Chiudere porte per aprire portoni
di Pierluigi Fagan
2 febbraio 2021
Eccoli qui, come puntualmente previsto già ai tempi del referendum del 2016, dopo aver chiuso la porta dei corridoi con l'Europa, i britannici bussano ai portoni asiatici per entrare in relazioni di scambio con la parte di mondo più vivace, oggi ma in solida prospettiva anche nei prossimi decenni. UK si appresta a far formale domanda di entrata nel trattato CPTPP (Brunei, Singapore, Malaysia, Vietnam, Giappone + i Commonwealth Australia, Nuova Zelanda, Canada + Messico, Cile e Perù). CPTPP è il trattato che seguì a un lungo processo promosso a suo tempo da Obama (TPP) da cui Trump aveva poi sfilato gli USA. Sono poi andati avanti sotto la direzione del Giappone ed alla fine hanno firmato, per altro felici di essersi tolti dalle scatole gli americani che imponevano norme non gradite sulla farmaceutica ed i diritti di brevetto.
Il CPTPP è più stretto ma anche più ambizioso del RCEP, che recentemente è stato firmato tra Cina, Asean e Giappone, Corea, Australia e Nuova Zelanda, prevedendo norme sul libero commercio nei servizi e nelle nuove tecnologie.
Tant’è che nel processo strategico cinese di radicazione sistemica in Asia, pare che anche la RPC stia valutando di far formale domanda di entrata anche nel CPTPP che, come noterete dall’elenco, ha anche presenze in America.
La mossa britannica, ampiamente prevista, ha vari significati. Il primo è che UK, parte del suo popolo non meno che della sua élite, ha scelto strategicamente di riprendersi la libertà d’azione svincolandosi del consesso europeo, per sviluppare una propria autonoma geopolitica e geostrategia. Avranno pure perso l’Impero ma quanto a visione del mondo, l’angolo di visione e prospettiva rimane bello ampio, questa è una cultura che o si ha o non la si inventa.
Il secondo è che UK farà leva sulle reti formali ed informali dei paesi ex-Commonwealth che è istituzione ancora operativa anche se a bassa tensione con 54 paesi e con un fuoco speciale su Africa e soprattutto Asia. Al 2050, Asia ed Africa sommeranno l’80% della popolazione mondiale.
Il terzo significato risulta oscuro nel commento della BBC che si domanda cosa si perde o cosa si guadagna per i prodotti UK uscendo dal UE ed entrando in relazione con mondi così lontani. Ma a quali prodotti pensano quelli della BBC? E’ ovvio che la strategia britannica verte sulla City, il complesso bancario-assicurativo-finanziario-valutario e di mercato di molte materie prime (più consulenze e servizi annessi) che è ancora un vantaggio competitivo dei britannici. Forse dice qualcosa che il più grande gruppo bancario in Europa è britannico e si chiama HSBC ovvero Hong Kong e Shanghai Banking Corporation? UK può offrire tutto ciò a livelli pari a quelli americani senza esser il potente ed ingombrante soggetto imperiale ponendosi così pari tra pari. Poi ci saranno le armi visto che il governo britannico sta pompando molto la ripresa della sua industria bellica, anche quella di nuova generazione (AI, droni, Biotech). Senza dargli troppa pubblicità e con britannica discrezione c'è poi sempre il sistema off-shore per i tanti nuovi miliardari del Pacifico. Mica male.
Era questa l’essenza di significato della Brexit che qui in Europa, sostenitori e detrattori dell’UE, hanno tutti letto a partire dai propri, sbagliati, presupposti. Una paradossale nuvola di chiacchiere su populismo, sovranismo, europeismo vs antieuropeismo, migranti, statalismo-mercatismo ed altri generi di intrattenimento del nostro fumoso dibattito pubblico. Dal punto di vista brit, tra l’essere ospite sgradito tra Francia e Germania per i quali la City è solo un concorrente, con mille lacci e lacciuoli geopolitici, geoeconomici e soprattutto normativi (giuridici), senza autonomia strategica ed il tornare liberi battitori in un mondo irreversibilmente multipolare, gli eredi di Halford Mackinder (tra l'altro primo direttore della LSE) non hanno avuto dubbi. Potendoselo permettere, come dargli torto?
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