tratto dal commento del 26 gennaio 2021 all'articolo
Il socialismo per cui dobbiamo batterci, e il partito comunista che ci serve
del 15 gennaio 2021
di Fosco Giannini
se il partito di classe è una forza che rappresenta gli interessi del proletariato rispetto a certi obiettivi che si devono raggiungere e a certi ostacoli che si devono superare, se il partito di classe si costituisce nell’adeguazione storicamente determinata tra il mezzo e il fine, allora dal sottolineare maggiormente i contenuti e il valore della democrazia e del comunismo (un binomio intrinsecamente antinomico) anziché la dura necessità di abbattere lo Stato borghese derivano concezioni del partito profondamente diverse.
Il partito che si attrezza per organizzare e dirigere l’attività delle masse è la negazione del partito che si pone messianicamente come utopica prefigurazione del comunismo.
Vi è qui un errore di principio fondamentale, che è peraltro intrinseco alla prospettiva centrista da cui muove l’autore dell’articolo, errore che consiste nella confusione tra ideologia proletaria e teoria marxista-leninista, e quindi nel fraintendere l’effettiva funzione dei comunisti, i quali non vanno tra le masse a predicare, bensì ad organizzare scientificamente la rivoluzione socialista.
Lo stesso Lenin non ha esitato a parlare del partito come di un bisogno politico dotato della stessa urgenza dei bisogni economici delle masse lavoratrici: “Castriamo i bisogni più impellenti del proletariato e precisamente i bisogni politici”, se non incardiniamo il lavoro per costruire il partito di classe sul nitido convincimento che “il proletariato nella sua lotta per il potere ha una sola arma: l’organizzazione”.
Ma vi è di più: per Lenin è determinante il nesso fra partito e strategia, ed è questo il nesso che oggi prevale. Di conseguenza, se Lenin, enunciando la tesi secondo cui la coscienza socialista viene portata dall’esterno nel movimento operaio, afferma la necessità dell’autonomia teorica e politica del partito del proletariato per giungere a realizzare la sua autonomia organizzativa, ciò non significa che egli neghi la necessità, non meno cogente, dell’organizzazione quale ‘conditio sine qua non’ per garantire e mantenere la stessa autonomia teorica e politica.
In altri termini, la strategia per la conquista del potere, che è il nocciolo duro del concetto di autonomia teorica e politica (un concetto che senza quel nocciolo svapora in una nozione gassosa di ‘egemonia’, ‘bonne à tout faire’) si fonda sul presupposto che l’organizzazione sia la premessa (non il risultato) del processo rivoluzionario.
Il che implica due ulteriori assunti:
a) che il partito si costruisce dall’alto (averlo compreso costituisce il merito storico di Bordiga);
b) che il principio organizzativo del partito di classe è il centralismo democratico (averlo compreso costituisce il merito storico di Gramsci).
In conclusione, la dialettica interna alle relazioni concettuali intercorrenti tra le istanze dell’autonomia, della strategia e dell’organizzazione diviene pienamente intelligibile se si tiene conto della funzione mediatrice che l’organizzazione esplica tra la teoria e la prassi.
È infatti questo elemento che spiega la portata teorica e strategica, non semplicemente politica, delle divergenze sui temi relativi alla natura, allo statuto e al programma del partito, così come la necessità ineludibile di una lotta conseguente e permanente contro l’opportunismo e il revisionismo che tendono a colpire l’autonomia politica e teorica del partito proletario e a subordinarlo alla direzione della borghesia: due fenomeni di cui proprio Lenin dimostra l’inevitabilità, ponendo in luce con la sua analisi scientifica le profonde radici che essi hanno nella società moderna.
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