L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 4 luglio 2020

4 luglio 2020 - NEWS DELLA SETTIMANA (27 giu. - 3 lug. 2020)

Euroimbecilandia ha deciso di criminalizzare il pensiero critico

LA UE CI HA “SEGNALATI”

Maurizio Blondet 4 Luglio 2020 

Un consiglio: il lettore cominci a frequentare questo sito, EU-contro -Disinfo. Troverà notizie molto interessanti: i “dissidenti” come me o Messora vengono “smascherati”, chi cerca di lanciare l’allarme sull’oppressione “terapeutica” e ” europeista” lo fa “all’interno di una narrativa a favore del Cremlimo”, cosa evidentemente vietata dalla “Europa libera”, eccetera.

Qui il sito:


Qui l’articolo che ci segnala:

DISINFOrmatori: LA LOTTA ITALIANA CONTRO LE “NOTIZIE FALSE” SUL CORONAVIRUS POTREBBE PORTARE AL SISTEMA DI CONTROLLO DEL PENSIERO ORWELLIANO

SOMMARIO

In Italia, i dissidenti del pensiero dominante sono sempre più inseriti nella lista nera e messi a tacere. C’è un clima di caccia alle streghe tipico di un sistema che considera i dissidenti come nemici che dovrebbero essere distrutti. La lotta contro le “notizie false” legate all’epidemia di COVID-19 ha reso questa tendenza sempre più evidente. Sono state istituite commissioni di verifica delle notizie false, elenchi di siti Web italiani presumibilmente inaffidabili sono compilati da uno straniero, i video sull’epidemia ” contrariamente agli standard della nostra comunità ” vengono rimossi da YouTube. Se questo meccanismo diventasse politica statale, giornalisti, scrittori o blogger italiani come Maurizio Blondet, Massimo Mazzucco, Enrica Perucchietti, Silvana De Mari, Danilo Quinto, Diego Fusaro – o politici come Sara Cunial – verranno inseriti nella lista nera e messi in prigione.

In primo luogo, i dissidenti più importanti sparirebbero, cacciati dalla polizia politica, privati ​​della loro libertà, “curati” dagli psichiatri di stato e infine sparati da un assassino del Partito. Ma in questo sistema orwelliano nessuno sarebbe al sicuro: il Partito potrebbe anche incarcerare persone che esprimono critiche per errore. Questa nuova società assomiglierebbe alla Germania nazista con la sua Gestapo e campi di sterminio, la Russia stalinista con i suoi ospedali Gulag e psichiatrici e la Cambogia di Pol Pot. Un simile scenario potrebbe accadere nell’odierna Italia.

CONFUTAZIONE [“Europeista”]

Teoria di cospirazione. Non viene fornita alcuna prova a supporto delle affermazioni dell’articolo secondo cui l’Italia sta diventando o potrebbe diventare una dittatura totalitaria che perseguita e stermina i dissidenti.



L’Italia, come l’Unione europea nel suo insieme, si impegna a rispettare la libertà e il pluralismo dei media, nonché il diritto alla libertà di espressione , che include il diritto a ricevere e trasmettere informazioni senza interferenze da parte dell’autorità pubblica. Questo impegno è sancito dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE .

La proliferazione di disinformazione e disinformazione intorno a COVID-19 in tutto il mondo ha conseguenze potenzialmente dannose per la salute pubblica e un’efficace comunicazione delle crisi. Pertanto, l’UE e gli stati membri hanno cercato di contrastare la disinformazione legata al coronavirus , anche attraverso il rilevamento, l’analisi e l’esposizione delle campagne di disinformazione relative alla pandemia. Né l’UE né il governo italiano hanno in programma di “criminalizzare” o censurare le bugie del coronavirus.


Interessante l’altra “confutazione” che troviamo in questo sito: noi falsi diciamo che

L’impero americano ha organizzato un colpo di stato segreto in Ucraina nel 2014.

Secondo lo storico svizzero Daniele Ganser, l’impero americano lì (in Ucraina), secondo la strategia di “dividere e governare”, ha suscitato tensione e nel 2014 ha rovesciato il governo con un colpo di stato segreto. Ma dice che raramente si dice in pubblico che Obama abbia organizzato un colpo di stato in Ucraina.
28 GIUGNO 2020

CONFUTAZIONE (EUROPEISTA):

Narrativa ricorrente sulla disinformazione a favore del Cremlino sulla statualità ucraina che afferma che le proteste di Euromaidan furono organizzate da forze straniere .

Non vi è stato colpo di stato nel 2014. L’insorgenza spontanea di massicce proteste di Euromaidan è stata una reazione della popolazione ucraina all’improvvisa partenza del presidente Yanukovich dall’accordo di associazione con l’Unione europea e alla brutale dispersione delle azioni di protesta studentesca del 30 Novembre 2013

Questi signori hanno scelto di ignorare quel che

“la signora Nuland assistente del segretario di Stato Usa, disse nel dicembre scorso, quando – parlando al Press Center di Washington – aveva informato il colto e l’inclita che gli Stati Uniti “hanno investito cinque miliardi di dollari per dare all’Ucraina il futuro che merita”.


Dimenticano soprattutto l’inchiesta eccezionale di Micalessin sull’identità dei “cecchini di Maidan”, che uccisero 80 persone, sparando su agenrti e su manifestanti, pubblicata anche da
Gian Micalessin svela la vera storia della “rivoluzione” ucraina del 2014

dove si ricorda che “il primo a contestare la versione ufficiale [ossia che era stato il governo ucraino legittimo a far spòarare sulla folla] è stato il ministro degli esteri estone Urmas Paet. Rientrato da un viaggio a Kiev compiuto solo 5 giorni dopo il massacro riferisce in una telefonata alla commissaria agli esteri dell’Unione Europea Catherine Ashton, le rivelazioni ottenute da una dottoressa ucraina che ha esaminato i cadaveri di Piazza Maidan. La cosa più inquietante – spiega Paet – è che tutte le evidenze dimostrano che le persone uccise dai cecchini – sia tra i poliziotti, sia tra la gente in strada – sono state uccise medesimi cecchini…

Poi Micalessin riesce a intervistare i cecchini al servizio della causa americana,

Koba Nergadze e Kvarateskelia Zalogy Alexander Revazishvilli, tutti tiratori scelti dell’esercito , i quali hanno raccontato tutta la verità.

Non”ricordano” che hanche Haaretz pose dubbi sulla versione ufficiale:
On Whose Side Were the Kiev Snipers? Russia and Ukraine Trade Blame

Forensic evidence suggests that snipers were targeting both sides of the standoff at Maidan.

Una cosa infine: noi ci firmamo e mettiamo la faccia, gli “smascheratori” europei non sappiamo chi sono. Noi non ci occupiamo di loro, anche quando danno informazioni false (come quella sull’Ucraina-Maidan) o esprimono opinioni false, odiose e insultanti (come quando ci danno dell’antisemita): sappiamo che fa parte della libera arena politica, e ai colpi bassi siamo rassegnati. Loro non fanno che spiare noi per “coglierci in castagna”, leggono in modo sistematicamente malevolo le nostre idee – che sono per eccellenza “discutibili”, e infatti noi offriamo alla discussione libera. Invece vogliono censurare la libertà d’informazione (“fake”) e criminalizzare la libertà d’opinione (come quelle “pro-Cremlino”). E parlano a nome del potere. Per questo le loro confutazioni equivalgono a minacce ed intimidazioni. Ci stanno facendo l’elenco delle opinioni ammese e di quelle proibite. Apprezzare Putin è già vietato? Perché, siamo già in guerra con la Russia? Sappiamo, dagli esempi sovietici, che cominciano schedarti, e finiscono col colpo alla nuca.

Pompeo non sa nulla dei principi di base delle leggi internazionali e delle norme di base che regolano le relazioni internazionali, secondo cui la sovranità di un paese dovrebbe essere rispettata e non si dovrebbero produrre atti di interferenza nelle questioni interne

I 4 punti che mostrano l'ignoranza di Pompeo su Hong Kong


Gli attacchi a testa bassa di Pompeo contro la Cina sono ormai quotidiani. Spesso, il ‘fossile vivente della Guerra Fredda’, per utilizzare una felice definizione coniata da Radio Cina Internazionale, si lancia in intemerate propagandistiche che lasciano trasparire la scarsa conoscenza di Pompeo della realtà cinese. 

Una scarsa conoscenza che denota ignoranza e pregiudizio nei confronti della Cina, ha affermato il portavoce del Ministero degli Affari Esteri cinese Zhao Lijian, mettendo in evidenza quattro aspetti che incarnano l'ignoranza di Pompeo.

Zhao Lijian ha formulato le osservazioni durante una conferenza stampa, quando gli è stato chiesto di commentare l'affermazione di Pompeo secondo cui Pechino tratta Hong Kong come «un paese, un sistema» e mina i diritti umani e la libertà di base del popolo di Hong Kong, segnala il quotidiano cinese Global Times

Per prima cosa, Pompeo non sa nulla della legge sulla sicurezza nazionale di Hong Kong, che afferma chiaramente come i diritti umani dovrebbero essere rispettati e protetti. «La legge punisce pochissimi proteggendo al contempo la maggioranza. Dopo l'emanazione della legge, l'ordine sociale di Hong Kong sarà stabilizzato e il contesto economico migliorato, a beneficio della maggior parte dei residenti di Hong Kong e degli investitori internazionali». 

In secondo luogo, Pompeo non sa nulla di «un paese, due sistemi», ha affermato Zhao, il quale ha sottolineato che questa è la politica statale di base della Cina, che la Cina attuerà senza sosta e alcuna esitazione. La legge sulla sicurezza nazionale cerca di proteggere meglio il principio «un paese, due sistemi», assicurando che il principio non venga distorto per motivi di destabilizzazione. 

In terzo luogo, Pompeo non sa nulla della dichiarazione congiunta sino-britannica, in cui si afferma che tutti i termini relativi al Regno Unito sono già stati applicati. 

Quarto aspetto, ma non meno importante, Pompeo non sa nulla dei principi di base delle leggi internazionali e delle norme di base che regolano le relazioni internazionali, secondo cui la sovranità di un paese dovrebbe essere rispettata e non si dovrebbero produrre atti di interferenza nelle questioni interne, ha evidenziato Zhao. Poi ha aggiunto che la Cina adesso vuole creare una legge che protegga la sicurezza nazionale nella propria regione, una questione che rientra negli affari interni della Cina. Perché gli Stati Uniti si arrogano il ??diritto di interferire? Ha quindi chiesto Zhao. 

Il portavoce di Pechino ha poi osservato che le «persone come Pompeo sono così in ansia per Hong Kong e la legge sulla sicurezza nazionale perché non possono fare quello che volevano, per sabotare la sovranità e la sicurezza nazionale della Cina». Perché la «legge sulla sicurezza nazionale è come una porta a prova di ladro ad Hong Kong, e destinata a guidare Hong Kong sulla strada giusta, induce Hong Kong a rivendicare la sua reputazione di ‘Perla d'Oriente’. Siamo fiduciosi di questo».

Covid-19 - continua la narrazione terroristica basata su fake news, l'odio nei nostri confronti è palese e si perpetua hanno paura del pensiero critico. Complottista sono coloro che vogliono nascondere la verità

Sciacallaggio mediatico. Malato di leucemia ma "morto di Covid"


di Francesco Santoianni

Il più ripugnante di tutti è certamente il titolo di Repubblica che pretende di ammantarsi di una obiettività politically correct con quel “si era ammalato di leucemia, è stato ucciso dal coronavirus”. Ma il povero Matteo Mutti “campione nazionale di poker”, essendo affetto da leucemia (che, come dovrebbe essere noto a tutti, inibisce il sistema immunitario) avrebbe potuto essere ucciso anche dal virus del raffreddore. Neanche questo escamotage da parte del resto dei media che dopo aver sparato nel titolo “ucciso dal coronavirus” dedicano alla questione leucemia, al più, qualche parola nel testo.

Sul fantomatico arrivo della “seconda ondata” dell’epidemia abbiamo intervistato più volte il prof. Giulio Tarro, autore del censuratissimo libroCovid il virus della paura”. Qui solo due parole.

Perché tutti i media mainstream - oggi, con i tanti reparti di rianimazione completamente vuoti e cure efficaci contro il Covid - continuano a terrorizzarci con il virus Sars-CoV-2? Perché in TV tanti requiem per i morti da Covid o “filmati di repertorio” come la colonna di bare a Bergamo? Perché continuano a trovare spazio “notizie” come la buffonata del gatto morto per il virus dei pipistrelli o la scoperta del “focolaio Covid a Mondragone”? E perché nessuno vi ha informato dello studio dell’Istituto superiore della sanità, pubblicato il 26 maggio, che, dall’analisi di ben 3032 cartelle cliniche di persone classificate come “decedute per Covid”, documenta che solo 124 non evidenziavano gravi patologie pregresse? Forse perché se si sapesse che appena il 4,1% degli attuali 34.818 spacciati dal Governo sono morti per Covid, che l’ecatombe (soprattutto in Lombardia), due mesi di lockdown e l’attuale miseria sono dipesi non dal virus ma da una sciagurata gestione dell’emergenza… la gente scenderebbe in piazza?

Meglio, quindi, per i nostri governanti continuare con il terrorismo mediatico sperando che l’esercito di ipocondriaci che sono riusciti a creare riesca a salvarli.

Vaccini inutili - Se vale per il covid-19 vale per tutti i virus Rna

Gli scienziati trovano il modo di neutralizzare il coronavirus in 25 secondi


In attesa di un vaccino che possa aiutare nella lotta contro il coronavirus, gli stanno cercando di trovare modi alternativi per neutralizzare il virus. I National Laboratories for Emerging Infectious Diseases (NEIDL) dell'Università di Boston hanno trovato il modo di far scomparire le particelle di virus in pochi secondi.

La Boston University ha unito le forze con la società Signify, leader nel settore dell'illuminazione, per fare una scoperta sorprendente. Le radiazioni ultraviolette sono molto efficaci con SARS-CoV-2, tanto che, utilizzando apparecchiature speciali, le radiazioni inattivano il virus.

I ricercatori, guidati dal dottore e professore associato Anthony Griffiths, hanno trattato materiale inoculato, cioè infettato dal virus, con diverse dosi di radiazioni ultraviolette per valutare la sua capacità di inattivazione in varie condizioni.

Le conclusioni sono sorprendenti: applicando la radiazione pertinente in condizioni ottimali, il carico del virus si riduce del 99,9999% dopo 25 secondi.

"I risultati dei nostri test mostrano che sopra una dose specifica di radiazione UV-C, i virus sono stati completamente inattivati: in pochi secondi non siamo più in grado di rilevare alcun virus", ha affermato il dott. Griffiths in una dichiarazione pubblicata da Signify.

La scoperta invita a dare uno sguardo positivo al futuro della lotta contro il coronavirus. "Siamo molto entusiasti di questi risultati e speriamo che ciò acceleri lo sviluppo di prodotti che possano aiutare a limitare la diffusione di COVID-19", afferma il medico.

Un nuovo passo avanti potrebbe essere stato compiuto per la definitiva sconfitta del Covid-19, se dovesse essere confermato quanto affermano gli autori di questi test.

La dirigenza del paese pensa solo a se stessa, ha abbandonato la Nazione lasciandola sola e priva di difese

LA SFIDA DELLA DISABILITÀ INFANTILE NELL’EMERGENZA COVID-19


03/07/20 

Egregio direttore, so che andrò fuori tema con questa mia lettera, ma in fondo hanno paragonato questa emergenza ad una guerra e ciò che le sto per raccontare è uno degli effetti di questo “conflitto”, peraltro un effetto capace di influenzare tutti e tre i domini del conflitto, quello fisico, quello cognitivo e soprattutto quello morale.

Voglio raccontare della disabilità ed in particolare della disabilità dei bambini, con tutte le relative implicazioni che ha su una famiglia e questo lo voglio raccontare da padre, da marito e perché no! Anche da Soldato.

Normalmente il menage famigliare in presenza di persone disabili, soprattutto se si tratta di bambini, è estremamente complesso, con una pandemia il tutto giunge al limite della sostenibilità, tuttavia, consapevole di cosa sia la terapia intensiva e la lungodegenza in ospedale, non appena le autorità pubbliche hanno annunciato l’emergenza sanitaria, con mia moglie abbiamo deciso di chiuderci in casa, azzerando i contatti sociali e prendendo tutte le necessarie precauzioni affinché non venissimo coinvolti dal contagio.

Dopo i primi giorni di smarrimento abbiamo però compreso che, la sfida del momento, l’ennesima della nostra vita, sarebbe stata quella di strutturare, in ambiente domestico, la routine necessaria affinché i nostri figli perdessero il meno possibile in termini di capacità, competenze, socialità, ma soprattutto salute.

Ci siamo ben presto ritrovati a ricoprire il ruolo di insegnanti, psicoterapeuti, pediatri, compagni di gioco, senza ovviamente derogare al nostro compito primario di genitori ed in questa condizione è stato subito chiaro che il carico di lavoro sarebbe stato immenso, dovendo contemporaneamente impegnare la giornata di tre bambini, assolvere alle esigenze della disabilità per due di loro, senza tralasciare l’accudimento nell’ambito delle necessità primarie: il cibo, ma senza poter portare i piccoli al supermercato, poiché non c’era e non c’è nessuno a cui lasciarli; una casa pulita senza potersi distaccare da loro durante le attività di pulizia; la serenità genitoriale, minata dal costante timore che le ripetute assenze dal lavoro potessero generare, prima o poi problemi con cui sarebbe toccato fare i conti in termini di rapporti professionali, equilibri nell’ambiente lavorativo, persino opportunità.

Quelli appena elencati sono ovviamene solo alcune delle circostanze che ci hanno condotto a chiedere un supporto, o forse più banalmente un aiuto, tuttavia siamo una famiglia con figli disabili e sappiamo cosa sia la burocrazia con le sue meschinità, siamo consapevoli che per vedere riconosciuto un diritto potrebbero occorrere, come ci è peraltro già capitato, anni di cause, o che ti potresti ritrovare in ospedale, tre giorni prima di un importante intervento chirurgico, con un impiegato amministrativo che ti dice: “o ci fate immediatamente il bonifico o siete fuori.” Ed altre atrocità di questo genere.

Consci di codeste realtà abbiamo deciso di alzare il tiro delle nostre istanze, ritenendo, ingenuamente, che la classe dirigente fatta di politici, intellettuali e giornalisti potesse, darci ascolto, soluzioni, sostegno.

Contrariamente alle aspettative, con il trascorrere delle settimane abbiamo collezionato, per la maggior parte mancate risposte, qualche dichiarazione di impotenza e pochissima solidarietà, peraltro esclusivamente in termini di ascolto.

Tale situazione ci ha inizialmente offeso, poiché abbiamo preso ancora maggiore contezza del fatto che i disabili ed in particolare i bambini con disabilità generano la più totale indifferenza, non solo nella cosiddetta vita di tutti i giorni, ma anche e soprattutto durante un’emergenza come quella che tutti noi stiano vivendo in questi mesi.

Quando si sente parlare di fragilità delle persone disabili il comune sentire si concentra normalmente sulle barriere architettoniche o sulle difficoltà economiche, in realtà questi sono, in ordine di importanza, forse gli ultimi dei problemi, i bambini con handicap e di conseguenza le loro famiglie sono realtà regolarmente emarginate, poste cioè ai limiti della società, ovviamente non biasimo chi ha nei nostri confronti questo approccio, la disabilità fa paura e quasi per un senso di scaramanzia si tende a tenerla lontana, il grosso guaio di questo periodo è che l’isolamento sociale, unito a quello imposto per legge, ha fatto sì che anche coloro i quali erano preposti a sostenere i soggetti in difficoltà si siano trovati con le mani legate o talvolta abbiano preferito voltarsi da un’altra parte con la scusa delle linee guida carenti, delle regole di salute pubblica stringenti e di altri ostacoli, reali o presunti, che sarebbe stato doveroso superare senza esitazione alcuna.

Il blocco totale sembra ormai alle spalle, ma nulla è cambiato in termini di indifferenza, di mancato confronto ed assenza nella risoluzione dei problemi e nessuno si sogna di offrire anche solo un orizzonte temporale che sia in grado di fornire ai nostri bambini ed a noi famiglie una speranza.

Rischiando di apparire suggestivo vorrei sottolineare come, sebbene la nostra classe dirigente più colta ed “illuminata” ami riempire la propria vuota retorica di concetti quali libertà diritti e felicità, poi nulla viene messo concretamente in campo affinché ciò avvenga, sebbene c’è da essere certi che proprio questi siano i valori fondanti del nostro mondo, valori in grado di farci fronteggiare qualsiasi tragedia, qualsiasi pandemia e soprattutto valori a cui ciascuno, a prescindere dal proprio stato di salute, dovrebbe avere la possibilità di tendere per raggiungere la felicità, intesa come fine ultimo della comunità sociale, consentendo cioè a ciascuno, nei limiti delle proprie capacità umane, la realizzazione del bene, inteso come – vivere bene – cioè essere felici (Aristotele).

Ogniqualvolta mi addentro in queste riflessioni qualcuno in modo fintamente pragmatico mi chiede di cosa abbiamo bisogno noi famiglie in difficoltà, ebbene, noi abbiamo bisogno di un universo sociale organico, consenziente, ordinato, giuridicamente protetto, in poche parole, come ho già detto, felice, affinché anche i soggetti più fragili ed i loro nuclei famigliari possano avere una vita serena, armonica ed equilibrata, auspicio che peraltro dovrebbe essere valido per tutti, proprio affinché non ci si limiti a sopravvivere miseramente, ma a vivere in modo dignitoso, come ciascun essere intelligente merita.

Capisco di essere entrato forse troppo in profondità, ma profonda è la delusione, la sfiducia, la tristezza, tanto da essersi tramutata ormai in costernazione, poiché ci siamo resi conto che, soprattutto in questo periodo abbiamo cercato di stimolare un moto di coscienza verso qualcuno che tale coscienza ha dimostrato di non averla.

Continueremo a lottare per la salute, la dignità e la felicità dei nostri figli, con la triste e fiera consapevolezza di dover fare affidamento esclusivamente sulle nostre forze, senza per questo abbandonare la speranza che, da qualche parte, in questa disgraziata nazione, vi sia ancora qualche persona per bene.

Andrea Pastore

Nella Guerra Illimitata niente viene precluso

CINA: LA "FUSIONE MILITARE-CIVILE” PER VINCERE LA PROSSIMA SFIDA CON GLI USA


(di Antonio Vecchio)
03/07/20 

Il recente bando di Trump contro gli studenti cinesi delle università americane1 nasce da molto lontano, ed è figlio da una parte del timore USA di perdere ancora più terreno nei confronti del principale competitor asiatico, dall’altra della preoccupazione di cedergli, grazie alle libertà intellettuali del sistema educativo statunitense, conoscenze sempre più vaste, a maggior ragione utili se impiegate nel campo della difesa.

L’iniziativa presidenziale si inserisce nell’articolata politica di dazi avviata lo scorso anno, ulteriormente inasprita ad aprile con altri divieti alle industrie americane di esportare in Cina semiconduttori e componentistica di aerei.

Il presidente è spaventato per la rincorsa cinese, industriale prima ancora che militare, e non lesina provvedimenti che permettano di rallentarne l’abbrivio in campo tecnologico.

La road map di Pechino è chiara, e prevede di raggiungere entro il 2020 un buon livello di industrializzazione, che si trasformerà in avanzato (con una buona base di informatizzazione) entro il 2025, per poi, nel 2049, anniversario della costituzione del Partito Comunista Cinese, assurgere al rango di superpotenza militare.

Nel progetto di sviluppo di Xi Jinping, grande regista della profonda trasformazione cinese, un ruolo fondamentale è giocato dalla costante, articolata e qualificata collaborazione esistente tra mondo militare e civile.


La politica di integrazione civile-militare, che prende il nome di “civil-military fusion” policy (MCF), è una vera e propria strategia nazionale, che punta a consolidare un sistema di vasi comunicanti tra le due realtà, caratterizzato dall’impiego combinato di ricercatori civili in campo militare e militari in quello civile, e dal conseguente sviluppo di tecnologie “dual use”.

Si tratta di una felice interazione bidirezionale, che mette a disposizione dell’Esercito di Liberazione Popolare (PLA) l’intera fabbrica del mondo con i suoi innumerevoli centri di sviluppo, incrementandone esponenzialmente le opportunità di crescita in tutti i settori (non solo) della difesa.

Pensare però che tale processo nasca con la nomina dell’attuale segretario generale è quanto di più errato2 si possa fare, risultando invece il prodotto delle volontà politiche di tutti i suoi predecessori a partire da Mao (con cui nasce l’idea di esercito di popolo), in virtù di quella capacità tutta cinese di progettare per lunghi archi di tempo.

Nel 1949, infatti, le élite militari del PLA avevano già compreso che il ruolo di potenza che la Cina ambiva a ricoprire era strettamente legato al suo sviluppo tecnologico e industriale, e fu per quel motivo che la dirigenza militare dell’epoca, tra cui occorre annoverare il padre dell’attuale segretario, predispose una vasta rete di istituzioni scientifiche e tecnologiche, che svilupparono studi e ricerche con la duplice valenza civile e militare.

Al centro di quella rete vi erano le università che, solo per fare un esempio, nel triennio 1955-58 videro più che quintuplicare le risorse messe a disposizioni dal governo centrale.


La particolare collaborazione continuò anche durante l’era Deng Xiaoping (1978-2002), ma in modo unidirezionale, nel senso che questa volta toccò all’industria e ai tecnici militari supportare la produzione civile, con una “pro-quota” militare che balzò dal 5% al 70%.

Questa tendenza si intensificò durante il mandato di Hu Jintao (2002-2012) durante il quale il concetto di “integrazione” civile militare si espanse sino a divenire una vera e propria “fusione”, il cui risultato fu lo sviluppo di una economia espressamente orientata al “dual use”.

Tre furono le linee programmatiche seguite per la piena realizzazione del MCF, come a suo tempo vennero tracciate dal gruppo di lavoro appositamente costituito nell’ambito del “Programma nazionale a medio e lungo termine" (MLP) del 2006.

La prima richiamava la necessità di raggiungere l’interdipendenza tra industria civile e militare, nel senso della predisposizione di un comparto industriale costituito da industrie di stato (state owned company, SOC) dalla capacità produttiva mista, velocemente orientabile in una direzione e nell’altra, la cui penetrazione all’estero costituisse un fondamentale fattore di potenza, in termini di know how e di business intelligence. Elemento questo, che da solo parrebbe giustificare la politica protezionistica dell’amministrazione Trump.

La seconda prevedeva una profonda integrazione tra società civile e mondo militare, motivata dalla concreta possibilità, per il futuro, di dover combattere conflitti multi-spettro, esigenti apporti di competenze e professionalità plurimi. Per certi versi è l’idea di esercito di popolo introdotta da Mao, attualizzata alla guerra moderna, che - suggerisce Sergio Miracola3, ricercatore di ISPI - trova oggi attuazione nelle milizie di pescatori a supporto della flotta cinese e nelle le schiere di giovani studenti di informatica, esperti in sicurezza cyber.

La terza infine contemplava la formazione di un sistema educativo nazionale che realizzasse l’anzidetto trasferimento di conoscenze e agisse come vivaio permanente di idee.


Le su esposte considerazioni verranno, anni dopo, recepite in toto dal 18° Congresso Nazionale (2012), nel corso della quale un neo eletto Xi Jinping parlò della necessità di accelerare il processo di trasferimento al popolo delle conoscenze militari (军转民 – jun zhuan min) e la partecipazione civile in campo militare (民参军 – min can jun).

Detto questo, l’Accademia delle Scienze Militari (AMS)4, con il dipendente Istituto nazionale di innovazione della tecnologia di difesa (NIIDT), costituiscono, più di altri, il luogo principale nel quale si compie lo scambio tra mondo militare e civile.

Dal 2017, AMS, in stretta osservanza delle direttive provenienti dal livello politico, gestisce direttamente il processo di trasformazione, con i suoi otto istituti di ricerca, sei dei quali si occupano di medicina militare, ingegneria della difesa nazionale, diritto militare, ingegneria dei sistemi, difesa chimica e tecnologia di difesa innovativa; mentre i restanti due sono invece orientati agli studi squisitamente militari.

I ricercatori dell’AMS sono tratti dai quadri del PLA con bagaglio di conoscenze ed esperienza scientifici: dal 2017, oltre 200 quadri militari qualificati - oltre l'80% de quali con almeno un master - hanno scelto di diventare ricercatori civili in AMS.

In particolare, nello stesso periodo, NIIDT - che sviluppa applicazioni di tecnologie innovative come l'intelligenza artificiale, i sistemi senza pilota e la bio-elettromagnetica -, ha reclutato più di 120 quadri militari con alle spalle un dottorato di ricerca e un'età media di 33 anni.

Ma non solo ai militari l’AMS si rivolge per soddisfare le sue esigenze di ricerca scientifica: dal 2018 si è aperta anche ai dottorandi delle più rinomate università statali, con l’offerta di 157 posizioni nel 2018, di 371 nel 2019 e di 741 nel 2020.


In questi centri di studio i ricercatori lavorano in gruppi di lavoro multidisciplinari, anche se trapela una certa impreparazione culturale al lavoro di squadra (certamente superabile col tempo), e l’inadeguatezza del corpo legislativo attuale, soprattutto in riferimento alla tutela del segreto e alle produzioni di interesse per la Difesa, che ritarda non poco la commercializzazione di risultati.

La formula adottata da Pechino, di stretta interrelazione civile-militare, si sta rivelando vincente nella gara tecnologica col competitor americano, che a casa propria deve invece vincere l’ostilità del comparto civile a collaborare col Pentagono per paura di non poter poi tradurre in business i risultati del lavoro di ricerca.

Il Governo di Pechino incentiva inoltre con importanti finanziamenti la collaborazione e gli investimenti del privato in tecnologie di interesse anche militare, senza soluzione di continuità tra comparti.

La strategia cinese di Trump si profila pertanto come un prova di debolezza, interna più che esterna: il gesto disperato di chi vede l’avversario avvicinarsi alle spalle, e ne sente il fiato sul collo.

La contrapposizione tra USA e Cina, in analogia a quanto accadde durante la guerra fredda, si profila nella sua autentica natura di crisi tra sistemi.

Oggi però, a differenza di allora, l’autonomia del sistema universitario americano e lo spirito liberista della sua economia, allergico a qualsivoglia interferenza dello Stato, costituiscono per il nostro principale Alleato un fattore di estrema debolezza.

Al contrario di quello che accade a Pechino, dove la centralizzazione del sistema politico e il conseguente dirigismo economico allineano costantemente l’apparato produttivo alle esigenze governative di sicurezza e difesa.

Fornendo alla nuova superpotenza un vantaggio competitivo eccezionale.


Foto: Ministry of National Defense of the People's Republic of China / web

NoTav - Sono trent'anni legasi 30 anni che giocano su quest'opera, stancamente ripetano rituali inutili e illogici

Antropologo e scrittore


Tav, un progetto obsoleto e in ritardo anche sulla storia. Ma c’è chi si affretta a dire che si farà


La Corte dei Conti dell’Unione Europea ha dichiarato che il progetto dell’alta velocità Torino-Lione è non solo in ritardo sulla tabella di marcia, ma anche sulla storia. Infatti, oggi più che mai, a oltre 25 anni di stanza dalla prima proposta, risulta obsoleto. Troppe cose sono cambiate. Nel frattempo i costi sono saliti dell’85% rispetto alle previsioni iniziali.

Inoltre, sempre secondo la Corte dei Conti Ue, anche i presunti benefici sul piano ambientale non sarebbero poi così reali: le emissioni di CO2 verrebbero compensate solo 25 anni dopo l’entrata in servizio dell’infrastruttura – che avverrebbe nel 2030: “Se raggiungono solo la metà del livello previsto, occorreranno 50 anni dall’entrata in servizio dell’infrastruttura prima che le emissioni di CO2 prodotte dalla sua costruzione siano compensate”.

Gregory Doucet, il neo eletto sindaco di Lione, ha dichiarato: “Non bisogna insistere su un progetto sbagliato. È la scelta peggiore”, sostenendo che occorre invece “investire sulle infrastrutture già esistenti”, cioè la linea ferroviaria già esistente. È curioso che queste due voci, non certo aderenti al movimento No-Tav valsusino, si ritrovino a sostenere posizioni che quello stesso movimento sostiene da anni e che appaiono evidenti a molte persone di buon senso.

Invece di riflettere su queste critiche, alcuni nostri rappresentanti governativi, si sono subito affrettati a ribadire che l’opera si farà. Alla domanda: “Perché?” si potrebbe fornire una risposta raffinata: il tanto sbandierato e inseguito “sviluppo” (parola che ogni giorno sembra perdere di significato, tranne quello di essere uno slogan per non analizzare i problemi) che il Tav porterebbe, come sostiene Gilbert Rist è una sorta di mito fondante della società occidentale.

È l’equivalente dei miti di fondazioni delle società che chiamiamo “primitive”. Un mito non si discute, soprattutto se è un mito fondante: o ci si crede o crolla l’intero impianto della società. Per cui dobbiamo svilupparci, “crescere” all’infinito, tralasciando i danni collaterali sull’ambiente, pena la fine di un’era. Sarebbe una spiegazione che conferirebbe persino un tocco di dignità alla scelta di andare avanti e di immolarsi sull’altare di una credenza.

Purtroppo non è così, non c’è nulla di nobile nelle scelte dei diversi governi che si sono succeduti negli ultimi quasi trent’anni. C’è solo una questione di interessi, di denaro, nulla di mitico, o forse sì, per quei pochi che ne beneficerebbero. Ecco, il progetto Tav è il totem di quella corsa cieca e folle verso l’arricchimento di pochi sulle spalle di molti, di chi fa discorsi sulla transizione ecologica e poi vuole stravolgere un ambiente, quella della valle di Susa, già martoriato da una linea ferroviaria, due statali e un’autostrada.

Facile aggiungere l’aggettivo “green” a ogni iniziativa. Avere il coraggio di riflettere anche su errori passati richiede molto più coraggio.

NoTav - la Torino-Lione esiste già e passa per il Frejus. Non ci credono neanche loro e stancamente come un disco rotto ripetono le solite litanie fanno i soliti raduni

POLITICA | 03 luglio 2020, 16:27

Tav, Frediani: "Doppio colpo da Corte dei Conti e sindaco di Lione manda in tilt la lobby a favore dell'opera"

La consigliera regionale del M5S: "Fermare il Tav è ancora possibile"


"La relazione della Corte dei Conti europea e la presa di posizione del nuovo sindaco di Lione hanno mandato tilt la lobby Sì Tav. Lo dimostrano le reazioni surreali di Cirio: da alfiere dell'autonomia piemontese ad acceso sostenitore di un commissario, stabilito a Roma, per il Tav. Dovrebbe piuttosto preoccuparsi della Sanità piemontese e garantire ospedali, personale sanitario e scuole sicure per i nostri studenti. E’ sufficiente ascoltare i sindaci per comprendere che sono queste le priorità, non un'infrastruttura nata vecchia e dai costi ambientali enormi". A dirlo è la consigliera regionale a 5 Stelle Francesca Frediani.

"Non da meno l’assessore regionale all’Ambiente Marnati. Anzichè interrogarsi sulle evidenze rilevate dalle Corte dei Conti UE rispetto alla negatività dell’impatto ecologico dell'opera, recita le solite litanie delle madamine Sì Tav".

"Come se non bastasse si organizzano raduni di politici e portatori di interesse per raccontarsi la solita e vecchia favola del TAV che porta sviluppo e futuro. Un teatrino completamente avulso dalla realtà, segno di una classe dirigente che ancora non ha capito in quale direzione stia realmente girando il vento, innamorata com'è del cemento e delle grandi speculazioni. Il Tav va fermato adesso: il Governo dia un segnale di svolta e cambiamento in una direzione di sviluppo realmente sostenibile"

E' guerra vera tra Francia e Germania - La prima non ha i conti in ordine, sono anni che costantemente sfora i paletti del 3%, la seconda non conteggia nel bilancio statale quelli locali facendo vedere le lucciole per lanterne. L'oggetto del contendere è il modo con cui il Progetto Criminale dell'Euro deve andare avanti con governicchi italiani che fin dagli anni '90 sono a mezzo servizio per fare gli Interessi Nazionali e a pieno servizio per fare gli interessi degli stranieri svendendo senza soluzione di continuità la nostra Nazione, l'identità, la cultura

SPY FINANZA/ L’ultima frattura nella Bce fa tremare l’Italia

Pubblicazione: 04.07.2020 - Mauro Bottarelli

La situazione dell’Italia rischia di peggiorare rapidamente se, come pare, il board della Bce alla prossima riunione non sarà compatto

Christine Lagarde, presidente della Bce (LaPresse)

Ora tutto torna. O, quantomeno, i contorni si fanno più nitidi. Pericolosamente nitidi. Si spiega l’affannarsi del Governo nel cercare una tregua e una quadra sull’ennesimo specchietto per le allodole del Decreto semplificazione, si spiega la precedente lettera di Nicola Zingaretti al Corriere della Sera per sollecitare l’attivazione del Mes, si spiega soprattutto l’aver chiamato – in fretta e furia, ancorché alla chetichella e senza troppi strombazzamenti mediatici – in servizio permanente ed effettivo Cassa depositi e prestiti con il compito di operare da rete di protezione dello spread durante i solitamente insidiosi mesi estivi. Ora le nuove criticità emerse sono due. Una peggio dell’altra.

La prima, formalmente, dovrebbe rappresentare una buona notizia, poiché – come mostra il grafico – “il Pmi composito dell’Eurozona a giugno è salito di circa 17 punti a giugno, il secondo balzo in avanti più forte degli ultimi 22 anni. Il miglioramento lascia prevedere che nel terzo trimestre il Pil dell’Eurozona riprenderà a crescere”. Ho volutamente utilizzato il testo dell’agenzia Ansa, almeno non si rischiano accuse di parzialità filo-tedesca. Insomma, spuntano i primi germi di ripresa nell’eurozona dopo l’inferno del lockdown.


C’è però un problema, sempre lo stesso e per il quale appare un po’ farsesco appellarsi come al solito alla cattiveria dei Paesi frugali, allo status di paradiso fiscale dell’Olanda o al rigore della Germania: l’Italia quei germogli di ripartenza li ha visti solo con il binocolo. E sapete perché? Perché nella fase prodromica alla risposta europea alla pandemia, quella per capirci tuttora in atto e con la sola Bce a recitare la parte del leone, i Paesi membri hanno agito ognuno per conto proprio, immettendo risorse nelle varie economie domestiche per tamponare i fall-out più gravi e urgenti. Lo ha fatto la Francia, lo ha fatto la Germania. Non lo ha fatto l’Italia. Perché al netto delle chiacchiere del Governo sulla potenza di fuoco della liquidità pronta per l’economia reale, la realtà ci parla di una pistola ad acqua. Oltretutto, mezza scarica. Sintomo che avere i conti in ordine, conta. Un po’ come una famiglia che, invece di spendere al di sopra delle proprie possibilità, ogni mese cerca di mettere via qualcosa, di risparmiare: quando arriva l’emergenza, si riesce a fargli fronte. Chi invece campa a debito o di credito al consumo, soccombe subito, al primo intoppo. E l’Italia, se ancora ci fosse stato bisogno di un’ulteriore riprova, non ha in cassa un euro che non si a deficit. Non a caso, la Cig non è ancora arrivata a tutti e il contributo agli autonomi si è fermato all’erogazione di marzo, per i più fortunati ad aprile.

Le richieste di finanziamento in banca? L’Abi spaccia come sintomo di salute migliore del previsto il fatto che le richieste delle imprese siano basse, quando tutti sappiamo che è solo frutto della disillusione di fronte all’idea di indebitarsi ulteriormente o alla farraginosità delle procedure per ottenere soldi che poi verrebbero bruciati in 24 ore solo per pagare le bollette arretrate del lockdown. Le tasse? Come si fa, nella realtà, a sospenderle per tutto l’anno come hanno fatto altrove in Europa, se in cassa non c’è nulla e le entrate fiscali sono esiziali per far andare avanti ancora la macchina dello Stato? Ovvero, per pagare gli stipendi statali e le pensioni ed evitare così il rischio di rivolte non domabili con la sola ripartenza del campionato di calcio. Signori, siamo a questo punto: possono indorarvi la pillola quanto vogliono, possono spacciarvi come grande successo e sintomo di credibilità creditizia le emissioni di debito e i collocamenti record dei Btp Italia, ma la realtà è che siamo ampiamente entrati nella fase della raschiatura del barile. Quel grafico parla chiaro, l’eurozona nella sua interezza riparte, se pur dall’abisso dei numeri assoluti della pandemia. L’Italia non solo arranca, ma è in totale stagnazione. Ferma. E con il peggio per l’economia reale che si paleserà da settembre in poi.

Ma cos’importa, c’è il bonus vacanze da godersi adesso! E quello monopattino! E l’implementazione di quella che all’epoca della sua introduzione sotto il governo Renzi veniva chiamata con disprezzo “mancetta” degli 80 euro! Signori, siamo ai titoli di coda, prendiamone atto, altro che fare i sofisti rispetto al Mes. Ed ecco la seconda criticità, direttamente legata alla realtà da good news is bad news per il nostro Paese.

Come vi ho ripetuto per giorni e giorni nelle scorse settimane, la Bundesbank ha detto chiaramente che il piano di acquisto titoli Pepp deve essere temporalmemte limitato e strettamente legato alla crisi da Covid. Due giorni dopo quelle asserzioni nette di Jens Weidmann alla FAZ, il primo dato preliminare sul PMI mostrava timidi segnali di ripresa. Parliamo di sole due settimane fa. Ieri, poi, la conferma. Con la Francia che addirittura risaliva, unica nell’eurozona, sopra la linea di demarcazione fra contrazione e crescita di quota 50. Ed ecco che, sempre ieri, Bloomberg pubblicava un articolo nel quale venivano confermati tutti i miei timori: all’interno della Bce sta crescendo sempre di più la spaccatura rispetto al programma Pepp, tanto da definire il prossimo meeting della Banca centrale – atteso fra due settimane – il primo vero banco di prova della leadership di Christine Lagarde. E il fatto che l’articolo fosse l’apertura della homepage, parla chiaro. Così come la descrizione del nodo della disputa: l’eccesso di deviazione nel principio di capital key a favore dell’Italia (rappresentato nel grafico sottostante) tale da configurare – in caso di un ulteriore miglioramento nelle condizioni economiche macro già nel terzo trimestre – un possibile rischio di finanziamento diretto di uno Stato membro.


Insomma, alla faccia di chi riteneva la sentenza della Corte di Karlsruhe poco più di una formalità, ecco che la Bundesbank alza già oggi pesanti paletti rispetto all’operatività del Pepp in base ai criteri attuali di deroga. Tradotto, potenza del firewall di difesa dello spread a rischio. In tempi molto più rapidi di quanto non si pensasse. Ecco spiegata, quindi, la fretta del Governo nell’azione di rianimazione minima dell’economia reale, i salti mortali per cercare di pagare più Cig possibili in chiave elettorale e, soprattutto, la mossa disperata di schierare Cassa depositi e prestiti al fianco della Bce (e delle nostre banche, già oggi stracariche di debito pubblico a livelli record) nel ruolo di secondo prestatore di ultima istanza del Tesoro.

La situazione è questa, punto. Poi si può continuare a vendere narrative ottimistiche, negare difficoltà strutturali che con il passare dei giorni diventano insormontabili, accampare soluzioni alternative come l’emissione di massa di nuovo debito, magari in forma perpetua. Perché signori, chi non sarebbe tentato fino all’ossessione dell’idea di detenere un bond irredimibile italiano che paga due lire rispetto al reale premio di rischio richiesto da un mercato non narcotizzato dal backstop della Bce? Oltre, ovviamente, a quel vero e proprio terno al Lotto rappresentato dall’indicizzazione a un’inflazione la cui aspettative sono praticamente a zero non si sa per quanto. Calcolando, poi, che i perpetual bonds sono di fatto equity e per nulla perpetui, perché prassi vuole che spesso e volentieri l’emittente – ottenuto il risultato massimo sperabile – stacchi la spina, paghi il dovuto e saluti tutti.

Quando cominciano a circolare articoli come quelli pubblicati ieri da Bloomberg, significa che la disputa interna alla Bce non è alla fase embrionale come descritta, bensì in piena maturazione, pronta a scoppiare. E alla faccia del presunto stigma del Mes, quanto pensate che ci metterà il mercato a prezzare il rischio dell’impasse in seno all’Eurotower sulle modalità di prosecuzione del Pepp, se davvero al board del 16 luglio qualcosa dovesse lasciare intendere un irrigidimento in tal senso della Bundesbank? E, grana ulteriore, con quale spirito ci si siederà al Vertice europeo del 18 e 19 luglio, quello che dovrebbe delineare operativamente tempi, destinazioni e cifre del Recovery Fund, se davvero l’Eurotower avesse appena mostrato plasticamente le prime crepe strutturali nella sua finora millantata coesione di intervento?

It escalates quickly, dicono gli anglosasssoni. E quello che stiamo per vivere come Paese ne rappresenta il tipico caso di scuola. Temo che fra poco, le battute sprezzanti da patriottismo cabarettistico con cui molti esponenti politici ed economisti colbertiani descrivono un’Italia dove si costruivano terme e acquedotti, mentre altrove si viveva ancora coperti da pelli di orso, finiranno finalmente per essere soppesate dal mitologico popolo in base al loro reale valore. Ovvero, idiozie.

La Strategia del Mare Nostrum ci indicava/indica, da svariati mesi, che dovevamo spostare a Misurata i nostri soldati dislocati in Afghanistan

CAOS LIBIA/ “Gli Usa si sono svegliati, ora all’Italia serve un patto con Macron”

Pubblicazione: 03.07.2020 - Gian Micalessin

Giochi di guerra nel Mar Mediterraneo, dove la Francia lancia pesanti accuse alla Turchia e gli Emirati Arabi chiedono l’intervento Usa in Libia

Emmanuel Macron (Lapresse)

Attriti tra Francia e Turchia: la prima abbandona le esercitazioni Nato che si stavano svolgendo nel Mediterraneo perché “non è salutare partecipare a operazioni con alleati (la Turchia, ndr) che non rispettano l’embargo”. Ci sono poi tensioni aperte per presunti casi di spionaggio fra i due paesi. Nel frattempo l’emittente turca di Stato Trt annuncia di avere documenti che rivelano pressioni degli Emirati Arabi Uniti per chiedere l’intervento degli Stati Uniti in Libia. Secondo Gian Micalessin, corrispondente di guerra de Il Giornale, “la situazione è molto tesa, ma alla fine si potrebbe risolvere in bene soprattutto per noi, se il nostro governo fosse un po’ più sveglio. Francia e Italia hanno i medesimi obbiettivi in Libia, si sono combattuti stupidamente, ma adesso potrebbe uscirne un’alleanza che ci riporterebbe in primo piano nel Nord Africa”.

Francia e Turchia sembrano dirigersi verso un conflitto quantomeno diplomatico, cosa sta succedendo?

Comincia tutto a fine novembre quando la Turchia, approfittando di quello che è diventato il suo Stato fantoccio, a Tripoli firma con Serraj il trattato sul Mediterraneo, trasformando di fatto gran parte della parte orientale in suo protettorato e monopolizzando la ricerca di gas e petrolio. Questa è la goccia che fa traboccare il vaso.

In che senso?

La Francia rimane tagliata fuori: da una parte, con Haftar e i suoi alleati Russia, Emirati ed Egitto; dall’altra, la Turchia con Tripoli. Haftar si è mosso in autonomia quando ha deciso di attaccare Tripoli, adesso però la Francia ha capito in prospettiva quanto sia pericolosa la Turchia, paese di cui non si è mai comunque fidata.

E quindi? Cosa farà Parigi?

Ha deciso di prendere l’iniziativa nel Mediterraneo e questo potrebbe far comodo anche a noi, se il nostro governo fosse un po’ più attento e un po’ più sveglio su quanto sta accadendo in Libia.

Ci spieghi. Al momento non siamo tagliati fuori da tutto?

Per quanto la Francia si sia contrapposta a noi, gli interessi sono paralleli. I giacimenti di petrolio in Cirenaica sono francesi, noi abbiamo quelli della Tripolitania. Potrebbe esserci un accordo quasi perfetto tra due paesi che si sono scontrati in modo del tutto inutile, rendendo impossibile un quadro comune europeo sulla Libia.

Lo scontro franco-turco può significare la fine della Nato?

La Turchia è di fatto uscita dalla Nato, come dice giustamente Macron. Si comporta non come un alleato, ma come un nemico. Da quando ha appoggiato l’Isis contro l’Occidente era già uscita. Macron cerca di giocare a fare il De Gaulle in modo minore – ricordiamoci la polemica con la Nato del presidente più ammirato dai francesi -, ma agisce molto male sia sul piano interno che su quello esterno. Resta il fatto che la sua mossa è interessante, anche gli Usa di Trump cercano di spaccare la Nato. Ma potrebbe essere interessante per l’Italia nello scacchiere del Mediterraneo e del Nord Africa, dove potremmo tornare ad avere un ruolo anche nella gestione dei migranti.

Ci sarebbero documenti riservati secondo i quali gli Emirati Arabi Uniti premono sugli Usa perché intervengano in Libia. È vero?

C’è sicuramente un ritorno degli Usa sullo scacchiere libico, perché si sono accorti con molto ritardo della presenza russa, che nel frattempo ha abbandonato Haftar per preferirgli il presidente del parlamento di Tobruk. Ma questi non ha soldati e la Russia ha dato una garanzia alla Cirenaica, quei dodici jet siriani. Questo ha comportato il risveglio degli Usa, che hanno visto i russi sulle sponde del Nord Africa e quindi si sono dati una mossa. Anche questo, se l’Italia si muoverà con la destrezza che finora non ha mostrato, ci tornerà utile.

Perché?

Gli Usa si fidano di più dell’Italia da quando, caduto Gheddafi, scoprirono che trovare qualcuno in Inghilterra o in Francia capace di rimettere in piedi il puzzle libico era impossibile. Siamo più affidabili dei turchi. Ma dobbiamo sperare che Conte e Di Maio si sveglino.

Covid-19 La Strategia della Paura e della tensione non molla ci vuole schiavi a tutti i costi e continua a trasmettere fake news per mantenerci in una narrazione estremamente negativa. Complottisti sono coloro che nascondono la verità

senza tv inutile

Maurizio Blondet 4 Luglio 2020 

Tutto il giorno tutti i media hanno rullato la promessa del governatore Zaia: Tso e “ricoveri coatti” a chi rifiuta le cure, una persona che sa di essere positiva e continua ad andare in giro va arrestata.




Tutto questa truculenza e giro di vite dittatoriale per “5 positivi, 3 a Vicenza uno a Padova e uno a Verona”. Sotto al margine d’errore del tampone che – dovrebbe essere noto – dà almeno il 50% di falsi positivi.

Si veda qui:
[Potenziale tasso di falsi positivi tra gli “individui infetti asintomatici” in stretti contatti di pazienti COVID-19].


S’intende che tali positivi, veri o falsi, sono senza sintomi.

E a settembre non ci saranno “terapie intensive piene” perché adesso i medici sanno come curare il virus senza arrivare all’ospedalizzazione – cosa che Zaia stranamernte non sa.

A Torino, la sindaca Appendino ordina le misure che leggete per “il contenimento del contagio”.


In tutto il Piemonte, lo stesso giorno, sono stati registrati 13 nuovi casi di cui 12 asintomatici.

Il Corriere dà il bollettino quotidiano della “pandemia” in questo modo:


34.818 morti, senza dire da quante settimane o mesi, è puro terrorismo. Senza dire che dei “240.961 positivi”, (il che non vuol dire malati) la metà sono falsi positivi.

Siccome si sta allentando la tensione della popolazione, c’è l’ordine di mantenerla alta per poter giustificare la vaccinazione obbligatoria come TSO per tutti, lattanti e novantenni in autunno. Come da programma enunciato da Ricciardi-OMS:


Fin dal mattino, tutte le radio- diconsi tutte – martellano sulle migliaia di morti degli Usa, dipingono gli Stati Uniti devastati dalla pestilenza inenarrabile, che falcia vite umane:

“Anche oggi 687 morti di Covid, ma Trump vuol tenere la festa del 4 luglio con gli assembramenti!”, deplora con voce incrinata dal pianto la giornalista.

Ora, fa impressione, non è vero? “687 morti” in un giorno. Purché si abbia l’accortezza di non dire che negli Stati Uniti, che contano 328 milioni di abitanti, di solito muoiono per tutte le cause, OGNI GIORNO, 7970 cittadini (è la media giornaliera del 2019, quando ancora non “infuriava” il covid).

Numero giornaliero di decessi per coronavirus (COVID-19) rispetto all’influenza e tutte le cause negli Stati Uniti a partire dal 2 luglio 2020 *


Ed anche a prendere per buona la cifra di 687 morti per Covid (tralasciando le sopravvalutazioni interessate: le assicurazioni rimborsano il triplo per il malato Covid), bisogna far finta di ignorare che i morti giornalieri per Covid fin dall’inizio della pandemia, sono stati 945: AL GIORNO. Siccome oggi i morti AL GIORNO sono 687, vuol dire che diminuiscono vistosamente, non aumentando come si fa’ credere : perché in USA il trattamento con idrossiclorochina s’è ormai affermato.

USA, i morti calano.

Stessa cosa per il Brasile:a sentire le radio, il Brasile è sopraffatto dall’epidemia, non riesce a difendersi, “1.179 nuovi decessi nelle ultime 24 ore, secondo il Ministero della Salute. In tutto, ci sono 17.971 decessi per coronavirus e 271.628 casi confermati”. Basta dimenticare che in Brasile ha 209 milioni di abitanti e AL GIORNO muoiono 980 brasiliani di cause cardiocircolatorie, 624 al giorno di cancro, 424 AL GIORNO per violenza e incidenti.


Il Brasile non ha conosciuto il picco delle altre nazioni, ma una lenta e modesta crescita; e come si vede si sta stabilizzando (mentre i media raconatno quasi di una crescoita inarrestabile) : senza aver imposto le misure draconiane di lockdown. E i suoi medici sono entusiasti della clorochina, che evita le ospedalizzazioni e costa poco (barata).


” Vi è un ampio e crescente consenso sul trattamento precoce basato sui farmaci generici. Il video ha oltre mezzo milione di visualizzazioni in un solo giorno. Questo è semplicemente senza precedenti.

NoMes - Sì, mentono tutti, è questo è il punto. Non c’è più la condizionalità immediata perché c’è a monte. E i trattati, cioè le regole per distribuire le torte in questa famiglia, non sono cambiati.

https://www.consulpress.eu/wp-content/uploads/2020/03/PIANO-DI-SALVEZZA-NAZIONALE-NUOVI-PARADIGMI-30.03.20.pdf

Sapelli a TPI: “Sul Mes l’Europa mente, è una torta che non va mangiata. L’Italia rischia di diventare un bersaglio”

L'economista: "L'Ue oggi non è uno Stato di diritto. Il Mes nasconde troppe insidie: se saremo i primi a usarlo finiremo nel mirino della speculazione, ma molti economisti non lo hanno ancora capito. Un'alternativa c'è: un maxi-prestito da 300 miliardi finanziato dagli italiani e a lunghissima scadenza"

Pubblicato il 3 Lug. 2020 alle 12:05

Illustrazione di Emanuele Fucecchi

Professor Sapelli, proviamo a spiegare questo dibattito sul Mes in termini che capirebbe anche un bambino?
Volentieri. Anche perché chi non sa nulla, tende a sbagliare molto. E nell’ignoranza il rischio è che prevalgano credenze e malintesi, esorcismi e magie.

Lei come la vede?
Vedo molte persone che sanno molto che restano in silenzio. E molte persone che non sanno nulla che si sbracciano molto. Uno spettacolo divertente, se non fosse una tragedia.

Spieghiamolo.
Se dobbiamo spiegarlo ad un bambino partiamo da una torta.

Una torta?
Sì. Una maestra che a scuola ha una fama un po’ dubbia, di cui gli scolari non hanno mai capito se fidarsi o meno, un bel giorno si presenta in classe con un sorriso smagliante e dice che ha preparato una bella torta.

E poi che succede?
Taglia questa torta a fette e dice agli scolari: “Chi la vuole mangi pure”.

Interessante.
Accade però che nessuno scolaro, tra gli amici del bambino che sta a cuore a noi allunghi la mano.

Nessuno?
Solo uno, il più povero della classe, dice che ne prenderà un pezzo. Degli altri nessuno dice muove.

Detto in questi termini sembra un racconto di Stephen King. È evidente che lei vuole suggerire che la torta non vada degustata.
Amico mio, io non sono come questi professori veri o presunti – che non scrivono libri ma che pubblicano paperssss – che stanno gridando al bambino: “Mangia! mangia! Mangia!”.

E perché? Quella torta è forse un inganno?
Per carità. Dire inganno significa presupporre un retroscena cospirativo, e io per natura diffido di chiunque usi argomentazioni complottistiche e cospirative.

E allora perché?
Non c’è bisogno di immaginare che ci siano retroscena avvelenati. Basta stare a quello che c’è sulla scena, per capire che quella torta non è buona.

La maestra, e tanti genitori, ci dicono: “Si può prendere una fetta, perché non c’è più condizionalità”.
Mente!

Non crede alle parole della maestra, cioè delle principali autorità europee che ci hanno rassicurato sul Mes.
Sì, mentono tutti, è questo è il punto. Non c’è più la condizionalità immediata perché c’è a monte. E i trattati, cioè le regole per distribuire le torte in questa famiglia, non sono cambiati.

Dobbiamo pensare dunque che ci sia un inganno, e anche grave, professor Sapelli?
Ecco il tema, invece: non c’è nessun inganno, perché le regole sulle torte, in questa famiglia un po’ particolare, non sono mai esistite.

Ma mi ha detto lei che esistono dei trattati su come si distribuiscono le torte!
È vero. Ma il punto è proprio questo: non si capisce questa storia delle torte, se prima non si parte dall’idea che in questa classe, con tanti alunni diversi, ci sono alunni rissosi e affamati.

E quindi cosa dice delle regole?
Che le regole sono più complesse di quelle scritte o dichiarate.

Perché?
Perché dipendono dai rapporti di forza tra i bambini della classe. E quindi c’è qualcosa di molto importante da capire in più….

Giulio Sapelli: professore, economista, saggista. Due anni fa sfiorò addirittura la poltrona di premier, a Palazzo Chigi. È rimasto il libero e arguto pensatore di sempre, uno che può permettersi di dire quello che pensa senza condizionamenti. In questa intervista sulla crisi del dopo-Covid tiene una doppia posizione sorprendente, molto diversa da quelle che siamo abituati a sentire in queste ore: da un lato ferocemente contraria ai no euro, dunque, ma dall’altra nettamente contraria a chi ci invita ad accettare il Mes.

Professore, lei ci stava spiegando che la storia della torta ci insegna qualcosa di più importante. Cosa?
Che l’Europa, oggi, non è uno stato di diritto.

No?
Assolutamente no. Non è una istituzione governata da ordinamenti giuridici.

Non la immaginavo così critico.
E infatti non è una critica. È una constatazione. Siamo governati da una costruzione giuridica che non è retta da regole chiare, ma da ordinamenti di fatto.

E poi?
Questi ordinamenti sono la sovrastruttura di una governance complessa, che si regge su poteri di veto informali e non.

E poi?
In quella classe noi non abbiamo amici di cui fidarci ciecamente. E infine c’è un rischio serio. Soprattutto se si mangia la torta.

Quale?
Il rischio di finire come la Grecia.

Lei sa che le hanno ricordato che questo Mes è nato dopo la crisi greca.
Professori non nominati per concorso – e molto bravi nell’arte di pubblicare “paperssss” – mi rispondono con questa argomentazione scolastica da prima elementare.

E non vuole rispondere?
La metonimia indica una parte per il tutto. E in questo caso la Grecia, oltre che un rischio, è una metonimia.

La sento molto agguerrita contro i “papersss”.
Il declino non è mai solo economico. O politico. È sempre declino culturale e intellettuale.

Ma lei stima Roberto Gualtieri? E sa che il ministro dice: “È come andare in banca a chiedere un mutuo a tasso agevolato, e poi scegliere la proposta con il tasso più alto”?
Gualtieri è un abile propagandista formato ad una vecchia e solida scuola, quella del Pci, che è anche la mia.

E quindi gli crede? Perché lui sostiene che di fronte alla possibilità di risparmiare 500 milioni di euro all’anno non si dovrebbe resistere.
Vede? Tutti parlano di quanto sia buona questa torta, ma nessuno dice che – se la mangiamo – corriamo un rischio fenomenale.

Provi a spiegarlo lei, questo rischio.
La prima conseguenza sarà l’aumento vertiginoso dello spread e l’entrata in sofferenza delle banche e degli istituti di credito italiani.

Perché?
Perché noi siamo un paese sostenibile. Abbastanza sostenibile. Ma appena risultasse che siamo gli unici bambini – a parte quelli poveri – a mangiare la torta, regaleremmo al mondo la certificazione della nostra povertà.

E basterebbe questo a cambiare la nostra percezione?
Oh sì. Io sono convinto che diventeremmo immediatamente un bersaglio. Se sei così povero che ti devi mangiare la torta dei poveri, vieni declassato, e aggredito sul mercato.

E se quella torta la prendessero anche altri bambini?
Se la prendesse Francia, proprio per quello che ho detto, cambierebbe la percezione. Ma non mi pare che Macron stia valutando questa ipotesi. C’è poi un altro punto.

Quale?
Il dottor Cottarelli, che scrive dei Papersss, ma è bravissimo a fare di conto, ha fatto dei calcoli da cui risulta che non prenderemo poi così tanti soldi.

Tuttavia Cottarelli è favorevole al Mes.
Stiamo alla sostanza, cerchiamo di capire cos’è davvero quella torta: ci danno quattro soldi, ci costringono a disporli sul debito. Grazie ai disastri prodotto da vent’anni di ordoliberismo noi siamo il paese più fragile d’Europa sul debito.

E siamo costretti a finanziarci collocando titoli sul mercato.
Ecco, io leggo che Dombroskis, non l’ultimo dei bidelli, ha detto che ritorneremo al Patto di stabilità. Che la sospensione del trattato è solo temporanea. Metta in ordine questi elementi, e capirà il rischio che corriamo.

Ed esiste una alternativa?
Io credo di sì. Esiste, ad esempio facendo ricorso alla proposta fatta dal più grande banchiere di cui l’Italia dispone, che si chiama Giovanni Bazoli. Una proposta ambiziosa.

Come la spiegherebbe ad un bambino?
Semplice: sarebbe il più grande prestito della storia italiana.

Nessuna patrimoniale.
Per carità di Dio. Bazoli ha detto che pensa a un grande prestito, non forzoso, finanziato dagli italiani e garantito dai beni dello Stato. E aggiunge: “Non bastano 100 miliardi, ne servono 300, soldi da destinare alle riforme produttive”.

Condivide?
Assolutamente sì.

E non dovrebbe essere obbligatorio da sottoscrivere per gli italiani.
Assolutamente no. Io lo immagino simile a quello per la resistenza del 1945 e quello della ricostruzione del 1948. Un prestito a 50, 100 anni, quasi irredimibile.

E lei inviterebbe gli italiani a sottoscriverlo?
Siccome ormai sono anziano, lo farei citando il celebre discorso che Togliatti pronunciò a Reggio Emilia, quando disse agli operai comunisti: “Comprate i titoli del prestito perché è così salverete le vostre fabbriche, e quindi il vostro lavoro”.

E poi cos’altro?
Cerchiamo di diminuire il debito pubblico facendo investimenti in stock di capitale fisso, che producono occupazione.

Del tipo?
Rafforzare la nostra industria, ad esempio le macchine utensili, le eccellenze della manifattura industriale italiana, che sono tante e le più disperate.

E se invece il bambino prendesse la torta, perché il governo su questo decide a favore del Mes?
Se lo prendiamo, dobbiamo diminuire comunque il debito pubblico. Senza licenziare le persone, e senza tagliare le pensioni – come già sento dire da qualche imbecille -. Altrimenti diminuiscono i consumi.

Si può diminuire il debito?
Io penso proprio di sì. Se continueremo ad avere dei ministri con maggiore capacità di contrattazione, rispetto alla comunicazione. Ma sia chiaro che dovremo comunque negoziare, su ogni cosa. E qui serve un requisito indispensabile.

Quale?
Un paese che negozia, non urla, non sostiene più la necessità dell’uscita dall’Euro perché questo è una follia.

Lo dice proprio lei, che è così critico con la maestra, e così scettico sulla torta?
Non un atteggiamento ideologico. Io sono un pragmatico. E da pragmatico so che,
se noi ci presentiamo al tavolo con l’Europa con leader politici che immaginano questo piano B, noi siamo morti. 

Cos’altro può aiutarci?
Ehhhhh… C’è un effetto non previsto ma possibile.

Di che tipo?
Quello che gli Stati Uniti, magari aiutati dal fatto di ritrovarsi con un presidente che non immagina la sua politica estera su Twitter, si accorgono che l’Italia non può essere nella zona di influenza dell’Isis.

Adesso non esageri. Non siamo nella zona di influenza dell’Isis.
Non sia miope. Rischiano di finirci molto rapidamente quando, tra poco, scoppierà la guerra in Libia.

Lo dà per certo?
In quel caso gli americani capiranno che il Mediterraneo deve diventare un lago Atlantico. La Sicilia, se scoppia questa nuova guerra in Libia, che sta per scoppiare, diventa di nuovo l’avamposto contro il califfato. E allora altro che torta.

Però così sembra che dobbiamo augurarci la catastrofe.
La pace kantiana a cui aspiro anche io, è altra cosa rispetto ai rapporti di forza.

E cosa accadrebbe, nell’immediato?
Che gli americani, invece di twittare alla Trump, manderebbero un paio di portaerei nel Mediterraneo. Ci farebbero fare una passeggiata a Macron, magari suonando gli inni, cosa a cui lui tiene. E si ricostruirebbe un minimo di equilibrio.

Si è dimenticato di dire con chi dovremmo stare.
Primo: non con quelli con cui stiamo oggi. Secondo: sempre al fianco degli americani, sia che perdano sia che vincano.

Quindi con Haftar e non con Serraj?
Ma ovvio. Non dimentichi che Gheddafi, Haftar, lo aveva mandato in Ciad, e che gli americani lo mandarono a prendere l’elicottero e se lo portarono dritti a Langley, negli uffici della Cia.

Beh, si rende conto che se fosse così si tratterebbe di cambiare cavallo.
Noi da dieci anni stiamo scommettendo sul cavallo sbagliato.

Sarebbe un bel cambio di fronte.
Nulla rispetto a quello che abbiamo fatto negli ultimi duecento anni. Altrimenti ci arruoliamo tra quelli che credono all’Onu. Ma non dimentichi mai che l’Onu ha a capo della commissione diritti umani un saudita.

E questo le pare decisivo per giudicare l’Onu?
Beh, direi che mettere a capo della commissione diritti umani il rappresentante di un paese dove si squartano le persone è un ottimo biglietto da visita.