L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 13 giugno 2020

13 giugno 2020 - NEWS DELLA SETTIMANA (6-12 giu. 2020)

13 giugno 2020 - DIEGO FUSARO: Due prove schiaccianti. Qualcuno vuole che l'emergenza non...

Imparare dai militari e non dalle televisioni che ogni giorno di donano dosi letali ti terrorismo-paura

CORONAVIRUS: GESTIONE E MALAGESTIONE DELLE NAVI. CHI LAVORA NELLE FFAA DOVREBBE LEGGERE QUESTA INTERVISTA


(di David Rossi, Gino Lanzara)
12/06/20 

I lettori hanno seguito su Difesa Online e sugli altri media i massacri di anziani nelle RSA, ma anche nei centri di dialisi e negli ospedali, così come il dilagare della pandemia sulla nave da crociera Diamond Princess e sulle portaerei nucleari USS Roosevelt (foto) e Charles De Gaulle. In queste ultime il COVID-19 ha provocato un danno strategico importante per il mondo occidentale: in altri tempi, avrebbe potuto trovare il blocco sovietico pronto a reagire. Stavolta, Russi, Cinesi e Iraniani tengono le loro flotte in porto per paura della pandemia.

Abbiamo deciso di parlare dei rischi di diffusione del coronavirus in ambienti chiusi come le navi, delle strategie di gestione del rischio e di altre problematiche relative al Sars-Cov2 col dott. Pasquale Mario Bacco. Ne è venuto fuori un colloquio che riteniamo molto significativo...

Rossi: Parliamo del caso della Diamond Princess, un ambiente chiuso tenuto in isolamento per quasi un mese prima che il mondo aprisse gli occhi sui pericoli della pandemia. Quanto ha influito sulla conoscenza del COVID-19?

Il virus era già sicuramente conosciuto prima delle date che noi abbiamo: quindi, il caso della Diamond Princess non ha aggiunto niente di specifico.

Per le conoscenze sul virus sono stati fondamentali gli studi in vitro in laboratorio.

Rossi: Secondo l'OMS (e più modestamente anche Difesa Online) oltre la metà delle morti in Europa sono avvenute nelle RSA. Come circola il virus in questi ambienti?

Il Sars-Cov2 non è mortale da solo in soggetti in buona salute, ma lo diventa quando abbiamo patologie concomitanti o quando c'è una risposta immunitaria meno efficace come capita nei soggetti anziani.

In pratica nelle RSA, questi anziani - lasciati senza misure di sicurezza - è come se fossero stati condannati a morte, anche perché in questo caso certamente un ruolo importante lo ha avuto anche la carica virale, che essendo al chiuso si è auto potenziata. 


Lanzara: Francia, USA (ed anche l’Italia, anche se se ne è parlato di meno…), hanno avuto problemi con grandi unità navali operative. Come sarebbe stato possibile prevenire? E soprattutto, com'è possibile intervenire per preservare salute ed operatività di navi ed equipaggi?

Negli spazi chiusi, come nelle navi, bisogna realizzare interventi preventivi, basati su test sierologici rapidi bisettimanali e sanificazione degli ambienti.

Non serve caricare il personale di mascherine e guanti. Sono efficaci, invece, l’uso di igienizzanti, il controllo giornaliero della temperatura corporea, la ventilazione ove possibile e la sanificazione periodica.

In caso di positività̀ accertata, se il soggetto è asintomatico o con debole sintomatologia, è necessario il suo isolamento, con controllo continuo dell'ossigenazione e terapia sintomatica, così come la sanificazione giornaliera degli ambienti. È raccomandabile il controllo sanitario per il resto del personale con profilassi estesa con idrossiclorochina.

Rossi: Potrebbe spiegare meglio perché sconsiglia la mascherina al personale?

L’utilizzo della mascherina all’interno degli spazi chiusi creerebbe due conseguenze importanti: vere concentrazioni di microrganismi davanti bocca e naso dovuti all’innalzamento delle temperature in seguito al continuo utilizzo e il verificarsi di casi di ipercapnia che durante il lavoro possono essere addirittura fatali.

Lanzara: Dottore, quanto oggettivamente si sa sul virus e sulle sue capacità di mutazione?

Rispetto al virus originario è nettamente mutato, anche se soprattutto sugli introni, cioè̀ regioni del genoma che non producono poi grandi differenze concrete. 

Lanzara: Scientificamente, cosa c'è da aspettarsi da una seconda ondata?

Alzando la temperatura di 2 gradi in laboratorio il 52% dei ceppi muore, il 48% si muove molto di meno. Quindi il virus supererà in parte questo periodo climatico e tornerà di sicuro.

Come tornerà in termini di letalità e mortalità, oggi non si può dire. Sicuramente troverà̀ una grande quantità di immunizzati che renderà molto più complicato la diffusione. Oltretutto, ora anche in termini di terapie sappiamo come comportarci.


Lanzara: Il lettore medio di Difesa Online (e non solo) è nel dubbio perché il mondo scientifico ha dato diverse interpretazioni sull’origine del virus. Se c'è, quanto c'è di manipolato? E se no, se è tutto naturale, cosa dobbiamo aspettarci?

Il virus non presenta nessun caratteristiche di virus prodotto in laboratorio. Il virus deriva sicuramente da un fenomeno di spill-over.

Lanzara: Ritorno sulle navi (deformazione professionale). Spazi stretti, coabitazione forzata, ventilazione interna come la coabitazione. Oggettivamente, come si potrebbe fare?

È chiaro che gli ospiti devono seguire le linee guida utilizzate da tutte le aziende:

Misurazione temperatura, igienizzazione mani, minima distanza di sicurezza.

Lanzara: Sempre dal punto di vista scientifico, quali sono le differenze tra l'epidemia del 57 e questa? Una profilassi vaccinale avrebbe effetto?

La pandemia del 1957 è simile, perchè il virus anche in quel caso aveva una scarsa mortalità e letalità, difatti causò decesso soprattutto in soggetti anziani e con patologie concomitanti.

Considerando il grado di mutazione del virus, il vaccino rappresenta un elemento terapeutico difficile da realizzare ed in ogni caso molto poco utile, in quanto creerebbe una immunità molto breve.

Foto: U.S. Navy

Magistratura malata - il gioco delle parti


AREZZO
Procura, udienza al Tar dopo il ricorso di Rossi: attesa per la decisione

12.06.2020 - 10:06

L’udienza al Tar del Lazio si è formalmente tenuta, sia pure con le forme particolari dettate dall’emergenza Covid. Le parti hanno depositato delle memorie scritte e adesso non resta che attendere la decisione dei giudici sul ricorso presentato da Roberto Rossi contro la delibera del Consiglio superiore della magistratura che, nell’ottobre scorso, ha stoppato il suo secondo mandato alla guida della Procura della Repubblica di Arezzo. In questi mesi Rossi ha continuato il suo lavoro sia pure non più nella veste di procuratore capo, con le funzioni che sono state temporaneamente affidate ai magistrati Luciana Piras prima e, adesso, a Luigi Bocciolini. Una questione, quella legata al ricorso, che in questi mesi ha conosciuto anche altri, parziali, verdetti: Rossi si è visto dar ragione prima dal Tar del Lazio (a gennaio) che ha sospeso il bando del concorso che era stato deliberato dal Csm per trovare il suo sostituto alla guida della Procura aretina; una decisione poi confermata (a marzo) anche dal Consiglio di Stato che ha respinto il ricorso presentato da Palazzo dei Marescialli contro la decisione del Tar. Niente concorso dunque, almeno fino a quando non si conoscerà il verdetto dopo l’udienza di merito che si è tenuta mercoledì 10 giugno al Tar del Lazio.

Stati Uniti guerra civile strisciante tra visioni diverse di capitalismo. Gli afro-americani carne da cannone. La Rivoluzione colorata è approdata nel paese in cui è nata la sua ideologia. L'omogeneizzazione, l'appiattimento, l'eliminazione della famiglia e delle individualità prosegue sotto il rullo compressore e la salute è la nuova chiave per insillare paura ed eliminare qualsiasi tipo di opposizzione e

CONTRO TRUMP, UN PUTSCH IN CORSO

Maurizio Blondet 13 Giugno 2020 

“In USA si svolge un evento assolutamente straordinario, e il ‘vostro corrispondente da Washington” di cosa vi parla? Del razzismo”, ride Phlippe Grasset. Veramente, anche delle statue abbattute. Ma l’evento straordinario è la fila di generali che hanno voltato le spalle a Donald Trump, il loro aperto rifiuto di obbedienza, da golpe sudamericano imminente.

Il segretario alla difesa Mark Esper ha disobbedito pubblicamente agli ordini del presidente di far uscire per le strade l’esercito per sedare i disordini di negri e Antifa. Il generale Jim Mattis “mad dog”, per brevi mesi segretario alla difesa di Trump, ha aspramente criticato Trump per lo stesso motivo in una intervista a The Atlantic. Era accompagnato dal generale Mike Milley, l’attuale capo degli stati maggiori riuniti; che non ha parlato, ma con la sua presenza ha mostrato che dietro a Mattis ci sono i gallonati dei più alti gradi in servizio. Del resto il generale Milley, siccome e era apparso in foto mentre, il primo giugno, in mimetica, accompagnava Trump alla chiesa di Saint John devastata, ha ritenuto bene di dichiarare che si pente e si rincresce di averlo fatto, per aver dato un’immagine “di parte” delle forze armate. Fatto ancor più singolare, ha fatto questa dichiarazione con un messaggio registrato ai diplomati della facoltà militare di Notre Dame: come se fosse già alla macchia.

Il generale Milley (in mimetica) ha chiesto perdono di essersi fatto vedere con Trump…(fra i due, il segretario alla difesa Epser, insubordinato)

Poteva mancare il generale noto David Petraeus, già capo della Cia e gran massacratore in Irak? Condannato a suo tempo per aver passato documenti riservati alla giornalista sua biografa ed amante? Ebbene: anche lui ha voluto (come Mattis) rilasciare un’intervista per… proporre di cambiare il nome di una dozzina di basi militare attualmente dedicate a generali sudisti. Insomma anche lui Antifa e Black Lives Matter, anche lui “di sinistra”, lui che sta al servizio del miliardari che guidano il fondo speculativo KKR, di cui è anima H. Kravis, “al 38° posto nella Lista degli ebrei più ricchi del mondo pubblicata dal Jerusalem Post”.

Naturalmente, i media spiegano questa rivolta dei generali con il nobile rifiuto di spiegare l’esercito per sparare sui cittadini. Secondo Meyssan, è più decisivo il loro malcontento per la volontà di Trump di ritirare le truppe dall’Afghanistan e – peggio – dalla Germania, indebolendo la NATO e le sue provocazioni anti-Mosca.

Devono essere prudenti, perché invece di soldati e gli ufficiali di basso grado sono a favore di Trump e delle sue intenzioni di riportare i ragazzi a casa. Ma il senile Joe Biden, il preteso candidato democratico, noto gaffeur, ha scoperto i giochi in una interista tv al Comedy Central: “ Mi hanno reso così dannatamente orgoglioso: quattro capi dello staff che escono e strappano la pelle a Trump ”, ha aggiunto, aggiungendo che contava sui militari per rimuovere Trump se si fosse rifiutato di rispettare i risultati del voto. “Ve lo prometto … sono assolutamente certo che loro lo scorteranno fuori dalla Casa Bianca senza perdere tempo”. Con ciò, rivelando che il Partito Democratico fa conto sul ruolo decisivo dei militari per la definitiva rimozione di Trump dalla presidenza.

“Trump ha perso il controllo sul ministero della difesa”, ne conclude il colonnello Lang, il commentatore militare dal suo sito (che si chiama Sic Semper Tyrannis”).

Sembra dunque chiaro che 1) fallita l’operazione Russiagate che ha invalidato politicamente Trump per due anni, 2) la narrativa sulla “spaventosa pandemia e le sue stragi ” che nostra la corda, 3) essendo dubbio l’esito della “rivolta antirazzista” presso l’opinione pubblica, l’establishment democratico e il suo comitato di miliardari punti realmente sul golpe – prima che rigurgiti la fogna dell’Obamagate, collegato (avertat Satanas) al pizzagate, al Clinton body count, e lo scoppio del “Sistema Italia” di spionaggio anti-Donald …

Serve per il Grande Reset

Ma soprattutto, non si deve perdere tempo a sfruttare l’occasione preziosa della pandemia, che ha arretrato i livelli di vita della parte avanzata della civiltà umana nel modo durevole desiderato. Da chi? Ma dal Forum di Davos. E non parla il complottista, ma il presidente del Forum stesso, Klaus Schwab, che ha giusto pubblicato un video dove illustra il tema per il 2021. Titolo: “Il Grande Reset”, il resettaggio dell’economia mondiale. Letteralmente così: “… Un lato positivo della pandemia è che ha dimostrato quanto velocemente possiamo apportare cambiamenti radicali al nostro stile di vita”, esulta Schwab: “ Quasi istantaneamente, la crisi ha costretto aziende e privati ad abbandonare le pratiche per molto tempo dichiarate essenziali, dai frequenti viaggi aerei al lavoro in un ufficio. ” .

Dunque questi sono i benefici della pandemia, per lorsignori: non più viaggi aerei per voi servi, non più lavori in ufficio, non più il benessere diffuso, che consuma e provoca il riscaldamento globale. “ I recenti ingenti stanziamenti di stimolo economico dell’UE, degli USA, della Cina e di altri paesi devono essere utilizzati per creare una nuova economia, “più resiliente, equa e sostenibile nel lungo periodo. Ciò significa la costruzione di infrastrutture urbane “verdi” e la creazione di incentivi per le industrie a migliorare la propria expertise in termini ambientali”, dice Schwab.

Il mondo deve agire rapidamente per rinnovare tutti gli aspetti delle nostre società ed economie, dall’istruzione ai contratti sociali e alle condizioni di lavoro. Ogni paese, dagli Stati Uniti alla Cina, deve partecipare e ogni settore, dal petrolio e dal gas alla tecnologia, deve essere trasformato. .. I governi dovranno migliorare il coordinamento … con “modifiche alle tasse sulla ricchezza, il ritiro dei sussidi per i combustibili fossili e nuove regole che regolano la proprietà intellettuale, il commercio e la concorrenza.

Se non vi è chiaro cosa significhino queste meravigliose riforme dell’economia, ricordate che dal Forum di Davos è stato elaborato il progetto dell’abolizione della proprietà privata: per me e voi (non per loro, ovvio) . Nei loro sogni non possederete più l’auto, il frigorifero, l’appartamento, ma vi sarà concesso in affitto. Pagherete un modesto canone, tanto più modesto perché i beni saranno in comproprietà; un altro userà l’auto quando a voi non serve, il vostro salotto quando voi siete fuori a consegnare le pizze. Sharing Economy, “condivisione”.

Questo mondo ideale del tutto a noleggio, va ricordato, richiede “Internet delle Cose”, quindi i 5G, e soprattutto la fine della famiglia, perché è lì, dalla “genitorialità patriarcale e spesso l’istituzione del matrimonio” col “lavoro riproduttivo così legato al gender”, che nasce la voglia di “proprietà fondiaria” da trasmettere ai figli e nipoti: biasimevole immobilizzo di capitale. Bisogna approfittare del coronavirus, scriveva un celebre articolo di Open Democracy (think tank d George Soros) per “ la sanificazione dello spazio fondamentalmente non sicuro che è proprietà privata”.

Qui ciascuno può leggere o rileggere il Progetto finale; anche con la traduzione automatica capirete quale è il “reset” che progettano per noi comuni mortali:

La crisi del coronavirus mostra che è tempo di abolire la famiglia

Cosa ci dice la pandemia sulla famiglia nucleare e la famiglia privata?




Così si può capire un articolo, apparentemente delirante, allucinato e allucinatorio, apparso su “7”, il settimanale del Corriere, il 6 giugno scorso. Dove si paventava la fine della “sharing economy” con queste espressioni:

Saremo padroni di biciclette? Il Coronavirus manda in crisi la Sharing Economy

L’emergenza sanitaria ha frenato la diffusione (che sembrava inarrestabile) dello sharing. Alcuni colossi dell’economia della condivisione hanno cominciato a licenziare. E fra i giovani si riaffaccia la tentazione della proprietà privata, già archivata perché superata, volgare, stupida. È la fine di un modello? Intanto si affaccia un nuovo concetto di leasing …. Macchine, biciclette, scooter, monopattini, case, spazi di lavoro: tutto, grazie a Internet, si condivide, niente si possiede”.


Che dire? Un patetico-ridicolo tentativo di creare una moda, che già per “i millenials” la proprietà privata è “superata, volgare, stupida”. E chi lo scrive? Tale Micol Sarfatti. Una padroncina del discorso, propagandista del Progetto Soros, che ha sopravalutato il suo potere. Per realizzare la distopia che lei sogna, ci vuole la miseria dilagante, la costrizione di massa, il terrore della “prossima pandemia”.

Gli ebrei sionisti che occupano illegalmente con le armi la Palestina sono fautori delle leggi razziali, e poi si lamentano dell'antisemitismo che vive nel mondo

Israele rinnova la sua legge razzista sul matrimonio

News - 12/6/2020

Electronic Intifada. Di Ali Abunimah. (Da Zeitun.info). Questa settimana Israele ha rinnovato una delle più apertamente razziste tra le decine di leggi dei suoi codici giuridici che discriminano i palestinesi e i cittadini palestinesi residenti in Israele.
La “Legge sulla cittadinanza e sull’ingresso in Israele ” proibisce ai cittadini israeliani che sposino palestinesi della Cisgiordania occupata o della Striscia di Gaza o a quelli con nazionalità di parecchi altri Stati della regione di vivere in Israele con il marito/la moglie.
“La legge colpisce decine di migliaia di famiglie palestinesi residenti fra Israele e la Cisgiordania, su entrambi i lati della Linea verde, e impedisce ai palestinesi di trasferirsi legalmente in Israele per il ricongiungimento familiare,” secondo quanto riportato da Adalah, un’associazione di assistenza legale per i palestinesi di Israele che ha inutilmente presentato dei ricorsi in tribunale.
La disposizione era stata originariamente approvata come misura di emergenza nel 2003, ma da allora è stata rinnovata ogni anno.
La legge fa parte degli sforzi di Israele per impedire l’aumento della popolazione palestinese, una misura sostanzialmente razzista giustificata dai suoi leader in quanto necessaria a mantenere la maggioranza ebraica.
Zvi Hauser, il capo del Comitato degli affari esteri e della difesa della Knesset, il parlamento di Israele, ha detto che il rinnovo è giustificato dalla legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico di recente promulgata che, secondo il parere dei giuristi, viola i divieti internazionali contro l’apartheid.
La legge israeliana sulla cittadinanza non differisce, negli intenti e negli effetti, dalle leggi che esistevano nel Sud Africa dell’apartheid per prevenire i matrimoni misti, l’incrocio di persone di razze diverse e per controllare dove i neri potessero vivere – leggi come il Group Areas Act [che divideva la città in aree per bianchi e relegava i neri nelle baraccopoli, ndtr] e il Prohibition of Mixed Act [che vietava i matrimoni misti, ndtr.].
Anche se la legge israeliana non vieta esplicitamente i matrimoni, in effetti impedisce ai cittadini israeliani e palestinesi l’esercizio del loro diritto alla vita di famiglia.
Mira a ottenere esattamente lo stesso scopo, seppure con mezzi più subdoli di quelli impiegati dai suprematisti bianchi in Sud Africa, come spiego nel mio libro del 2014: The Battle for Justice in Palestine (La Lotta per la giustizia in Palestina).
Manipolazione dei collegi elettorali su base razziale.
Inizialmente Israele ha giustificato la legge sul matrimonio sul piano della “sicurezza,” una scusa respinta da Human Rights Watch. [nota ong statunitense, ndtr.].
Human Rights Watch nel 2012 ha dichiarato che un “divieto assoluto” senza “valutare nel caso specifico se la persona in questione possa mettere in pericolo la sicurezza è ingiustificato” e “rappresenta un danno esageratamente sproporzionato del diritto dei palestinesi e dei cittadini israeliani di vivere con la propria famiglia.”
La discriminazione presente nella legge potrebbe essere misurata “in base alle conseguenze per i cittadini palestinesi di Israele rispetto a quelli ebrei,” ha aggiunto.
Ariel Sharon, all’epoca primo ministro israeliano, nel 2005 ammise qual era il vero scopo della legge.
“Non c’è bisogno di nascondersi dietro la scusa della sicurezza” disse Sharon. “È necessaria per l’esistenza dello Stato ebraico.”
“Suicidio nazionale”.
Lo scopo demografico razzista della legge fu confermato nel 2012 quando la Corte suprema israeliana respinse il ricorso di Adalah.
“I diritti umani non devono essere una ricetta per il suicidio della Nazione,” aveva scritto il giudice Asher Grunis nella sua motivazione al respingimento con una maggioranza di 6 a 5.
Approvando in pratica la manipolazione dei collegi elettorali su base razziale la sentenza della Corte aggiunse anche che “il diritto alla vita familiare non deve essere per forza esercitato entro i confini di Israele.”
Si noti la notevole somiglianza dei termini usati dalla Corte Suprema israeliana con le parole di Daniel Malan, il primo ministro del Sud Africa sotto il regime di apartheid, che disse nel 1953 che “l’uguaglianza… inevitabilmente significherebbe per i bianchi del Sud Africa nient’altro che il suicidio della Nazione.”
I palestinesi colpiti dal provvedimento hanno fatto una campagna per diffondere la conoscenza della legge razzista e delle difficoltà che crea all’“amore ai tempi dell’apartheid.”

Traduzione dall’inglese per Zeitun.info di Mirella Alessio.

http://www.infopal.it/israele-rinnova-la-sua-legge-razzista-sul-matrimonio/

Quegli euroimbecilli al governo e all'opposizione vogliono fare il ponte sullo Stretto quando hanno delle infrastrutture ferroviarie, in Calabria, antiquate e obsolete

Alta velocità, Trenitalia investe 2,6 mld sui treni regionali: Calabria esclusa

I nuovi convogli saranno dotati di nuove tecnologie e sfrecceranno da 160 fino 200 chilometri all'ora. Naturalmente lontani dalla nostra regione

di Francesco Altomonte 
12 giugno 2020 14:25

Un treno regionale calabrese

L'Alta Velocità arriva sui treni regionali. Trenitalia, la società dei servizi commerciali del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, si prepara ad investire 2,6 miliardi di euro per la fornitura di nuovi convogli che potranno viaggiare alle massime prestazioni anche sulle linee Alta Velocità, quindi non in Calabria dove le vetuste infrastrutture ferroviarie non permettono ai convogli di mantenere la velocità di punta. Una notizia che alimenterà le polemiche sull'esclusione della nostra regione dalle rete dell'Alta velocità.

Un argomento che ha diviso i calabresi nelle ultime settimane, quando cioè il 3 giugno scorso arrivò per la prima volta in Calabria il Freccia Rossa. Dopo Salerno, però, il treno scalò le marce e viaggiò fino alla stazione di Lamezia Terme a velocità ridotta. Molti cittadini hanno gridato al miracolo; alcuni sindaci (Rosarno e Gioia Tauro, Scalea, Vibo Valentia) hanno invocato una fermata del "treno rosso" nelle loro città. Altri, invece, (come Carlo Tansi) hanno chiesto ai vertici di Trenitalia di non prendere in giro i calabresi e di non parlare di Alta velocità. E mentre in Calabria si attende ancora la riconversione della rete ferroviaria in una infrastruttura degna del ventunesimo secolo, Trenitalia investe più di due miliardi di euro per dotare le linee regionali del Nord e Centro Italia di convogli che potranno viaggiare ad Alta velocità. Un investimento che, ancora una volta, vedrà esclusa la Calabria.

La notizia è stata anticipata dall'agenzia di stampa specializzata Ferpress. La fornitura riguarderà l'ordine di 150 treni con velocità massima di 160 chilometri orari, con un contratto del valore di 1,6 miliardi di euro, e di 100 treni con velocità massima di 200 km/h, per un valore di 1 miliardo di euro. Il contratto prevede anche 15 anni di full service per la manutenzione programmata. I convogli saranno di tipo monopiano e con trazione distribuita e incorporata su più unità, secondo lo standard Emu (Electric Multiple Unit). I nuovi treni con velocità massima di 160 km/h avranno una lunghezza massima di 100 metri con 304 posti a sedere, tutti di seconda classe, e il 60% dei posti distribuiti vis à vis. I convogli con velocità massima di 200 chilometri orari avranno una lunghezza massima di 200 metri con 604 posti a sedere, 10% di prima classe (100% vis à vis) e 90% di seconda classe (70% vis à vis).

I nuovi treni - prosegue Ferpress - dovranno avere le caratteristiche più moderne di comfort e servizi, e i sistemi più avanzati per ridurre l'inquinamento acustico e i consumi energetici. I convogli dovranno essere tutti forniti del nuovo e avanzatissimo sistema di comando, controllo, supervisione e diagnostica TCMS (Train Control & Management System), che consente la verifica istante per istante delle condizioni di viaggio del treno in ogni sua parte, anche all'interno del mezzo oltre che nel percorso lungo linea. Una funzione essenziale dei nuovi treni sarà garantire la transizione dai sistemi di segnalazione SCMT (utilizzati sui binari della rete fondamentale) ai sistemi Ertms (utilizzati sui binari delle linee Alta Velocità) e dai diversi sistemi di alimentazione per la trazione.

I nuovi treni dovranno poi rispondere ai migliori standard previsti dalla normativa nazionale e internazionale e utilizzare tutte le migliori soluzioni per lo sfruttamento delle caratteristiche di velocità e accelerazione, oltre che per l'ergonomicità e funzionalità degli interni. Riassumendo con uno slogan, i nuovi treni saranno i "Frecciarossa" dei treni regionali, «un salto nella modernità che conferma l'attenzione allo sviluppo dei servizi commerciali regionali del gruppo Ferrovie dello Stato Italiane». Un salto nella modernità dal quale è esclusa, ancora una volta, la Calabria.


Il ministero della Giustizia è in mano ai 'ndranghetisti/massoni?

SOSTEGNO MASSIMO AL PROCURATORE NICOLA GRATTERI. IL J’ACCUSE DEL POPOLO ONESTO CALABRESE. NEGLIGENZE VOLUTE? 

Giu 12, 2020, 19:03 Pm 

Dopo l’audizione, presso la Commissione Parlamentare Antimafia, del Procuratore di Catanzaro, dr. Nicola Gratteri, sono emersi particolari inquietanti, vergognosamente incredibili, che, purtroppo, però, testimoniano lo stato in cui si trovano gli operatori del Bene e della Giustizia, in questa epoca permeata dall’ipocrisia, dalla falsità e dalla mistificazione. Un eroe combattente delle Istituzioni e della Legalità, come Nicola Gratteri, in prima linea, a livello mondiale, nel contrasto alla criminalità, anziché essere protetto con i migliori sistemi e mezzi, oltre che con le migliori risorse, viene, stranamente, trascurato e per ottenere un mezzo corazzato, utile per la propria sicurezza e degli addetti delle Forze dell’Ordine, a lui vicini, ci vuole l’intervento del Capo della Polizia, il bravissimo prefetto Gabrielli. Sembrerebbe una situazione surreale ma, purtroppo, è la dura e cruda realtà. Si sa che sono, sicuramente, tanti, i nemici della verità e della giustizia che vogliono contrastare l’attività del Procuratore Nicola Gratteri. I tantissimi cittadini onesti che, molte volte, non possono gridare a gran voce il proprio sostegno al dr. Gratteri, sono a conoscenza che non c’è mafia più subdola, odiosa e terribile di quella dei colletti bianchi, che, parallelamente o a braccetto con la criminalità organizzata, cancro della Calabria (dell'Italia), mistica, ipocritamente, la realtà per destabilizzare i giusti e negare la verità. A guardare i fatti, è evidente l’azione di contrasto, di “individui mascherati” anziché alla ‘ndragheta, alle iniziative di giustizia e ripristino della legalità del dottor Gratteri e di altri suoi colleghi e collaboratori. Dove si vuole arrivare? Chi si dovrebbe (o deve) vergognare, per quanto accaduto e sta accadendo, avrà la compiacenza e l’onestà intellettuale di farlo? Alcune “dimenticanze”, negligenze, omissioni, sono imputabili al fatto che molti mediocri siano saliti in cattedra, rivestendo ruoli importanti? O, piuttosto, al fatto che si vuole che “con la quale e senza la quale tutta rimanga tale e quale”, esponendo il procuratore Gratteri a rischi estremi? Il popolo calabrese (il popolo italiano tutto) onesto è stanco, indignato, arrabbiato, per il modo in cui non viene supportato e tutelato un proprio corregionale (un italiano) esempio di abnegazione, giustizia e elevatissima professionalità oltre che senso del dovere, a livello internazionale. Il “J’accuse” del popolo calabrese (italiano) è chiaro e inequivocabile. Chi ha orecchi per intendere, intenda!!! 

Servizio di G.Cavallo

Energia pulita - L'Australia prima della Germania ha puntato sull'idrogeno verde

L’AUSTRALIA PUNTA SULL’IDROGENO
11/06/2020 - Admin


Si e’ tenuto a Canberra, presso il Department of Foreign Affairs and Trade (DFAT) un briefing sulla posizione australiana in materia di cambiamenti climatici e sulla strategia nazionale relativa allo sviluppo dell’utilizzo dell’idrogeno e di tutta la relativa filiera industriale.

L’On. Simon Birmingham – Ministro per il commercio il turismo e gli investimenti – ha illustrato l’impegno concreto dell’Australia nel ridurre le emissioni di CO2. Jamie Isbister, nel suo ruolo di “ambasciatore per l’ambiente” del DFAT ha riconosciuto il nesso tra i cambiamenti climatici in atto e i sempre piu’ frequenti e devastanti fenomeni naturali, riaffermando la volonta’ e l’impegno dell’Australia ad ottemperare agli accordi di Parigi 2015.

Il capo scienziato australiano, Dr. Alan Finkel, ha illustrato lo stato della ricerca Australiana nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili e pulite ed il documento di strategia Nazionale dell’Australia sull’Idrogeno pubblicato a Novembre 2019 ( https://www.industry.gov.au/sites/default/files/2019-11/australias-national-hydrogen-strategy.pdf ). L’analisi presentata indica un potenziale di sviluppo per migliaia di nuovi posti di lavoro, e miliardi di dollari di crescita economica tra oggi e il 2050.

Quale seguito concreto alle dichiarazioni sopra riportate, in data 4/5/2020 il governo australiano ha istituito un fondo da $ 300 milioni dedicato a sostenere progetti basati sull’utilizzo di idrogeno per lo sviluppo di un’industria australiana dell’idrogeno pulita, innovativa, sicura e competitiva. L’Advanced Hydrogen Fund sara’ amministrato dalla Clean Energy Finance Corporation (CEFC) https://www.cefc.com.au/media/files/cefc-welcomes-launch-of-new-300-million-advancing-hydrogen-fund/. Si stima che l’utilizzo dell’idrogeno possa portare ad una riduzione di circa il 30% delle emissioni di gas serra in Australia.

Nei fatti la Barbara Fabrini si muove per favorire la 'ndrangheta. Negli anni la 'ndrangheta/massoneria ha piazzato nei gangli della pubblica amministrazione i propri uomini che alla bisogna rallentano velocizzano le pratiche secondo la convenienza degli interessi mafiosi. Mai stupirsi delle riprove anche nella ricerca lentissima e mai decisa per l'aula bunker provvisoria e definitiva per la procura di Catanzaro una delle più vive nel contrasto della 'ndrangheta. Solo dopo l'incontro con il ministro Bonafede la situazione si è sbloccata magicamente

Gratteri in Antimafia: «Così cosche e 
massoneria deviata provano a 
delegittimarmi» 

Più di un’ora e mezza di audizione per il procuratore capo di Catanzaro davanti alla commissione parlamentare Antimafia. Il racconto di un anno e mezzo di ostacoli per celebrare il processo “Rinascita-Scott”. Le “disavventure” per ottenere un’auto blindata. Problemi ancora da affrontare: «Mancano 18 ufficiali di polizia giudiziaria». E quelle «persone indagate preoccupate per la mia presenza a Catanzaro» 

11 giugno 2020, 21:47di Alessia Truzzolillo 

ROMA «Non c’è stato impegno da parte del personale del ministero della Giustizia, questo penso». È bastato mettere il pepe sulla coda del dicastero alla Giustizia con il clamore mediatico e un’interrogazione parlamentare per trovare la soluzione. E la soluzione per affrontare il problema, 
impellente, della fase preliminare del maxi-processo “Rinascita-Scott” – 476 indagati e 205 parti offese –, il cui inizio è previsto per fine luglio e il termine (per la sola preliminare) a fine dicembre, è una tensostruttura nel cortile del carcere di Catanzaro. Dopo un anno e mezzo di incontri, comunicazioni e conferenze permanenti il problema si è sbloccato solo due giorni fa con l’intervento diretto del Guardasigilli Alfonso Bonafede. Il procuratore di Catanzaro Nicola Gratteri, giovedì, davanti alla commissione parlamentare Antimafia, lo ribadisce: «Non c’è stato impegno da parte del personale del ministero della Giustizia, questo penso». Oltre alla tensostruttura, c’è un edificio del Dap nuovo di zecca mai usato, al centro di Catanzaro, dietro al Tribunale per i minori, che in 12 mesi potrebbe essere adeguato e divenire l’aula bunker definitiva per il distretto di Catanzaro. E forse sarebbe già pronta se l’iter della ricerca non avesse trovato gli intralci di un disimpegno senza alcuna valida motivazione, del “No” offerto come unica soluzione. Ma procediamo con ordine. 

CRONISTORIA DI UN DISIMPEGNO 

La relazione del procuratore Gratteri in commissione Antimafia è cronologicamente inoppugnabile. 
Il 19 dicembre 2019, 334 persone in tutta Italia sono state arrestate nell’ambito dell’operazione dei 
carabinieri denominata “Rinascita-Scott”. Gli indagati, in quella prima fase, erano in tutto 416. Colpita al cuore la ‘ndrangheta vibonese con tutte le sue famiglie. Non solo. Avvocati, politici e professionisti di riferimento della feroce consorteria sono finiti nelle maglie dell’operazione che ha messo in luce il solido collante costituito dalla massoneria deviata. 
Si prospetta da subito la necessità di un’aula bunker e viene investito del problema il ministro Bonafede il quale convoca i propri collaboratori per avvertirli di fare tutto ciò che è necessario a trovare una soluzione perché, parole del ministro, «si sta costruendo un contrasto serio alla ‘ndrangheta». «Nella realtà così non è accaduto», spiega Gratteri. In verità già il 29 marzo 2019, il presidente della Corte d’Appello Domenico Introcaso, visto quanto si prospettava all’orizzonte, aveva scritto al capo di Gabinetto e al Dipartimento per il reperimento delle strutture idonee per avere una struttura idonea a creare un’aula bunker per contenere almeno 500 persone. «Dal 29 marzo 2019, formalmente – dice Gratteri – nessuno ci ha chiamato se non l’8 gennaio 2020 (quindi quando in tutta Italia era già scoppiato il clamore della maxi-operazione, ndr)». In quella data si fa una riunione nella stanza del capo di gabinetto del ministro della Giustizia, Baldi, alla quale era presente il vicecapo di gabinetto Massaro, la dottoressa Barbara Fabbrini, a capo del dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, e altri magistrati e dirigenti del ministero della Giustizia. Memore del maxi-processo Aemilia, che si è tenuto in una tensostruttura, il procuratore Gratteri, durante quella riunione propone utilizzare la stessa soluzione costata circa 450mila euro. 

TENSOSTRUTTURE E DRONI 

Ma arriva il primo no dalla Fabbrini la quale sostiene che la criminalità tramite un drone avrebbe potuto sganciare una bomba sulla tensostruttura. Un’ipotesi apparsa subito improbabile a un magistrato come Gratteri, sotto scorta dal 1989, e con qualche nozione sulle dinamiche delle ‘ndrine che mai colpirebbero un luogo che accoglie non solo i magistrati ma anche avvocati e detenuti. Senza contare che esistono gli inibitori di droni e che già a Vibo era stato abbattuto dai carabinieri un drone che svolazzava su una caserma. Il procuratore lo fa presente e da quel momento è un susseguirsi di chat e chiamate per trovare una soluzione. Gratteri ricorda tre conferenze al ministero della Giustizia alle quali ha partecipato con il presidente di Corte Introcaso: il 28 gennaio, il 10 febbraio e il 28 febbraio. Il 28 febbraio viene proposto di usare il Palamaiata di Vibo, un palazzetto dello sport da 3.200 posti dove gioca la squadra di Volley Tonno Callipo. La Provincia di Vibo è disposta a venderlo per 4 milioni di euro e il presidente della squadra, che ha in concessione la struttura, è disposto a rinunciare alla concessione e ai 300mila euro che ha anticipato per adeguare il palazzetto. Sembra fatta. Il 4 marzo un nuovo incontro nell’aula Livatino al ministero «ma il demanio non era disposto a spendere 4 milioni di euro», racconta il procuratore. 

La situazione è in pieno stallo. Barbara Fabbrini mette i magistrati di Catanzaro davanti all’unica possibilità che i collaboratori incaricati dal ministro hanno trovato: celebrare il processo fuori dalla Calabria, a Palermo, a Napoli o a Roma. «Sarebbe una grande sconfitta per lo Stato se un processo venisse, per la prima volta, celebrato lontano dal luogo del commesso reato», dice Gratteri con rammarico. E pensare che lo sblocco per i lavori della nuova Procura di Catanzaro, che sarà pronta per luglio 2021, è avvenuta nell’arco di un pomeriggio in un incontro con gli ex ministri Orlando e Delrio. Non le manda a dire il procuratore Gratteri, la sua audizione è un fiume in piena, tira tutti giù dalla croce, fa nomi, elenca i fatti. «Devo dire che il vicecapo di gabinetto Massaro ci è stato sempre vicino, quantomeno sul piano morale», racconta. 

Nel frattempo si diffonde la notizia del processo fuori regione. L’onorevole Wanda Ferro, di FdI, fa un’interrogazione parlamentare, la commissione parlamentare Antimafia, presieduta dal grillino Nicola Morra convoca il procuratore. C’è agitazione a livello bipartisan. Due giorni fa l’incontro con il ministro. Un incontro durato più di un’ora. «I suoi collaboratori, ministro, non l’hanno ascoltata, non ci hanno aiutati», gli dice Gratteri. E i problemi, aula bunker a parte, sono molteplici: mancano 18 ufficiali nella sezione di polizia giudiziaria, c’è la vicenda della macchina blindata per la protezione del procuratore e il problema delle piante organiche. Col ministro viene percorso un intero anno di richieste e proposte inascoltate. 

LA TENSOSTRUTTURA DIVENTA POSSIBILE 

Nel corso delle riunione con Bonafede è stata convocata la Protezione civile che si è mostrata disponibile a montare una tensostruttura nel carcere di Catanzaro Siano per fare udienza preliminare. La tensostruttura è diventata magicamente possibile. È stato inoltre individuato, dopo un giro di perlustrazione con il sindaco Sergio Abramo di Catanzaro, l’edificio ancora “incellofanato” di proprietà del Dap. Le soluzioni si sono improvvisamente profilate all’orizzonte dopo un anno e tre mesi. 

LE FORZE CONTRO 

Al procuratore viene chiesto il perché di quelle forze che tendono a rallentare il lavoro sul distretto di Catanzaro. «Devo essere generico nella mia risposta – dice Gratteri – perché rischierei di violare il segreto istruttorio. Ci sono persone indagate che sono preoccupate per la mia presenza a Catanzaro. Ci sono disegni di delegittimazione sulla mia persona, tentativi di delegittimazione attraverso il dossieraggio e l’invenzione». L’arma usata, spiega Gratteri, è quella della stampa, di determinate testate, anche online. «Ho 62 anni e non ho mai denunciato nessuno, anche se ora smetto – dice Gratteri –. La verità è che la mia credibilità manda ai matti la ‘ndrangheta e la massoneria deviata». 
La risposta è la fiducia della gente, dei «calabresi che sono stati quasi sempre usati e presi in giro» e che oggi fanno la fila davanti alla sua porta per denunciare i mali che li affliggono. «Ci sono centri di potere, ma ho le spalle larghe e i nervi d’acciaio perché sono abituato a tenere botta da 30 anni e non farò mai falli di reazione perché ho un obbiettivo, quello di fare bene il mio lavoro». A fare “rosicare” le forze avverse è anche la nuova gestione della Procura di Catanzaro. «Quando sono arrivato (a maggio 2016, ndr) c’erano arretrati da 16 anni. Oggi l’ultima ispezione del ministero ci ha definiti un modello per le Procure d’Italia»

TRIBUNALI DISTRETTUALI E LEGGE SEVERINO 

Gratteri batte il ferro sulla necessità istituire i tribunali distrettuali. «Ho sette magistrati che ogni giorno si spostano, con grande dispendio di tempo ed energie, per raggiungere i Tribunali di mezza Calabria, a Castrovillari, a Paola, a Crotone, a Vibo. Sono viaggi. Quando la politica si deciderà a istituire i tribunali distrettuali sarà sempre tardi». E per quanto riguarda la legge Severino e il bisogno di rinnovare la pianta organica, non mancano esempi e soluzioni. «La Sicilia ha 4 Corti d’Appello, alcune distanti tra loro di soli 65 chilometri – spiega –, la Lombardia ha due Corti d’Appello». Senza andare troppo lontano: «La Procura di Paola si trova a 30 chilometri da Cosenza ed è ancora aperta mentre è stato soppresso il Tribunale di Rossano che costringe a rivolgersi a Castrovillari che è difficile da raggiungere». «Gli sprechi mi danno molto fastidio», chiosa. 

LA MACCHINA BLINDATA 

Nel corso dei suoi giri «col cappello in mano», Gratteri ha chiesto di tutto per il proprio Ufficio, stampanti nuove comprese. Riesce a scherzarci anche su: «Vorrei che mi sequestrassero il telefono per fare vedere le mie chat – dice – non è bene chiede per sé ma per il proprio Ufficio sì». Ha chiesto anche un’auto blindata, viste le gravi minacce che erano scaturite proprio in seguito all’inchiesta “Rinascita-Scott”. «A gennaio 2020 mi è stata assegnata una scorta di primo livello. Purtroppo spesso in Italia si abusa di scorte e di tutele ma io so bene quello che posso fare e quello che non posso fare, so quanto costa una scorta e quanto costa una tutela. La credibilità passa anche da questi dettagli. Quando ho chiesto l’auto blindata al ministero della Giustizia, sapevo che il Dap aveva due Jeep grand cherokee bianco panna, nuove, da immatricolare. Ne ho chiesto una. Mi è stato detto che non me la si poteva dare perché la può guidare solo la polizia penitenziaria poiché è notorio che io dall’89 non ho autista e guido la macchina da me, per mia scelta. E’ stato grazie alla sensibilità del Capo della Polizia se ho ottenuto due jeep uguali, una per me e una per la scorta. Dopo 4 mesi il ministero della Giustizia mi risponde che a mia disposizione c’è una Subaru da 120mila chilometri. Il problema non erano i chilometri ma il fatto che quella macchina a febbraio si era rotta sul raccordo anulare durante un mio spostamento. Io faccio 5.000 chilometri al mese per lavoro. La macchina non era adeguata e non ho potuto prenderla». Il problema ad avere le macchine del Dap pare fosse l’impossibilità di immatricolarle causa Coronavirus. Solo due giorni fa si è sbloccata la situazione, sempre grazie alla chiacchierata col ministro Bonafede. 

È durata oltre un’ora e mezza l’audizione del Procuratore capo di Catanzaro, un uomo pratico «un agricoltore infiltrato nella magistratura», che ha invitato i parlamentari ad ascoltarlo e raccogliere i suoi suggerimento per costruire «una Calabria diversa». (a.truzzolillo@corrierecal.it)

La divisione che scuote il Vaticano è la medesima della guerra esistente negli Stati Uniti tra visioni diverse di capitalismo. Finchè lo diceva Giulietto Chiesa, il complottista, ma quando la marea giunge e lambisce i posti dedicati alla sacralità ...

VATICANO

L'elogio di Trump a Viganò, il vescovo che vuole le dimissioni del Papa, per una lettera su virus e Floyd

«Leggetelo tutti»: il Tweet del presidente Usa all’ex nunzio che considera l’emergenza Covid e le proteste per George Floyd un complotto dei «figli delle tenebre» per instaurare «un Nuovo Ordine Mondiale»

di Gian Guido Vecchi
11 giugno 2020


CITTÀ DEL VATICANO — «Così onorato dalla lettera incredibile dell’arcivescovo Viganò per me. Spero che ognuno, religioso o no, la legga!». Il tweet postato nella notte italiana da Donald Trump definisce un fronte, rende esplicito ciò che era già chiaro da anni. Perché «l’arcivescovo Viganò» dal quale il presidente Usa si sente «onorato», è lo stesso ex nunzio a New York - Carlo Maria Viganò — ora in pensione che già nel 2018 chiese le dimissioni di Francesco e nel frattempo lo ha accusato, tra le altre cose, di essere «dalla parte del Nemico», cioè Satana, e guidare con un «falso magistero» una Chiesa che vuole essere «braccio spirituale del Nuovo Ordine Mondiale e fautrice della Religione Universale» per rendere concreto «il piano della Massoneria e la preparazione dell’avvento dell’Anticristo».

So honored by Archbishop Viganò?s incredible letter to me. I hope everyone, religious or not, reads it! https://t.co/fVhkCz89g5— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 10, 2020

Una rete in odore di scisma

In questi anni le parole dell’ex nunzio sono state diffuse attraverso quella rete in odore di scisma che ha il suo centro negli Stati Uniti, tra finanziatori potenti, media e siti internet ultraconservatori e sovranisti. Lo stesso linguaggio apocalittico e manicheo, scandito dai toni stravaganti delle teorie della cospirazione — l’emergenza pandemia e le proteste per la morte di George Floyd viste come una campagna orchestrata dai «figli delle tenebre» destinati alla «dannazione eterna» che vogliono un «Nuovo Ordine Mondiale» — si legge nella lettera pubblica a Trump che Viganò ha diffuso pochi giorni fa attraverso il sito LifeSiteNews e inizia così:

«Signor Presidente, stiamo assistendo in questi mesi al formarsi di due schieramenti che definirei biblici: i figli della luce e i figli delle tenebre».

La tesi di fondo è che l’ ondata di proteste dopo la morte di George Floyd abbia mostrato che nella società convivono «due realtà contrapposte, eterne nemiche come eternamente nemici sono Dio e Satana», ovvero «la stirpe della Donna e la stirpe del Serpente». A proposito delle manifestazioni «Black Lives Matter», l’arcivescovo scrive: «Pare che i figli delle tenebre — che identifichiamo facilmente con quel deep stateal quale Ella saggiamente si oppone e che ferocemente le muove guerra anche in questi giorni — abbiano voluto scoprire le proprie carte, per così dire, mostrando ormai i propri piani».

La teoria della cospirazione risale all’emergenza Covid, definita «una colossale operazione di ingegneria sociale» nella quale «vi sono persone che hanno deciso le sorti dell’umanità, arrogandosi il diritto di agire contro la volontà dei cittadini e dei loro rappresentanti nei governi delle Nazioni». Secondo Viganò «è di tutta evidenza che il ricorso alle proteste di piazza è strumentale agli scopi di chi vorrebbe veder eletto, alle prossime presidenziali, una persona che incarni gli scopi del deep state e che di esso sia espressione fedele e convinta». Perciò «non stupirà apprendere, tra qualche mese, che dietro gli atti vandalici e le violenze si nascondono ancora una volta coloro che, nella dissoluzione dell’ordine sociale, sperano di costruire un mondo senza libertà: Solve et coagula, insegna l’adagio massonico».

L’arcivescovo ne ha anche per la Chiesa, ovviamente: «Come vi è un deep state, così vi è anche unadeep Church che tradisce i propri doveri e rinnega i propri impegni dinanzi a Dio».

Le parole di Francesco per la Chiesa americana

La scorsa settimana, Papa Francesco aveva ringraziato la Chiesa americana per «il loro tono pastorale nella risposta della Chiesa alle manifestazioni in tutto il Paese e nelle loro dichiarazioni e azioni dopo la morte di George Floyd» e incoraggiato l’impegno dei vescovi con parole sferzanti per la parte integralista e «pro life» del cattolicesimo americano, vicina a Trump: «Non possiamo tollerare né chiudere gli occhi su qualsiasi tipo di razzismo o di esclusione e pretendere di difendere la sacralità di ogni vita umana».

Martedì, dopo la dura repressione contro i manifestanti intorno alla Casa Bianca, Trump si era fatto fotografare e filmare con la moglie davanti alla statua di Giovanni Paolo II nel Santuario nazionale di Washington dedicato a Wojtyla e costruito dai Cavalieri di Colombo, potente e ricchissima organizzazione cattolica di stampo conservatore. L’arcivescovo di Washington Wilton D. Gregory, primo pastore afroamericano nella storia della capitale americana, nominato da Francesco l’anno scorso, aveva reagito con durezza: «Trovo sconcertante e riprovevole che qualsiasi istituzione cattolica accetti di essere manipolata e che di essa si faccia cattivo uso in maniera da violare i nostri principi religiosi, che invece ci chiamano a difendere i diritti di tutte le persone, anche di quelle con le quali possiamo non essere d’accordo». Di lì a poco, Viganò aveva definito Gregory un «falso pastore».

Così Viganò scrive nella lettera a Trump: «È sconcertante che vi siano vescovi – come quelli che ho recentemente denunciato – che, con le loro parole, danno prova di essere schierati sul fronte opposto. Essi sono asserviti al deep state, al mondialismo, al pensiero unico, al Nuovo Ordine Mondiale».

Questa è la lettera che Trump invita tutti a leggere. Un mossa che potrebbe spaccare la Chiesa americana o rivelarsi il classico boomerang: l’elogio scoperto al fronte più oltranzista potrebbe mettere in imbarazzo grave la «zona grigia» della Chiesa Usa, quella parte della Chiesa americana vicina ai repubblicani e che finora ha guardato di buon occhio a Trump (ancora qualche settimana fa, il cardinale di New York Timothy Dolan ne elogiava «la leadership» dal pulpito della cattedrale di St. Patrick) senza per questo sostenere le derive della parte scismatica. Che nel frattempo aveva trovato sponde, più o meno consapevoli, anche in Vaticano: un «appello» di Viganò dai toni analoghi — l’emergenza Covid come un «pretesto» per «ledere i diritti inalienabili dei cittadini» —un mese fa è stato pubblicato con le firme del cardinale Gerhard Ludwig Müller (ex prefetto della Dottrina della Fede) e Joseph Zen (vescovo emerito di Hong Kong, il più tenace oppositore del dialogo fra Vaticano e Cina) e anche del cardinale Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il Culto divino, già al centro delle polemiche per il libro scritto «a quattro mani» con Benedetto XVI, che ha poi ritirato il sostegno.

Quella del Mes sembra ormai una televendita

Senza la firma del Mes l’Italia non avrà più aiuti dalla Bce

L'ultima mossa tedesca
Federico Ferraù intervista Alessandro Mangia
9 giugno 2020

Sarà la Banca centrale europea a determinare l’ingresso dell’Italia nel Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Ecco come


L’Italia, grazie al governo Conte, entrerà – o meglio, dovrà entrare – nel Mes per non vedersi rifiutare gli acquisti di Btp dalla Banca centrale europea. È un rovesciamento di prospettiva: finora gli avversari del vincolo esterno si sono opposti al Mes contando sugli acquisti della Bce. C’è la Bce, dunque il Mes non ci serve. Ma se la Bce dovesse interromperli? Lo scenario è l’ingresso dell’Italia nel Mes come contropartita degli acquisti: il nostro paese dovrebbe entrare nel Meccanismo europeo di stabilità per consentire la prosecuzione degli acquisti illimitati. Con Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, cominciamo dalla fretta che Christine Lagarde ha messo ieri alla Commissione. La presidente della Bce ha chiesto di approvare rapidamente il Bilancio 2021 e il Recovery Fund. Come dire, sbrigatevi, perché il gioco non può continuare.

* * * *

Da Lagarde è arrivata una sorta di “fate presto” con il Recovery Fund. È così decisivo?

Beh, decisivo per chi? Bisogna distinguere. Ci sono paesi messi meglio e paesi messi peggio. Noi, naturalmente, siamo tra quelli messi peggio. Se pensa che solo una settimana fa Visco ha preannunciato un calo del 13% sul Pil, si ha la misura della situazione.

Obiezione: a che cosa ci servono i prestiti di Recovery Fund e Mes se la Bce sta facendo gli “straordinari”?

A rigore non dovrebbe servire a nulla. La Bce sta facendo quello che avrebbe fatto la Banca d’Italia prima del divorzio Ciampi-Andreatta del 1981. Che è poi quello che stanno facendo tutte le banche centrali del mondo. Solo che lo deve fare di nascosto, coprendosi dietro cortine fumogene.

Secondo la vulgata dei giornali questa attività avrebbe dovuto essere svolta sotto l’etichetta di Programma Omt (Outright Monetary Transactions), per singoli paesi in crisi, e solo dopo attivazione del Mes. E dunque solo dopo assoggettamento a sorveglianza rafforzata e aggiustamento macro, ai sensi del Trattato Mes e del Reg. 472.

Bene. E se mettiamo da parte la vulgata?

La Bce è stata costretta ad anticipare i tempi: compera tutto quel che deve comperare e poi qualcuno si attende che si entri nel Mes come contropartita. Da qui le pressioni concentriche.

Ampie, molto ampie. A cominciare dalle parti sociali come Confindustria.

Non capiscono le implicazioni che avrà il Mes sul sistema bancario italiano e sulle loro possibilità di finanziamento future. Molti auguri a loro.

E poi ci sono le pressioni di alcuni partiti.

Soprattutto di qualche partito che, a Mes attivato, spera di continuare a governare l’Italia per conto terzi, come sta facendo adesso. Ma anche dei funzionari del Mes, che rilasciano interviste da piazzisti promettendo sconti a prestiti che nessuno vuole, a parte il partito del vincolo esterno.

Che impressione le fa il confronto sul Trattato?

Quella del Mes sembra ormai una televendita: più si aspetta più il prezzo per entrare si abbassa. Ma più che i funzionari del Mes, che dal 2013 non fanno nulla a parte intermediare sulla piazza lussemburghese in una condizione di assoluta immunità da ogni giurisdizione, stupisce chi se ne fa fautore, favoleggiando di rinnovi del sistema sanitario nazionale con un finanziamento a termine e a condizioni capestro.

Finora l’iniziativa di Francoforte poggia esclusivamente sull’importanza dell’Italia per l’eurozona, sul nostro essere “troppo grandi per fallire”. E invece?

E invece la Bce, pur facendo tutto quel che dovrebbe fare una banca centrale, ha i suoi problemi. In Germania e non solo in Germania il fastidio verso il Pepp è fortissimo, visto che è un aggiramento se non una violazione dei Trattati. Tant’è vero che in Germania è all’ordine del giorno il dibattito sull’opportunità di lasciare la zona euro per non vedere trasformata l’Unione in una Unione di trasferimento. Altro che momento Hamilton.

Infatti ieri Stiglitz in una intervista al Fatto Quotidiano ha detto che “se tornerà il Patto di stabilità (…) per l’Eurozona sarà un disastro”.

È così. Non durerebbe sei mesi. Che Lagarde ci dica che in Bce ci si aspetta una recessione dal 5% a una del 12% nell’area euro per quest’anno, con un’ipotesi centrale dell’8%, dovrebbe dirla tutta sulle prospettive di tenuta.

Fino ad oggi il Mes serviva ad attivare il programma Omt. Lo schema può essere ribaltato così facilmente? O firmi il trattato, o smetto di acquistare?

È chiaro che qui siamo fuori dall’ipotesi Omt e in un terreno inesplorato. Se lo chiamiamo un Omt anticipato forse si capisce meglio. Cosa succede se dall’oggi al domani la Bce, o meglio la Banca d’Italia su mandato Bce, smette di comperare sul mercato secondario, come già è successo in passato? È chiaro che ci troviamo in una situazione in cui i discorsi classici sull’indipendenza delle banche centrali si capovolgono. Oggi da difendere non è l’indipendenza della Bce dai governi, ma l’indipendenza dei governi dalla Bce.

Alla luce di questo, la dialettica sì/no Mes (con ingresso nelle condizionalità europee) e affidamento alla Bce, appare un problema inesistente: sarebbe risolto in partenza.

Le condizionalità ci sono sempre state, ci sono, e ci saranno, finché non si interviene sulla disciplina in vigore. E non saranno le interviste di Regling o i tweet di qualche commentatore nostrano a levarle di mezzo. Semmai a stupire sono due cose.

Ci dica.

Che non si parli di sospendere o derogare il Reg. 472 che impone sorveglianza rafforzata e aggiustamento macro. E che, con condizioni di mercato tanto favorevoli, il Tesoro non approfitti della situazione per finanziarsi. Che si mettano sul mercato 15 mld con una richiesta di 100 è singolare, no? Sembra quasi che si voglia restare con la cassa prosciugata per poter dire che non si possono non prendere 36 mld e finire in mano alla troika.

Il 5 giugno la Grecia ha detto no al Mes sanitario.

Anche se ormai il Mes viene offerto a tassi negativi sul finanziamento settennale, non lo vuole nessuno, e chi se lo è preso come la Spagna ne è voluto uscire prima del tempo. Questo dovrebbe dire qualcosa.

Insomma lo si vuole solo in Italia.

Lo si vuole solo in Italia e solo da qualcuno. Chissà perché. Mi sembra un fatto molto politico e molto poco economico.

Quali sarebbero le conseguenze per le nostre banche?

Con una recessione annunciata da Bankitalia di almeno il 13% ha idea dove andranno i Npl nei prossimi mesi? E le difficoltà di finanziamento delle imprese? Altro che 2011. E con un debito pubblico downgradato dalla presenza di creditori privilegiati, dove andrà il valore del debito pubblico che hanno in pancia?

Intanto si può fare affidamento sugli acquisti Bce per evitare un downgrade repentino…

Ma questi prima o poi questi acquisti finiranno. E allora? Per non parlare del fatto che il 5 agosto ci sarà la resa dei conti di fronte alla Corte di Karlsruhe sugli acquisti selettivi della Bce. E non è un mistero che in Bce ci si prepari al peggio. La verità è che uscire dall’euro in Germania non è affatto un tabù come da noi. Basta leggersi la Faz o la Bild per averne un’idea.

Non le pare che la “riforma” via Ue/Bce di questa Italia post Covid vada perfettamente a braccetto con una riduzione dei parlamentari e un sistema proporzionale?

Quella riforma è stato un tributo pagato dal Pd a M5s per potere andare al potere meno di un anno fa. Adesso i ruoli si sono invertiti, i 5 Stelle non esistono più politicamente e servono solo come massa di manovra al Pd in cambio di un prolungamento della legislatura. Il problema che abbiamo da quasi trent’anni è quello di una Repubblica parlamentare senza più partiti, costretta a farsi governare da presidenza della Repubblica e magistratura.

In un quadro del genere lei che cosa si aspetta?

Come minimo, l’assalto delle categorie che si aprirà nel gennaio 2021, quando arriveranno i primi prestiti dall’Europa sotto specie di Recovery Fund. Tutti hanno bisogno di soldi, e quindi è un momento di grandi occasioni che aprirà la sagra del peggio. Tutti alla ricerca di mance e mancette, come ai tempi delle finanziarie di trent’anni fa.

Con quale differenza?

Con la differenza che adesso il paese è molto più povero e disarticolato. E senza classe politica. Tant’è vero che invece di rivolgersi ai partiti, ci si rivolge alle task force.

Germania e Olanda hanno torto a diffidare dell’Italia?

Non mi sorprende, se pensa a quello che le ho appena detto. Né mi sorprende che spingano per un commissariamento del paese via Mes. Che però andrà a loro vantaggio, come in ogni economia di estrazione che si rispetti.

Il fallimento della Deutsche Bank si rivelerà per il sistema finanziario globale una catastrofe di gran lunga peggiore rispetto al crollo di Lehman Brothers del 2008

Se crolla Deutsche Bank, crolla l’Europa

DI GIANCARLO MARCOTTI
12 giugno 2020


Anche questo video nasce dalle vostre richieste, parecchi di voi, infatti, mi hanno chiesto di parlare della crisi di Deutsche Bank. E lo faccio molto volentieri.


Anche questo video nasce dalle vostre richieste, parecchi di voi, infatti, mi hanno chiesto di parlare della crisi di Deutsche Bank. E lo faccio molto volentieri. 

Naturalmente tutti voi sapete che Deutsche Bank è la più grande Banca tedesca, ma non tutti sanno che però non è una delle più grandi Banche al mondo. Normalmente la classifica delle Banche viene fatta per attivi, ossia per asset attenzione non per capitalizzazione.

Comunque questa è la classifica delle più grandi Banche al mondo, per coloro che non seguono normalmente i mercati finanziari potrà essere una sorpresa, ma vi assicuro che ormai da alcuni anni è così: ai primi quattro posti infatti abbiamo quattro banche cinesi. La più grande banca al mondo è la Industrial and Commercial Bank of China, che, come dice il nome si rivolge all’industria ed al commercio, al secondo posto la China Construction Bank, quindi per il comparto costruzioni, al terzo posto la Agricultural Bank of China quindi agricoltura ed al quarto la Bank of China ossia la Banca Centrale cinese.

Al quinto posto, anche in questo caso potrebbe sembrare una sorpresa, ma non abbiamo ancora una Banca americana bensì la giapponese Mitsubishi UFJ Financial Group, poi ecco la prima americana ossia JP Morgan Chase. A seguire la prima banca europea, il colosso britannico che però opera principalmente in Asia la HSBC ossia Hong Kong and Shanghai Banking Corporation. A seguire l’americana Bank of America, poi un’altra cinese, la China Development Bank, quindi due istituti francesi BNP Paribas e Credit Agricole. Ancora due Banche americane, Citigroup e Wells Fargo, due giapponesi, la Sumitomo Mitsui Financial Group e la Mizuho Financial Group.

Quindi ancora una sorpresa troviamo infatti una spagnola il Banco di Santander, ed eccoci finalmente al diciassettesimo posto troviamo Deutsche Bank. Per la vostra curiosità la prima italiana, Unicredit si trova al 33esimo posto mentre Banca Intesa è al 35esimo posto.

Ma torniamo a Deutsche Bank e cominciamo a parlare dei suoi guai, partendo dalla crisi finanziaria del 2008 che parte dagli Stati Uniti, ma come sapete investe tutto il mondo e Deutsche Bank non poteva esserne immune.

Ma non aveva fatto in tempo a smaltire le scorie della crisi internazionale che su Deutsche Bank cade un’altra tegola. Siamo nel 2011 e la Banca tedesca è molto esposta con titoli dello Stato greci.

Per sua fortuna (beh dai chiamiamola fortuna) la Bce continua a sovvenzionare la Grecia che quindi paga gran parte dei suoi titoli in scadenza anche se ad un certo punto non riesce ad evitare del tutto il default, Deutsche Bank deve incamerare perdite, ma, insomma, riesce a limitare i danni.

Visto quello accaduto in Grecia, la Banca tedesca teme che la crisi dei debiti sovrani si possa estendere anche al resto d’Europa ed allora corre a vendere titoli dello Stato italiano temendo appunto che anche il nostro Paese possa andare in default.

E fa una sciocchezza!!!

Quella svendita ovviamente fece crollare il prezzo dei nostri Titoli dello Stato, ma chi comprò quei titoli dopo il crollo delle quotazioni fece l’affare della vita perché successivamente, l’Italia, come tutti sappiamo, non andò in default e il valore di quei titoli quindi tornò a salire molto in fretta.

Si dice che la stessa Deutsche Bank ricomprò parte dei Btp (si parla di un paio di miliardi) che aveva venduto, ma anche se fu aperta un’inchiesta alla fine si risolse con un nulla di fatto anche perché nel frattempo erano cambiati i vertici della Banca.

Ma proseguiamo, ed arriviamo al 2016.

Deutsche Bank annuncia una perdita netta per 7 miliardi di euro, ma a far più impressione è l’annuncio dell’importo dell’esposizione in derivati: 42.000 miliardi di euro.

Attenzione qui, però a non fare confusione, perché alcuni giornali e qualche organo di informazione hanno erroneamente parlato di perdite sui derivati per 42.000 miliardi di euro.

Ovviamente non è così, non so se avete idea di cosa siano 42.000 miliardi, la Germania ha un Pil di 3.400 miliardi, quindi 42.000 miliardi sono oltre 12 volte il Pil tedesco, capite bene che se fossero perdite Deutsche Bank sarebbe più che fallita da diverso tempo.

Si tratta quindi dell’esposizione in derivati, ma certamente una cifra del genere è davvero stratosferica e soprattutto allarmante per una Banca europea, ad operare in derivati sono infatti soprattutto le Banche americane quindi Deutsche Bank non è la sola al mondo ad avere una esposizione del genere, solo per darvi un’idea, JP Morgan ha esposizioni in derivati per 48.000 miliardi di dollari, Citigroup per 47.000 miliardi di dollari e Goldman Sachs per 42.000 miliardi di dollari, quindi Deutsche Bank, sotto questo aspetto … è in buona Compagnia.

Per questo su qualche giornale sono anche comparsi dei titoli come: Deutsche Bank tu vo’ fa l’americano.

Passiamo al 2018, quando il Fondo Monetario Internazionale definisce Deutsche Bank “la principale fonte di rischio tra le maggiori banche mondiali” in quanto il settore finanziario tedesco svolge un ruolo cardine nell’economia globale. 

Ed i guai non solo non finiscono, ma si aumentano, Deutsche Bank viene infatti implicata nello scandalo dei Panama Papers: si evidenzia infatti che la Banca tedesca aveva aiutato i clienti a evadere il fisco e a trasferire denaro offshore. 

Proprio una bella Banca, cambiano gli Amministratori Delegati, ma le operazioni poco chiare anziché diminuire, si moltiplicano. 

La situazione si fa sempre più critica e, vista la crisi sempre più grave, lo scorso anno si parla anche di una possibile fusione con la seconda più grande Banca tedesca, Commerzbank che tuttavia non sembra esser messa molto meglio, comunque al momento non si è fatto ancora nulla.

Arriviamo così al 22 luglio scorso, Deutsche Bank annunciando l’ennesima trimestrale peggiore delle attese comunica l’uscita dall’attività di trading sulle azioni globali e soprattutto la decisione di procedere a 18.000 licenziamenti, in pratica un impiegato su cinque. 

Ma gli scandali non finiscono.

Avete presente Jeffrey Epstein l’imprenditore statunitense arrestato con una serie di accuse infamanti come abusi sessuali e traffico internazionale di minorenni, misteriosamente suicidatosi in carcere, almeno questa è stata la versione ufficiale, nello scorso mese di agosto.

Ebbene in quell’inchiesta è ora emerso che Deutsche Bank non solo avrebbe concesso a Epstein numerose linee di credito, ma gli avrebbe anche aperto decine di conti intestati a nominativi di fantasia. 

Perdonatemi, ma fatemi dire che le nostre banche le banche italiane sono gestite in maniera, molto più seria, porcherie del genere almeno ufficialmente, non sono mai emerse.

Comunque ora Deutsche Bank si sta giocando l’ultima carta, per cercare di recuperare un minimo di credibilità ha fatto un’operazione da libro cuore, nel mese di maggio i dirigenti non riceveranno lo stipendio, non verranno pagati.

Un’iniziativa spontanea degli stessi dirigenti? Sì, o meglio, no. E’ stata una iniziativa presa dal Direttore Esecutivo di Deutsche Bank, Christian Sewing, e l’adesione era su base volontaria.

Sembra che sia stata recepita da tutti i dirigenti, sono diverse centinaia, probabilmente anche perché se non l’avessero avallata forse sarebbero rimasti ancora per poco a lavorare in Deutsche Bank.

Ma fatemi concludere questo video con le considerazioni di due notissimi personaggi della finanza mondiale, l’analista finanziario, Michael Snyder ed l’investitore Jim Rogers.

Michael Snyder ha definito Deutsche Bank uno zombie che zoppica finché qualcuno non lo libererà dalle sue sofferenze”. Il fallimento della principale banca europea si rivelerà per il sistema finanziario globale una catastrofe di gran lunga peggiore rispetto al crollo di Lehman Brothers del 2008. E ha poi aggiunto

La Germania è un collante che tiene insieme l’UE. Se la banca principe del sistema finanziario di questo Paese viene meno, si produrrà molto velocemente un effetto domino. “Di conseguenza, l’Unione europea intera vivrà una fortissima crisi.

Mentre Jim Rogers, molti di voi lo conosceranno, un personaggio che non passa inosservato, eternamente con il suo papillon, comunque ha dichiarato:

Se Deutsche Bank fallisce, l’UE si sfalda perché la Germania non potrà né vorrà più sostenere l’Unione europea.

Infatti, la DB è il maggiore detentore al mondo di obbligazioni di Stato italiane, spagnole, portoghesi e di altri Paesi europei in difficoltà economica.

Qualora la situazione finanziaria di questo istituto di credito peggiori, la banca sarà costretta a svendere questi titoli a prezzi ben poco vantaggiosi. Questo priverà i Paesi europei più poveri della possibilità di attrarre nuovi prestiti. L’esito più probabile di questo scenario è il crollo dell’eurozona prima e dell’intera Unione europea dopo”.

Io me lo auguro.

venerdì 12 giugno 2020

Attali rivela i piani del capitalismo totale la cui Strategia della Paura e del Caos è alimentata ieri dal terrorismo oggi dai virus, ma l'eliminazione degli stati diventa difficile soprattutto se dietro ognuno di essi c'è una Nazione che rappresenta una storia una identità MA sopratutto un LINGUAGGIO formatosi in secoli, l'anima di un popolo


scritto da Econopoly il 12 Giugno 2020

L’autore del post è Enrico Mariutti, ricercatore e analista in ambito economico ed energetico. Founder della piattaforma di microconsulenza Getconsulting e presidente dell’Istituto Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG) – 

Ci sono eventi in cui si cristallizza lo spirito del tempo. E lo scontro tra Twitter, che ha deciso di iniziare ad applicare allarmi-bufale ai tweets del Presidente degli Stati Uniti (anche sul profilo ufficiale della Casa Bianca) e Donald Trump, che a sua volta ha denunciato pratiche censorie nei confronti dei conservatori minacciando di chiudere il social network, è uno di essi. 

Come potremmo definire questi anni? Certamente stiamo vivendo un periodo di transizione ma da dove veniamo e dove stiamo andando non è molto chiaro. Un pamphlet uscito una quindicina di anni fa, “Breve Storia del futuro” di Jacques Attali, ci aiuta intanto a individuare la cornice del nostro tempo: stiamo passando dall’ultima forma dell’Ordine Mercantile all’Iper-impero. Ma andiamo con ordine. 

Oggi il mondo parla “la lingua unica della moneta” ma non è sempre stato così. Prima di arrivare all’Ordine Mercantile la storia dell’umanità ha attraversato altri due ordini: l’Ordine Rituale e l’Ordine Imperiale. Semplificando, per millenni le comunità umane sono state governate dai sacerdoti e dai guerrieri poi, gradualmente, mercanti, banchieri e specialisti hanno preso il sopravvento, imponendo una nuova scala di valori e nuove priorità politiche. 

Nella schematizzazione proposta dall’economista francese ogni fase dell’Ordine Mercantile, la culla del Capitalismo, è legata a un cuore, “in cui si riunisce una classe creativa (armatori, industriali, mercanti, tecnici, finanzieri), caratterizzata dal gusto per il nuovo e dalla passione per la scoperta”. Intorno al cuore c’è un centro, “fatto di vecchi e futuri rivali in declino o in espansione”, e ancora oltre c’è la periferia, in cui esempi di ordini precedenti o modelli di sviluppo ibridi sopravvivono fornendo al cuore o al centro materie prime e forza lavoro sottopagata. 

Le nove forme dell’Ordine Mercantile 


J. Attali, Breve Storia del futuro, 2006, Fazi Editore 

La nona forma dell’Ordine Mercantile, quella californiana, ha portato però il modello al parossismo, mettendolo in crisi. La digitalizzazione e l’automazione stanno smaterializzando il cuore, slegandolo dal centro e dalla periferia. La classe creativa globale è diventata nomade, apolide, liquida. La globalizzazione ha rotto l’alleanza tra democrazia e mercato, ha trasformato gli Stati in “oasi in competizione per attrarre carovane di passaggio”. 

Nelle previsioni dell’economista francese il declino della democrazia di mercato aprirà le porte all’iper-Impero, una fase caratterizzata dalla capacità delle grandi corporation di orientare le scelte dei cittadini, dalla privatizzazione dei servizi fondamentali e dall’auto-sorveglianza, una nuova forma di controllo che non ci sarà imposta ma che richiederemo noi stessi per ottenere altri benefici (sicurezza, salute, socialità). In poche parole, la fine dello Stato nazionale. Nei giorni in cui un’azienda privata inizia ad applicare una “patente di verità” al leader democratico più potente della Terra, un’altra azienda privata manda in orbita un vettore intercontinentale (gli stessi che si usano per le testate nucleari) e si fa un gran parlare di app di tracciamento quella di Attali può sembrare una profezia più che una previsione. E invece è proprio qui che si inserisce il fattore che Attali non poteva immaginare e che potrebbe stravolgere il disegno dell’economista francese: la democrazia ha reagito all’ipertrofia del mercato. 

Il tramonto della nona forma dell’Ordine Mercantile, infatti, ha scatenato un effetto a catena. 

Da una parte, come aveva già ammonito più di vent’anni fa l’economista Dani Rodrik, la globalizzazione ha creato uno spartiacque tra vincitori e vinti, sia all’interno delle comunità nazionali, sia in seno alla comunità internazionale. 

Dall’altra, come osserva il politologo di Harvard Jeffry Frieden, si sono venuti improvvisamente a creare due vuoti nel panorama politico e culturale. Il rafforzamento dei legami economici e finanziari internazionali, infatti, ha messo in crisi il progresso sociale e le identità nazionali. Si tratta di uno scompenso classico nella storia del Capitalismo moderno, che segue ogni ondata di globalizzazione. Un secolo fa, quando il Gold Standard uniformò il sistema monetario globale, dalle tensioni sociali nacque il comunismo e dalla crisi delle identità nazionali scaturì il fascismo. Oggi, invece, la rabbia sociale e il collasso delle identità nazionali hanno alimentato una famiglia di sottoculture confluite in un’unica identità politica: il sovranismo. 

Quando si analizza il sovranismo bisogna scindere la dimensione del consenso, becera e pittoresca, e la dimensione strategica, cinica e pragmatica. L’obiettivo del sovranismo non è una nuova apartheid, non sono le parate militari, non è l’autoritarismo. La xenofobia, il nazionalismo e la retorica muscolare sono la strada più rapida per raccogliere voti in società sempre più divise e sfiduciate, sono solo mezzi per giungere a uno scopo. E lo scopo è cercare di ristabilire l’equilibrio tra democrazia e mercato, riaffermando al contempo l’egemonia dell’Occidente sul mondo. In poche parole, riportare le lancette della Storia indietro di trent’anni, al periodo aureo del Capitalismo californiano, il decennio della crescita infinita e dell’unipolarismo americano. 

Ma se il disegno, per quanto ovviamente discutibile e più o meno condivisibile, è così lucido e razionale, perché il sovranismo ha adottato una maschera così grottesca, perché si è scelto leader così inadeguati, perché ha aggregato il consenso di frange estremiste come gli integralisti religiosi, i suprematisti bianchi e complottisti di ogni sorta? In definitiva, perché correre il rischio di lacerare irrimediabilmente il tessuto sociale democratico? 

La risposta è semplice: perché presentandosi alle elezioni per quello che è il sovranismo non avrebbe nessuna chance di vincere. 

Come osserva Piketty, infatti, da tempo si è creata un’ampia convergenza tra le élites della cultura e le élites del mercato sulla base della convinzione che la Storia è finita con la caduta del Muro di Berlino, che tra 20 anni sconfiggeremo il cancro e che esisterà sempre un’oasi dove i creativi, i colti, i ricchi potranno condurre un’esistenza libera e tranquilla. Una pericolosa illusione, sempre più lontana dalla realtà. 

Il welfare e la sanità pubblica stanno collassando in gran parte delle democrazie di mercato, come ha dimostrato drammaticamente la pandemia di Covid-19, antiche ferite come gli scontri etnici e i conflitti di classe tornano a sanguinare, una dittatura controlla il 28% della capacità manifatturiera mondiale. La Storia si è rimessa improvvisamente in moto e ci sta conducendo dritti verso un futuro sempre più instabile e incerto. 

Il primo in Italia a rendersi conto della dimensione strategica del sovranismo e della stretta connessione tra il suo sviluppo e la riorganizzazione dell’economia mondiale è stato Romano Prodi, che in un’intervista al Sole 24 Ore del 2 dicembre 2018 diceva: 

«Questi rivolgimenti del contesto internazionale potrebbero presto presentare il conto», dice Prodi senza allure professorale o atteggiamenti da Cincinnato ritiratosi dalla politica. «Il primo fenomeno è il desiderio di autorità che si è propagato nel mondo, con il popolo che vuole un’autorità forte senza enti intermedi: la Cina e gli Stati Uniti, ma anche la Russia, l’Ungheria, il Brasile, le Filippine e la nostra Italia. Questo desiderio lo si percepisce in maniera quasi fisica. Il secondo fenomeno è l’attuale inedita fase di prevalenza della politica sull’economia: il che, con caratteri diversi, accade sia in Cina che negli Stati Uniti. In Cina, questa prevalenza è naturale ma ha assunto contorni nuovi. Xi Jinping ha definito le linee di concentrazione e di espansione interna e all’estero delle grandi imprese cinesi, elaborando una strategia precisa e lucida e sottolineando il loro legame e la loro dipendenza dal potere politico nel rapporto con il governo, il partito e l’esercito. E questa strategia fa il paio con un atteggiamento di consapevolezza del ruolo internazionale della Cina: nel discorso dell’ottobre del 2017 all’apertura del XIX congresso del Partito Comunista Cinese, Xi Jinping ha iniziato una nuova fase: non più una Cina all’inseguimento ma un modello che, per i suoi successi, diventa attrattivo, sottraendo il ruolo ai sistemi democratici. Questa tendenza ha come contraltare Donald Trump che con l’America First, pur in maniera diversa, influenza il comportamento delle imprese americane con decisioni sorprendenti e senza precedenti». 

Prodi individua l’ultimo pezzo del puzzle, l’altro grande protagonista del nostro tempo: la Cina. 

La traiettoria di sviluppo degli ultimi venti anni ha portato gradualmente la Cina in un territorio insidioso: nel 2013 Pechino ha mandato la prima sonda sulla Luna, nel 2016 ha prodotto il primo velivolo da combattimento stealth, nel 2018 ha vinto la corsa per il 5G. Non si tratta solamente di sfide simboliche, sono anche segnali inequivocabili del fatto che Pechino non è più semplicemente la fabbrica del mondo, sta diventando un’economia complessa, avanzata, in grado di contendere alle economie occidentali i segmenti industriali ad alto valore aggiunto. E questo è un problema, soprattutto alla luce del fatto che la Cina è una dittatura. Fino a che le fabbriche cinesi producevano magliette o la scocca dell’iPhone valeva il celebre motto latino “pecunia non olet” (il denaro non ha odore) ma quando hanno iniziato a comparire sul mercato smartphone di fascia alta con le componenti high tech made in China qualcuno a Washington, Londra e persino a Mosca ha cominciato comprensibilmente a preoccuparsi. Da vent’anni oramai la comunità della Difesa occidentale, con in testa il Pentagono, lancia allarmi sempre più concitati sullo sviluppo cinese. 

Quando si cerca la regia occulta nel disegno sovranista, il centro di gravità che è riuscito a mettere insieme un fronte che va dagli evangelici ai terrapiattisti, si incappa sempre in un convitato di pietra: gli apparati, i mastini della democrazia. Quegli stessi organismi che le Costituzioni incaricano di vigilare sulla sicurezza degli ordinamenti democratici hanno stretto un patto con il Diavolo: per salvare la democrazia la stanno portando al limite. 

In un editoriale anonimo uscito il 5 settembre 2018 sul New York Times, un alto funzionario dell’Amministrazione Trump lanciava un messaggio inequivocabile: “Gli Americani devono sapere che ci sono degli adulti nella stanza dei bottoni. Stiamo cercando di fare ciò che è giusto, anche quando Trump non vuole”

Chiaramente si tratta di una mossa sul filo del rasoio, come dimostrano in maniera lampante la gestione disastrosa dell’epidemia di Covid-19 in Brasile e Gran Bretagna o quella incresciosa dei disordini scoppiati a Minneapolis e presto dilagati in tutti gli USA. Una scommessa azzardata che, però, fa affidamento sulla nostra tradizione. 

L’errore è stato credere che il gigante sopito fosse la Cina. In realtà, il gigante sopito è l’Occidente, inteso come entità politica. Un gigante magnifico e feroce, capace di regalare all’umanità doni superbi come la democrazia o la medicina moderna ma, al contempo, preda di terribili incubi come l’imperialismo o il totalitarismo, che impongono ciclicamente pesantissimi tributi di sangue e sofferenza a tutto il mondo. Una fiera che ha iniziato ad andare in letargo alla fine degli anni ’80, quando la minaccia di un modello alternativo sembrava scomparire per sempre dalla Storia. Un mostro che i sovranisti vogliono risvegliare per rompere l’assedio al Global Order, il modello di governance globale basato sul primato della democrazia di mercato e, in definitiva, sull’asse euro-americano. 

Il problema non è la competitività economica, come hanno ampiamento dimostrato gli studi di Acemoglu: la democrazia mantiene una capacità innovativa impareggiabile rispetto ai regimi ibridi o autoritari. Il problema è politico e culturale: mentre le disuguaglianze in Occidente aumentano e il tessuto sociale si sfalda diventa sempre più difficile definire il modello democratico giusto e universale. E se le democrazie occidentali smettono di percepirsi e di essere percepite come il miglior sistema possibile scivolano inevitabilmente dal lato sbagliato della Storia, perdendo l’egemonia sul mondo e preparandosi a diventare il passato. 

Al mercato tutto questo non interessa, fa quello per cui è programmato: allocare il capitale nella maniera più efficiente possibile. E se la democrazia non riesce più a stargli dietro, a drenare le risorse che le servono per sopravvivere, non se ne preoccupa più di tanto. 

Per semplificare, perciò, stiamo assistendo a una reazione scomposta della democrazia di mercato nei confronti di un crescente squilibrio interno – la preponderanza del mercato sulla democrazia – esacerbata a sua volta dalla comparsa all’orizzonte di una minaccia esterna, lo sviluppo cinese. 

Nel mezzo di questo scenario articolato e complesso è piombata la pandemia di Covid-19 che, pur rischiando di affossare la rielezione di Donald Trump, fa segnare ben due punti a favore dei disegni sovranisti: impone un’onda di risacca alla globalizzazione e cementa l’ostilità internazionale nei confronti di Pechino. Come se non bastasse, sentendosi all’angolo o convinta di poter sfruttare il caos del momento a proprio favore, la Cina è passata all’attacco, revocando de facto l’autonomia a Hong Kong e minacciando direttamente Taiwan. 

Quella che si staglia all’orizzonte, perciò, è una pericolosissima partita a tre: da una parte due componenti di uno stesso modello in lotta tra loro per ridefinire un equilibrio – la democrazia e il mercato – dall’altra un modello radicalmente alternativo, quello cinese. 

Quando assistiamo a Twitter che mette “sotto tutela” il principale canale di comunicazione della Casa Bianca mentre il presidente USA, di rimando, minaccia di chiusura un organo d’informazione è sciocco parteggiare, stiamo guardando il nostro mondo che va in pezzi. Nel momento in cui, tra l’altro, ci sarebbe più bisogno di ritrovare compattezza, perché c’è una nuova idea di futuro – quella cinese – che preme per affermarsi. Presto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo potrebbe essere archiviata dall’evoluzione storica.