a quelle che stiamo sperimentando da trent’anni a questa parte, è vero che rivolgersi al MES limiterebbe ancora di più i già risicati spazi per effettuare manovre di politica economica. Una volta legati al MES, infatti, saremo costretti a fare quello che non abbiamo mai fatto: rispettare le mortali regole di bilancio alla lettera. In caso contrario, il MES sospenderebbe la disponibilità della linea di credito precauzionale, con effetti facilmente prevedibili: spread alle stelle, costo del debito fuori controllo e instabilità finanziaria. La cosiddetta “condizionalità leggera” del nuovo MES rappresenta dunque l’ultima frontiera del ricatto del debito.

Insomma, il documento di sintesi dei lavori dell’Eurogruppo ci dimostra, plasticamente, che nessuna solidarietà è prevista nella cornice dell’Unione europea. Se ci fosse ancora qualche dubbio, le dinamiche in atto in questi giorni difficili e senza precedenti sono la fulgida rappresentazione della fine del sogno dell’Europa dei popoli, mentre l’unica Europa che esiste, e che non è riformabile nemmeno in tempi di pandemia, è quella in cui una crisi non è altro che un’opportunità imperdibile per infliggere un ulteriore colpo a coloro che si trovano dalla parte sbagliata della storia.

Il velo è caduto. L’illusione di un’Europa solidale si è palesata come tale. L’esito dell’Eurogruppo ha mostrato la faccia più dura della realtà: in questa architettura istituzionale non vi è spazio per solidarietà e per qualsiasi forma di mutualismo tra gli Stati. Anche di fronte alla drammaticità delle settimane che stiamo vivendo, l’austerità non si interrompe e non cede il passo. Se questa drammatica pandemia ci sta insegnando qualcosa è che la gabbia dell’Unione Europea è incompatibile con la giustizia sociale e con la difesa della salute pubblica, impedisce di tirarsi fuori dalle sabbie mobili della recessione e della disoccupazione e impone il ricatto del debito come arma di disciplina sociale. Rompere la gabbia è un pre-requisito necessario per iniziare a immaginare un’alternativa.

Sarà il prossimo covid che ci ucciderà

Business as usual

di Alessandra Daniele
12 aprile 2020

L’Italia va a puttane di default.

Anche quando non c’è nessuna particolare emergenza, l’Italia va comunque a puttane di suo.

I ponti crollano, i fiumi esondano, le mafie prosperano, le fabbriche esalano fumi cancerogeni e colano gli operai nell’acciaio fuso.

I politici istigano all’odio razziale o cantano Bella Ciao solo per rastrellare voti, e una volta eletti fanno esclusivamente gli interessi dei loro padroni, nazionali e internazionali.

E vanno a puttane.

In Italia milioni di persone sono costrette all’eroismo quotidiano per sopravvivere a un sistema socio-economico che mette la vita umana all’ultimo posto della sua lista – dopo “varie ed eventuali” – e da una classe dirigente di scarafaggi stercorari che ad ogni emergenza s’arrampica sul tricolore, e fa appello all’orgoglio e alla coesione nazionale.

“Siamo tutti sulla stessa barca”.

Cazzate.

C’è chi ha ricevuto il tampone per la diagnosi del Covid-19 al primo sternuto, e chi è morto soffocato dopo settimane di abbandono in un ospizio-lager.

C’è chi fa la lagna via Skype perché gli manca la movida, e chi ogni mattina è costretto a rischiare il contagio per andare a produrre o cercare di vendere carabattole che adesso non ci servono, e che forse non ci serviranno mai.

Gli italiani sognano di tornare alla normalità, ma non dovrebbero.

La normalità fa schifo.

La normalità sono le fabbriche cancerogene, le formiche negli ospedali, i cravattari delle banche e dell’Unione Europea, il precariato a vita, i manganelli dei Decreti Sicurezza, i tagli sanguinosi a Sanità e Ricerca.

La normalità è quello che ha prodotto questa emergenza come tutte le altre, e che cercherà di sfruttarla a suo uso e consumo. Nella Fase 2 si potrà tornare a circolare, ma solo nei binari, come tram: divieto di qualsiasi assembramento non finalizzato alla produzione di beni e servizi.

Una vita da droni.

“Ci salveremo tutti insieme”.

Cazzate.

Con questa classe dirigente di parassiti sulla schiena non ci salveremo mai.

Se non di Covid-19, moriremo di Covid-21, di cancro, di acciaio fuso.

Ci beccheremo una fucilata accidentale dal vigilante davanti al discount.

“Andrà tutto bene”.

Cazzate.

Se continueremo ad accontentarci della normalità, andrà tutto a puttane.

I politici italiani creano fake news le condizionabilità del Mes esistono.

Il Mes della discordia

di Dante Barontini
15 aprile 2020

L’establishment europeista e confindustriale preme ormai esplicitamente per ottenere due risultati a breve termine: a) la ripresa della “normale produttività”, fregandosene se il virus può fare strage o meno, e b) cambiare governo, scaricando la corte dei miracoli grillina e quell’avvocato pugliese paracadutato sulla poltrona di presidente del Consiglio.

Il primo obbiettivo viene raggiunto, in Italia come altrove, dividendo rigidamente “attività permesse” (lavorare in qualsiasi condizione, con o senza protezioni individuali, indifferenti al come ogni lavoratore possa raggiungere la propria postazione mantenendo il “distanziamento”) e “attività vietate” (tutte quelle del “tempo libero”, fino alla partecipazione di massa a qualsiasi tipo di evento, dalle messe agli stadi, dai concerti alle manifestazioni).

Lo si vede anche nella strumentazione repressiva, che si ferma rispettosamente davanti ai cancelli delle fabbriche o degli uffici, mentre abbonda in droni, posti di blocco ed elicotteri per interrompere corse solitarie, grigliate condominiali, funerali.

Da questo punto di vista, il governo Conte non è un problema. E’ obbediente al potere economico come tutti i predecessori.

I suoi limiti, evidenti, sono altri. L’autorevolezza, che – al contrario dell’autorità – non la si può pretendere, se non c’è. E il rapporto con l’Unione Europea, “disturbato” (nulla di più…) da quella provocatoria pretesa di non accettare il ricorso al Mes (Meccanismo Europeo di Stabilità) tra gli strumenti per finanziare almeno parte degli interventi colossali di sostegno all’economia resi necessari dal prolungato lockdown.

Gli schieramenti che si sono creati nelle ultime ore su questo punto sono in parte indicativi, in parte una mistificazione.

Abbiamo visto la destra “europeista” (Prodi, il Pd, Bonino, Berlusconi, ecc) stracciarsi le vesti per un “incomprensibile rifiuto” di accettare uno strumento di finanziamento “senza condizionalità”.

E la destra sedicente “sovranista” (Lega e FdI) farne il discrimine assoluto su cui misurare la credibilità di Conte.

Mentono entrambi, come sempre.

In primo luogo, è assolutamente falso che il “compromesso” trovato all’ultimo Eurogruppo – i ministri delle finanze – abbia “riscritto” le regole del Mes eliminando le condizionalità mortifere usate per scarnificare la Grecia a partire dal 2015. La proposta lì delineata, infatti, sospende quelle condizionalità a patto che lo Stato richiedente il prestito, per una cifra massima pari al 2% del proprio Pil, usi quei soldi esclusivamente per la spesa sanitaria necessaria a contrastare la pandemia. Esattamente la ricetta indicata nel rapporto del Fmi uscito il 14 aprile.

Come perfettamente illustrato nell’intervento di Coniare Rivolta, pubblicato su questo giornale, “L’inganno, in quest’ultimo caso, è tutto concentrato sulla nozione di condizionalità. Per condizionalità si possono intendere molte cose […] il credito concesso dal MES sarebbe comunque condizionato al rispetto della cornice ordinaria di disciplina fiscale fissata dal Fiscal Compact, il che basta a sottoporre il Paese al ricatto del debito”.

Il diavolo, da sempre, si nasconde in quei dettagli che gli slogan (“senza condizionalità”) nascondono accuratamente. Specie nel caso dei trattati europei, scritti per essere decriptati solo da specialisti, commercialisti, avvocati d’affari, ecc.

Qualsiasi Paese chieda un prestito del Mes, in questa fase straordinaria, non dovrebbe certamente sottoscrivere tutte quelle condizionalità che hanno messo le chiavi della spesa pubblica greca in mano alla Troika (fino all’esproprio delle case dei semplici cittadini!), ma “soltanto” quelle normali, costitutive di quel fondo. Che, altrimenti, sarebbe solo un “amico disinteressato”, cui ricorrere nel momento del bisogno, invece che un arcigno organismo diretto dal “padre dell’euro”, Klaus Regling.

Tra le condizionalità normali c’è sicuramente il rispetto degli obiettivi di finanza pubblica, anche se ogni centesimo del prestito andasse effettivamente messo nella sanità anti Covid-19.

Ma “Una violazione del perimetro degli obiettivi di finanza pubblica significherebbe la perdita delle precondizioni per mantenere l’accesso alle linee di credito precauzionali. L’interruzione del credito fornirebbe ai mercati finanziari un segnale inequivocabile: si può attaccare il Paese, stritolandolo nei tentacoli della speculazione fino alla capitolazione, fatta di tutta l’austerità che le istituzioni europee riterranno necessaria per poter concedere di nuovo un salvagente.

Se dunque sulla carta è vero che non esistono condizionalità aggiuntive a quelle che stiamo sperimentando da trent’anni a questa parte, è vero anche che rivolgersi al MES limiterebbe ancora di più i già risicati spazi per effettuare manovre di politica economica.

Una volta legati al MES, infatti, saremo costretti a fare quello che non abbiamo mai fatto: rispettare le mortali regole di bilancio alla lettera. In caso contrario, il MES sospenderebbe la disponibilità della linea di credito precauzionale, con effetti facilmente prevedibili: spread alle stelle, costo del debito fuori controllo e instabilità finanziaria.

La cosiddetta “condizionalità leggera” del nuovo MES rappresenta dunque l’ultima frontiera del ricatto del debito.”

Chiarito questo, speriamo, vediamo quale può essere l’obiettivo dell’agognata sostituzione di Conte e – ovviamente – l’eliminazione del Movimento Cinque Stelle dalla compagine di governo.

Quel che c’è in gioco, in una situazione eccezionale come questa, non è infatti la sempiterna competizione per occupare una poltrona istituzionale e il relativo accesso a voci di spesa clientelare (c’è anche questo, certo, ma non è l’essenziale; è solo il modo per “reclutare congiurati”). L’obiettivo è dare una “guida sicura” a un Paese sottoposto, nella crisi catastrofica che si è aperta, a sollecitazioni gigantesche.

Basti dirne una. Se l’Unione Europea – nella riunione dei capi di Stato e di governo del 23 – dovesse (com’è probabile) restare ferma ai termini del “compromesso” partorito dall’Eurogruppo, dunque incapace di reagire in modo unitario per salvaguardare l’economia continentale nel suo complesso, lasciando perciò ogni Paese costretto ad arrangiarsi come può, diventerebbero irresistibili le diverse sirene geopolitiche che vanno chiamando ad alleanze molto diverse: Usa, Cina, persino Russia sono lì alla finestra. Chi con valige di soldi in mano, chi con batterie di missili nei bunker sotterranei.

Per evitare questo scenario – che implicherebbe la dissoluzione della stessa Unione in tempi non immediati, ma già intuibili – occorre “stringere” in direzione di un esecutivo che abbia un orientamento internazionale “sicuro”, meno “libero” o comunque tentennante.

E qui possiamo anche chiudere, spiegando perché la presunta “opposizione” di Lega e FdI è pura mistificazione. “Parole”, contraddette plasticamente dai fatti.

L’indicazione di Mario Draghi come nuovo premier di lunghissima durata è venuta proprio da Salvini e dalla Lega (Giorgetti, per primo). Un premier perfetto per mantenere l’Italia a disposizione dell’establishment europeo, limitare la speculazione finanziaria sul debito pubblico, rintuzzare le profferte di “via della Seta” e mantenere lo spirito “euro-atlantico” di sempre.

Il problema è quando. Cambiare le linee di comando di un Paese nel bel mezzo di una epidemia ancora fuori controllo presenta un rischio molto alto. Tale da poter far fallire anche un progetto che appare solido.

e se gli euroimbecilli di turno hanno qualche remora su quello che e come lo vuole la Germania ... Il circo mediatico invece di sprecarsi a creare fake news su come è bello stare in Euroimbecilandia spendessero il loro tempo nella disanima della realtà saremmo già ad un passo in avanti

SPILLO UE/ La trappola dei campioni nazionali europei svelata dalla Germania

Pubblicazione: 18.04.2020 - Paolo Annoni

In Germania si punta a creare un campione nazionale delle costruzioni navali. Una notizia che dovrebbe far riflettere molto in Italia

Lapresse

Ieri Reuters ci ha “avvisato” delle negoziazioni in corso in Germania per creare un campione nazionale nel settore delle costruzioni navali. ThyssenKrupp Marine Systems si fonderà con il suo concorrente tedesco German Naval Yards. Secondo un portavoce della società contattato da Reuters, lo scenario è “supportato politicamente”. Il consolidamento in questa fase di crisi sarebbe necessario per salvaguardare posti di lavoro e cantieri tedeschi.

Ovviamente il ragionamento non fa una piega e la Germania ha ogni interesse che il gruppo che ha appena consegnato un sommergibile militare all’Egitto passi questa crisi possibilmente rafforzato. Stiamo parlando dello stesso Stato che offre grandi opportunità strategiche all’Italia; peccato che tutte le volte che i nodi si stringano con un partner commerciale e strategico di sicuro interesse qualcosa vada storto, ma questo è un altro discorso.

Quello che importa nell’Italia e nell’Unione europea del 2020 lacerata da una crisi che ha lasciato cicatrici evidenti è se si debba cambiare prospettiva e se sì quanto e su quali cose. L’Austria che chiude il Brennero ai camion italiani mettendo in ginocchio imprese italiane non si comporta da partner, ma forse da concorrente per conto terzi; esattamente come accaduto per i blocchi alle esportazioni di materiale sanitario o per gli acquisti italiani improvvisamente bloccati nei magazzini di qualche Paese europeo; per non parlare di coronabond, Mes o spread. Insomma, sull’Europa bisognerebbe avere davvero uno sguardo disincantato.
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Non si tratta di sovranismo o di improvvide uscite dall’euro o di fiumi di debito che prima o poi presentano il conto, si tratta di maturare finalmente uno sguardo adulto, o non venduto, nei confronti dell’Europa. L’Europa non è il magico mondo che ci hanno venduto per anni convincendoci che ci fosse un afflato europeo nei nostri partner che giustamente hanno sempre e solo usato le istituzioni europee per i propri fini. L’Italia è un caso a parte per un’ideologia europea che non ha paragoni in Europa e per un diluvio di legion d’onore francesi che ha ancora meno corrispondenze.

Quello che intendiamo è che la logica del “campione nazionale europeo”, che già si capiva avere un po’ il fiato corto, oggi sembra decisamente sorpassata da eventi che hanno mostrato tutte le contraddizioni del progetto europeo. Nessuno sa come andrà a finire tra Corti costituzionali tedesche, interessi geopolitici confliggenti tra Cina e Stati Uniti e divaricazioni dei debiti pubblici e dei cali del Pil clamorose. Proprio per questo legare settori strategici a partner europei dovrebbe diventare una cosa su cui pensare 10, 100 e 1000 volte e forse persino da escludere in toto in certi campi.
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La sovranità italiana è evaporata, si è sublimata in istituzioni europee che non rispondono né al parlamento, né ai cittadini europei; la sovranità francese o tedesca, e perfino spagnola, è rimasta saldamente a casa. Come sempre la prima ripartenza è difendere quello che c’è; evitiamo per cortesia di scavarci una fossa ancora più profonda di quella in cui ci siamo cacciati. Parliamo ovviamente di Leonardo/Finmeccanica e di tutto il resto.

Euroimbecilandia 23 aprile 2020 tic tac tic tac - è il momento che la Bce faccia la Banca centrele prestatore di ultima istanza e se i tedeschi non vogliono c'è il Piano di Salvezza Nazionale del 30 marzo 2020


SPY FINANZA/ Bce, la riforma impossibile pronta a spaccare l’euro

Pubblicazione: 18.04.2020 - Mauro Bottarelli

Si avvicina un appuntamento cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Ue: il Consiglio europeo. E dalla Germania arriva un messaggio forte e chiaro

Jens Weidmann (Lapresse)

Ultimo appuntamento di una settimana che è stata davvero complessa. E che sembra destinata a operare da apripista verso il countdown definitivo per il nostro Paese e, temo, per la tenuta stessa dell’esecutivo: il Vertice europeo dei capi di Stato e di governo del 23 aprile. Lì, con ogni probabilità, si capirà qualcosa di più rispetto all’intenzione di utilizzare o meno il Mes. Sia da parte di Roma che degli altri Paesi, una sorta di prova del nove – a detta di molti – per stanare eventuali imboscate postume. Per capirci, se solo l’Italia chiedesse l’attivazione del fondo salva-Stati, a fronte di un’Unione piagata quasi nella sua interezza dalla pandemia, allora potrebbe davvero esserci un’agenda parallela in elaborazione. Come, d’altronde, ha lasciato intendere ieri il numero uno della Bundesbank, Jens Weidmann, il quale ha dichiarato che “dopo la crisi, l’Unione dovrà focalizzarsi maggiormente sulla riduzione del debito”. Di fatto, un messaggio nemmeno troppo in codice. (solo degli euroimbecilli possono conteggiare il debito pubblico al netto dei risparmi e della bilancia commerciale)

Signori, è inutile che io vi ripeta per l’ennesima volta quale sia il mio pensiero: l’Italia non ha alternative, (la vera alternativa è che la Bce faccia la banca centrale prestatore di ultima istanza) se non quella di una dieta forzata. Siamo arrivati al limite della sostenibilità, quindi è chiaro che qualsiasi decisione venga presa avrà come sbocco naturale un percorso di normalizzazione dei nostri conti pubblici. Di fatto, ciò che avremmo dovuto fare seriamente dopo lo scossone del 2011 e che, invece, abbiamo bellamente bypassato, fra mancette elettorali, provvedimenti spot e danze macabre di maggioranze variabili (dimenticando di dire che abbiamo sempre sempre avuto un avanzo primario). Ora, pare davvero che il tempo dei rinvii sia terminato. E non perché lo dica Jens Weidmann, bensì perché lo dice il mondo folle in cui siamo precipitati.

Vi faccio qualche esempio, molto rapido. Guardate questo grafico: cumulativamente, i giovedì delle ultime quattro settimane hanno visto l’indice Standard&Poor’s 500 guadagnare 255,4 punti. Nel medesimo arco temporale, 22,03 milioni di americani hanno fatto domanda iniziale di sussidio di disoccupazione. A ogni punto guadagnato da Wall Street, grazie ai soldi stampati dal nulla dalla Fed, sono corrisposti 86.276 posti di lavoro persi.

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Inutile cercare tante spiegazioni a una dinamica folle e fuori da ogni logica come questa: più c’è sangue nelle strade, più il cosiddetto mercato festeggia nuovo stimolo in arrivo. Ora guardate questi altri due grafici, i quali fanno riferimento all'altro grande player mondiale, quella Cina che ieri ha comunicato il dato del Pil nel primo trimestre: -6,8% su base annua contro le attese di -6% del consensus sondato da Bloomberg, il peggior risultato dal 1992. Le Borse sono crollate? No. A mezzogiorno, Milano viaggiava a +2,75%. Mes o non Mes.



Il secondo grafico, da questo punto di vista, è ancora più interessante. Ci mostra la reazione di indice Chinext (linea gialla), PMI manifatturiero (linea verde) e Macro Surprise Index (linea rossa) del Dragone all’impatto da coronavirus sull’economia del Paese. Il punto di snodo, quello fondamentale, è messo in evidenza dall’ovale: ovvero, la biforcazione e la rapidità di reazione. La cosiddetta ripresa v-shaped degli indicatori macro, la quale appare quantomeno sospetta in ambito di produzione manifatturiera, mentre la Borsa ha limitato la profondità del calo.

Possiamo fidarci di letture simili? Che tipo di precedente crea per le prospettive di ripartenza e crescita mondiali un dato come quello del Pil comunicato ieri, al netto di queste dinamiche? Quale occhio prospettico ci offre? Nessuno, di fatto. Tutto dipende, oramai, dalle Banche centrali. Punto. Il resto è totalmente sconnesso e senza reale impatto. Non a caso, l’onorevole Claudio Borghi in un suo tweet è stato molto onesto: a suo dire, Mes, Bei o Eurobonds sono la stessa risposta insufficiente a una medesima necessità stringente. Serve soltanto l’ingresso in campo della Bce come prestatore di ultima istanza, in modalità Fed. Punto.

L’idea che pervade la prima forza politica di opposizione del nostro Paese è questa, pare senza mediazioni possibili. E in punta di realismo, difficile eccepire. Se l’America può permettersi dinamiche folli come quelle rappresentate dal primo grafico e la Cina vendere al mondo panzane confezionate sotto forma di letture macro ufficiali, forte com’è di una Pboc tornata ufficialmente e in grande stile sul campo della manipolazione, perché l’Europa dovrebbe esimersi dal salire sul treno in corsa della stamperia globale?

Lega, Fratelli d’Italia ma anche M5S hanno un’idea chiara di quale debba essere la via d’uscita dalla crisi: una Bce riformata e designata sul modello della mitica tipografia Lo Turco de La banda degli onesti. Al posto della Pe-da-li-na della Bordini e Stocchetti di Peppino De Filippo, capace di sfornare cento copie al minuto e di far aguzzare l’ingegno monetarista di Totò, un’Eurotower che ciclostili euro dal nulla a getto continuo, salvo poi paracadutarli a fondo perso sulle economie dei vari Stati membri, in un tripudio di indebitamento collettivo. Una colossale sbornia, ecco come vogliono superare la crisi. Anzi, come vogliono piegarla al loro interesse politico. Cioè, scaricare sull’Europa, grazie all’alibi emotivo del coronavirus, le incapacità di un ventennio di scelte politiche tutte interne. Di destra come di sinistra come pentastellate.

C’è però un problema, anzi due. Di fatto, interconnessi. La Germania non accetterà mai una svolta in stile Fed o Bank of Japan. Mai, a costo di essere lei a uscire dall’euro (perchè salterebbe il Progetto Criminale dell'Euro che è sostanzialmente la deindustrializzazione dell'Italia anche nel settore agroalimentare). Le parole di Jens Weidmann, in tal senso, sono state poche ma puntuali. E chiarissime. È una questione culturale (demoniaca), prima che economica e monetaria: debito e colpa, in tedesco, sono la stessa parola. E la scottatura di Weimar, dell’iper-inflazione e di ciò che ne conseguì storicamente, sono uno stigma che nessuno può pensare di poter ignorare: se si vuole aver a che fare con Berlino, occorre sempre tenere conto della questione della colpa, per citare Karl Jaspers. Altrimenti, due strade: o si ha il coraggio di puntare dritti all’Italexit o si crea un fronte interno all’eurozona così forte da costringere a farlo la Germania. Tertium non datur, i riformismi non si applicano ai dna dei popoli e delle nazioni. Ed ecco il primo problema (a queste condizioni è molto ma molto meglio uscire da Euroimbecilandia).

Il secondo sta in nuce, ovvero il fatto che l’Italia viene rappresentata politicamente, sia all’interno che all’esterno, da un esecutivo di fatto sfiduciato in fieri dall’ombra del “cavaliere bianco” (stregone maledetto) incombente, quel Mario Draghi oramai non più evocato come ipotesi ma come certezza in attesa di divenire tale. Una sorta di Godot della rinascita, la cui attesa sta divenendo ogni giorno più snervante. E pericolosa. Perché tutto può permettersi questo Paese, persino tesi strampalate come quelle di Borghi e Paragone sull’helicopter money, ma non l’incertezza sulla guida politica. Il Quirinale lo sa. Ed è preoccupato. Molto. Perché se davvero il 23 aprile, per calcolo o per scelta, l’Italia andrà allo scontro frontale sul Mes, bocciando aprioristicamente ogni discussione al riguardo, allora dovremmo appuntarci sul diario un’altra data. Quella del 5 maggio, simbolica ed evocativa in sé: quel giorno la Corte costituzionale tedesca di Karlsruhe sarà chiamata a esprimersi sul Qe.

Lo farà? Rimanderà? Lo promuoverà o boccerà, in punta di legge che regola lo Stato? Le parole di Jens Weidmann, lette attraverso quest’ultima lente d’ingrandimento, appaiono ancora più perentorie, ancorché pronunciate con il sorriso sulle labbra di chi offre mediazione e solidarietà (i tedeschi non dovranno MAI MAI dimenticare rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori). Abbiamo di fronte a noi una strada senza uscita, prendiamone atto. E la colpa è di chi ha portato la ratio debito/Pil a superare il 130%, entrando di diritto nell’area della insostenibilità strutturale, a fronte di un Pil esangue. Difficile addossarla ai tedeschi (lacrime e sangue), a meno di non voler strappare qualche like sui social e qualche voto facile in più alle prossime elezioni. Leviamoci dalla testa una Bce in versione Fed, lo ribadisco per l’ennesima volta. E con altrettanta chiarezza, vi invito a ringraziare il Signore per questa esenzione giocoforza dell’Europa dalla follia collettiva del monetarismo fuori controllo. E non perché lo abbia deciso la Germania, bensì perché con una Banca centrale che stampa denaro dal nulla e lo regala a fondo perso, il default del nostro Paese – stante la media della sua classe politica – subirebbe un’accelerazione d’approccio pressoché immediata (la consacrazione della forza esterna, un problema culturale di fondo, non me ne se voglia). Qualcuno intervenga su Giuseppe Conte, prima che sia davvero tardi.

Il mondo bellissimo prima del covid-19

giovedì 16 aprile 2020

Aridateci la nostra libera schiavitù [Il Poliscriba]


Il Poliscriba

Colpo di Stato, ma che colpo se lo Stato qui non c’è ...
Stefano Rosso

Caro a-micco ti scrivo,
così mi distruggo un po’ e siccome sei a un metro di distanza, più forte ti eviterò.
Forse mi sono sbagliato: vivevamo, prima del virus, nel migliore dei mondi possibili.
Nessuno si lamentava dei turni di lavoro, dei contratti atipici di ogni sorta, delle 70 adempienze fiscali annuali per partita IVA, di Equitalia, dell’estorsione del Canone RAI (a quando la paytv?), delle garanzie estreme per accendere un mutuo, degli affitti esosi, del costo della vita, delle zone a traffico limitato, della serqua di divieti e delle trafile burocratiche per “semplificare” l’esistenza urbana e mantenere sistemi di sfaticati, parassiti e ‘o guappi ‘e cartone.
I sociologi hanno scritto un sacco di fregnacce sulla crisi delle masse prodotte dal turbocapitalismo.
Le folle solitarie, le chiamavano; la società liquida e quella dei servizi del primo mondo mantenuta dalla globalizzazione dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo nel resto del pianeta; la distruzione del padre e della famiglia, la donna assurta a utero in affitto, macchina tra le macchine e la transessualità ... il buio oltre la papera secondo Benigni.
Favole, ben retribuite, frottole un tanto al chilo.
I lavoratori di Amazon, che presto saranno 75.000 unità in più in Italia, erano felici di avere un podometro e un braccialetto elettronico che controllavano ogni loro spostamento in magazzino, facilitando l’ascesa di Bezos a uomo più ricco del mondo.
Così come la vastità di bassissima manovalanza, a Dharavi, e in altri efficienti slums di formiche operaie di vario colore, faceva a gara per occupare un minuscolo angolo nella fogna a cielo aperto dove si offriva lavoro e la possibilità di partecipare a Chi vuol essere milionario, per rimediare un dollaro al giorno, al servizio delle multinazionali del tessile, che ci offrono un outfit griffato completo a 50 euro ... ancor meno se acquistato on-line.
Gli operai sottopagati non vedevano l’ora di sedersi sulle plastiche di McDonald’s a ingolfarsi l’abomaso di hamburger e chicken hut, con abbondante innaffiatura di cola o 30 OZ di milkshake, il tutto a 1,5 € per la gioia di sé e dei loro figli: un futuro di diabete famigliare (molto ambito dal COVID-19) ... una storia di insulina e decubiti alle gambe già scritta, ma pagine di grande libertà di SCELTA!!! … di scegliere cosa, caro micco? Dove acquistare, per vera o falsa necessità, l’inutile, l’insulso, il volgare, il feticcio, il frivolo, la falsa estetica del bello, le riproduzioni di riproduzioni di riproduzioni.
Com’era bello il tempo pre-virus, quando i sindacati non difendevano che il proprio tornaconto esente da controlli della GdF, paladini protettori di proprietà immobiliari, di pensioni milionarie e conti correnti depositati in altri paesi, completando la partita di giro cominciata con la lista dei 500 dall’avvocato di Patti.
E i concorsi e gli appalti truccati nella Pubblica Amministrazione?
Che gran senso di libertà sapere di parteciparvi e venire regolarmente scavalcati da raccomandati di ferro protetti da nepotismo, familismo e bassura politica come capita nei test a numero chiuso delle Facoltà Universitarie.
Vedi, caro micco, il fatto triste è che oggi incontro file di donne mascherate, odalische della ricrescita bulbare, bramanti un ritorno alle precondizioni virali, sicure di essere licenziate perché gravide di futura vita e sostituite con facilità da un software o dall’inarrestabile delocalizzazione.
Le stesse donne, sempre a viso semicoperto, balleranno sole in casa, stapperanno freddi prosecchi una volta promosse a regine dello smart working per 600 euro al mese.
Un tempo, prima del coronavirus, esisteva la guerra tra poveri, mi hai detto con insistenza, un bellicismo da non disprezzare perché aizzava la folla, sulla quale il grido dai palchi dei falchi della politica tuonava tricromatico: “Sono italiano, sono bianco, sono etero, sono un uomo, sono cristiano”… forse c’era anche una versione femminile che al momento, caro micco, causa calo mnemonico da galera domestica, non mi sovviene.
Adesso, della volontà di liberare l’Italia, cosa resta?
Il restare a casa.
Sì, convengo con te che la Cassa Mutua strategica era un facile modo per fare lo stesso e farla pagare a capo e colleghi, dal venerdì al lunedì: ma la Mutua esisterà ancora?
Ecco, colgo l’occasione per rispondere al tuo recente hashtag anarchico #iorestoacasaquandomipareepiace.
Ma non farmi ridere ...
Prima del virus, gran micco che non sei altro, potevi forse affermare con sicumera: “Io posso chiudermi in casa quando e quanto voglio?” Certo! se vincevi 6 milioni di euro al super-enalotto.
Miliardi nel gioco d’azzardo gettasti alle ortiche per regalare l’immunità fiscale alle mafie delle slot-machines, libero di fumarti stipendio e pensione e non arrivare alla terza settimana: tutto dimenticato?
Ma quando, misero micco teleguidato, sei mai stato libero?
Neanche di evadere il fisco come resistenza al Socio Occulto che ogni imprenditore, a ragion veduta, teme ben più di un DPCM anticostituzionale proferito su facebook da sua eccellenza il BIS-Conte dileggiato.
Non t’ infastidiva il collare inanellato alla catena sempre più corta, sempre più strattonata ad ogni tuo dimenarti, sbavante quadrumane acefalo che biascichi parole in libertà sulla libertà, che credi di aver posseduto prima del virus e che oggi rivendichi quale diritto inalienabile.
Salmodiando la litania del carcerato che si sente libero in una gabbia senza apparenti sbarre, fingevi di non sentire la garrotta cavalcare le tue giugulari: credevi fosse democrazia e invece era Valentina Nappi.
E reiteravi: quant’è bella casa mia per piccina che tu sia … 50mq da dividere in sei persone: ma com’è bella la città, ma com’è grande la città… non ricordando che già una canzonetta di molti anni addietro distruggeva il bigio cemento con ironia beffarda; ho un lavoro e ne vado fiero, sostenevi capitano di disavventura salariale… spiccioli per acquistare un’intera vita a rate da mandar giù come s’ingoia un blocco di selenite.
Ma era la tua vita, nessuno, pensavi, poteva soffiartela.
Guarda i tuoi padroni! Dopo 7 settimane di clausura forzata come sbraitano: “APRITE! APRITE TUTTO!” E tu perdonali 77 volte 7 chè il virus ci ha resi così tutti uguali e sincretici come sua bergoglionaggine vuole.
Ma Loro avevano una vita che non era la tua. Si muovevano, trasvolanti come i proprietari della spezia in Dune, su aerei personali, su voli di Stato da te pagati, per garantirsi vacanze da sogno che nemmeno ti immagini, se non le hai viste su youtube.
Perchè Loro possiedono il tuo tempo libero e nella sua assenza programmata ti fanno girare come uno spaventapasseri in un carillon o nell’insipido minuto di un TIKTOK.
Per questo oggi sono più nervosi di te, anche se spantofolano per enormi appartamenti nei quartieri di lusso delle grandi metropoli e in quelli residenziali affrescati di giardini sempre curati.
Te la daranno la tua libera schiavitù di abbuffarti di debiti e di pizza in compagnia … un totale molto pizzo ... non preoccuparti: l’arresto domiciliare, in qualche strana maniera, terminerà (ma soltanto a una certa età) e inizierà il contingentamento di ogni tua normale azione quotidiana, per tutti i tuoi giorni a venire.
Ma non temere, ci saranno ancora: Natale - anzi avverrà per tre volte - Pasqua, Capodanno, la Champions, il calcetto del giovedì sera, porno a profusione, un fluire narcisista perenne dal tuo smartphone ad ogni social, l’immancabile settimana di sabbia nelle mutande sotto campana di plexiglass, periodo che potrà raddoppiare con un mirato crowdfunding.
Per la tua incolumità, affinchè tu possa ripagare tutte le cambiali che ancora sottoscriverai, le bollette, ogni balzello che LORO s’inventeranno, ti verranno imposte distanze salutari dagli altri micchi come te e l’acquisto, a prezzi di monopolio, di vaccini, mascherine, guanti, denaro virtuale e un’igiene pubblica che nemmeno una camera mortuaria… D’altronde, per morti che camminano occorreva inventarsi un cimitero ambulante.
È vero, muoiono anche brave persone, oltretutto nell’esercizio delle loro professioni, oggi per lo più medico-sanitarie, ma i Generali e pochi gradi sotto, raramente s’invischiano in storie di sangue e merda.
E certe classi e personaggi che prima del virus spadroneggiavano assommando cariche e prebende, non penserai ritrattino sui loro vecchi comportamenti?
Qualcuno li ha fatti entrare dalla finestra, sono in 17, mangeranno per traverso e gli si è dato l’incarico di traghettare la tua amata Italia nella Fase2: l’ultima svendita all’incanto.
Mi spiace, caro il mio micco, e qui concludo la mia missiva, ricordandoti a malincuore che, oltre la dialettica servo e padrone, per te resta solo un opinionista ben foraggiato che opina sulla tua schifosa condizione umana e una claque virologica, in combutta con il Quinto Potere, che ti rimprovera di essere un malato immaginario molto infettivo e a rischio perpetuo di quarantena … 
"ma nella vita hai vinto, fino a quando, hai stretto in pugno il tuo telecomando" ... per dire.

6 aprile 2020 - Nino Galloni spiegazione accurata dei veri motivi della crisi Italiana



Prime Brigate Rosse 1971-1975 seconde Brigate Rosse utilizzate dal Terrorismo di Stato
Occorreva la deindustrializzazione dell'Italia l'accordo della nascita del Progetto Criminale dell'Euro

17 aprile 2020 - DIEGO FUSARO: L'amore eterno contro il consumismo erotico

Primo lotta alle fake news che il circo mediatico ci propina in ogni momento della giornata e tutti i giorni

Ugo Mattei: “una visione chiara del mondo che vorremmo e il coraggio di realizzarla”

16.04.2020 - ReNero - Redazione Italia

(Foto di ReNero)

Ugo Mattei (vedi biografia completa in fondo all’articolo) è una persona che riesce a mantenere vivo il contatto con l’aspetto più umano anche delle discipline tecniche e ci permette così di avere uno sguardo onesto e ampio sulla situazione attuale e sulle possibilità effettive di creare una società migliore.

Analizziamo le 3 fasi, che lei ha individuato, del processo di spoliticizzazione del cittadino.

La trasformazione da cittadino a consumatore comincia dopo la grande depressione degli anni ’30 del scorso secolo: alcuni cittadini avevano pensato di utilizzare la loro capacità di consumo per ottenere un riconoscimento politico dei loro diritti.

Il movimento nacque con i neri afro-americani di Harlem e delle zone più povere che, non avendo accesso alla vita politica, affermavano la loro presenza attraverso attività principalmente di boicottaggio, come ad esempio non andando a comprare nei negozi che escludevano la manodopera nera. Negli anni ’50 e ’60, il Movimento dei Consumatori, negli Stati Uniti ottenne dei risultati straordinari che ancora oggi ci lasciano un’eredità importante. Per esempio le lotte di Ralph Nader per la sicurezza dei veicoli o le lotte per la purificazione delle acque, hanno portato a una legislazione favorevole ai consumatori.

Successivamente i grossi gruppi economici, capito il fatto che i consumatori volevano essere riconosciuti, hanno cominciato a concedere molto al consumatore, riconoscendo il potere del consumatore critico, rispetto al cittadino ordinario. Il consumatore è stato imbonito. Dagli anni ’80, il consumatore è stato accontentato nella sua dimensione puramente materialistica e il Movimento dei Consumatori ha perso completamente la sua vocazione trasformativa. Quando è arrivato in Europa, il Movimento dei Consumatori era già un movimento indebolito e individualizzato, che metteva al centro della sua attenzione la soddisfazione del particolare consumatore e non più una visione di società differente.

L’Unione Europea ha recepito questa idea di consumatore passivo, creando uno Statuto dei Consumatori che ha contribuito a mettere al centro dell’intero impianto del diritto civile il consumatore passivo anziché quello attivo in sostituzione del cittadino. Nella seconda fase della de-politicizzazione del cittadino, facilitata dalla dipendenza generalizzata dalla rete, il consumatore diviene un prodotto di consumo.

Uno dei passaggi che ha contribuito a questa fase è stata la finanziarizzazione dell’economia: il debito del consumatore è importante per il funzionamento dell’intero sistema economico.

L'accelerazione del processo si è avuta all'inizio del duemila: l’avvento della tecnologia “smart”, ha reso il consumatore importante per i dati che lascia e, quindi, per la previsione dei suoi comportamenti di consumo futuri. La terza e ultima fase di de-polticizzazione del cittadino è quella in cui il cittadino diventa paziente. E’ il tema che sto affrontando ora con lo psichiatra ed epidemologo londinese Federico Soldani. Non è più nemmeno il consumatore passivo, oggetto dell’ estrazione capitalistica, al centro della organizzazione politica. Oggi troviamo un mero paziente, infantilizzato in quanto ritenuto incapace di badare a se stesso, per di più potenzialmente contagioso e pericoloso per gli altri, da isolare.

Siamo oggi in una situazione molto ambigua. La scienza detta comportamenti e impone scelte politiche. Questo stato di emergenza permette un accentramento di potere e questa crisi porta a forzature che in condizioni di normalità non potrebbero essere mai fatte. Chi ha veramente il potere adesso?

Io non credo in una cupola di persone di potere che prendono le decisioni. Il potere nel capitalismo realizzato è un aggregato di imperativi del capitalismo stesso. In questo momento, c’è stato un cambio molto significativo che è quello della dichiarazione dello stato di eccezione da parte di un organismo scientifico: l’O.M.S. Come conseguenza di questa crisi, ci sarà lo spostamento ulteriore di gran parte del capitalismo sulle piattaforme, amplificando la migrazione su internet dei rapporti sociali. E’ evidente che c’è una coincidenza tra chi vince ora e chi negli anni ha utilizzato l’O.M.S. per rifarsi un’immagine. In particolare la Fondazione Gates e la Fondazione Rockefeller. Sono realtà che da sempre partecipano alla strutturazione di rapporti capitalistici sempre più volti alla de-politicizzazione delle scelte. Sulla base di quale legittimità rispetto al capitale accumulato Gates si permette di decidere la politica sanitaria di interi paesi del mondo?

Possiamo anche riflettere sul fatto che chi ha autorità e quindi detiene la verità poi non ha il coraggio di confrontarsi con chi la pensa diversamente. Questo in genere è il comportamento di chi mente o di chi non è sicuro del proprio sapere. È, quindi, questo continuo piegare le coscienze con shock, il giocare con la paura, un nuovo metodo di governare?

È così da un po’, secondo me. L’intera esperienza politica della modernità nasce con la paura, con il carcere, il manicomio, il terrore, le catene ostentate che sostituiscono il supplizio. Ci sono stati negli anni momenti in cui c’è stata una ripresa di valori quali la dignità o la libertà che adesso sono molto infragiliti dalla situazione tecnologica che stiamo vivendo.

Dall’altra parte, i punti di riferimento teorici di questa fase cognitiva del capitalismo sono non curanti dei valori dell’ individuo che viene ridotto a esperienza (passiva) Essi vedono nell’individuo autonomo e pensante un nemico per la dinamica dell’accumulo. Porto ad esempio il libro di Skinner, Oltre la dignità e la libertà, che è uno dei manifesti di tutta la cibernetica e della corrente di pensiero che è attualmente dominante.

Possiamo essere noi stessi solo in una dimensione soggettiva chiusa, che possiamo soddisfare attraverso ad esempio la realtà virtuale o le droghe psichedeliche, a patto di non occuparci della cosa pubblica.

La cosa pubblica viene lasciata completamente a rapporti di potere costituiti, universali, naturalizzati di fatto, proprio quelli che sperimentiamo online. Lo spettacolo del consenso.

Assistiamo alla capitalizzazione della vita: chi ha capitale si trova in una posizione monopolistica. Le grandi multinazionali della tecnologia in particolare sono oggi più forti dei governi e hanno superato per importanza secondo me le banche e le istituzioni finanziarie. Sono loro oggi i protagonisti delle grandi speculazioni finanziarie che proprio in questo periodo vedono crescere grandi colossi come Netflix, Amazon, e big Pharma a discapito dei piccoli commercianti. Saranno loro i beneficiari del fiume di denaro pubblico con cui si cercherà di fare “andare tutto bene”. I grandi progetti di infrastrutturazione tech faranno la parte dei leoni, come fu per le banche nel 2008. Questo è costituzionale?

La Costituzione è in difficoltà perché è legata a un’idea di Stato nazionale e l’idea di Stato nazionale è un’idea di Stato con dei confini. Già da molti anni abbiamo esistito alla crisi dello Stato nazionale per effetto dei processi globalizzanti da parte del capitale. La Costituzione può essere il punto di riferimento, un catalogo valoriale che dobbiamo rendere operativo e vivo attraverso un processo politico che deve rinnovarsi sia nelle forme che nei suoi strumenti. Dobbiamo attuare un processo costituente popolare, che venga effettivamente dal basso, che sappia usare la tecnologia in modo controegemonico.

Nel nostro tessuto costituzionale, la proprietà privata è riconosciuta e garantita soltanto in quanto sia portatrice di una funzione sociale, che rimanda a un apparato valoriale che è quello solidaristico. E’ una propietà condizionata: o si comporta secondo quelle che sono delle logiche generative o non viene proprio riconosciuta.

Durante gli anni ’70, il rapporto capitale-lavoro era diverso da quello di oggi e in parte si era realizzato un equilibrio: si parlava di portare la Costituzione nelle fabbriche.

Si diceva che la fabbrica non può essere il luogo dell’esercizio totale della volontà del padrone perché la Costituzione non si ferma ai cancelli. Si portava il “fuori” (la politica) “dentro” il privato. Oggi è l’ opposto si porta la logica del privato anche nella politica. La struttura della fabbrica padronale è divenuta pervasiva, ha invaso i nostri luoghi e modi di produzione: non si lavora più con degli orari, si lavora separati uno dall’altro, si lavora sempre. E’ un capitalismo della vita.

Debord parlava della menzogna sistematizzata e del mondo alla rovescia ed è quello che sta succedendo.

L’ unica strada rivoluzionaria che possiamo cercare di percorrere è quella di inserire nel cuore delle istituzioni borghesi che abbiamo, e che sono legate al capitalismo estrattivo, una spinta generativa. Le istituzioni borghesi sono in stato di avanzata putrescenza. bisogna fare di tutto che in quel concime non nasca la malapianta del fascismo ma cresca un bell’ albero da frutta! Fuor di metafora bisogna evitare che il diritto (morente) venga sostituito piuttosto che supportato dalla logica di fatto della tecnica.

Per questo bisogna inserire “i beni comuni” nel Codice Civile italiano (che potrebbe divenire veicolo globale di queste novita’) per introdurre un contro-principio nel concetto di proprietà, dando la possibilità ai giudici e al diritto stesso di prendere in considerazione i diritti delle generazioni future, di riconoscere che alcuni beni non possono essere considerati come merci e che la logica del diritto non è la stessa del capitalismo ne’ della tecnologia.

Quello che sta capitando adesso ci impedisce di attuare questo progetto su cui molti di noi sono al lavoro da molti anni e intorno al quale il Comitato Rodotà aveva presentato la Legge di iniziativa popolare a fine 2019. Si parla come se fossimo in guerra. Ma contro chi siamo in guerra? Possiamo essere in guerra contro un virus? Sembra che la “guerra” stia diventando orizzontale, cioè il nemico è il mio vicino. Così si perde il contatto sociale, non ci si aggrega, non si può manifestare. Cosa possiamo fare? Dove e come possiamo riaprire un dialogo sui diritti costituzionali e su come adattare i valori della Costituzione al mondo contemporaneo?

La retorica della guerra non è una novità. Pensiamo alla guerra al terrorismo, la guerra alla povertà, la guerra alla droga… In guerra, tutti sono dei soldati e i soldati non obiettano: sono legati al comandante.

In questo momento si sono resi ubbidienti soldati anche i medici che stanno morendo in corsia o gli infermieri che lavorano senza il giusto equipaggiamento.

La novità “di fase”, che andrebbe colta al volo da qualche leader illuminato, fa fatica a essere ascoltata perché sommersa dalla coltre del pattriottismo militaresco. C’è in campo un pensiero potenzialmente alternativo, per la prima volta da molto tempo e che può divenire egemone: i beni comuni. È un pensiero importante che ho cercato di far emergere almeno nelle grandi linee curando il nuovo libro di Papa Francesco, La dittatura dell’ economia , per Edizioni Gruppo Abele.

Penso ad esempio al fatto che si sta riconoscendo quanto importanti siano i ragazzi che consegnano le pizze con le biciclette o i lavoratori di Amazon. Questi sono una nuova potenziale classe rivoluzionaria che, avendo una posizione indispensabile, potrebbe ottenere dei risultati importanti, se sostenuta dall’auto-organizzazione di massa e da un pensiero critico forte.

Questa auto-organizzazione, che è sempre stata una chiave fondamentale contro l’egemonia dello status quo (come diceva Gramsci), deve riuscire a utilizzare anche la rete, cosa che ovviamente è portatrice di molte contraddizioni perché essa stessa non è uno spazio di libertà.

Dobbiamo camminare per un sentiero molto stretto, quello che separa la contro-egemonia dalla cattura del discorso politico sui beni comuni, ma credo che la consapevolezza delle partite che dobbiamo giocare, la visione chiara del mondo diverso che vorremmo e il coraggio, l’entusiasmo nel cercare di realizzarlo possano fare moltissimo.

Un consiglio su cosa possiamo fare per cogliere questo momento come opportunità .

Posso dirti cosa sto facendo io. Cerchiamo di costruire una stabile rete per i beni comuni, utilizzando il Comitato Rodotà che invito tutti a conoscere www.generazionifuture.org e a sostenere.

Facciamo diverse battaglie a-partitiche e dunque costituenti fondamentali in questa fase, come quella per il pieno riconoscimento del principio di precauzione rispetto al 5G che mette a rischio la salute, l’ ecologia, la privacy. Stiamo lavorando a un referendum per la sanità pubblica bene comune, per abrogare l’ aziendalizzazione e la privatizzazione che dal 92 hanno stravolto il modello avanzatissimo che le lotte sociali avevano conquistato col Servizio Sanitario Nazionale nel 78. Personalmente non mi sottraggo ad alcuna battaglia sui valori costituzionali e al momento sono molto impegnato nella lotta contro la censura e il pensiero unico sanitario che mette a rischio gli articoli 21 e 33 della Costituzione oltre che i pochi luoghi di diffusione di libero pensiero come il canale Byoblu di Claudio Messora.

Penso che sia importantissimo stabilire dei legami trasversali tra persone politicamente anche molto diverse ma che hanno identificato dei valori di riferimento simili.

Bisogna costituire una sorta di grande comitato di salvezza nazionale diffuso, legando persone di diverse sensibilità che però vogliono mettere dei paletti ad una deriva sociale pericolosissima di impoverimento morale e materiale generato da una classe dirigente che sembra ipnotizzata dalle sirene del nuovo ordine mondiale.

ReNero

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BIOGRAFIA di Ugo Mattei

Ugo Mattei è professore di diritto civile all’Università di Torino e di diritto internazionale e comparato all’Hastings College of the Law dell’ Università della California a San Francisco , presso cui ricopre la cattedra di Alfred and Hanna Fromm professor of international and comparative law . Avvocato cassazionista, è stato fra i redattori , insieme ad altri giuristi, dei quesiti referendari contro la privatizzazione dell’acqua e come avvocato ha difeso con successo la vittoriosa campagna referendaria culminata col voto del 12 e 13 giugno 2011 e nelle sentenze 24/2011 e 199/2012 della Corte Costituzionale.

È professore di diritto internazionale e comparato all’Hastings College of the Law dell’ Università della California a San Francisco , presso cui ricopre la cattedra di Alfred and Hanna Fromm professor of international and comparative law , ed è professore di diritto civile all’Università di Torino. È inoltre coordinatore accademico dell’ International University College of Turin .

È stato vicepresidente della Commissione Rodotà ed è presidente di ARIN/ABC Napoli. Fra i titoli pubblicati, ricordiamo “Beni Comuni. Un Manifesto” (Laterza 2011) che ha raggiunto l’ottava edizione, “Il saccheggio”, con Laura Nader, (Bruno Mondadori, 2010), “Contro riforme” (Einaudi, 2013), “Senza proprietà non c’è libertà. Falso!” (Laterza, 2014).