L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 3 ottobre 2020

28 settembre 2020 - Chi ha ucciso Germanico, vendicatore di Teutoburgo?

per settimane ammannite alle 18 con lugubri elencazioni di numeri mai interpretati ma divulgati così da suscitare in larga parte della popolazione una paura che ancora non si è placata

Perché è utile leggere Likecrazia di Capezzone

3 ottobre 2020


L’articolo di Cesare Maffi per Italia Oggi su Likecrazia, appena uscito da Piemme, scritto da Daniele Capezzone

Con toni sapidi e pungenti, Daniele Capezzone dipinge il mutare della comunicazione politica, dominante ventiquattr’ore giornaliere attraverso mezzi di massa sempre più fitti, sempre più numerosi, sempre più seguiti e sempre più velocemente abbandonati. Non mancano riferimenti dotti (che attestano la capacità di Capezzone di guardare fuori d’Italia) e conoscenze erudite, su testi scientifici non alla comune portata.

Il lettore medio gradirà specialmente gli assalti sferrati al mondo progressista di politici, d’intellettuali, di comunicatori, di accademici, tutti ricchi di spocchia supponente. Sono moralizzatori che ritengono di essere dotati di una superiorità etica e persino antropologica rispetto agli avversari. Fintamente democratici, osteggiano in realtà quello che considerano popolame, specie quando le masse (come un tempo erano definite) non seguono gli indirizzi loro indicati e ancor meno quando votano chi non è tollerato da questi tronfi esaltatori di sé stessi.

Si gusta con piacere il ritratto di questi progressisti, incapaci di capire come gli altri la pensino, soprattutto di comprendere quali problemi patiscano, quali esigenze avvertano, quali difficoltà affrontino. Rinchiusi nei salotti, in luoghi elitari, in una società rarefatta di gente che se la canta e se la suona senza alcun rapporto vero con ben altre realtà, questi liberal (per dirla all’americana) giudicano l’Italia standosene fra quanti a Capalbio o ai Parioli votano Pd. Se vivono negli Stati Uniti, guardano ai radicali delle metropoli, mentre nel Regno Unito giudicano la società da plaghe londinesi che non rispettano il multiforme mondo anglosassone.

Particolarmente felice è la ricostruzione delle delusioni da costoro patite per quelli che vivono come tradimenti: il sostegno a Donald Trump dalle classi dimenticate dagli Obama-Clinton, la voglia di andarsene dall’Ue espressa dagli inglesi, il sostegno a populisti e sovranisti in non pochi Paesi.

Quando Capezzone si sofferma sulla pandemia, emergono in particolare gli orribili effetti della disastrosa comunicazione ufficiale. Il vertice è probabilmente segnato dalle conferenze stampa, per settimane ammannite alle 18 con lugubri elencazioni di numeri mai interpretati ma divulgati così da suscitare in larga parte della popolazione una paura che ancora non si è placata.

(Estratto di un articolo pubblicato su ItaliaOggi)

3 ottobre 2020 - NEWS DELLA SETTIMANA (26 set. - 2 ott. 2020)

Energia pulita - Idrogeno verde più si produce e meno costa e allora cosa aspettiamo

Vi spiego come l’idrogeno veicolerà la decarbonizzazione

3 ottobre 2020


L’approfondimento di Luca Longo su idrogeno e dintorni

Nemmeno il Coronavirus ce l’ha fatta. In tutto il mondo, il brusco rallentamento di tutte le attività produttive e lo stop ai mezzi di trasporto imposto dalla pandemia ha provocato grossi danni all’economia ed alla nostra vita, ma – purtroppo – l’impatto del lockdown sulle emissioni clima-alteranti è stato minimo e momentaneo.

Infatti, sia la National Oceanic and Atmosferic Administration che lo Scripps Institution of Oceanography hanno misurato nuovi valori record per la concentrazione di CO2 in atmosfera già all’inizio di luglio 2020.

Dopo la delusione, possiamo consolarci perché è stato almeno dimostrato al di là di ogni possibile dubbio che la soluzione al riscaldamento globale non può essere quella di fermare semplicemente tutto il Pianeta.

Per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione fissati dagli accordi di Parigi, dobbiamo compiere una vera e propria transizione energetica. Questa richiederà il rapido sviluppo di fonti di energia rinnovabile insieme a un altrettanto rapido abbandono dei combustibili fossili, a cominciare dal carbone. In particolare, un passaggio decisivo sarà la progressiva elettrificazione di macchine, motori e impianti che oggi funzionano grazie a combustibili fossili. L’elettricità dovrà provenire non da centrali termoelettriche che bruciano fossili – se no siamo di nuovo daccapo – ma da fonti rinnovabili, primi fra tutti il Sole e il vento.

Purtroppo, però, l’International Renewable Energy Agency stima che al 2050 più della metà dei consumi proverrà da settori che non sarà possibile elettrificare.

Inoltre, occorrerà risolvere il problema di come bilanciare l’intermittenza delle fonti rinnovabili (di notte i pannelli solari non funzionano e in assenza di vento le pale eoliche sono ferme) con la variabilità della domanda di energia.

Infatti, a differenza dei combustibili, l’elettricità non si può conservare: occorre utilizzarla nel momento stesso in cui viene generata, se no è persa per sempre. Una soluzione per pareggiare il conto e permetterci di immagazzinare l’energia verde quando è disponibile per poi usarla quando serve, è quella delle batterie: si trasforma l’energia elettrica in energia chimica immagazzinandola nei legami fra molecole e metalli presenti nella batteria, per poi invertire la reazione e ritrasformarla in elettricità quando ne abbiamo bisogno. Purtroppo le batterie hanno numerosi svantaggi: usano spesso metalli rari, costosi e difficilmente reperibili, inquina produrle e smaltirle, sono pesanti e poco adatte ad essere utilizzate in tutti i dispositivi mobili.

L’idrogeno (per gli amici H2) può essere la molecola che ci aiuterà a vincere questa sfida: è un ottimo vettore energetico in forma di gas. Infatti, un solo kg di H2 è in grado di sviluppare 142 MJ di energia, contro i 56 del gas naturale, i 45-46 della benzina, del diesel o del kerosene, i 30-32 del carbone e i 16 della legna. Può essere trasportato con facilità lungo gasdotti anche se, essendo un gas, ha una densità più bassa dei combustibili fluidi o solidi.

Inoltre, l’idrogeno è l’elemento di gran lunga più abbondante di tutto l’Universo: il Sole e la stessa Via Lattea sono fatti per tre quarti di idrogeno. Ma l’asso di briscola dell’H2 è che non produce emissioni di CO2 o altri inquinanti!

Sulla Terra, l’idrogeno ha un solo grosso problema: anche se sulla superficie del nostro pianeta se ne trovano oceani interi, tutto questo idrogeno si trova in forma ossidata: si chiama … acqua.

Per poterlo utilizzare come vettore di energia, dobbiamo fornire elettricità all’acqua in un elettrolizzatore: un dispositivo che trasforma l’energia elettrica in energia di legame chimico smontando le molecole d’acqua, che sono molto stabili, per trasformarle in molecole di idrogeno e di ossigeno, entrambe molto reattive. Se poi facciamo funzionare l’elettrolizzatore al contrario, questo diventa una cella a combustibile che trasforma di nuovo l’energia chimica in energia elettrica consumando le molecole reattive H2 e O2 per produrre stabili molecole di H2O.

Per questo, dobbiamo considerare l’Idrogeno come un vettore per il trasporto e l’immagazzinamento dell’energia e non come a una fonte energetica – a meno che non riusciamo a procurarcelo direttamente sul Sole, dove si trova già allo stato non ossidato; ma è piuttosto distante e … decisamente molto caldo.

Ma torniamo sulla Terra: in un impianto a pannelli solari o in una centrale eolica, quando produciamo energia in eccesso rispetto alla domanda, possiamo deviare il surplus di elettricità a un elettrolizzatore alimentato ad acqua. Possiamo utilizzare o liberare l’ossigeno in atmosfera e immagazzinare l’idrogeno comprimendolo in bombole. Quando, viceversa, la domanda di energia supera la nostra capacità di produzione da rinnovabili, possiamo fare funzionare l’elettrolizzatore al contrario e trasformare di nuovo l’energia chimica in energia elettrica.

Oltre a impiegarlo per stabilizzare la rete elettrica – immagazzinando l’energia in eccesso prodotta dalle rinnovabili invece di sprecarla – oppure come carburante per automobili, camion, anche intere navi, l’idrogeno può alimentare processi industriali che richiedono grandi quantità di energia, come le acciaierie o l’industria del Silicio rendendo più ecocompatibili quelle produzioni.

Un altro aspetto positivo per l’idrogeno è l’efficienza di conversione: una cella a combustibile attuale per un veicolo a idrogeno già raggiunge l’efficienza del 60%, mentre per un motore a benzina questa è solo del 20%. Anche un moderno impianto termoelettrico a carbone ha un’efficienza del 45%; ma un 10% si perde lungo la linea elettrica prima di raggiungere gli utilizzatori.

A tutti questi aspetti positivi, se ne aggiunge uno negativo: al momento attuale il costo dell’idrogeno è troppo alto rispetto alle tecnologie più tradizionali. Ma anche su questo abbiamo delle buone notizie.

Nel 2000 produrre una certa quantità di energia bruciando petrolio costava 40 volte meno che ottenerla usando idrogeno prodotto da fonti rinnovabili. Nel 2010 il rapporto era sceso a solo 10 e oggi l’energia da H2 green costa solo il doppio di quella da fossili.

La International Energy Agency prevede che già nel 2030 il prezzo dell’H2 scenderà di un altro 30% grazie all’aumento della produzione ma, soprattutto al miglioramento delle tecnologie rinnovabili e di quelle per la generazione di idrogeno.

Ed allora avanti con la ricerca e lo sviluppo, finché non potremo conservare in barattolo un pezzettino di Sole per usarlo quando ci pare.

(Una sintesi dell’articolo è stata pubblicata su eni.com)

E' ufficiale gli Stati Uniti finanziano le rivoluzioni colorate: Hong Kong...

Gli USA pagano le proteste nel mondo

Maurizio Blondet 2 Ottobre 2020 

E lo rivela il Congresso USA, senza volere

Il controspionaggio estero bielorusso (SVR) ha accusato gli Stati Uniti di aver finanziato le manifestazioni “spontanee” e le proteste di piazza per la democrazia che hanno infuriato nel paese contro la rielezione di Lukashenko, investendoci 20 milioni di dollari e operando attraverso ONG alimentate, diciamo, da questo corroborante.

La circostanza, lungi dall’essere parto del settore disinformatija dello SVR, ha avuto una conferma inaspettata – da una fonte americana. La più autorevole .

S’introduca qui Michael Pack, un cineasta di successo che Trump ha da poco (giugno) nominato amministratore delegato di una agenzia federale a me prima sconosciuta (non so a voi), la US Agency for Global Media (USAGM), che gestisce emittenti e media come Voice of America, Radio Free Asia e simili, insomma potenti mezzi d’influenza internazionale.

Appena arrivato sulla poltrona, Pack ha licenziato i direttori e i più alti in grado dello staff di quei due organi di propaganda americana , e congelato i fondi.

Per questo è stato convocato dalla Commissione Esteri del Senato il 22 settembre, dove gli esponenti di entrambi i partiti hanno messo Pack sulla graticola: “Ha licenziato i massimi esperti del contrasto alla propaganda cinese che il governo Usa aveva a disposizione, e danneggiato gli sforzi americani per sostenere il movimento per la democrazia ad Hong Kong”, suonavano le accuse perfettamente bipartisan.

Così si è avuta conferma che anche il movimento per la democrazia ad Hong Kong non è proprio spontaneo; ma in più, si è capito in che modo arrivava ai giovani il corroborante in dollari, senza cui le rivoluzioni dei colori rimarrebbero esangui.

I senatori infatti erano particolarmente infuriati dalla mossa di Pack di congelare i fondi di un altro ente sconosciuto ai comuni mortali l’Open Technology Fund (OTF). L’OTF è stata costituita nel 2012 e ha operato come parte di Radio Free Asia per sette anni. Nel 2019, l’OTF è diventata un’organizzazione no profit indipendente, sebbene sia finanziata dai dollari dei contribuenti statunitensi attraverso l’USAGM.

Gli accusatori hanno chiamato a deporre contro Pack gli alti funzionari dell’USAGM che lui aveva licenziato. Il più avvelenato, Grant Turner, ex capo finanziario dell’USAGM, ha così rivelato: “L’OTF sta fornendo sostegno ai manifestanti in molti luoghi, in tutto il mondo…Sono gli strumenti dell’OTF che proteggono l’identità dei manifestanti di Hong Kong; dei manifestanti in Iran; l’ abbiamo visto a Beirut..”Beirut? Purtroppo Turner non ha completato la frase, quindi non sapremo cosa avremmo dovuto vedere nella capitale libanese recentemente devastata dalla spontanea mega-esplosione.

In compenso, s’è capito che questo Open Technology Fund fornisce “strumenti di elusione e formazione digitale” ai manifestanti. “OTF ha una lunga storia di supporto agli sforzi per la libertà di Internet ed era pronta ad espandere i suoi sforzi a Hong Kong, ha ruggito l’ambasciatrice Karen Kornbluh, che siede nel consiglio dell’OTF. Aveva all’opera un “team di risposta agli incidenti di sicurezza informatica” che avrebbe analizzato le tecniche di sorveglianza cinesi a Hong Kong. Il team avrebbe condiviso le informazioni con gli sviluppatori che avrebbero progettato app da utilizzare per i manifestanti. “Il congelamento dei finanziamenti ha reso impossibile portare a termine questo progetto”. “E poi USAGM ha congelato i suoi finanziamenti – e l’ha fatto poche settimane prima che le nuove leggi sulla sicurezza entrassero in vigore”, ha detto Kornbluh, “Quindi OTF non è stata in grado di supportare nessuno di questi sforzi.”

Già a giugno la rivista Time aveva rivelato un altro progetto OTF azzerato dal congelamento è stato un “fondo di risposta rapida da 500.000 dollari , progettato per fornire un rapido soccorso a gruppi della società civile, manifestanti, giornalisti e difensori dei diritti umani”. Secondo Time , questa iniziativa ha già effettuato diversi pagamenti a gruppi di Hong Kong dall’inizio dei disordini civili nel giugno 2019. Dunque lòa OTF non solo forniva ai capi della rivolta mezzi tecnici per sfuggire alla sorveglianza digitale di Pechino, ma faceva anche da agente pagatore.

Interessante coincidenza, la rivoluzione degli ombrelli ad Hong Kong si è spenta, i media hanno cessato d pomparla, e diversi capi della rivolta studentesca hanno cercato di fuggire su motoscafi e altre imbarcazioni di fortuna a Taiwan.

Poiché Trump ha scelto la Cina come nemico principale delle sue tirate e aggressioni verbali, è da escludere che abbia dato a Pack ordine di far mancare i fondi all’operazione Hong Kong; anzi Donald ha messo il suo amico Pack a capo dell’USAGM dopo aver accusato Voice of America di diffondere propaganda cinese. E’ più probabile, dice Zero Hedge, un effetto involontario del pressapochismo impulsivo dell’uno – Donald avrà ordinato di tagliare le spese – e dell’incompetenza dell’altro.

Certo questo colossale danno avrà molto rafforzato la decisione dei potenti e letali nemici di Trump nel settore dei servizi, di eliminarlo se viene rieletto.
Genio e stupidità

Che dire? Si riconosca almeno a The Donald un misto unico, esplosivo e imprevedibile, di stupidità e genio. E’ certo un colpo di genio il fatto che si è autodichiarato “positivo e in quarantena” da Covid: in piena campagna elettorale s è sottratto ai dibattiti, che possono finir male per lui, e ad ogni altro rischio di perdere nei sondaggi. Assente giustificatissimo per giunta: o voi tutti che riempito ogni media di dati del Terrore sulle centinaia di migliaia di morti che la pandemia ha falciato in Usa e nel mondo, voi che avete dato dei negazionisti a chi dubitava della realtà e letalità della nuova peste, osereste forse dubitare che Trump stia simulando la malattia? La malattia è reale o no? Ovviamente lui è asintomatico, e altrettanto Melania. Parleranno agli americani dal caminetto della Casa Bianca, teneramente uniti, senza contraddittorio.

La realtà capovolta è il capolavoro dell'attuale società

Sorridi, sei su scherzi a parte!

Maurizio Blondet 1 Ottobre 2020 
di Roberto PECCHIOLI

Un giorno Tommaso d’Aquino, docente alla Sorbona, entrò in aula, posò una mela sulla cattedra e avvertì gli studenti: “chi non crede che questa è una mela, se ne vada”. Intendeva parlare del principio di realtà e della capacità della retta ragione umana di coglierla. Il Dottore Angelico aveva torto. Ce ne siamo convinti attraverso l’osservazione di quella che – per semplificare- definiamo realtà. Deve aver ragione chi crede che è tutto sta nella nostra mente e che ciò che vediamo non è che un sogno o una rappresentazione. In caso contrario, vivremmo in un’immensa tragedia, un nonsense di quelli che solo certe opere dell’arte riescono a rappresentare: Kafka nel Castello o nel Processo, dipinti come l’Urlo di Munch o Crono divora i suoi figli di Goya. Il sonno della ragione genera mostri, o forse, banalmente, brutti sogni. Presto o tardi qualcuno verrà a risvegliarci gridando: sorridi, sei su scherzi a parte!

Non è possibile, infatti, che sia vero ciò che i nostri occhi vedono e le nostre orecchie odono: non possiamo essere caduti tanto in basso. Non parliamo solo dei grandi accadimenti, ma di piccole cose, almeno in apparenza, che forniscono tuttavia la misura della deriva che sta seguendo la nostra civilizzazione, o meglio, che starebbe seguendo se tutto non fosse che una sceneggiatura, una finzione distopica alla quale segue la frase liberatoria. Siamo su scherzi a parte, per fortuna. In una solo giorno abbiamo subito vari choc interiori: meno male che la mela non è una mela e Tommaso è dimenticato anche dai preti.

Citiamo eventi che dimostrano la prevalenza totale, invincibile, del cretino, come scrissero in un fortunato romanzo degli anni 80 Fruttero e Lucentini. Alcuni detenuti del carcere genovese di Marassi sono stati trasferiti – in linguaggio carcerario si dice tradotti- a Roma non per assistere a un processo o rendere testimonianza, neanche per dare l’ultimo saluto a un parente defunto, ma per partecipare a una trasmissione televisiva, Italia’s Got talent del gigante internazionale Sky, proprietà del magnate australiano Rupert Murdoch. Si tratta di gentiluomini condannati in via definitiva per reati che vanno dall’omicidio preterintenzionale, al traffico di stupefacenti fino alla truffa. Componenti del gruppo teatrale organizzato in carcere, il cui significativo nome è Scatenati, sono arrivati a Cinecittà, riferisce Il Fatto Quotidiano, e hanno ottenuto quattro “sì “dai giudici della trasmissione, un “talent show “dedicato alla scoperta di nuovi artisti dello spettacolo.

Non ci sta un sindacalista degli agenti di custodia penitenziaria, indignato per il fatto che l’ampia scorta assegnata ai detenuti è dovuta partire a notte fonda, fuori dai turni di lavoro e in un orario in cui il regolamento vieta i trasferimenti. La replica della direttrice del carcere di Marassi è davvero degna di Scherzi a parte, altro format della televisione commerciale. “La trasferta fa parte di un progetto di lavoro esterno. Tutto si è svolto in totale sicurezza”. Che meraviglia! Il gruppo ha recitato la lacrimevole storia di una lettera immaginaria ricevuta da un carcerato dalla propria compagna. Che tristezza la separazione fisica e morale tra i due, omettendo che è causata non da un destino avverso, ma dai gravi reati commessi. Ma si sa, quel che conta è l’amore. Omnia vincit amor, anche i regolamenti di giustizia. Et nos cedamos amori, cediamo anche noi all’amore, in attesa del risveglio da Scherzi a parte.

La giuria si è emozionata – la compongono, tra gli altri il cuoco Bastianich (no, si dice chef, è uno “stellato”), Mara Maionchi, produttrice musicale e perfino Federica Pellegrini, la nuotatrice olimpionica. I galeotti – si potrà ancora dire? – hanno passato il turno. Si prevedono nuove vacanze romane per gli Scatenati, ospitati per l’occasione, che ingiustizia, in un carcere della capitale. La giustificazione tecnico giuridica della prestazione televisiva è che per uno di essi si è trattato di un permesso premio. Per gli altri, la copertura è il lavoro esterno disposto dalla direttrice del penitenziario, previa approvazione del giudice di sorveglianza. Il sindacalista, forse seguace di Tommaso, si appella invano al principio di realtà: “Gli agenti liguri hanno 39mila ore di straordinari non pagati e continuano ad accumularne. Il nostro ruolo non è scoprire talenti, è garantire la sicurezza all’interno delle carceri. È assurdo che una trasferta del genere sia stata autorizzata in periodo di Covid, quando la mobilità dei detenuti è giustamente ridotta al minimo. “

Alice è caduta nella tana del Bianconiglio e vive felice nel paese delle meraviglie. La direttrice è riuscita a stupirci ulteriormente, se non sapessimo che tutto è un sogno. “Io sono dell’idea che il percorso trattamentale (sic !!) non possa essere abbandonato, nemmeno in questa situazione. Scontare una pena con finalità rieducative è un diritto costituzionale, come tale della massima importanza”. Ha anche assistito, immaginiamo a spese del ministero competente, alla registrazione del programma, anzi del “percorso rieducativo” degli autonominati Scatenati. “Mi sono commossa, sono stati davvero bravi. Spero che la loro esibizione possa avere anche un effetto educativo sugli spettatori, farli riflettere su tutti gli aspetti della detenzione, compresi quelli che spesso passano in secondo piano”. Riflettiamo, dottoressa, riflettiamo. Vogliamo trattamenti umani per i detenuti, ma l’educazione, semmai, è quella da impartire ai condannati; nel sogno-incubo in cui siamo immersi, noi preferiamo stare dalla parte delle vittime, i truffati, rapinati, morti ammazzati, a riflettere sulle sofferenze inflitte. Nessuno tocchi Abele, Caino torni ad essere ciò che è sempre stato: un mascalzone.

Ci piacerebbe, prima di risvegliarci, giusto per celiare un po’, chiedere ai giudici competenti –anche su Scherzi a parte ci sarà un giudice a Berlino – di autorizzare, anzi imporre al sistema sanitario di eseguire finalmente gli interventi chirurgici e praticare le terapie necessarie a milioni di persone, interrotte o rimandate per il virus, magari ricorrendo al meccanismo del talent show. Premi per i più attivi, la paletta che si alza nel voto favorevole, pazienti e famiglie finalmente felici. Oppure, di restituire un minimo di dignità alla scuola, mettendo in palio i banchi che non si trovano e costringono gli scolari a sedere sul pavimento, come è successo in una scuola genovese. Strana città in cui si incontrano più cani al guinzaglio che bambini al parco.

Nella piazza alberata del quartiere in cui viviamo, nel fine settimana si svolgerà una manifestazione per la quale- immaginiamo- è mobilitata l’intera troupe di Scherzi a parte. Alcuni animalisti – certamente muniti di mascherina e disciplinatamente distanziati secondo le regole della nuova quotidianità chiamata emergenza- sfileranno a favore dei cinghiali. Avete letto bene: a favore dei cinghiali. Ciò che non potete sapere è che la Wonderland sotto la Lanterna è il paradiso di codesti animali selvatici. A fine agosto, una nostra amica, nella medesima piazza della manifestazione, si godeva la frescura serale seduta su una panchina, dietro la quale grufolava un cinghialone di almeno un quintale. Alcuni mesi fa, transitando in una via centralissima del signorile quartiere di Castelletto, siamo stati bloccati da una pattuglia di vigili preoccupati, impegnati a transennare un tratto di strada, occupato da un grosso esemplare di suino selvatico, intento a rovistare con calma nei cassonetti dell’immondizia. Diventano virali, in città, filmati di cinghiali a passeggio tra automobili e passanti impauriti.

Il loro habitat preferito è il greto del torrente Bisagno, che scorre- si fa per dire, è una maleodorante palude inframmezzata da arbusti, erbacce, canneti e discariche abusive- in mezzo alla città. Un giorno abbiamo contato ben ventuno cinghiali, cuccioli compresi, nel solo tratto tra i ponti Sant’Agata e Serra, proprio vicino al carcere dalle porte girevoli per gli artisti televisivi. Eppure, c’ è chi trascorre il suo tempo gettando loro cibo, mostrandoli ai bambini e, ovviamente, scattando le immancabili fotografie da postare sulle reti sociali. Si chiede l’abbattimento selettivo, quanto meno la sterilizzazione di massa. No: c’è chi manifesta a favore dei “poveri” cinghiali, molti dei quali sono in verità porcastri del peso di un quintale e mezzo, i nuovi abitatori di una città in disarmo, detentrice di primati universali di denatalità degli umani.

Tra diritti dei detenuti e benessere dei cinghiali, si vive in una farsa che per dissolvenza si muta in tragedia. Meno male che è solo una rappresentazione, una costruzione della mente. Come il dialogo surreale con una dolce signora, in lacrime perché il cagnolino di una conoscente – malato di cancro e a cui era stata amputata una zampa- è stato soppresso dall’affranta padroncina. Dopo aver adeguatamente solidarizzato con la buona samaritana, le abbiamo chiesto che cosa pensa dell’eutanasia umana. Si è rianimata e, a ciglia asciutte, si è detta favorevole. Se uno non ha più voglia di vivere, o la malattia è grave, che senso ha andare avanti e – testuale – disturbare la vita dei parenti?

Ha ragione, signora, vivere è un disturbo, un peso ogni giorno più insopportabile per chi crede in ciò che vede, chiama mela la mela, non capisce più se è tutto un incubo ed assiste impotente alla deriva di una orgogliosa ex civiltà al capolinea. Tra detenuti stelle della televisione, animali selvaggi indisturbati in città, l’emergenza trasformata in quotidianità, vivere è davvero un gran disturbo. Fortunatamente, non è per sempre. Al colmo dell’angoscia, tutto svanisce e una voce allegra scandisce: “SORRIDI! SEI SU SCHERZI A PARTE!”

Era tutto già scritto. Dopo le amministrative, sono aumentati i casi di covid-19, chiaramente la schiacciante maggioranza asintomatici cercati scientemente, e allora comincia il De Luca segue Zingaretti e ci obbligano a respirare l'anidride carbonica da noi stessi prodotta attraverso le mascherine invece di farci respirare aria. Le consorterie corrotte del Pd fanno da apripista alla Strategia della Paura inoculandoci la nostra dose di terrorismo quotidiano

Obbligo mascherina anche all’aperto nel Lazio, ecco l’ordinanza

2 ottobre 2020


Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha firmato l’ordinanza che prevede l’obbligo dell’uso della mascherina anche all’aperto, a partire dal 3 ottobre. Ecco l’ordinanza integrale con chi è escluso dall’obbligo e le sanzioni previste

Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha firmato l’ordinanza che rende obbligatorio l’uso della mascherina anche all’aperto, a partire dal 3 ottobre.

Esclusi dall’obbligo i bambini sotto i sei anni, chi ha patologie incompatibili con l’uso della mascherina e “chi svolge attività motoria o di esercizio fisico-sportivo”.

La decisione era nell’aria già da ieri, dopo cioè il picco di contagi registrati, 265 in totale, di cui solo 151 nella Capitale. Multa di 400 euro per chi trasgredisce. L’obbligo di mascherine anche all’aperto è un potente strumento di prevenzione per fermare la curva dei contagi e per lanciare un messaggio che dobbiamo seguire tutti delle regole per poter tornare a vivere in piena sicurezza”, ha sottolineato il Presidente della Regione. “E’ un decisione assunta per evitare di dover prendere in futuro nuovi provvedimenti addirittura più invasivi. Per ora non prevediamo alcuna forma di contenimento degli orari dei negozi, dei bar o dei pub”.

“Non e’ da escludere che il Governo, in futuro, possa adottare un provvedimento. Si valuta settimana per settimana, monitorando i dati di tutto il Paese”: lo ha detto la sottosegretaria alla Salute, Sandra Zampa, a Bari, rispondendo alle domande dei giornalisti sull’eventualita’ di adottare un provvedimento unico, su tutto il territorio nazionale, che disciplini l’uso delle mascherine all’aperto, superando le singole ordinanze regionali e comunali.

“Si potrebbe decidere di utilizzare le mascherine all’aperto di fronte alla ripresa di focolai – ha detto – ci si sta pensando da molte parti. Ieri aumento secco di piu’ di 500 casi , dobbiamo fare in modo che il sacrificio enorme fatto come Paese dia dei risultati permanenti. Se oggi l’Italia vanta numeri cosi’ diversi dal resto d’Europa e’ perche’ siamo stati rigorosi. Di fronte a una ripresa molti sindaci e presidenti di Regione stanno andando in questa direzione”. “Il Governo valuta settimana per settimana – ha aggiunto la sottosegretaria – c’e’ una cabina di regia che lavora sul monitoraggio dei dati di tutto il Paese, non e’ da escludere che possa avvenire questo. Dobbiamo continuare a fare in modo che i numeri restino bassi, per come funziona il virus , e’ la base il moltiplicatore, se quella si alza rischieremmo di portare di nuovo in alto i meri e questo non deve avvenire”.


Le regole sono fatte solo per gli italiani

FEDERPESCA: "NEL MEDITERRANEO, NONOSTANTE LE NOSTRE PROTESTE, LA SITUAZIONE SI È FATTA PESANTE"


(di Tiziano Ciocchetti)
02/10/20 

Il caso dei 18 marittimi di Mazara del Vallo, sequestrati con i loro pescherecci a 35 miglia da Bengasi dalla marina del generale Haftar lo scorso 1° settembre, riaccende la luce sulla situazione del settore ittico italiano nel Mediterraneo.

Abbiamo intervistato il presidente della Federpesca, dott. Luigi Giannini, in merito alla vicenda e all’attuale situazione della nostra pesca.

Qual è il suo punto di vista sul sequestro dei 18 marittimi?

Pescavano all’interno della fascia delle 74 miglia (limite delle acque territoriali libiche già dichiarate dal regime del colonnello Gheddafi). La ZEE (Zona Esclusiva Economica) proclamata nel 2009 esiste fino a che non sarà modificata. Alcune testate giornalistiche non hanno riportato la notizia con il dovuto livello di approfondimento, infatti ho letto di molte note critiche sulla ZEE che sarebbe stata autoproclamata dalla Libia. La Convenzione di Montego Bay, sul Diritto del mare, prevede che la ZEE venga dichiarata dallo stato costiero che ne ha interesse. A volte il lettore viene portato a credere che questa autoproclamazione sia stata fatta in modo violento o comunque al di fuori delle regole internazionali: non è così.

Che poi la Libia lo faccia a valle di un confronto con il paese confinante o prospicente dipende anche dal fatto che la distanza sia tale da considerare, in questo caso l’Italia, come paese interessato. Su questo si potrebbero scrivere interi volumi di trattati sul diritto marittimo. Questo non inficia la dichiarazione di ZEE e di fatto non mi risulta che alcuna protesta sia stata sollevata formalmente, né presso lo stato libico né presso le Nazioni Unite che presiedono l’applicazione della Convenzione. Quella ZEE esiste, qualcuno potrà avere una opinione differente ma la verità è questa: andare a pescare nelle acque di un altro paese dovrebbe essere considerato un atto illegale, salvo autorizzazione concessa preventivamente da quel paese.

Riguardo al sequestro mi risulta che siano in atto trattative, frutto di contatti continui tra il nostro governo e quello della Cirenaica per trovare una soluzione. Noi comunque auspichiamo che si debba passare alla fase di confronto a una fase di collaborazione con la Libia, per molteplici ragioni. La Libia è un paese amico e credo si debba ripartire in modo tale da trovare intese che diano il via a una collaborazione tecnico/economica tra i due paesi.

Quali sono le difficoltà che i nostri pescherecci incontrano nel Mediterraneo?

Apriamo con una panoramica della pesca italiana nel Mediterraneo. Nel 1996 l’Unione Europea parte con una propria iniziativa al fine di regolamentare le attività di pesca da parte degli stati membri nel Mediterraneo, ovviamente quando parliamo di pesca nel Mediterraneo si parla di Italia, in quanto ancora oggi sia la Spagna che la Francia svolgono principalmente le loro attività ittiche nel Mare del Nord e nelle acque di paesi terzi extra mediterranei, in base ad accordi commerciali negoziati dall’Unione.

Tuttavia, nonostante le nostre proteste, a partire dal 2008/2010 la situazione si è fatta pesante: sono cresciute in modo esponenziale le flotte di pescherecci dei paesi rivieraschi della sponda sud del Mediterraneo e del Medio Oriente. Quindi nel corso di questi anni, Federpesca, ha continuato ad evidenziare il fatto che al di fuori delle acque territoriali siamo in mare libero quindi l’attività di pesca è libera.

Sottoporre, quindi, a regolamentazione estremamente restrittiva, al fine di preservare la fauna marina, i pescherecci italiani, quando a mezzo miglio di distanza un peschereccio nord africano piuttosto che turco opera in modo indiscriminato, utilizzando sistemi di pesca assai invasivi, operando 365 giorni l’anno, causa enormi danni a tutto il settore ittico italiano.

Inoltre, anche se le stesse restrizioni vengono applicate alle altre flotte che pescano nel Mare del Nord – come per esempio lo stop imposto dalla UE per permettere ai merluzzi di ripopolarsi – si tratta sempre di un mare che bagna il 90% degli stati membri dell’Unione, quindi sottoposti alle medesime regole.

Inoltre il pescato delle imbarcazioni nord-africane viene venduto anche nei nostri mercati ittici a prezzi concorrenziali, visto il basso costo della manodopera.

Cosa potrebbe fare il governo?

Questa situazione va avanti da molto tempo. Per una ventina d’anni era abbastanza normale che potesse regolata l’attività di pesca nel Mediterraneo, visto anche che gli altri paesi non esprimevano una grande capacità di pesca. Negli ultimi 10 anni la situazione è mutata.

Per regolamentare la pesca nel Mediterraneo, contempo, era stata avviata una politica di aggregazione da parte di tutti i paesi terzi del Mediterraneo, attraverso il Concilio Generale della Pesca del Mediterraneo che è un organismo della FAO. Ha un solo limite: quello che emana tale Concilio non sono regolamenti ma raccomandazioni, quindi non vincolanti.

Quindi, mentre i nostri pescherecci sono sottoposti a sanzioni pecuniarie che possono arrivare fino fino al ritiro della patente nautica, qualora violassero i regolamenti dell’Unione, i pescherecci degli altri paesi rivieraschi del Mediterraneo possono operare senza alcun rischio di sanzioni.

Da quanto si evince dalle parole del presidente Giannini, una possibile soluzione al problema sarebbe quella di creare una partnership dei paesi mediterranei con un regolamento condiviso e vincolante ma, allo stato attuale, una tale aggregazione converrebbe solo all’Italia.

Foto: Federpesca

Zingaretti ci vuole annichilire, distruggere, annullare le nostre volontà, da qui nasce l'iniziativa di farci respirare anidride carbonica prodotta da noi stessi invece di aria attraverso l'obbligo delle mascherine fuori casa, si aggrega a quel fanfulla di De Luca collega di quel coacervo di consorterie che chiamiamo Pd. Hanno creato una rete amministrativa micidiale per importi a fare il tampone, cercano il covid-19 soprattutto gli asintomatici per enunciare attraverso le televisioni gli aumenti del numero dei contagiati e le ore interminabili di attesa sono parte integrante per darci la nostra dose di terrore quotidiano in ossequio alla Strategia della Paura. Tutto ciò non è normale è cercare volutamente l'isteria collettiva

3 Ottobre 2020
Attesa interminabile - Una giornata di ordinaria follia per fare un tampone nel Lazio di Zingaretti

Il drive-in di viale Palmiro Togliatti, periferia est della Capitale, è uno dei 21 allestiti dalla Regione nella provincia di Roma che permette di accedere al test. Peccato che disponga solo di due postazioni a fronte di un afflusso quotidiano di persone straordinario


«Mamma non torno a pranzo e forse nemmeno a cena, qua famo notte». La voce, romana e sconsolata, è quella di un ragazzo con la testa che ciondola sul volante della Smart e il cellulare pigiato sull’orecchio. La sua, come centinaia di altre auto, è incolonnata in un tetris immobile. Giovani, anziani, disabili, famiglie con bambini. Migliaia di persone in attesa di un tampone che, nel migliore dei casi, arriverà dopo sei ore trascorse sui sedili. Il drive-in di viale Palmiro Togliatti, periferia est della Capitale, è uno dei 21 allestiti dalla Regione Lazio nella provincia di Roma, ricavato in fretta e furia all’interno del centro carni della città, tra camion frigo che fanno la spola e un’insegna che avvisa: «Qui si noleggiano coltelli e camici da lavoro».

Si contano due sole postazioni per fare i tamponi, a fronte di un’impennata di contagi in una Regione che si prepara all’emergenza. Il drive-in è aperto dalle 9 alle 19, ma alle 17.30 si chiudono i cancelli per smaltire le macchine già entrate nella struttura. Per avere la certezza di fare il test, bisogna giocare d’anticipo e ipotecare la giornata. «Quando arrivo la mattina alle 7 per iniziare il turno c’è già una fila incredibile di auto. Non so da che ora si piazzino lì, forse all’alba», racconta un’infermiera che raccoglie le impegnative degli aspiranti tamponati.

Quella per fare il test è un’odissea, senza esagerazioni. Noi ci presentiamo all’orario di apertura. Sono le 9 del mattino: una coda di due chilometri si snoda lungo tutte le vie limitrofe. Si sta fermi per ore, senza muoversi di un metro. Sotto il sole, i motori accesi e le facce scocciate. Ogni tanto dalla corsia opposta si ferma qualche auto: «Ma perché siete tutti in fila? Che succede?». Qualcuno pensa a una campagna sconti o a un grande evento. «Buona fortuna!»

C’è chi telefona e chi dorme. L’attesa è snervante, ma nessuno vuole mollare. Anche perché non ci sono alternative. Il Lazio del segretario Pd Nicola Zingaretti, al contrario di regioni come Lombardia, Veneto, Liguria e Piemonte, non ammette la possibilità di fare i tamponi nei laboratori privati. Una decisione inspiegabile per molti. Nelle strutture convenzionate si possono effettuare sierologici e test rapidi. Questi ultimi, gli stessi che si somministrano negli aeroporti, sono stati autorizzati da pochi giorni a livello regionale. 

L’amministrazione di Zingaretti ha chiesto alle Asl di privilegiare i rapidi rispetto ai tamponi classici, da utilizzare in una seconda fase: quella della conferma diagnostica. Mentre nelle scuole arriveranno i salivari. Ma al momento i test rapidi sono introvabili nei laboratori privati. Non se ne parlerà prima di metà ottobre, fanno sapere alcuni degli studi più importanti della Capitale. Quindi tutti in macchina, a far la coda.

Al drive-in di via Togliatti vengono respinte le persone che si presentano a piedi. «Qui si fa il test solo in auto, ce lo impone un’ordinanza. Senza macchina bisogna andare all’ospedale San Giovanni», spiega l’infermiere a una pensionata incredula. Il San Giovanni è a dieci chilometri da lì. Arrivederci e grazie. 

Una beffa, se si pensa che qui le auto procedono a passo d’uomo. Solo per entrare nella pancia del centro carni, presidiato da un paio di vigilantes, ci vorranno più di quattro ore. E non è finita. All'ingresso gli infermieri controllano la ricetta del medico curante, necessaria per accedere al test. Si può fare il molecolare classico o il l’antigenico rapido, per chi rientra da Paesi a rischio come Grecia e Spagna. Ma, a giudicare dalle facce degli automobilisti, non c’è aria di controllo post-vacanza. 

Una volta dentro, la coda si sdoppia in due corsie segnalate da birilli e transenne. Altre due ore di attesa, e passa la paura. Le persone cominciano ad aprire le portiere per sgranchirsi le gambe. Qualche coraggioso, dopo una mattinata di resistenza eroica, usa i quattro bagni chimici messi a disposizione dall’Asl. Altri scattano foto e video, almeno finché non se ne accorgono i paramedici.


All'interno del drive-in ci sono solo due postazioni che effettuano tamponi. Due alla volta, per migliaia di utenti. Accanto al tavolino con le provette, quattro infermieri. Si cambiano i guanti e si disinfettano continuamente. Bardati e volenterosi. Comunque troppo pochi per fronteggiare un esercito di automobili destinato a ingrossarsi nelle prossime settimane. L’inverno è alle porte e i timori di una seconda ondata si sprecano. D’altronde i contagi nel Lazio sono in aumento costante, sale la pressione sugli ospedali e da oggi è in vigore l’obbligo dell’uso delle mascherine anche all’aperto.

Non mancano momenti di tensione al drive-in. Lo raccontano gli infermieri, professionali e pure simpatici. Parlano di automobilisti che perdono la pazienza e alzano i toni. Mentre siamo lì, invece, regnano ordine e silenzio. Educazione mista a rassegnazione di chi aspetta il proprio turno. Da un’autoradio parte “Piazza Grande” di Lucio Dalla, qualcuno comincia a canticchiare. Una botta di vita inaspettata dopo ore di letargo. «Signori, per favore spegnete i motori altrimenti ci affumicate», chiede un paramedico.

Sono passate sei ore. Una giornata di lavoro più stressante che in ufficio. È arrivato il nostro turno. «Signore, apra la bocca prego. Ora il bastoncino entrerà nella narice. Abbiamo fatto, grazie. Le risposte arriveranno via mail tra tre o quattro giorni, ma potrebbe volerci di più se c’è molto afflusso». 

Tempo qualche secondo e siamo fuori, quasi disorientati. Un’ordinaria giornata di follia per fare un tampone ai tempi del Covid. Un segnale inquietante in vista dei prossimi mesi. Per dirla con le parole del sindaco di Bergamo Giorgio Gori: «Se arrivasse una seconda ondata scopriremmo di avere quasi le stesse debolezze che avevamo in primavera». Questa volta, però, resteremmo in auto anziché a casa.

Gli attentati terroristici, sono strumenti per invertire le decisioni di ogni paese sovrano che si oppone ai voleri degli Stati Uniti, degli ebrei sionisti palestinesi e della Francia

Il brutto spettacolo del presidente Macron in Libano

di Thierry Meyssan

Nel ruolo di Deus ex machina, il presidente Macron ha dato i voti ai dirigenti libanesi. Sicuro della propria superiorità, ha dichiarato di vergognarsi del comportamento della classe politica libanese. Ma non è altro che una brutta pièce teatrale. Sottobanco s’impegna a distruggere la Resistenza e a trasformare il Libano in un paradiso fiscale.

RETE VOLTAIRE | PARIGI (FRANCIA) | 2 OTTOBRE 2020



Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha riservato una delle sue rare conferenze stampa alla situazione di un Paese straniero, il Libano. Ha dichiarato: «Lo Hezbollah non può essere al tempo stesso un esercito in guerra contro Israele, una milizia che si scatena contro i civili in Siria e un partito rispettabile in Libano. Non deve credersi più forte di quanto sia. Deve dimostrare di rispettare tutti i libanesi, ma in questi giorni ha dato prova del contrario». Sayyed Hassan Nasrallah gli risponderà il 29 settembre.

Reagendo all’esplosione al porto di Beirut del 4 agosto 2020, il popolo libanese e la stampa internazionale vi hanno visto un incidente imputabile alla corruzione delle autorità portuali. Noi invece, dopo l’analisi dei primi indizi, abbiamo messo immediatamente in dubbio la tesi dell’incidente e privilegiato quella dell’attentato. Il presidente Emmanuel Macron si è recato in tutta fretta in Libano per salvare il Paese. Due giorni dopo, sulla rete televisiva siriana Sama abbiamo ipotizzato che si tratti della continuazione dell’operazione di attuazione della risoluzione 1559.

L’ipotesi della risoluzione 1559

Di cosa si tratta? È una risoluzione franco-statunitense del 2004, redatta su istruzione del presidente USA, George W. Bush, partendo da un testo dell’allora primo ministro libanese, Rafic Hariri, scritto con l’aiuto del presidente francese, Jacques Chirac. Scopo: ottenere il riconoscimento, da parte del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, degli obiettivi enunciati dal segretario di Stato USA, Colin Powell: − scacciare dal Libano la forza di pace siriana, frutto degli accordi di Taif [1]; − mettere fine alla Resistenza libanese all’imperialismo; − impedire la rielezione del presidente libanese Émile Lahoud.

Ebbene, il 4 febbraio 2005 Rafic Hariri, che non era più primo ministro e si era riconciliato con lo Hezbollah, fu ucciso in un mega-attentato di cui il presidente Lahoud e il presidente siriano Bashar al-Assad furono accusati d’essere i mandanti. La forza di pace siriana si ritirò e il presidente Lahoud rinunciò alla ricandidatura.

Retrospettivamente è emerso: − che l’attentato non è stato realizzato con esplosivi classici, trasportati da un camioncino bianco, come invece si finge di continuare a credere, ma per mezzo di un’arma combinazione di nanotecnologie e combustibile nucleare arricchito, che all’epoca possedevano pochissime potenze [2]; − che l’inchiesta internazionale dell’ONU fu in realtà un’operazione segreta CIA-Mossad finalizzata a colpire i presidenti Lahoud e Assad, nonché lo Hezbollah. Fu smascherata quando un enorme scandalo fece emergere i falsi testimoni reclutati e pagati dagli inquirenti dell’ONU [3]; − che tutte le accuse contro i sospetti sono state abbandonate e che un organo dell’ONU, abusivamente denominato “Tribunale speciale per il Libano” perché non ne aveva i requisiti giuridici, si è rifiutato di prendere in esame alcune prove e ha condannato in contumacia due membri dello Hezbollah.

Alla fine, nessuno osò più menzionare la fine della Resistenza libanese sancita dalla risoluzione 1559.

Questa Resistenza si formò nel 1982, durante l’invasione israeliana (Operazione Pace in Galilea) attorno a gruppi sciiti. Dopo aver sconfitto gli israeliani, questa rete è entrata gradualmente in politica, con il nome di Hezbollah. Quando fu istituito, era affascinato dalla rivoluzione antimperialista iraniana e s’appoggiava all’esercito siriano, come nel 2011 ha rivelato il suo segretario generale, sayyed Hassan Nasrallah. Tuttavia, dopo il ritiro della forza di pace siriana del Libano, Hezbollah si volse quasi esclusivamente verso l’Iran. Ritornò a guardare verso la Siria quando si rese conto che una disfatta di Damasco a opera dei Fratelli Mussulmani avrebbe provocato non solo la distruzione della Libia, ma anche del Libano. Negli anni successivi Hezbollah ha messo insieme un gigantesco arsenale e acquisito grande esperienza nell’arte del combattere, sicché oggi è il primo esercito non-statale al mondo. I successi e i mezzi di cui dispone hanno attratto molte persone che non necessariamente condividono i suoi ideali. La parziale trasformazione in partito politico gli ha fatto acquisire i medesimi difetti degli altri partiti politici libanesi, corruzione inclusa.

Oggi lo Hezbollah non è uno Stato dentro lo Stato libanese, ma in molte situazioni è lo Stato al posto del caos. Di fronte al fenomeno ibrido dello Hezbollah, gli occidentali hanno reagito in ordine sparso: gli Stati Uniti l’hanno classificato «terrorista», mentre gli europei nel 2013 hanno sottilmente distinto il versante civile, con cui discutono, dal versante militare, che pure condannano in quanto «terrorista». Per giustificare alle rispettive opinioni pubbliche le loro decisioni, gli Occidentali hanno messo in atto molte operazioni segrete con l’intento di attribuire allo Hezbollah sia attentati avvenuti quando ancora non esisteva (contro i contingenti militari USA e francesi in occasione della riunione generale dei servizi segreti alleati), sia attentati all’estero (in particolare in Argentina e Bulgaria).

Portare a termine l’applicazione della risoluzione 1559 [4] oggi significa disarmare lo Hezbollah e trasformarlo in un semplice partito politico, corrotto sia dagli Occidentali che dagli altri.

L’intervento francese

Il presidente Macron è stato il primo capo di Stato a recarsi in Libano dopo l’esplosione al porto di Beirut, ben due volte. S’è impegnato a non lasciare da solo il Libano e ad aiutarlo a riformarsi. Ha presentato una “tabella di marcia”, accettata da tutt’i partiti politici. Vi si prevedeva la formazione di un governo di scopo incaricato di portare a termine riforme economiche e finanziarie. Tuttavia, Mustapha Adib, il primo ministro incaricato, preso atto dell’impossibilità di riuscirvi, si è dimesso. Il presidente Macron ha quindi convocato per il 27 settembre una conferenza stampa. Ha schernito l’intera classe politica e ha esplicitamente accusato lo Hezbollah e il movimento Amal, nonché implicitamente il loro alleato, il presidente Michel Aoun, di aver fatto fallire il tentativo di salvataggio del Libano.

Le argomentazioni del presidente Macron hanno convinto soltanto chi non conosce la storia del Libano. I nostri lettori invece sanno [5] che questo Paese non è mai stato una nazione e, di conseguenza, non ha mai potuto essere una democrazia. Dai tempi della colonizzazione ottomana è diviso in diverse comunità confessionali, che coesistono senza mescolarsi tra loro. È una divisione istituzionalizzata dalla Costituzione (1926), ispirata dalla Francia, potenza mandataria. In seguito, questo funzionamento è stato scolpito nel marmo a tutti i livelli dell’organizzazione statale da Stati Uniti e Arabia Saudita, con gli accordi di Taif (1989), che misero fine alla guerra civile. Da questo punto di vista, è perlomeno curioso rimproverare ai politici di aver corrotto lo Stato, quando la corruzione è conseguenza diretta e inesorabile delle istituzioni che sono state imposte dall’esterno.

Soprattutto è inammissibile sentire un presidente straniero dare lezioni e dichiarare di provare vergogna per i dirigenti libanesi. Tanto più che si tratta di uno straniero che rappresenta una nazione che ha una pesante responsabilità per la situazione attuale.

Sembra che, nei fatti, i padrini del Libano abbiano intenzione di rovesciare la classe politica corrotta che hanno messo al potere e sostituirla con un governo di tecnocrati formato nelle loro scuole migliori. Questo governo avrà l’incarico di riformare le Finanze, restaurare il paradiso fiscale dell’età dell’oro libanese, ma soprattutto di non rompere il sistema confessionale in modo che il Paese continui a dipendere dai propri padrini. In questo modo il Libano è destinato a rimanere colonizzato senza ammetterlo e a decapitare alcuni dei suoi dirigenti ogni trenta o quarant’anni.

Nella mente degli sponsor del presidente Macron, i torbidi che agitano l’Arabia Saudita hanno fatto fallire il progetto d’una zona franca per miliardari, Neom. Conviene perciò utilizzare di nuovo il Libano per sfuggire agli obblighi fiscali.

Ricordiamo del resto che quando la Francia si è dotata d’istituzioni laiche, le ha però negate alle colonie, ritenendo che la religione fosse il solo modo di pacificare i popoli sottomessi. Il Libano è il solo Paese al mondo dove un mollah sciita, poi un mufti sunnita e infine un patriarca cristiano possono imporre i propri punti di vista ai partiti politici.

Infatti, secondo Macron, lo Hezbollah è al tempo stesso «milizia», «organizzazione terroristica», nonché partito politico. Invece, e l’abbiamo visto, è in realtà al tempo stesso il primo esercito non -governativo che lotta contro l’imperialismo e un partito politico che rappresenta la comunità sciita. Non si è mai reso responsabile di azioni terroristiche all’estero. Invece secondo Macron lo Hezbollah ha instaurato «un clima di terrore», che blocca le altre formazioni politiche. Ora, lo Hezbollah non ha mai utilizzato il proprio gigantes co arsenale contro i propri rivali libanesi. La breve guerra del 2008 non l’ha opposto a sunniti e drusi, bensì a chi ospitava centri di spionaggio di potenze straniere (in particolare nei locali d’archivio di Futur TV).

Nella conferenza stampa Macron ha anche fatto riferimento alla pretesa dello Hezbollah e di Amal di scegliere il ministro delle Finanze. Questa richiesta apparentemente bislacca è invece vitale per la Resistenza. Non per saccheggiare lo Stato, come alcuni lasciano intendere, ma per aggirare le sanzioni statunitensi contro la Resistenza. Quando ha colto la portata della posta in gioco, Saad Hariri, che prima si era opposto alla richiesta, l’ha appoggiata. Quindi, diversamente da quanto affermato dal presidente Macron, il fallimento della formazione del governo non è imputabile allo Hezbollah o ad altre formazioni libanesi, ma alla volontà francese di spezzare la Resistenza.

Il mandatario saudita Rafic Hariri finanziò copiosamente la campagna elettorale del presidente Jacques Chirac, provocando un memorabile incidente al Consiglio Costituzionale francese. Allo stesso modo, il figlio di Rafic Hariri, Saad, finanziò la campagna elettorale del presidente Macron, benché su scala minore. Così, quando Macron ha annunciato che, se il Libano avesse applicato la sua “tabella di marcia”, la comunità internazionale lo avrebbe finanziariamente salvato, Saad Hariri ha preteso un rientro del proprio investimento, ossia il 20% delle somme future. Dopo aver consultato il suo principale donatore, l’israeliano-statunitense Henri Kravic [6], Macron ha rifiutato e minacciato di sanzioni i tre presidenti del Libano (della repubblica, del parlamento e del governo).

La Francia fa i propri calcoli a partire dalla conoscenza storica della regione, ma non ha compreso alcuni dei cambiamenti intervenuti, come attestano i fallimenti in Libia, Siria e nei negoziati Iran-USA. Si preoccupa dell’influenza della Turchia in Libano, ma sovrastima quella dell’Arabia Saudita e dell’Iran, minimizza quella della Siria e ignora quella della Russia.

Per chi osserva con attenzione quel che accade, la Francia non è onesta nella sollecitudine verso il Libano. Così i viaggi in Libano del presidente Macron sono stati preceduti dalla diffusione di una petizione che si appellava al ristabilimento del mandato della Francia sul Libano, con l’intento di colonizzarlo di nuovo. È stato subito accertato che la petizione spontanea era in realtà un’iniziativa dei servizi segreti francesi. Ancora, il secondo viaggio del presidente ha coinciso con il centenario della proclamazione del Grande Libano da parte del generale Henri Gouraud, leader del Partito coloniale francese. Non è difficile capire come la Francia speri di ottenere una remunerazione della propria azione contro la Resistenza.


Traduzione

Le menzogne degli ebrei sionisti palestinesi vengono a galla

Video. Hezbollah mostra al mondo le menzogne di Netanyahu sui missili vicini a infrastrutture civili


Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva dichiarato nel corso della 75a sessione dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite che Hezbollah immagazzina missili vicino a un impianto di gas.

In risposta, il segretario generale di Hezbollah, Seyed Hasan Nasrallah, ieri, aveva smentito le accuse, ricordando che Resistenza "non posizionerà mai i suoi missili vicino ad aree o infrastrutture civili . "Sappiamo molto bene dove posizionare i nostri missili", ha avvertito il leader del movimento libanese, aggiungendo che avrebbe permesso ai media di entrare nelle strutture di cui ha parlato Netanyahu in modo che il mondo scopra la sua bugia.


Detto, fatto, proprio ieri sera, una grande folla di giornalisti e corrispondenti è entrata nelle strutture di Al-Jnah a Beirut.

Il capo delle relazioni con i media di Hezbollah, Muhamad Afif, ha spiegato che la Resistenza ha "immediatamente" organizzato la visita per mostrare al mondo e al popolo libanese che le affermazioni di Netanyahu sono "pure bugie".

“Abbiamo subito organizzato la visita per dimostrare che nessun missile è schierato in questa zona e anche per provare la bugia di Netanyahu (…) Il nemico sta mentendo. Queste strutture industriali appartengono alla cittadinanza libanese. Ci sono solo lavoratori lì, non ci sono missili ", ha ribadito Afif ai media.

Il funzionario di Hezbollah ha anche sottolineato che il nemico non potrà in questo modo ottenere informazioni sulla posizione dei missili dal movimento libanese.

Netanyahu ha più volte mosso accuse infondate circa l'ubicazione del deposito dei missili dei "suoi nemici".

In un discorso pronunciato il 27 settembre 2018, prima della 73a sessione dell'UNGA, Netanyahu sostenne che l'Iran aveva un "deposito segreto" dove ha immagazzinato "un'enorme quantità di attrezzature e materiali dal programma segreto di armi nucleari. "Mentre esponeva poster con una mappa e una fotografia di un edificio dall'aspetto innocuo, con il nome" Turquzabad ".

Successivamente, si è saputo che l'ormai famoso edificio non è altro che un impianto di pulizia di tappeti e che i suoi proprietari si erano anche arrabbiati per il disagio causato dalle dichiarazioni di Netanyahu.

Il potere distruttivo dei razzi di Hezbollah spaventa Israel . Dall'ultima guerra di Israele contro il Libano nel 2006, la capacità deterrente di Hezbollah è aumentata notevolmente, come ammesso dalle autorità israeliane, le quali ipotizzano che il movimento abbia circa 150.000 missili nel suo arsenale.

Continua l'aiutino della Fed alle banche

STRESS TEST, PUBBLICATO: 1 OTTOBRE 15:30

La Fed conferma il divieto di buyback per le grandi banche Usa

Secondo l’istituto di Washington la misura ha contribuito a mantenere solide le posizioni patrimoniali dei big di Wall Street nel terzo trimestre.


A causa della continua incertezza economica derivante dalla risposta all'epidemia di coronavirus, il board della Federal Reserve (Fed) ha annunciato che estenderà per un ulteriore trimestre le misure introdotte a fine giugno a seguito dei risultati degli stress test condotti sulle 34 maggiori banche Usa. L'obiettivo, ha spiegato l'istituto centrale di Washington, è quello di garantire che le grandi banche mantengano un alto livello di resilienza del capitale.

Stop a riacquisti di azioni e limitazioni a stacco di dividendi

Anche per il quarto trimestre sarà vietato effettuare riacquisti di azioni proprie per le banche con più di 100 miliardi di dollari di attività complessive. Oltre alla conferma dello stop ai buyback la Fed ha deciso che i pagamenti dei dividendi saranno limitati e legati a una formula basata sulle entrate recenti. La Fed ha notato come le posizioni patrimoniali delle grandi banche siano rimaste solide nel corso terzo trimestre proprio mentre le restrizioni decise in giugno erano in vigore.

E i buyback diventano sempre più popolari tra le piccole

La decisione non è stata unanime. Come in giugno dei cinque membri del Board of Governors, la sola Lael Brainard ha votato contro. La sua opposizione, però, nasceva dalla volontà di sospendere del tutto lo stacco di cedole e non semplicemente di limitarlo. Se lo stop ai buyback è una realtà per le grandi banche, come osservano gli analisti lo strumento di remunerazione degli investitori sta diventando sempre più popolare tra gli istituti Usa di dimensioni più ridotte, quelli che sono autorizzati a farlo. La Fed annuncerà i risultati di una nuova tornata di stress test per il settore bancario Usa entro la fine dell'anno.

(Raffaele Rovati)

David di Michelangelo

L’ICONA
L’alter ego del David di Michelangelo
vola a Dubai per l’Expo 2021
Mai così bello, rappresenterà il nostro Paese al prossimo Expo che si terrà negli Emirati Arabi Uniti. Sarà creato grazie all’utilizzo della più grande stampante 3D al mondo progettata proprio in Italia


1 ottobre 2020

Sarà Lui, il David di Michelangelo, a rappresentare l’Italia al prossimo Expo mondiale di Dubai del 2021. Cinque metri e 17 centimetri di altezza, cinque tonnellate e 600 chili di marmo di Carrara simbolo del Rinascimento e di Firenze, il capolavoro sarà l’icona di una nuova rinascita mondiale dopo la catastrofe del Covid responsabile anche del rinvio di un anno dell’esposizione universale. «Ma il vero “Lui” resterà qui, irripetibile e gelosamente custodito e non si muoverà neppure di un millimetro», spiega con un sorriso Cecilie Hollberg, direttore della Galleria dell’Accademia dove l’opera del Buonarroti emana ogni giorno bellezza universale. Negli Emirati Arabi ci sarà la sua copia più bella mai realizzata prima. Sarà costruita con la più grande stampante 3D al mondo (progettata in Italia) e sarà custodita nel Teatro della Memoria, al centro del Padiglione Italia, uno spazio ottagonale con scale e tre ordini di osservazione per ammirare nel modo migliore la riproduzione del David da ogni altezza e ogni prospettiva. «E non sarà soltanto la copia rappresentativa della Bellezza — spiega Hollberg — ma anche la raffigurazione del genio, della fantasia e della scienza italiani. Quasi un archetipo, che non potrà mai uguagliare e neppure avvicinarsi all’originale, ma sarà il suo messaggero, un alter ego tecnologico, artistico e artigianale».

La rappresentazione

La rappresentazione del David sarà anche un mix di hi-tech, artigianato, scienza ingegneristica e architettonica, arte e scenografia alla quale parteciperanno, forse, anche i restauratori dell’Opificio delle pietre dure. E, dopo averla realizzata virtualmente con i modelli tridimensionali, sarà costruita con materiali d’avanguardia, ma non in marmo, materiale esclusivo dell’originale. L’annuncio è stato dato ieri mattina nella Tribuna della Galleria dell’Accademia, sotto il capolavoro di Michelangelo, dai quattro protagonisti del progetto: il direttore del museo Cecilie Hollberg, Grazia Tucci, docente al Dipartimento di Ingegneria dell’università di Firenze, Davide Rampello, direttore artistico del Padiglione Italia dell’Expo, e Paolo Glisenti, commissario Expo Dubai. «È un progetto che unisce più eccellenze mai sperimentato sino a ora — spiega Grazia Tucci —. Useremo scanner utilizzati da Aeronautica militare e Nasa, studieremo i giusti materiali, cercheremo grazie alla grande stampante 3D di ridurre al minimo le parti da unire per dare uniformità alla copia del David alla quale lavoreranno decine di figure professionali diverse tra loro. Il David digitale sarà poi conservato in una banca dati dell’Accademia perché in futuro potrà servire a simulazioni per stabilire, per esempio, quali sono i tipi di interventi di restauro migliori». Il Padiglione Italia dove la copia del David trionferà sarà un’istallazione-belvedere. «Racconteremo i nostri paesaggi, gli orti e i giardini, le abilità dei nostri artigiani, l’innovazione e le nostre tecnologie all’avanguardia — spiega Davide Rampello —. Il Teatro della Memoria, che custodirà la rappresentazione del capolavoro di Michelangelo, sarà alto quindici metri e conterrà anche la riproduzione dei mosaici della Cappella Palatina di Palermo. Un ottagono che è anche il simbolo di fortuna e felicità».

«l’utopia post-liberale di privatizzare il mondo, all'origine di gran parte dei nostri mali». Non abbiamo un secondo pianeta, Madre Terra è unica

L'economia neoliberale? Fiabe inventate dai ricchi per sfruttare

Un'intervista della rivista Credere a Gaël Giraud* sulla sfida ecologica
2 ottobre 2020

Il 3 settembre scorso papa Francesco ha ricevuto in udienza un drappello di persone a dir poco eterogeneo. Guidato dal presidente della Conferenza episcopale francese, comprendeva politici, intellettuali, professionisti di fama e un volto notissimo del cinema: l’attrice Juliette Binoche. «Un gruppo “colorato” che può stupire per la sua composizione», commenta sorridendo padre Gaël Giraud, gesuita, anch’egli della partita. «Eppure, al di là delle nostre differenze, abbiamo sperimentato che la sfida ecologica e la speranza che ci spinge richiedono un approccio trasversale: l’ecologia non può più essere il pallino di un gruppo di eroici attivisti né di una formazione politica isolata, ma deve diventare la preoccupazione e la speranza di tutti noi. E in questo la Chiesa cattolica, tra gli altri, ha voce in capitolo».

Solo chi non lo conosce può meravigliarsi della presenza di Giraud in un gruppo del genere. Già, perché padre Gaël è un gesuita sui generis, e non solo perché normalmente sfodera un look da manager al posto della tonaca. 50 anni, economista, da anni si dedica allo studio delle dinamiche dello sviluppo economico e delle sue contraddizioni, con un’attenzione specifica al tema ambientale. «Il mio dottorato di ricerca in matematica (al laboratorio di econometria dell’Ecole Polytechnique di Parigi) si è concentrato sulle basi dell’economia neoliberale. Volevo sapere se tale teoria avesse una solida base teorica. La risposta è no. È poco più di un complicato assemblaggio di fiabe inventate dai ricchi e potenti per giustificare il loro sfruttamento dei poveri e della Terra». Oggi l’economista gesuita punta il dito contro quella che egli chiama «l’utopia post-liberale di privatizzare il mondo, all’origine di gran parte dei nostri mali».
Parole di un pericoloso sovversivo? Tutt’altro. Il curriculum accademico di Giraud parla per lui: direttore della ricerca al CNRS (Centro nazionale della ricerca scientifica) di Parigi, il religioso è da poco professore presso la Georgetown University, prestigiosa università cattolica di Washington D.C., dove dirige l’Environmental Justice Centre.

All’indomani della sua ordinazione sacerdotale nel 2013, era stato nominato capo economista presso l’Agenzia francese per lo sviluppo (una banca pubblica che finanzia progetti di sviluppo nei Paesi del Sud), esperienza che gli ha permesso di familiarizzare col mondo degli aiuti internazionali ed incontrare esponenti di molti governi di Paesi emergenti.
(...) Padre Giraud ripercorre il percorso all’origine della sua vocazione e spiega il suo impegno per concretizzare le indicazioni dell’enciclica Laudato si’. L’idea-chiave alla quale oggi è associato il nome di Giraud è “transizione ecologica”, che dà il titolo a un suo fortunato libro. Spiega Giraud: «La ricostruzione sociale ed ecologica delle nostre società è il grande progetto che abbiamo l’opportunità di realizzare nei prossimi decenni. Non è un problema, ma la soluzione. Un progetto che unisce, anziché dividere, come invece fa l’utopia postliberale di privatizzare il mondo: una volta che si pensa alla Terra come proprietà privata, diventa legittimo poterla distruggere. E prima o poi, anche il prossimo diventa proprietà privata: la schiavitù è l’esito del processo di “uberizzazione” del mercato del lavoro, che sta mandando in soffitta i rapporti salariali regolati da due secoli di lotte sociali».

Giraud è un intellettuale, ma quando si tratta di farsi capire sa trovare esempi molto comprensibili: «Mentre se rompi la tua motosega – per fare un esempio caro al compianto David Graeber (autore del bestseller Bullshit Jobs, ndr) – puoi sempre prenderne un’altra, non abbiamo un secondo pianeta. Questa unicità della Terra in cui viviamo si riferisce a un’altra, a quella della mia vita, alla tua. È qui, al crocevia di queste due unicità, che la tradizione spirituale cristiana può trovare cittadinanza nei dibattiti sulla questione ecologica. Se non siamo in grado, collettivamente, di prenderci cura della singolarità di ciascuna delle nostre esistenze, come ci prenderemo cura del pianeta, e viceversa?


NoTav - La procura di Torino ottiene il suo obiettivo dopo la provocazione fatta dal magistrato Elena Bonu che ha respinto, ideologicamente, le misure alternative a Dana Lauriola

CRONACA | 01 ottobre 2020, 15:47

Cirio come Aldo Moro: la Procura di Torino apre un fascicolo d'inchiesta

Si indaga anche sui proiettili inviati al tribunale di sorveglianza e sul manifesto No Tav affisso vicino al tribunale


Non ci sono al momento ipotesi di reato e indagati nel fascicolo d'inchiesta aperto dalla Procura di Torino all'indomani del ritrovamento dei volantini che raffigurano il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio al posto di Aldo Moro, nella foto scattata dalle Brigate Rosse dopo il rapimento del leader Dc.

Altri due fascicoli per minacce sono stati, invece, aperti dopo il sequestro del manifesto No Tav trovato nei pressi del tribunale e per i due proiettili destinati al magistrato del tribunale di sorveglianza Elena Bonu, che con un'ordinanza ha respinto la richiesta di misure alternative per Dana Lauriola, la portavoce del movimento No Tav arrestata il 17 settembre a Bussoleno e oggi reclusa al carcere di Torino.

Il sardex, moneta complementare, continua a espandersi e a convincere

ECONOMIA | 02 ottobre 2020, 09:21

Sardex.net la Community dell’economia reale, avvia le sue attività nel Lazio, in Toscana e in Friuli Venezia Giulia e accoglie i primi aderenti dei nuovi territori

L’AD Marco De Guzzis: “Un progetto in forte crescita, che in questa fase così difficile per l’economia italiana sta garantendo un sostegno concreto alle nostre PMI”


Fare rete, accedere velocemente al credito e senza interessi, risparmiare preziosa liquidità euro e trovare nuovi clienti e fornitori. Questo garantisce il Circuito Sardex a migliaia di imprese aderenti in tutta Italia. E la ricetta cardine della moneta complementare più diffusa del Paese, ora è pronta a rafforzarsi per sviluppare rapidamente le proprie community di imprese e professionisti in tutto il territorio del Lazio, della Toscana e del Friuli Venezia Giulia, mettendo a disposizione i propri strumenti e le proprie risorse.

I nuovi iscritti potranno accedere al Circuito gratuitamente iniziando da subito a scambiare beni e servizi nella rete e a godere di una linea di credito senza interessi, versando la quota di partecipazione con dilazioni agevolate. Potranno, in forma del tutto gratuita, iscrivere alla rete i propri dipendenti, estendendo anche a loro i vantaggi della moneta complementare, e infine, potranno scegliere di attivare la linea di credito aggiuntiva di Sardex, Efficio+, con tempi di rientro a tre mesi dall’attivazione: a fronte di una richiesta di crediti, i nuovi iscritti, così come le imprese già aderenti, inizieranno a pagare le rate, senza interessi, dopo 90 giorni dall’attivazione. 

“Siamo da sempre dalla parte delle piccole e medie imprese - ha dichiarato Marco De Guzzis, Amministratore Delegato di Sardex - e abbiamo già generato oltre 600 milioni di business aggiuntivo per le 10 mila aziende nella nostra rete, con più di 1 milione e 600 mila operazioni in crediti sardex negli ultimi dieci anni. Con lo sviluppo nel Lazio, in Toscana e Friuli Venezia Giulia vogliamo consentire alle imprese di questi territori di accedere a linee di credito e ricavi aggiuntivi che possano dare un contributo positivo nell’affrontare la difficile situazione attuale.”

“Siamo convinti - afferma Franco Contu, Direttore Commerciale di Sardex - che il tessuto economico del Lazio, della Toscana e del Friuli Venezia Giulia, possa rafforzarsi e rilanciarsi anche grazie agli strumenti che da anni mettiamo a disposizione di tantissime imprese e professionisti di ogni settore e dimensione. Già oggi abbiamo accolto i primi partecipanti, imprese che spaziano dalla comunicazione all’edilizia, dalla ricettività al commercio al dettaglio”.

Sardex oggi è presente in tutta Italia e oltre al territorio sardo, il network è in forte crescita e in consolidamento in Veneto, Emilia-Romagna e Piemonte (tramite i brand Venetex, Liberex e Piemex) con un numero di nuove adesioni mensili più che doppio rispetto allo scorso anno, ed è sviluppato da circuiti partners anche in Lombardia, Valle d’Aosta, Umbria, Abruzzo, Campania e Molise.

Le aziende interessate a partecipare alla rete di credito commerciale possono fare domanda di iscrizione su: www.sardex.net/partecipa/

Il Circuito Sardex consente ad imprese, liberi professionisti e associazioni di scambiare beni e servizi su una piattaforma innovativa grazie ad un conto digitale dove un sardex è uguale ad un euro. Supportati dalla forza della rete, i partecipanti attraggono nuovi clienti e trovano nuovi fornitori. 

Ad oggi oltre 10 mila aziende in tutta Italia hanno messo a disposizione 200 milioni annui di beni e servizi da scambiare in moneta complementare dentro il Circuito e migliaia di dipendenti di aziende iscritte ricevono parte della propria retribuzione in crediti sardex. 
Nel Circuito gli aderenti hanno accesso a credito aggiuntivo senza pagare interessi, riducendo la necessità di disponibilità in euro senza rinunciare ad investire nella propria attività, far crescere progetti personali, far fronte alla liquidità di cassa e promuoversi in una rete di imprese dove collaborazione e fiducia del singolo si trasformano in ricavi e benefici per tutti. Sardex: la community dell’economia reale.

Le televisioni, i giornaloni, i giornalisti di professione omettono di dare notizie, metodo di manipolazione della realtà

Processo Assange, spuntano documenti CIA di un piano contro il giornalista

-1 Ottobre 2020


L’opera di insabbiamento del processo Julian Assange da parte dei nostri media mainstream ha raggiunto il limite. Non è solo una questione di giustizia, e già questa sarebbe necessaria per renderlo come primo fatto nei tg o nei giornali, ma anche di diritti umani; Assange è imprigionato da oltre un anno in un carcere di massima sicurezza per aver svolto il ruolo consono a tutti i mestieranti del giornalismo. Portare fatti e documenti di attività illecite.

Chi c’è dietro all'incarcerazione di Assange?

Come ha più volte affermato Nils Melzer, inviato speciale ONU, Assange ha subito numerosi attacchi psicologici. Avallati poi dalle numerose attività di spionaggio da parte di società come la UC Global, rea di aver raccolto filmati dell’australiano durante la sua permanenza nell’ambasciata ecuadoregna. Non solo: la società spagnola era d’accordo con l’intelligence americana con la volontà di posizionare numerosi microfoni nascosti per monitorare gli incontri di Assange con gli avvocati. In più, la sua impronta digitale è stata ottenuta da alcune rilevazione biometriche.

Dietro tutto questo ci sarebbe stata la regia della Cia; che avrebbe voluto, violando la Convenzione di Vienna in merito alla visita impropria delle ambasciate, addirittura inscenare un omicidio o un rapimento. La questione è ora sotto gli occhi della giustizia britannica che la sta valutando all’interno del complesso processo che vede protagonista una rete sempre più numerosa di persone dietro la detenzione di Assange.

Julian Assange

La libera informazione a rischio

Insomma, il caso Assange dovrebbe inondare tutte le emittenti pubbliche, ma a conti fatti una piccolissima fetta della popolazione ha mai sentito parlare di Wikileaks e della sua attività di informazione. Ricordiamo inoltre che il processo è in mano a Emma Arbuthnot, giudice inglese legata sentimentalmente ad un magnate dell’industria militare e connessa con gli ambienti della Henry Jackson Society. Una persona che ha quindi un notevole interesse nell’ammanettare il giornalista in una prigione americana; come lo stesso think thank che ha dichiarato in vari comunicati che Assange è il nemico; e per il bene della salvaguardia della cosiddetta “esportazione della democrazia”, bisogna tacciarlo.