L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 19 dicembre 2020

Zitromax + cortisone + eparina salvano Anna . Tutti i parlamentari e quelli al governo sono degli assassini di professione, i protocolli per i medici di base sono incredibili e fumosi e sono stati ufficializzati a novembre 2020, cittadini abbandonati a se stessi nell'imperizia di una burocrazia demenziale

Storie di ordinaria Covid

di Luca Fantuzzi
11 dicembre 2020

Spoiler: la morale non è gettare la croce addosso a chi, nel marasma del settore sanitario in particolare e di quello pubblico in generale, prova in qualche modo a fare il suo mestiere e anche più del suo mestiere. La morale è che forse è giunta l'ora di smettere di riempirsi la bocca con eccellenze che non esistono (più) e prendere serenamentre atto che il Covid non è, di per sé, un'emergenza, ma la situazione del SSN assolutamente sì.

È mercoledì 21 ottobre e, dopo una normale giornata di metà autunno, verso le nove di sera, una persona a me molto cara - che per comodità chiameremo Anna - è preda di un attacco di tosse stizzosa e insistente. La mattina successiva, giovedì 22 ottobre, dopo una notte in bianco anche per i dolori articolari sempre più forti, le entra pure un po' di febbre.

La diagnosi è bell'è fatta. Alle nove del mattino Anna, che ha settant'anni compiuti e dunque un po' di preoccupazione ce l'ha, entra al pronto soccorso di una ridente cittadina toscana. Visita, prelievo di sangue, RX torace e a mezzogiorno (sono passate solo tre ore, in una specie di tenda da campo di rara comodità) il tampone rinofaringeo.

Risultato? Alle quattro del pomeriggio ancora ignoto, per cui Anna - che nel frattempo sta piuttosto male - firma per lasciare l'ospedale, riprende la propria auto e, con una certa difficoltà, se ne torna a casa. In mano ha solo il referto del pronto soccorso; rassicurazioni - ma che dico: spiegazioni - da parte di medici, infermieri, portantini, chi volete voi, zero. Un solo imperativo: barricarsi in casa e attendere gli eventi.

I risultati degli esami del sangue paiono incoraggianti, mentre il referto della RX al torace parla di una “accentuazione della trama interstiziale polmonare senza evidenza radiografica di lesioni addensanti a focolaio in atto a carico del parenchima polmonare esplorabile”. Diagnosi: bronchite. Si scoprirà poi che le cose non stanno proprio così. Dai e dai, si sono fatte quasi le sette e mezzo (siamo a dieci ore e mezzo dall'accesso al PS, per i precisini che vogliono tenere i conti): una telefona dall'ospedale informa Anna che il tampone è positivo (ma vedi un po') e che deve contattare subito il suo medico di base. Vista l'ora non proprio antelucana, Anna può giusto mandare un Whatsapp con la foto del referto del tampone. E preparasi a un'altra notte in bianco senza cure e da sola.

Il Covid è un po' come una sonata in cui agli alti e bassi della malattia si accompagnano solitudine e incertezza terapeutica, che ne rappresentano l'inquietante e perturbante basso continuo. Penso di non andare lontano dal vero, se dico che molti morti sono da mettere in conto all'abbandono, più che al virus in quanto tale.

Ad ogni modo, la mattina seguente il medico di base si fa vivo e ordina a Anna di assumere tachipirina (in anticipo sulle illuminanti linee guida del CTS), di acquistare subito saturimetro, termometro e macchinetta misura pressione, di fare tutte le misurazioni d'ordinanza tre volte al giorno e mandare i risultati per Whatsapp. Anna - che ha letto dei mirabolanti servizi della sanità e del volontariato toscani - telefona subito alla farmacia, che però risponde che non possono recapitare nulla a domicilio a chi ancora non risulta alla ASL "ufficialmente" positivo. Anna, allora, prova con la Croce Rossa, ma il centralinista non ne sa niente. Comunque, siccome è un tipo umile, le suggerisce di riprovare nel pomeriggio; chissà, magari nel frattempo è passato Babbo Natale. Anna non si dà per vinta, telefona alla badante di sua mamma novantasettenne e a metà mattinata finalmente ha tutto l'occorrente.

Ha anche la seconda lezione gratis della pandemia: quando sei malato, o sei in quarantena, se hai bisogno di qualcosa, hai sempre una persona su cui contare, cioè te stesso. Come dite?, anche quando non sei in quarantena? Sì, in effetti...

Nel frattempo anche la sullodata badante abbandona la truppa e si mette in auto-isolamento. Inizia così per la madre di Anna, che chiameremo per comodità Zita, una specie di malattia per procura, quasi peggiore della malattia della figlia. Per dieci giorni, infatti, si trova a gestire, da sola, una casa, a doversi lavare, farsi da mangiare, pulire spazzare dare lo straccio. Le due donne non riescono a trovare un'istituzione pubblica o un'associazione privata - una che sia una - che le possa aiutare. In oltre un mese di isolamento tombale, tipo i lebbrosi ai tempi di Ben Hur, l'unico contatto umano sarà, al di là del portoncino di casa, con gli uomini della netterzza urbana, che di tanto in tanto arrivano, vestiti tipo gli scienziati cattivi di ET, a prelevare i rifiuti.

Questo è il modo con cui il governo dei DPCM vuole salvare gli anziani, una vergogna che non sarà perdonata.

La giornata si chiude con la telefonata dell'USCA per le misure di isolamento domiciliare e il tracciamento delle persone incontrate da Anna nei tre giorni precedenti. Tutte messe in quarantena e tutte con tampone negativo. Il virus, come si sa, è infatti contagiosissimo. Anna, a dirla proprio tutta, avrebbe anche Immuni, che però riscuote presso le strutture sanitarie la stessa simpatia dell'aglio presso i vampiri. Il diktat è uno solo: mai caricare i codici, Dio ci scampi.

Nei due giorni successivi, sabato e domenica, la tosse di Anna si fa sempre più insistente, le bruciano gli occhi, ha forti dolori a tutto il corpo, mal di testa, fatica a respirare per il naso completamente chiuso. L'USCA, contattata telefonicamente, insiste per la solita tachipirina o, proprio a esagerare, un ibuprofene. Fortunatamente interviene il medico di base, che richiede all'USCA almeno una visita domiciliare: siccome la dottoressa che si presenta sente "qualcosa" al torace, bontà sua prescrive tre (tre, eh) giorni di antibiotico. A sera, però, il medico di base rettifica la terapia: Zitromax fin quando ce ne sarà bisogno (ce ne sarà bisogno per un mese) e cortisone.

La situazione, frattanto, peggiora di giorno in giorno. Anna cerca di tenersi in contatto con l'USCA ma, a partire dal settimo giorno di malattia, non riesce più a parlare con nessuno. Il telefono squilla, squilla, ma all'altro capo nessuno risponde. Solo la settimana successiva - con la satuazione a 94 - riesce finalmente a farsi rispondere, salvo sentirsi dire che c'è chi satura anche a 90 e dunque non la faccia tanto lunga, che rischia di compromettere la salute di qualcuno. Sia chiaro, non è colpa degli operatori: i casi crescono di giorno in giorno, nell'ufficio sono pochi e l'educazione chi non ce l'ha non se la può dare. Quello che innervosisce sono più che altro le parate autocelebrative di Giani sui giornali, proprio durante quei drammatici giorni.

Anna, che è sempre da sola a casa, cerca rifugio nelle telefonate agli amici, anche di vecchia data. Un ex compagno, medico, che fa parte della commissione tecnica Covid per il Piemonte, si interessa ovviamente al suo caso: quando scopre che in Toscana non c'è, in pratica, un protocollo regionale per le cure domiciliari cade dalle nuvole e allibisce quando capisce che ad Anna nessuno ha segnato l'eparina. Il medico di base, informato, pur controvoglia la segna, con grande senso di responsabilità.

Se Anna oggi è viva e, dopo oltre un mese di malattia si è finalmente negativizzata, probabilmente è perché si è imbattuta in un medico che ha derogato ai demenziali protocolli di cura domiciliare della Regione Toscana. Se la sua mamma è viva, è invece grazie a una straordinaria fibra e un ottimismo incrollabile di rivedere, prima o poi, la figlia. Nessuno, nessuno, le ha aiutate.

* * * * *

Lasciamo Anna alla sua lunga lotta col virus ed alla sua convalescenza e passiamo invece alla fase farsesca della vicenda.

Sono passate circa due settimane dall'iniizio della malattia. Il 5 novembre l'USCA telefona per fissare al giorno seguente il tampone di controllo, nonostante che Anna avesse ancora tutti i sintomi della malattia. Misteri della virologia e della burocrazia. La mattina di sabato 7 novembre si presentano, bardati come da ordinanza, due infermieri, che prendono il tampone e asseriscono che, in caso di nuovo positivo, si sarebbero fatti vivi entro le 24 ore successive. Domenica a pranzo Anna esulta: nonostante che non stia bene, evidentemente si è negativizzata! No. Semplicemente non ha, come al solito, telefonato nessuno: il referto appare su internet alle sei di sera e riporta ancora la positività.

In questa situazione (abbandono, saturazione bassa, malessere generale), martedì 10 novembre arriva a Anna una telefonata di SEI Toscana (la ditta che gestisce i rifiuti nella nostra meravigliosa Regione) per dirle che la USL ha comunicato il suo nominativo come nuovo caso! Anna, allibita anzichenò, prova sommessamente a far notare che è proprio SEI che da due settimane le si presenta alla porta di casa per ritirare la spazzatura. L'operatore prende atto, ma dura procedura sed procedura.

Il delirio burocratico-amministrativo tocca il suo apice fra giovedì 12 e venerdì 13. Prima giunge ad Anna una telefonata non identificata che le intima di recarsi, il giorno successivo, a fare il tampone presso il drive in cittadino. Anna fa presente di avere ancora tutti i sintomi e di avere qualche problema a guidare (oltre che a eventualmente spiegare alle forze dell'ordine perché si aggiri malata per le strade di una zona rossa), ma la voce anonima è categorica: "qui sta scritto così". Versione aggiornata del forse più noto vuolsi così colà dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare.

Anna, a cui mancano le forze ma non il tempo, prova a telefonare allora alla struttura sanitaria per far cancellare l'assurdo appuntamento e ci riesce così bene che il giorno successivo, dopo cena, le arriva una PEC da parte dell'USL, il cui oggetto è già tutto un programma: "ATTESTAZIONE TERMINE ISOLAMENTO SANITARIO DA COVID-19". Che sarà? Anna apre e legge, con costernazione, di una sua presunta "AVVENUTA GUARIGIONE CLINICA PER RISOLUZIONE DELLA SINTOMATOLOGIA CLINICA DA ALMENO 7 GIORNI". Se non fosse davvero molto tragico, sarebbe comico.

Anna si infastidisce leggermente e prova a contattare l'USCA, dieci quindici venti volte, ma non c'è nulla da fare. Per parlarci si deve rivolgere addirittura ai carabinieri: grazie ai buoni uffici del maresciallo, riceve una telefonata dal 118, che le consiglia, molto gentilmente, di restare in casa fino a futuro tapone negativo. Finalmente il 18 novembre, con grandissima difficoltà, Anna si reca a fare il nuovo tampone, che dà il sospirato esito negativo. Lei è fisicamente a pezzi, ma può iniziare a ridurre le medicine e vede la luce in fondo al tunnel. Resta solo da spiegare a SEI Toscana - meglio: ai mille operatori diversi del call center di SEI Toscana - che sebbene lei si sia negativizzata, i rifuiti dei giorni precedenti continuano ad essere potenzialmente infetti e, quindi, devono essere ritirati con attenzione. Alle ennesima telefonata, il colpo di genio, cioè - al solito - la minaccia di buttar tutto nel cassonetto sotto casa. Basta questo per far materializzare, per l'ultima volta, i marziani spazzini.

* * * * *

Anna, che continua ad avere male agli occhi e una tosse stizzosa, si reca infine dal pneumologo, il quale le dimostra che la "bronchite" diagnosticata al Pronto Soccorso era in realtà una bella polmonite interstiziale e le consiglia di ringraziare il coraggio del medico di base, che l'ha curata - prendendosi qualche responsabilità - in modo corretto (Zitromax + cortisone + eparina).

Poi aggiunge: "meno male che non si è fatta ricoverare signora! Sa, siamo pochi e stiamo andando in confusione". Ditelo a Giani e a Conte.

I vaccini cinesi costano poco, sono gestibili a livello di conservazione e si basano sul metodo tradizionali basato sul virus attenuato contrariamente ai due attuali statunitensi basati su modificazioni genetiche

Come la Cina si prepara ad immunizzare il mondo. Report El Pais

19 dicembre 2020


La Cina ha già immunizzato un milione di suoi cittadini e si prepara alla produzione di massa per vaccinare i diversi paesi del mondo. L’approfondimento di El Pais

El Pais riporta come Pechino, che ha già immunizzato un milione di suoi cittadini, si stia preparando alla “produzione di massa” per rifornire la sua popolazione e gran parte del mondo in via di sviluppo.

Ma Lijun, 29 anni, e gli altri macellai del mercato di Niu Jie, il quartiere musulmano di Pechino, sono stati avvertiti dai responsabili delle strutture. Dopo l’epidemia di covid nella capitale cinese a giugno, che ha portato ad un altro mercato, tutti i commercianti delle bancarelle hanno dovuto essere vaccinati. Essendo a contatto con i lavoratori del settore alimentare e delle consegne, sono stati considerati lavoratori in settori a rischio.

“Tutti i trader del mercato sono stati convocati. Ho ricevuto due iniezioni, gratuite. Non ho sentito alcun effetto collaterale. Dovevo tenere d’occhio la temperatura e far sapere se sentivo qualche disturbo. Mi hanno detto che se non mi sentivo bene, dovevo andare subito dal medico. Ma non mi è successo niente. Neanche i miei compagni hanno avuto la febbre, e nessuno di loro ha avuto problemi di salute. Nessun altro particolare sintomo”, dice questo macellaio hui (una minoranza cinese della religione musulmana). Non ha avuto alcun timore prima della vaccinazione, né gli è passato per la testa di rifiutare la vaccinazione.

Come la mamma, più di un milione di persone – lavoratori a rischio, studenti iscritti all’estero – hanno ricevuto alcuni dei vaccini sviluppati in Cina da quando tre di loro (due della Sinopharm e uno della Sinovac) hanno ricevuto l’autorizzazione all’uso d’emergenza la scorsa estate. Sebbene Pechino non abbia ancora reso noti i risultati della terza fase dei rispettivi test, sta accelerando la loro distribuzione e pianificando il rafforzamento delle forniture, sia all’interno della Cina che verso altri Paesi.

Il governo degli Emirati Arabi Uniti questa settimana ha dato un grande impulso a uno di questi vaccini, la formula Sinopharm in fase di test nel loro paese e altri nove, riferisce Angeles Espinosa. Ha detto che questo vaccino ha dimostrato nella terza fase, secondo i risultati provvisori, un’efficacia dell’86% su un campione di 30.000 volontari. Da parte sua, il Coronavac – il vaccino di Sinovac – ha raggiunto nella sua fase I e II di test che il 90% dei 700 volontari ha prodotto anticorpi dopo la somministrazione di due dosi, anche se a livelli inferiori rispetto ai pazienti covidi che sono riusciti a recuperare, secondo un rapporto pubblicato su The Lancet in ottobre.

I tre vaccini sperimentali, che vengono testati all’estero perché non ci sono più abbastanza casi in Cina, utilizzano il metodo tradizionale: l’inoculazione di tracce disattivate del virus in modo che il corpo umano riconosca la minaccia e impari a produrre anticorpi specifici contro di essa. Sia il Sinopharm che il Sinovac dicono di non aver rilevato alcun effetto collaterale significativo tra quelli vaccinati.

Sebbene l’effettiva percentuale di efficacia di una qualsiasi di queste tre formulazioni non sia nota, o se generino effetti collaterali, il governo cinese ha sufficiente fiducia in esse per accelerare la fase finale di sviluppo e distribuzione, e assicura che entro la fine dell’anno avrà a disposizione 600 milioni di unità; un miliardo l’anno prossimo.

All’interno del paese, diversi governi locali hanno già iniziato a ordinare i loro vaccini. Martedì scorso, la provincia del Sichuan, che ha individuato cinque infezioni locali nella sua città di Chengdu – con una popolazione di 16 milioni di abitanti – ha annunciato che nel corso di questo mese inoculerà due milioni di lavoratori in attività a rischio.

Ha anche aumentato le forniture al mondo esterno. A seguito dei danni all’immagine del Paese causati dalle carenze nella fornitura di attrezzature mediche ad altre nazioni nella prima ondata della pandemia, il presidente cinese Xi JInping ha promesso che i vaccini cinesi saranno “un bene pubblico globale”. L’Indonesia, che ha partecipato alla Fase III del Coronavac, ha appena ricevuto 1,2 milioni di dosi di concentrato per la produzione locale, e ne riceverà altri 1,8 milioni il mese prossimo, su un totale concordato di 50 milioni.

“Dobbiamo essere pronti per la produzione su larga scala”, ha esortato il vice primo ministro Sun Chunlan la scorsa settimana durante una visita agli impianti dei principali produttori. Sun, che ha supervisionato la maggior parte delle operazioni di controllo del virus dall’inizio della pandemia, ha annunciato piani per vaccinare i lavoratori nei settori a rischio questo mese, un gruppo che potrebbe essere di circa 18,5 milioni, secondo i dati del Centro cinese per il controllo delle malattie.

IMPLICAZIONI GEOPOLITICHE

Se la loro affidabilità è confermata, i vaccini cinesi hanno diversi vantaggi rispetto ai rivali occidentali che utilizzano molecole di RNA. Sono più facili da trasportare e conservare, richiedendo solo da 2 a 8 gradi Celsius, rispetto al freddo intenso necessario per i vaccini Pfizer o Modern. Sono anche notevolmente più economici: 200 yuan per dose, ovvero circa 25 euro.

Questi fattori li rendono particolarmente attraenti per i paesi in via di sviluppo. “La distribuzione dei vaccini seguirà la mappa delle disuguaglianze globali”, dice Jacob Mardell del centro di ricerca tedesco Merics. I paesi ricchi hanno accumulato scorte di vaccini occidentali, mentre “la capacità produttiva cinese e la probabile competitività a livello di costi dei vaccini fanno sì che la Cina sia sulla buona strada per rifornire i paesi dell’America Latina, dell’Africa e del Sud-Est asiatico”, afferma l’esperto.

“Questo aggiungerà carburante narrativo alle affermazioni di Pechino sulla cooperazione Sud-Sud e sulla leadership del ‘resto’ (del mondo). E si tende in genere a sottovalutare il fascino che questa storia esercita su quello che si chiamava ‘il terzo mondo’ nella competizione tra Stati Uniti e Unione Sovietica”, aggiunge.

La Cina ha già offerto un miliardo di dollari in prestiti all’America Latina e ai Caraibi per l’accesso ai vaccini. Il presidente cinese Xi Jinping ha assicurato che il Paese considererà i suoi vaccini un “bene pubblico globale” e li metterà a disposizione delle nazioni che ne faranno richiesta.

Anche se la strategia non è priva di potenziali problemi per la seconda potenza mondiale. “Se la Cina affronta con i suoi vaccini alcuni dei problemi che ha subito con i suoi DPI difettosi, potrebbe subire gravi danni alla sua reputazione”, scrive Mardell sul sito web di Merics. Oppure, aggiunge, “può essere esposto a una differenza di aspettative tra la sua retorica e ciò che può effettivamente realizzare”.

Articolo tratto dalla rassegna stampa estera di Eprcomunicazione

Mentre gli specialisti espertoni statunitensi fanno previsioni sulla morte della Cina entro dieci anni intanto questa continua a investire all'estero e rafforza alleanze ovunque lasciando al latere la strumentalizzazione degli uiguri degli Stati Uniti

Come si rafforza la sinergia tra Cina e Turchia

19 dicembre 2020


L’analisi di Giuseppe Gagliano

Si rafforza la sinergia tra Cina e Turchia. Come avevamo indicato in un articolo precedente la partnership tra il Dragone e la Turchia in funzione anti americana ha trovato modo di consolidarsi durante la recente conversazione telefonica del 14 dicembre tra il Ministro degli Esteri della Cina, Wang Yi, e il suo omologo turco, Mevlut Cavusoglu, relativa anche all’East Turkestan Islamic Movement (ETIM), considerata un’organizzazione terroristica da Pechino e dall’Onu, ma non dagli Usa.

Al di là delle scontate quanto prevedibili accuse della Cina sulla strumentalizzazione da parte americana del terrorismo — ampiamente documentabile fra l’altro sul piano storico al di là delle dichiarazioni a loro volta strumentali della Cina — merita attenzione la dichiarazione del ministero degli Affari Esteri turco secondo il quale la Turchia sarebbe contraria a qualsiasi forma di terrorismo. Questa dichiarazione merita attenzione non tanto per il valore politico quanto per la falsità rispetto all’uso che proprio Ankara ha fatto — e fa — del terrorismo islamico in Siria e Libia come abbiamo già indicato in un articolo precedente.

Se il terrorismo ha costituito — e costituisce — ancora oggi un oggetto di strumentalizzazione politica e di destabilizzazione politica — come durante la strategia della tensione nel contesto della Guerra non ortodossa — nel contesto dell’uso spregiudicato della Realpolitik rientra anche la drammatica vicenda degli uiguri strumentalizzata dagli Usa.

Se nel 2019, il Parlamento europeo ha presentato una durissima risoluzione su questa violazione dei diritti della minoranza uigura, nel luglio del 2019 gli ambasciatori di 22 nazioni (Australia, Canada, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito ma non l’Italia) hanno inviato una lettera al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite (UNHRC) che condannava il trattamento delle minoranze etniche nello Xinjiang da parte del PCC e sollecitava la chiusura dei campi di internamento. A questa ha fatto seguito una lettera firmata da 37 paesi (Arabia Saudita, Nigeria, Egitto, Russia, Corea del Nord, Filippine, Pakistan, Iran, Siria e Palestina) che ha espresso — al contrario — il proprio sostegno alle politiche cinesi in Xinjiang.

Quanto alla Turchia, questa ha assunto un atteggiamento ambiguo: nonostante il partito di Erdogan — l’AkP — e il suo alleato politico cioè il Partito d’Azione nazionalista (MHP) sostengano infatti la posizione cinese, la Turchia non solo ospita diverse comunità uigure ma non pochi uguiri dello Xinjiang hanno trovato asilo politico proprio in Turchia.

In definitiva l’atteggiamento di sostegno implicito — o esplicito — da parte della Turchia come da parte dei paesi islamici nei confronti della questione uigura è il risultato di un semplice calcolo determinato dagli enormi investimenti posti in essere dalla Cina soprattutto nel contesto della Nuova Via delle Seta.

I soldi — ieri come oggi — comprano il silenzio e il consenso politico.

Polonia e Ungheria hanno fatto ingerire il boccone di fiele ad Euroimbecilandia e agli euroimbecilli di tutte le razze neutralizzando il Regolamento del Mes. Le televisioni i giornaloni i giornalisti di professione sono dovuti diventare creativi di fake news per nascondere la verità

Come Ungheria e Polonia hanno piegato l’Ue

19 dicembre 2020


Tutti i vantaggi ottenuti da Ungheria e Polonia nel compromesso raggiunto a Bruxelles sullo Stato di diritto. L’analisi di Musso per Atlantico Quotidiano

Il Parlamento europeo ha approvato la bozza di un nuovo Regolamento detto ‘sullo Stato di diritto’, cui Polonia e Ungheria si sono opposte. Il Consiglio europeo ha approvato un compromesso, in forma di Dichiarazione interpretativa, del quale val la pena di occuparsi.

Sorvoliamo su alcuni passaggi di circostanza: un riferimento al rispetto della “identità nazionale” (4 Teu); che l’applicazione del Regolamento “sarà oggettiva, equa, imparziale”; che “qualsiasi apertura formale della procedura sarà preceduta da un dialogo approfondito”; che la Commissione sarà sollecita a prendere atto di eventuali rimedi posti in essere; che, se lo Stato membro accusato si rivolgerà al Consiglio europeo, quest’ultimo “si adopererà per formulare una posizione comune”. Sin qui, sarebbe una patta.

Ma, poi, Polonia e Ungheria hanno ottenuto alcuni vantaggi, come riconoscono sdegnati George Soros, Vladimiro Zagrebelsky e, in generale, la stampa italiana. Noi ne contiamo sette:

(1) La Dichiarazione interpretativa fa esplicitamente propria l’obiezione giuridica principale di polacchi e ungheresi: “il Consiglio europeo … ricorda che l’articolo 7 TUE stabilisce la procedura per affrontare le violazioni dei valori dell’Unione ai sensi dell’articolo 2 TUE”. E tanto potrebbe bastare.

(2) La Dichiarazione ripetutamente insiste: “l’obiettivo del Regolamento … è proteggere il bilancio dell’Unione, compresa l’Ue di nuova generazione, la sua sana gestione finanziaria e gli interessi finanziari dell’Unione”, “esclusivamente”, misure “proporzionate all’impatto delle violazioni dello Stato di diritto sulla sana gestione finanziaria del bilancio dell’Unione o sugli interessi finanziari dell’Unione”, “il nesso di causalità tra tali violazioni e le conseguenze negative sugli interessi finanziari dell’Unione dovrà essere sufficientemente diretto ed essere debitamente stabilito. La semplice constatazione di una violazione dello Stato di diritto non è sufficiente per attivare il meccanismo”. Ciò significa sganciare il Regolamento dalla tutela del valore “dello Stato di diritto” (2 Tue), che nessuno sa cosa sia, per agganciarlo al ‘principio della buona gestione finanziaria’ (317 Tfue e 325 Tfue). Dovrebbe rileggersi i Trattati Vladimiro Zagrebelsky, che parla di “un principio sconcertante”.

(3) Solo “se altre procedure stabilite dal diritto dell’Unione … non consentissero di proteggere il bilancio dell’Unione in modo più efficace … le misure nell’ambito del meccanismo saranno prese in considerazione”. In pratica, la Dichiarazione declassa il Regolamento e lo rende ridondante. Il che è logico, in quanto il ‘principio della buona gestione finanziaria’ è tutelato da innumerevoli strumenti già a disposizione della Commissione.

(4) Se è pur vero che “il bilancio dell’Unione, compresa la Next Generation Eu, deve essere protetto da qualsiasi tipo di frode, corruzione e conflitto di interessi”, lo stesso “il Regolamento non riguarda le carenze generalizzate”. Il che è logico, in quanto i Trattati già conoscono il rimedio per le violazioni del ‘principio della buona gestione finanziaria’: la interruzione/sospensione/correzione di singole procedure di aggiudicazione o di attribuzione, non dell’insieme indistinto delle procedure di aggiudicazione o di attribuzione in uno Stato Membro come pretenderebbe il Regolamento.

(5) Polonia e Ungheria concordano di invitare “il Parlamento europeo e il Consiglio a prendere immediatamente le misure necessarie per l’adozione dell’intero pacchetto dei pertinenti strumenti, compreso il Regolamento sul quadro finanziario pluriennale e la decisione sulle risorse proprie”, ma fatto salvo il diritto degli Stati membri ad appellarsi alla Corte di Giustizia europea. Cioè, l’assenso al pacchetto non costituisce assenso al Regolamento (che potrebbe essere opposto in giudizio). Ciò che ha consentito a Morawiecki ed Orban di immediatamente annunciare che faranno ricorso.

(6) La Commissione annuncia di voler: “elaborare e adottare linee guida sul modo in cui applicherà il Regolamento, compresa una metodologia per effettuare la sua valutazione”, al fine espresso “di garantire il rispetto di questi principi” contenuti nella Dichiarazione.

(7) La Commissione si impegna a tirare in lungo: “qualora venga presentato un ricorso di annullamento nei confronti del Regolamento, le linee guida saranno finalizzate dopo la sentenza della Corte di giustizia in modo da incorporare gli elementi rilevanti derivanti da tale sentenza” e, nel frattempo, “fino a quando tali linee guida non saranno finalizzate, la Commissione non proporrà misure ai sensi del Regolamento”.

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Varsavia e Budapest vogliono andare di fronte alla Corte perché, come abbiamo spiegato su Atlantico Quotidiano (qui e qui), sanno che il contenuto del Regolamento è contrario ai Trattati e presenta violazioni talmente manifeste, da lasciar immaginare che esso possa venire cassato persino da quella Corte notoriamente simpatetica con qualsivoglia iniziativa unionale. Il compromesso lascia ai due Paesi il tempo di far valere le proprie ragioni, senza nel frattempo subire conseguenze negative.

Tutto al contrario di Parigi, dove Macron pretende di aver ottenuto “un solido accordo sul meccanismo da attuare, nel rispetto dello Stato di diritto”, con il suo subordinato Conte che ripete a pappagallo: “abbiamo ribadito il principio dello stato di diritto”. Trionfale Le Monde: l’accordo “getta le basi per una costruzione di comunità più federale e unita … difende i valori dell’Ue”. E a chi fa notare il ricorso polacco ed ungherese, si risponde che i ribelli hanno potuto solo ottenuto di “mostrare alla propria opinione pubblica di aver ottenuto qualcosa” e “guadagnare tempo”. Anzi, all’Eliseo sarebbero persuasi di ricevere l’approvazione della Corte e pure piuttosto rapidamente.

Tale sicurezza francese lascia perplessi. Non tanto con riguardo ai tempi, visto che la Corte non è costretta ad impiegare i due anni che ci mette di solito, ma può agire con procedura d’urgenza e, infatti, pure la Commissione attende la decisione in “mesi piuttosto che anni”, altri parlano di “tre mesi” (sulla base del recente precedente del ricorso di una corte scozzese circa Brexit). No, la sicurezza francese lascia perplessi con riguardo agli esiti e suggerisce che Parigi abbia qualche carta di riserva.

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I possibili punti di attacco alla Dichiarazione interpretativa, sono quattro:

[1] Il Consiglio europeo avrebbe esorbitato dai propri poteri, giacché esso «non esercita funzioni legislative» (15 Tue) e «agisce nei limiti delle attribuzioni che le sono conferite dai Trattati» (13 Tfeu). Invero, la Dichiarazione è attenta a precisare che è la Commissione a voler “stendere ed adottare linee guida, circa il modo in cui applicherà il Regolamento”; il Consiglio europeo solo conviene che le proposte della Commissione “costituiscono una risposta adeguata e duratura alle preoccupazioni espresse”; non solo, tali elementi saranno forse vincolanti, ma non definitivi, giacché le linee guida “saranno sviluppate in stretta consultazione con gli Stati membri”, plausibilmente nella separata sede del Consiglio dell’Ue, ove la Commissione ha intenzione di “iscrivere a verbale” una seconda dichiarazione. Certo, tutti sanno che non è vero: il compromesso è stato negoziato dalla cancelliera tedesca, lo scrivono Soros, Von der Leyen, Lagarde e Gentiloni, Le Monde, La Stampa, Fabbrini (il quale, con la mano sinistra accusa il Consiglio europeo di aver usurpato funzioni legislative che non gli appartengono, con la mano destra incensa la sua amata cancelliera per aver costruito proprio quell’accordo usurpatorio) e sinanco il primo ministro polacco Morawiecki. Ma, formalmente, la Dichiarazione appare blindata.

[2] Il Consiglio europeo avrebbe violato la indipendenza della Commissione, la quale «esercita le sue responsabilità in piena indipendenza … i membri della Commissione non sollecitano né accettano istruzioni da alcun governo, istituzione, organo o organismo» (17 Tue). Invero, la Dichiarazione nemmeno è preceduta dalla ricorrente formula ‘il Consiglio dà impulso alla Commissione’, come pure avrebbe potuto (15 Tue). Chi questa accusa ha mosso (Verhofstadt, Soros, Alemanno e Chamon), si è basano sul presupposto che il Consiglio europeo abbia dettato alla Commissione l’impegno contenuto nella Dichiarazione … mentre è formalmente vero il contrario.

[3] Il Consiglio europeo e/o la Commissione avrebbero violato la potestà legislativa del Parlamento europeo insieme al Consiglio dell’Ue, ai quali soli spetta di approvare il Regolamento (322 Tfeu). Invero, l’atto annunciato dalla Commissione, non è un Regolamento, ma linee guida: ossia, un atto giuridico non vincolante dell’Unione (249 Tfue), ovvero un atto atipico (cioè non previsto dal Trattato) ma comunque non vincolante. Più precisamente, le linee guida rappresentano una dichiarazione politica della Commissione, volta ad annunciare la linea di condotta che intende seguire, nell’ambito della discrezionalità che la legislazione o il Trattato le assegni. Lo stesso Regolamento fa menzione delle “conclusioni e raccomandazioni delle istituzioni dell’Unione” (Art. 5-2&5a Regolamento).

[4] La Commissione non può mutare un elemento essenziale del Regolamento (290 Tfue). Invero la Dichiarazione mantiene invariata la data di entrata in vigore del Regolamento: formalmente esso si applicherà ai fondi istituiti a partire dal 1° gennaio 2021 e, infatti la Commissione lavorerà a bozze delle linee guida, ma sostanzialmente “non proporrà misure ai sensi del Regolamento” sino a dopo la sentenza della Corte di giustizia. La Dichiarazione non può aver inteso attribuire effetti sospensivi al ricorso di Polonia e Ungheria alla Corte, in quanto “i ricorsi proposti alla Corte di giustizia dell’Unione europea non hanno effetto sospensivo”, a meno che non sia la Corte a concederlo (278 Tfue). Conseguentemente, si deve concludere che la Commissione sta mutando un elemento essenziale del Regolamento. Non per nulla, questo è l’elemento più contestato della Dichiarazione: Alemanno lo definisce un “limbo legale senza precedenti”; Kees Sterk (giudice olandese già presidente della associazione dei Csm della Ue) accusa, “quando una regola ha effetto legale, deve essere applicata; non può essere una questione di politica non applicarla ad alcuni per un periodo di tempo o a determinate condizioni”; Sophie in ‘t Veld (eurodeputata liberale olandese) scandisce, “nessuna giustificazione per ritardare la piena e integrale attuazione della legislazione Ue; questo è un precedente molto allarmante”.
* * *

Insomma, i sostenitori dello ‘Stato di diritto’ punteranno le proprie carte, di fronte alla Corte, non sulla lite principale attinente al Regolamento azionata da polacchi e ungheresi, bensì su una lite secondaria attinente alla Dichiarazione interpretativa del Regolamento. Ciliegina sulla torta, Varsavia e Budapest non chiederanno di agire con procedura d’urgenza sulla lite principale, ma lo faranno i sostenitori dello ‘Stato di diritto’ sulla lite secondaria: così guadagnando una conveniente finestra temporale per sospendere i fondi Ue a Polonia e Ungheria, a prescindere dall’esito della lite principale.

(estratto di un articolo pubblicato su Atlantico Quotidiano)

Porracci devono arrampicarsi sugli specchi per spiegare che il virus RNA dell'influenza è scappato a gambe levate davanti al virus RNA del covid

MONDO
Le misure anti Covid hanno ucciso l’influenza stagionale?

di Redazione Start Magazine
19 dicembre 2020



Che cosa emerge da un approfondimento di Bloomberg su Covid e influenza

La pandemia di Covid-19 sta rispondendo a molte delle peggiori aspettative che gli esperti di salute pubblica negli Stati Uniti e in Europa avevano per l’autunno e l’inverno – scrive Bloomberg. C’è una cosa di cui però non sembrano preoccupati: una devastante “twindemia” di Covid e un’influenza stagionale.
A New York City, che pubblica un comodo conteggio giornaliero delle visite al pronto soccorso per malattie simili all’influenza e altre patologie, i numeri sono inferiori a un terzo della normalità per la prima metà di dicembre.

Questa apparente assenza di influenza non è quasi certamente solo un colpo di fortuna. Non è nemmeno il risultato di un insabbiamento in cui le autorità contano i casi di influenza come casi di Covid-19 (apparentemente una teoria popolare in alcuni ambienti negazionisti). È concepibile che il pronto soccorso di New York abbia meno probabilità di contare i casi di coronavirus come malattie simili all’influenza rispetto al marzo scorso, quando i test di Covid erano scarsi e gli operatori sanitari meno familiari con i sintomi di Covid. È anche possibile che le persone stiano semplicemente evitando il pronto soccorso, se possibile. Ma i risultati positivi dei test influenzali tracciati sul FluView dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie mostrano un calo ancora più netto.

Quella linea blu scuro che è praticamente indistinguibile da zero per la maggior parte dell’anno è il 2020. Il totale dei test positivi per la settimana che si è conclusa il 5 dicembre – i dati più recenti disponibili – è stato di soli 56. Nella stessa settimana dell’anno scorso era di 6.435. L’inizio della stagione influenzale nell’emisfero nord è generalmente considerato la 40a settimana dell’anno, che si è conclusa il 3 ottobre, facendo del 5 dicembre la fine della 49a settimana. Ecco un decennio di test positivi per le prime 10 settimane della stagione influenzale: sì, la stagione influenzale 2011-2012 è iniziata con un numero di test positivi ancora più basso. Ma questo è fuorviante, dato che il numero di test influenzali eseguiti è aumentato molto da allora (anche se è ancora lontano dal numero di test Covid-19 eseguiti quest’anno). I 511 positivi nelle prime 10 settimane della stagione influenzale 2011-2012 sono stati su 40.150 test, per un tasso di positività dell’1,3%. I 602 positivi di quest’anno sono su 401.112 test, per un tasso di positività dello 0,15%. A quanto pare, quindi, questa stagione influenzale negli Stati Uniti è sulla buona strada per essere significativamente più mite di quella che si è rivelata essere la meno peggiore dell’ultimo decennio e forse la meno peggiore dagli anni Ottanta.

Tendenze simili sono evidenti in tutto il mondo. “Nella zona temperata dell’emisfero settentrionale, l’attività influenzale è rimasta al di sotto dei livelli interstagionali”, ha riassunto l’Organizzazione Mondiale della Sanità nel suo più recente aggiornamento settimanale sull’influenza. Cioè, c’è meno incidenza di influenza in questo momento, in tardo autunno, di quanto non ci sia di solito in estate. L’OMS e altre agenzie di sanità pubblica sono comprensibilmente riluttanti a dichiarare la vittoria contro l’influenza proprio ora – è ancora all’inizio della stagione, e c’è un’altra malattia là fuori che sta causando il caos anche se l’influenza non lo è. L’amministratore delegato dell’azienda produttrice di termometri intelligenti Kinsa Inc. è meno reticente, dicendo al New York Times che “sembra che la twindemica non si verificherà”. Ed è chiaro che dalle stagioni influenzali del 2020, che sono già finite, sta succedendo qualcosa di fuori dal comune.

Alcuni studi hanno scoperto che negli Stati Uniti e in Europa l’incidenza dell’influenza è diminuita molto più drasticamente del solito a fine inverno e all’inizio della primavera di quest’anno. E in Australia, dove il picco della stagione influenzale va generalmente da aprile a settembre e gli sforzi di Covid-control hanno avuto molto più successo che negli Stati Uniti o in Europa, non c’è stata nessuna stagione influenzale.

Dall’inizio di maggio (l’ultimo mese intero dell’autunno nell’emisfero meridionale), cinque test influenzali sono risultati positivi in Australia, secondo il database FluNet dell’OMS. Dalla metà di luglio, nessuno è risultato positivo. Altri paesi delle zone temperate dell’emisfero australe hanno avuto esperienze simili.

Perché sta succedendo tutto questo? La spinta a far vaccinare più persone contro l’influenza quest’autunno per evitare il temuto twindemico potrebbe aver avuto qualche impatto, ma questo non spiega perché l’incidenza dell’influenza è crollata la scorsa primavera. La spiegazione ovvia è semplicemente che le cose che gli individui e i governi hanno fatto per rallentare la diffusione di Covid-19 hanno portato la diffusione dell’influenza, una malattia respiratoria che si trasmette in modo simile, se non identico, a un arresto stridente.

Queste misure sono state probabilmente più efficaci contro l’influenza che contro il Covid, perché l’influenza è molto meno contagiosa del Covid. Una misura approssimativa della contagiosità è il numero di base della riproduzione – il numero di persone che ogni persona affetta dalla malattia può essere considerata contagiosa se tutti si comportano normalmente. Per l’influenza stagionale è di circa 1,3, nelle pandemie influenzali è stato superiore ma ancora inferiore a 2. Per Covid-19 è probabilmente tra 2 e 4.

Indossare la mascherina, lavorare da casa, vietare i grandi raduni e altre misure di allontanamento sociale – insieme ad un maggior numero di persone che acquisiscono l’immunità contraendo Covid-19 – sembrano aver portato il numero effettivo di riproduzione di Covid negli Stati Uniti a non molto più di 1. A quanto pare, questo ha anche spinto il numero di riproduzione effettiva dell’influenza ben al di sotto di 1.

Una lezione da ciò è che il lamento spesso sentito che gli Stati Uniti e molti paesi europei hanno fallito nella lotta contro la pandemia è sbagliato. Certo, un rapido sguardo all’Asia orientale rende chiaro che l’Occidente avrebbe potuto fare molto, molto meglio. Ma visto il successo che abbiamo avuto nel fermare l’influenza, sembra chiaro che abbiamo avuto successo anche nel rallentare il Covid. La recrudescenza della malattia in questa caduta è stata negativa, ma avrebbe potuto essere molto, molto peggio.

Un’altra lezione è che “interventi non farmaceutici”, il termine d’arte per tutte le cose che abbiamo fatto per rallentare la diffusione di Covid in attesa dei vaccini, dovrebbe essere una parte più grande del kit di strumenti per combattere l’influenza. Questo non significa che dovremmo chiudere tutte le frontiere e i ristoranti ogni inverno, ma misure a basso costo come prendere sul serio il lavaggio delle mani, indossare una mascherina quando non ci si sente bene, lavorare da casa se si è stati esposti e tenere i visitatori malati e i lavoratori lontani dalle case di cura potrebbero salvare migliaia di vite ogni anno. E se si presentasse un nuovo ceppo di influenza pandemica, mortale come, ad esempio, la variante del 1918 (che era molto più letale del Covid-19, soprattutto per i giovani), interventi più costosi ne varrebbero quasi certamente la pena.

Quando si muove JP Morgan c'è da avere paura, è speculazione pura, sta alzando la posta il suo è un braccio di ferro con la Fed, la posta in gioco è altissima se la banca perde il Grande Cambiamento dell'Occidente controllato sarà spazzato via dallo tsunami che verrà. Al latere, ma potrebbe non essere così, c'è quella Tesla che ha mangiato miliardi d'investimenti mantenuti dallo schema Ponzi di credulità

ETF: una bolla pronta a esplodere?

19 Dicembre 2020 - 13:15

I mercati finanziari si preparano a una nuova esplosione, chiamata ETF: cosa racconta - davvero - l’ultima mossa di JP Morgan, e della Fed, sulla prossima bolla pronta a scoppiare.


Lunedì 21 dicembre Tesla sbarcherà ufficialmente sullo Standard&Poor’s 500. E lo farà con un carico di aspettative spaventoso, al netto dei progetti marziani del suo fondatore e di un market cap che ridicolizza letteralmente i principali player del comparto automotive mondiale, come mostra il grafico:

Fonte: Bloomberg

D’altronde, nel meraviglioso mondo delle Banche centrali, chi ha più bisogno di un piano industriale credibile e di bilanci sostenibili, quando puoi contare sistematicamente su returns da opzioni call e conseguente espansione dei multipli, oggi giunti a un sobrio 170x di P/E sugli utili 2021, a fronte di 600 miliardi di market cap e 480 miliardi di float cap?

La pensano sicuramente così dalle parti di JP Morgan, i quali con tempismo da centometrista hanno lanciato la loro ultima scommessa: un prodotto strutturato direttamente legato ai tre principali ETF tech della Ark Investment Management - Innovation ETF, Genomic Revolution e Next Generation Internet -, rivelatisi i più hot di tutto il 2020.

Il tutto in un contesto come quello rappresentato da questo grafico, di per sé sufficiente a dimostrare il tasso di proliferazione di quei fondi nell’arco degli ultimi anni.

Fonte: Statista

Ormai, market-makers assoluti. Il problema è che la scommessa di JP Morgan va oltre e, alzata debitamente l’asticella della follia, è sconfinata in quello che appare il territorio ancora inesplorato del raschiamento terminale di un barile ormai essiccato, talmente appare vuoto.

La banca newyorchese non solo sta vendendo 589.000 dollari in prodotti strutturati legati ai tre ETF della Ark ma lo sta facendo con leva 1,5x e su un arco temporale di 6 anni. Praticamente, l’aggressività fatta scommessa. O la disperazione da fine ciclo travestita da versione finanziaria di Braveheart.

Ma ancora non basta. Al netto del carattere quantomeno baldanzoso dell’investimento, il tutto assume contorni da missione kamikaze quando si scopre che l’ETF di Ark siede su una detenzione del 10% proprio di titoli Tesla. Di fatto, quindi, la mossa di JP Morgan è una call a leva 1,5x per 6 anni sulle azioni della creatura di un uomo che ha appena annunciato di voler vendere tutto e investire i propri soldi nella costruzione di una città su Marte.

Certo, i numeri stanno dalla parte di Ark, come mostra questo grafico:

Fonte: Bloomberg

Stando a dati di Bloomberg, il 10 dicembre l’Ark Innovation ETF ha registrato un inflow di capitale pari a 275 milioni di dollari, un’iniezione che ha permesso al fondo di raggiungere i 16 miliardi di assets totali e sorpassare proprio l’Ultra-Short Income ETF di JP Morgan con i suoi 15,2 miliardi.

Da inizio anno, l’Ark ETF ha guadagnato il 150%. Tesla il 650%. Insomma, due palesi beneficiari del cosiddetto rising tide garantito dalla liquidità a pioggia della Fed che ha gonfiato a dismisura la bolla tech dai minimi di marzo. Di per sé, già un rischio. Non fosse altro per l’ipotesi di big rotation di cui la vittoria di Joe Biden e l’approdo del vaccino anti- Covid hanno creato i prodromi.

Per ora, però, il Nasdaq è tornato sui massimi storici. E poco importa che si sia recentemente scoperto come la gran parte dell’impalcatura che regge l’ultimo strato di quel palcoscenico finanziario fosse basata sul materiale di pessima qualità (e breve durata) della mega scommessa sulle opzioni di Softbank. L’importante è battere il ferro finché è caldo. E, infatti, in gergo ciò che viene proposto da JP Morgan è definito Yolo ETF, dove la prima parola è l’acronimo di You Only Live Once.

In parole povere, si vive una volta sola. Vi fidereste di un investimento che può vantare un nomignolo simile? In un mercato normale, basato su concetti ormai desueti e degni di un museo delle cere come la price discovery o il fair value, ovviamente no. Ma questo deve far riflettere su almeno due presupposti.

Primo, il mercato non esiste più. Al suo posto, piazzata al centro del mondo come un ideale e distopico panopticon finanziario, che è la Fed. O, più in generale, le Banche centrali con il loro Qe perenne e ormai assunto e prezzato come strutturale da chi investe. Ne consegue che il destino di Tesla e con esso il suo market cap e quindi anche la fortuna di Ark e della scommessa di JP Morgan, ad oggi non appaiono nelle mani di chi acquista fisicamente auto o valuta i rating societari o decide su cosa sia più oculato investire, soppesando anche i rischi. Lo decide, al 99%, Jerome Powell. E dietro di lui, chi tira i fili. Il gestore della giostra. Tradotto, quei Primary dealers che la Federal Reserve - in tempi di deficit stellare - deve trattare ancor più con i guanti bianchi, poiché parte integrante dello schema Ponzi chiamato appunto Qe.

E alla luce di questo, sorge un dubbio: se JP Morgan si lancia in un’operazione simile - capace di bruciare l’intero investimento insieme alla credibilità della banca, stante proprio l’overweight su Tesla aggravato da una leva 1,5x su quell’arco temporale -, lo fa perché ai piani alti sono impazziti? Oppure perché sanno che la big rotation non ci sarà e che la giostra tech girerà ancora per un tempo sufficiente a trovare la via verso l’uscita di sicurezza?

Giova ricordare che nell’estate del 2019 fu proprio la mossa di JP Morgan di trasferire immensi capitali fuori dai propri conti presso la Fed a creare lo sbilanciamento nelle riserve, lo stesso che a metà settembre generò l’impazzimento dei tassi overnight sull’interbancario e obbligò Jerome Powell a entrare in gioco direttamente con sei mesi abbondanti di aste repo e term (dopo l’annuncio iniziale di sole due settimane di operatività emergenziale).

Insomma, il player è di quelli che decidono le regole. Non che le subiscono. Secondo, come mostra questo ultimo grafico stiamo vivendo un sempre più marcato de-couple fra indice del mercato delle opzioni e regimi single-stock.

Fonte: Bloomberg/Zerohedge

Insomma, proprio l’incertezza del quadro generale porta sempre più investitori - daily traders in testa - a diffidare ancora dell’overall market e preferire la scommessa sulla performance di singoli nomi. Nel nostro caso, Tesla. Insomma, ci vuole pelo sullo stomaco. O, forse, sana incoscienza. O, in ultima istanza, certezza nel fatto che la recita a soggetto delle Banche centrali - semplicemente - non può finire. Pena, un 2008 al cubo. Per tutti.

Forse è per questo che si parla di scommessa con profili da si vive una volta sola: non tanto per i rischi esiziali di una call su Tesla all’1,5x di leverage su 6 anni (compaiono i brividi lungo la schiena solo a scriverlo), quanto perché questo giro di giostra a spese delle stamperie centralizzate di tutto il mondo potrebbe essere l’ultimo. Quantomeno per un po’, giusto il tempo per il mondo di purgare qualche decina di trilioni di dollari in stati patrimoniali ipertrofici e market cap lisergici.

Insomma, prima che - come nei cartoni animati - compaia la scritta finale That’s all folks!, qualcuno ha pensato che fosse il caso di lanciarsi in uno Yolo raschiafondo.

Come Carlo Tansi brucia tutti e si candita così questa volta i calabresi bruceranno tutti e lo voteranno in massa

Elezioni regionali Calabria, Carlo Tansi brucia tutti e si candida presidente: ecco liste e nomi

Il movimento civico Tesoro Calabria parteciperà alle ormai imminenti regionali con tre liste e 72 candidati alla carica di consigliere: «La classe politica che ha gestito la nostra Regione negli ultimi 20 anni deve farsi da parte»

di Redazione 
18 dicembre 2020 20:35

Carlo Tansi

Il movimento civico Tesoro Calabria parteciperà alle ormai imminenti regionali con tre liste denominate “Tesoro Calabria”, “Calabria libera” e “Calabria pulita”, suddivise in nove liste circoscrizionali da presentare nelle tre zone elettorali in cui è stato frazionato il territorio calabrese. Appoggiano la candidatura di Carlo Tansi alla presidenza della Regione Calabria. La rapidità della dell’individuazione del candidato presidente – è detto in una nota stampa - è stata imposta dalla necessità di chiudere le liste nel più breve tempo possibile in modo da potere avviare subito voto l’indispensabile raccolta delle firme. Pena l’esclusione dalla competizione elettorale del 14 febbraio 2021.

La raccolta firme

È servita da lezione, dunque, la negativa esperienza maturata nelle passata competizione elettorale in cui, per aspettare le scelte di candidatura della coalizione che ha poi designato l'imprenditore Pippo Callipo, il Movimento ha ritardato la raccolta delle firme ed è stato costretto a presentare soltanto quattro liste circoscrizionali, a fronte delle nove previste in totale, per mancanza di sottoscrittori: «Non commetteremo, quindi, lo stesso errore di attendere le decisioni dei partiti e dei gruppi politici che, diversamente dalle liste civiche, non sono obbligate per legge a raccogliere le firme dei sottoscrittori; oggi si pubblicano le nove liste circoscrizionali di Tesoro Calabria e, da domani, si comincia a raccogliere le migliaia di firme dei sottoscrittori, indispensabili per presentare le liste medesime 30 giorni prima della data indetta per le prossime Regionali nelle due sedi di Corte d’Appello e poter così partecipare democraticamente alla competizione elettorale», si fa rilevare.

72 candidati

Le liste – si legge nel comunicato - sono formate da 72 candidati, 34 donne (47%) e 38 uomini (53%), che si riconoscono nel programma politico predisposto dallo stesso Tansi, fondatore del Movimento, che ha come scopo l’integrale cambiamento del sistema di governo burocratico-amministrativo della regione più bella, ma anche più povera, d’Italia: «Hanno accettato di candidarsi - si conferma - 72 persone perbene in gran parte della società civile, che condividono con Tansi gli ideali per contrastare le cause del degrado socio-economico e infrastrutturale della Calabria dovute principalmente all’irresponsabile attività di una classe politico-burocratica incline a salvaguardare i propri interessi di bottega gestiti spesso con accordi trasversali tra le varie fazioni. Un gruppo dirigente incurante delle situazioni di forte disagio che si sono moltiplicate in tutti i settori produttivi, incapace di utilizzare a fini pubblici le ingenti risorse economiche messe a disposizione del governo regionale e degli enti locali dall’Europa e dallo Stato centrale con risultati nefasti nei servizi erogati dalla Sanità pubblica; nello sviluppo dell’offerta turistica; nell’adeguamento dell’offerta infrastrutturale materiale e immateriale; nell’innovazione e incremento del settore agricolo-forestale con un progressivo aumento, in tutti i comparti, della disoccupazione, specialmente di quella giovanile».

A giudizio del Movimento: «L’attuale classe politica che ha gestito la Calabria negli ultimi 20 anni è arrivata al capolinea e deve farsi da parte. Questo chiedono i calabresi che guardano sempre più con interesse ai movimenti civici e alla società civile. Pronti a cimentarsi in prima persona con le proprie competenze, acquisite attraverso la pratica professionale e il servizio nelle istituzioni locali e nello sfaccettato mondo dell'associazionismo, in una attività di governo della regione completamente rinnovata e adeguata alle attuali esigenze di sviluppo, emergenti nel territorio e richieste dalla maggioranza dei cittadini. Che vogliono restare lontano dalle allettanti soluzioni clientelari, spesso colluse con il malaffare, proposte da spregiudicati esponenti politici, anche in questa prima fase della campagna elettorale».

Lectio Magistralis - Nulla sarà come prima - Il grande Cambiamento Occidentale pensa che sia possibile azzerare l'economia senza problemi per costruire nuove strutture economiche. Non puoi abbatte tutto ciò che funziona a tuo piacimento per costruire qualcosa di nuovo

Corona: come la politica sta distruggendo il sistema legale e l’economia della Germania

Maurizio Blondet 19 Dicembre 2020 

Copio e incollo un articolo di Deutsche W. Nachrichten. L’autore tedesco e critico del regime Merkel ha nome CÜNEYT YILMAZ. Laureato presso l’Università della Franconia superiore di Bayreuth, vive e lavora a Berlino. Qui, cita perfino Solgenitsyn. Un esempio di come i valori di civiltà (un tempo) europei siano ormai sentiti come universali stimati e difesi da chi ne è nato fuori.

Il prossimo periodo porterà sconvolgimenti eccezionalmente grandi in tutti i settori. Ma sarà diverso da quello che pensavano i politici locali.

Il tradimento dell’opposizione

Deve essere dichiarato apertamente: senza eccezioni, tutti i partiti del Bundestag si sono dimostrati incapaci di proteggere la costituzione tedesca – e lo hanno fatto dall’inizio della pandemia nel marzo 2020. Alcuni hanno finto di opporsi alle azioni del governo federale devono infine rimanere in modo molto vistosamente inattivo mentre gli altri sono rimasti vistosamente rumorosi. La discussione con riferimento a queste lamentele viene soppressa moralizzando il dibattito corona. Nessuno nega l’esistenza del virus corona. Ma non c’è solo una crisi sanitaria, ma anche una crisi sociale e legale che deve essere discussa.

Chi difende la Legge fondamentale è dichiarato nemico

Secondo l’opinione prevalente degli avvocati costituzionali, le misure anti-corona sono in gran parte incostituzionali. L’intero processo discutibile è stato superato nella sua incostituzionalità dalla procedura d’urgenza del ramo esecutivo, che ha esteso i diritti speciali del ministro federale della Salute oltre il 31 marzo 2021.

Non avrei mai immaginato che ti dovessi sentire in colpa, perseguitato ed escluso per aver difeso la Costituzione. La paura di essere diffamati e ostracizzati come “teorici della cospirazione” perché si difende la costituzione, la repubblica e tutti i valori democratici e le norme di convivenza porta a una paralisi mentale – e talvolta fisica -.

La pressione psicologica esercitata di pari passo dai media e il panico mirato da parte della politica colpisce i cittadini nel profondo. Non osano più esprimere la loro opinione costruttiva, il che provoca un’enorme rabbia. Gli estremisti e i “veri complottisti” della politica, attivi anche nei media, sono ovviamente molto utili. In definitiva, queste figure, che si dilettano nella divisione della società, forniscono alla politica un passo alla volta la scusa che possa trasformare l’ordine costituzionale passo dopo passo nell’interesse dell’esecutivo – e aggirando la legislatura.

Si può presumere che il capovolgimento della costituzione non rimarrà un fenomeno temporaneo, ma avrà un effetto ancora più profondo dal prossimo anno, sempre lentamente e passo dopo passo, ovviamente. Dopotutto, abbiamo osservato questo processo dall’inizio del 21 ° secolo. Se i politici promettono il contrario, va sottolineato che non hanno mantenuto nessuna delle loro promesse nel corso della pandemia. Basta guardare alla stupidità con cui numerosi politici ed “esperti” rimangono invischiati nelle contraddizioni – e costantemente. Questo non crea fiducia. Segue: le promesse politiche non valgono un accidente!

Ma la verità è anche che i presunti oppositori delle misure corona seduti al Bundestag spesso vogliono solo trarre profitto politico dal dibattito in corso. Avevamo già osservato questo comportamento durante il dibattito sui rifugiati. Tutte le parti mancano di onestà . C’era una volta uno statista tedesco della “vecchia guardia” che aveva detto: “La classe politica odierna in Germania è caratterizzata da un eccesso di aspirazioni di carriera e di importanza personale e da un eccesso di lussuria nei talk show”.
Corona e il filo del rasoio: camminiamo sul baratro economico

Viviamo in tempi turbolenti. È certo che dal prossimo anno tutto cambierà per sempre. Ci sarà e non dovrebbe essere un ritorno alla vecchia normalità.

Invece, emergerà un grande vuoto sociale in cui si agglomerano gli innumerevoli imprenditori in bancarotta, i disoccupati e le persone catapultate nella povertà .

E poi suonerà l’ora dei demagoghi, degli estremisti e del pifferaio magico . Lo puoi sentire. Sta aspettando il momento giusto. A quel punto si suppone che inizi un punto di svolta – vale a dire la dichiarazione di un’emergenza interna! Riuscite a immaginare che le elezioni federali del 2021 dovranno essere rinviate a causa di un’emergenza interna? Forse anche alcuni politici ne hanno interesse?

Restano comunque sorpresi i politici e gli “esperti” che ritengono possibile azzerare l’economia senza problemi per costruire nuove strutture economiche. Non puoi abbattere tutto ciò che funziona a tuo piacimento per costruire qualcosa di nuovo.

La “distruzione creativa” macroeconomica attualmente in corso in tutto il mondo complessivamente rischia di fallire. È sempre facile attuare piani e idee se non puoi essere messo in pericolo esistenzialmente dagli effetti dell’attuazione, perché come politico vivi di emolumenti statali, cioè sul denaro dei contribuenti.

Non appena la disperazione che si rifletterà negli occhi di cittadini e imprenditori colpirà gli ambienti politici, capiranno cosa hanno causato le loro parole e le loro azioni.

E allora capiranno che l’arroganza viene sempre prima della caduta. Solo allora, e solo allora, capiranno cosa hanno fatto. Se dovesse iniziare una fase di inflazione e iperinflazione, ci ritroveremo di nuovo con il capolavoro di Stefan Zweig. Nella sua opera “The World of Yesterday: Memories of a European”, pubblicata postuma nel 1942 , affermò : ” Niente ha reso il popolo tedesco – questo deve essere ricordato ancora e ancora – così amaro, così odioso, così maturo per Hitler fatto come l’inflazione. ” (in realtà, la deflazione di Bruening, che produsse 6 milioni di disoccupati; l’autore condivide il “falso ricordo storico” di quasi tutti i tedeschi, anche i dirigenti, che attribuiscono l’avvento di Hitler all’iper-inflazione dei primi anni Venti invece che alla deflazione-austerità imposta qiuasi 10 anni dopo)

Dal prossimo anno l’ultimo cittadino capirà con la forza con cui la politica ha spinto al muro l’economia e il sistema giuridico e quanto ha rafforzato con le proprie mani incompetenti i nemici della repubblica. Una parte dei media interpreta il ruolo di “claqueurs”, proprio come nel dibattito disumano iniziato nel 2011. Allora sapevano cosa stavano facendo – e lo sanno anche oggi. Ci può essere solo una via d’uscita economica parziale (limitazione dei danni) se il governo federale espande massicciamente le sue partecipazioni statali in società strategicamente importanti al fine di prevenire acquisizioni ostili da parte di “giganti stranieri”.

E con questo, l’ultima cosa che voglio menzionare è una citazione che da tempo cova nella mia memoria di fronte ai problemi economici che stanno per arrivare. Viene da Alexander Solzhenitsyn:

“Sappiamo che mentono. Sai che stanno mentendo. Sanno che noi sappiamo che mentono. Sappiamo che lo sanno, sappiamo che mentono. Eppure continuano a mentire. “

Prima che sorga la domanda, a chi vorrei rivolgermi in modo critico con questa citazione, rispondo: Chi sente queste parole indirizzate a sé!


***

Cüneyt Yilmaz si è laureato presso l’Università della Franconia superiore di Bayreuth. Vive e lavora a Berlino.


https://www.maurizioblondet.it/corona-come-la-politica-sta-distruggendo-il-sistema-legale-e-leconomia-della-germania/

NoTav - Le procure non sono quelle polle d'acqua sorgive trasparenti e chiare ma spesso sono inquinate ideologicamente alla nascita

APPELLO BIS PER GLI SCONTRI DEL 2011

«No Tav, la Procura non fu imparziale»
Un difensore accusa i magistrati per la gestione delle inchieste. Il Pg chiede di mandare gli atti a Milano. E in una lettera Maddalena «sgridò» l’allora pm Padalino

di Massimiliano Nerozzi
17 dicembre 2020 | 22:45

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A un certo punto, la difesa si fa accusa: c’è stata una parzialità da parte della Procura nella valutazione dei processi che riguardavano i No Tav, riassume nella sostanza l’avvocato Stefano Bertone, uno dei legali nell’Appello bis per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011, rimandato a Torino dalla Cassazione. Per un motivo, soprattutto, l’applicazione o meno dell’articolo 393 bis del codice penale: ovvero, se qualche manifestante ebbe una reazione legittima (e quindi non punibile) a un «atto arbitrario» delle forze dell’ordine. Morale (secondo la tesi): quando un militante No Tav finiva indagato, le indagini erano veloci, quando invece era parte offesa, il contrario. Da lì è battaglia campale — fortunatamente solo politico-giuridica — con la richiesta di verbalizzare le parole del difensore da parte del Procuratore generale Francesco Saluzzo, in aula al fianco dei sostituti Carlo Maria Pellicano e Nicoletta Quaglino. Motivo: l’ulteriore domanda alla corte (presidente Franco Greco) di mandare gli atti alla Procura di Milano. «Le mie critiche sulla diversa velocità di attivazione della Procura erano rivolte alla funzione, non certo alla persone», precisa poi l’avvocato. Poiché, in quegli anni, da pubblico ministero della Procura, anche Quaglino si era occupata di inchieste sui No Tav.

Detto che i giudici hanno respinto l’acquisizione di alcuni atti, spunta una comunicazione del 12 maggio 2014 inviata dall'allora Procuratore generale Marcello Maddalena al pm Andrea Padalino, in merito a un’istanza di avocazione avanzata dalle storiche attiviste No Tav Dana Lauriola e Nicoletta Dosio. Che avevano sporto querela, ma senza vederne le sorti: «Con la presente — scriveva il Pg — prego di voler fornire informazioni, il più sollecito possibile, circa lo stato del procedimento in oggetto indicato e la presumibile conclusione delle indagini preliminari: conclusione che era stata più volte oralmente preannunciata, però senza che poi alle promesse seguissero i fatti».

Tornando alla mattina del 3 luglio 2011, per la Procura quella dei manifestanti non fu una reazione legittima: «Ma come si può soltanto vagamente ipotizzare la sussistenza» di tale articolo (393 bis) di fronte «a condotte sistematiche e collettive di resistenza o minaccia a pubblico ufficiale a favore di persone travisate, armate, con le maschere antigas e che attaccano un’area vietata e presidiata legittimamente?», si chiede Pellicano. Che, da ex ufficiale di complemento, già in fase di requisitoria aveva descritto scenari da battaglia: c’è un momento, spiega, in cui polizia e carabinieri «sono costretti a ritirarsi, come i russi all’inizio dell’Operazione Barbarossa».

E per questo, l’accusa chiede la sostanziale conferma delle condanne emesse nel 2016 (a parte alcune fattispecie prescritte) per 27 attivisti, con pene dai 6 mesi ai 4 anni. Diametralmente opposta la ricostruzione delle difese. «Da parte delle forze dell’ordine ci fu la palese violazione dell’ordinanza del questore e, prima ancora, della logica», argomenta l’avvocato Enzo Pellegrin, tra una citazione di Hegel — «beh, la dottoressa Quaglino aveva evocato Schopenhauer...» — e dello scrittore sloveno Voranc Prežihov Voranc, per le riflessioni sulla «difesa del fortino». Ergo: «Perché polizia e carabinieri erano fuori dalla recinzione?». Gli fa eco il collega Claudio Novaro, passando da Carl Schmitt e dalla contrapposizione buoni/cattivi: «Ma la responsabilità penale è personale». Oltre all’uso di «4.300 lacrimogeni», uno ogni 4 secondi. Osservazione, toccata anche dagli avvocati Gianluca Vitale e Frediano Sanneris: ci furono plurimi abusi e, va da sé, una reazione. Il 21 gennaio, ultime repliche e sentenza


La Germania ha usate le banche pubbliche per prendere soldi dalla Bce a tassi bassissimi non si capisce perchè l'Italia non potrebbe fare la medesima cosa con il Monte dei Paschi di Siena mantenendola banca pubblica. La Germania in questo modo ha potuto investire 500 miliardi nella sua economia e noi cosa aspettiamo?

Piano Mps: 2.670 esuberi e maxi aumento capitale. Tesoro insiste su nozze con UniCredit, 5Stelle sognano Stato al 15% post fusione

18/12/2020 10:07 di Laura Naka Antonelli
QUOTAZIONI Bca MpsUnicredit

Il cda di Mps approva il piano strategico 2021-2025, mentre il Tesoro intensifica il pressing su UniCredit, con l’imminente addio dell’amministratore delegato Jean-Pierre Mustier che spiana la strada alle nozze. Bloomberg riporta in un articolo come il Mef maggiore azionista della banca punti a raggiungere un accordo con Piazza Gae Aulenti all’inizio del 2021, magari entro la fine di marzo.
Un articolo de “Il Fatto Quotidiano” dedicato a Mps fa notare che, “in caso di fusione, ai valori di Borsa attuali lo Stato si troverebbe azionista del nuovo gruppo (che nascerebbe con la fusione tra UniCredit e Mps) tra il 5 e il 10% del capitale, in grado – facendo asse con la fondazione Cariverona – di avere un nocciolo di controllo italiano”.

“Problema – fa notare il fatto – i grandi fondi azionisti di UniCredit dovrebbero diluire la loro partecipazione e non è detto che il cda attuale, in scadenza, si sentirà di dare l’ok finale. Uno degli emendamenti dei 5Stelle prevede invece di convertire le Dta del Monte prima della fusione. In quel caso, il Tesoro supererebbe il 15% del nuovo gruppo. Ma il ministero non ne vuole sapere”, mentre tra i 5Stelle continua a circolare il mantra ‘Il matrimonio con UniCredit non s’ha da fare’.

“La vendita è diventata più urgente, dopo che è stato stabilito che Mps potrebbe dover lanciare un aumento di capitale di almeno 2,5 miliardi di euro per continuare a operare, più di quanto atteso in precedenza”, hanno riportato le fonti a Bloomberg.

The logo of the Monte dei Paschi di Siena bank is seen on the window of a branch in downtown Rome on February 09, 2017. – Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. (BMPS) is the oldest surviving bank in the world and the third largest Italian commercial and retail bank by total assets. Founded in 1472 by the magistrates of the city state of Siena, as a “mount of piety”, it has been operating ever since. In 1995 the bank, then known as Monte dei Paschi di Siena, was transformed from a statutory corporation to a limited company called Banca Monte dei Paschi di Siena (Banca MPS). Since the end of 2016, the bank is struggling to avoid a collapse. (Photo by FILIPPO MONTEFORTE / AFP) (Photo by FILIPPO MONTEFORTE/AFP via Getty Images)

Se le trattative avranno successo, hanno riportato le stesse fonti, il piano di M&A tra le due banche sponsorizzato dal Tesoro potrebbe essere sottoposto agli azionisti del Monte dei Paschi e di UniCredit in occasione delle assemblee di aprile.
Anche Bloomberg riporta a tal proposito le indiscrezioni sul regalo-dote fiscale a cui il Tesoro starebbe lavorando per rendere Mps più appetibile e, soprattutto, per rassicurare Piazza Gae Aulenti sul fatto che un matrimonio avrà un impatto neutro sul suo capitale.
“L’Italia – si legge nell’articolo che riporta sempre quanto riferito da fonti vicine al dossier – sta preparando un pacchetto di incentivi che include un piano di agevolazioni fiscali e uno spin off dei rischi legali che incombono su Mps, del valore di 10 miliardi di euro, a una entità controllata dallo stato”. Si tratterebbe di Fintecna, controllata da Cassa depositi e prestiti. In poche parole, la zavorra dei rischi legali che affossa Mps non andrebbe, in caso di un’aggregazione, a pesare sulle spalle di UniCredit: ci penserebbe lo Stato, con l’aiuto onnipresente di Cassa depositi e prestiti, e in questo caso di Fintecna.
La dote fiscale a cui sta lavorando il team del ministro dell’Economia Roberto Gualtieri è un fattore chiave, continuano le fonti, che potrebbe valere fino a 3 miliardi di euro. Tuttavia, ha avvertito nello specifico una fonte, “il Parlamento deve ancora esprimersi su un emendamento che potrebbe ostacolare il deal limitando quei benefici a 500 milioni di euro, o facendo in modo che queste doti fiscali vengano utilizzate solo per le società che hanno meno di 50 dipendenti” (emendamento dei 5Stelle, contrari all’operazione Mps-UniCredit).
Il Tesoro ha tra risposto a Bloomberg, segnalando che la misura riferita alle doti fiscali non ha come target specifico il Monte dei Paschi o qualsiasi altra combinazione:
“Lo scopo è, piuttosto, di fornire incentivi alle aggregazioni, per affrontare il problema di lunga data della dimensione inadeguata delle società industriali e finanziarie”.
Bloomberg si interroga infine sul ruolo di Mustier – che fin da subito aveva detto no alla mela avvelenata Mps – che “rimane un punto interrogativo, visto che il ceo uscente potrebbe non voler firmare l’accordo (eventuale di fusione con Rocca Salimbeni) poco prima della sua uscita (dalla banca)”
Il ceo rimarrà in carica fino alla fine del suo mandato, che scade ad aprile, o fino a quando non sarà nominato il suo successore, stando a quanto ha riferito la stessa banca.

Mps in utile solo nel 2023: maxi aumento capitale e 2.670 esuberi

Il piano strategico approvato ieri dal cda di Mps illustra alcuni punti cruciali, ricapitalizzazione inclusa:
Fabbisogno di capitale stimato tra 2 e 2,5 miliardi.
Necessità di procedere a 2.670 esuberi.
Ritorno all’utile dal 2023, dopo un pareggio soltano nel 2020.

Dalla nota diramata dalla banca a seguito della riunione del cda di ieri sera, emerge che Mps chiuderà in perdita anche nel 2021, a causa di “oneri di ristrutturazione” e “rettifiche di valore su crediti legate alla emergenza pandemica, ma con una attività commerciale in linea con quanto osservato nella seconda metà del 2020”.
Sul fronte degli esuberi, la riduzione di 2.670 persone nel periodo 2021-2025 a cui il piano strategico si riferisce, “tiene conto delle uscite, tramite il ricorso al fondo di solidarietà e turnover naturale, e dei nuovi ingressi”.
Il piano stilato sarà trasmesso al Tesoro, principale azionista dell’istituto con una quota del 64% circa, che si confronterà con il DG Comp, ovvero con la direzione generale della Commissione europea, che è responsabile della politica dell’UE in materia di concorrenza.
Ciò significa, precisa la banca, che le scelte fondamentali operate dal Piano “potrebbero essere soggette a cambiamenti a seguito delle interlocuzioni del Ministero dell’Economia e delle Finanze con DG Comp”.
Il Piano, prosegue il comunicato, “è stato sviluppato sulla base assunzioni ritenute prudenziali dello scenario macroeconomico, ipotizzando in particolare il permanere degli attuali livelli dei tassi di interesse e un PIL nazionale al di sotto del livello precedente all’attuale crisi pandemica per almeno il prossimo triennio”.
Tre i pilastri attorno a cui ruoteranno le scelte del management nei prossimi mesi:
La focalizzazione del modello di business sulla clientela chiave, in linea con le quote di mercato storiche e la graduale uscita da segmenti ad elevato assorbimento di capitale e ridotta redditività.
La semplificazione organizzativa e l’avvicinamento del modello operativo al business.
Il rafforzamento del bilancio ed il continuo focus sulla gestione dei rischi.

Riguardo all’aumento di capitale, nella nota Mps scrive che la banca “è impegnata a predisporre un nuovo capital plan da sottoporre alla Banca Centrale Europea entro il 31 gennaio 2021. Il capital plan conterrà una indicazione dei fabbisogni di capitale (di medio termine e non limitati al CET1), quantificati in una misura tra 2,0 miliardi e 2,5 miliardi, e un’indicazione circa le modalità per soddisfare detti fabbisogni. Il rafforzamento patrimoniale ipotizzato è idoneo a risolvere lo scenario di shortfall di patrimonio regolamentare che al 31 marzo 2021 è quantificato in oltre 0,3 miliardi e, al 1° gennaio 2022, in circa 1,5 miliardi”.

Nel piano ipotesi M&A senza vincoli

Nella nota dell’istituto senese si legge ancora:
“Il piano affronta l’ipotesi delle nozze di Mps con un altro possibile eventuale partner, laddove si ricordano gli impegni che sono stati assunti dal Governo Italiano alla base del Piano di Ristrutturazione definito per il periodo 2017-2021 e il conseguente DPCM del 16 ottobre 2020, nel cui ambito è stato segnalato opportuno “avviare un processo di dismissione della partecipazione detenuta dal Ministero (Mef) nel capitale sociale di MPS, da realizzare con modalità di mercato e anche attraverso operazioni finalizzate al consolidamento del sistema bancario”.
Di fatto, a fronte dell’ok dell’Ue all’operazione di ricapitalizzazione precauzionale del 2017, che ha siglato l’ingresso del Tesoro come maggiore azionista nel capitale di Mps, salvando così la banca, l’Italia aveva promesso alle autorità europee che lo Stato avrebbe dismesso la partecipazione entro il 2021.
Nella nota sull’ok che il cda ha dato al piano si legge inoltre che sono state elaborate nel piano “iniziative strategiche coerenti con un sostanziale mantenimento dell’attuale modello operativo e dell’infrastruttura tecnologica della Banca, al fine di non porre vincoli ad ipotesi aggregative“.

Equita SIM su piano MPS

“Il CdA di BMPS ha approvato il piano strategico 2021-2025. Come atteso, il piano prevede un fabbisogno tra i 2-2,5 miliardi di capitale in modo da riportare il CET1 ratio phased in sopra il 12% (10,7% Fully phased). Tale livello include sia gli oneri di ristrutturazione (riduzione FTE pari a 2670 persone) che le rettifiche legate all’emergenza pandemica, per un shortfall di capitale complessivo al 2022 stimato pari a 1,5 miliardi pre-aumento di capitale. La banca prevede il pareggio di bilancio a partire dal 2022 e il ritorno all’utile a partire dal 2023, dando ‘priorità ad iniziative industriali’ in grado di creare rapidamente valore con basso rischio di esecuzione”.
Equita SIM ricorda che “il piano dovrà essere approvato da DG comp, che ci attendiamo possa esprimersi nei primi mesi del 2021”.
Guardando in avanti, “sebbene non siano ancora definite le modalità di rafforzamento patrimoniale, riteniamo uno scenario più probabile una ricapitalizzazione da 2,5 miliardi. Considerando oneri di ristrutturazione di circa 1,5 miliardi e un P/TE post aumento di capitale in area 0,35x, questo implicherebbe un valore premoney della banca sostanzialmente nullo e un contestuale downside >30% sul prezzo post aumento di capitale. L’aumento sarebbe altamente diluitivo per gli azionisti ex MEF che ci attendiamo non sottoscrivano proquota il rafforzamento patrimoniale, aprendo la strada ad un delisting dell’istituto. Il rafforzamento patrimoniale e la possibilità di conversione delle DTA in crediti fiscali in caso di aggregazione (fino a 2,5 miliardi per Mps) rappresentano le condizioni chiave per facilitare una business combination, che sulla base di questo scenario potrebbe tuttavia realizzarsi soltanto a partire dalla seconda metà del prossimo anno: il CdA di Mps dovrà infatti predisporre nel dettaglio il capital plan da inviare alla BCE entro il 31 gennaio 2021. Resta comunque da chiarire la posizione di DG Comp sul rafforzamento patrimoniale, dato che quest’ultimo potrebbe limitare l’entità dell’intervento del MEF“.