Razza Ariana a Gerusalemme
Volevo scrivere d’altro (l’immane scandalo Astrazeneca, vergogna della eurocrazia-padrona ) ma mi è parsa suprema la battuta del germanista Vladimiro Giacché:
“Coloni israeliani che scherniscono una donna palestinese davanti a casa sua a Gerusalemme dopo che il loro esercito ha buttato fuori la sua famiglia perché la casa andrà ai coloni”.
Tanto più che gli schernitori in dieci di una donna sola sono palesemente di razza ariana. Quasi certamente ebrei americani – che hanno fatto aliah apposta per andare ad occupare le case e i terreni dei palestinesi; che loro confondono coi pellerossa. Molti di loro (ne ho visti) si vivono in un western ebraico di loro invenzione. Oppressori dagli occhi azzurri, che vanno in giro fra la gente col mitragliatore in vista e il revolver alla cintura, arroganti perché intoccabili e protetti da ogni pericolo dal glorioso Tsahal. Naturalmente hanno tutti la doppia cittadinanza.
Un commentatore dice che la foto è di qualche anno fa. Ma queste cose avvengono continuamente, ed io le ho viste:
28 famiglie palestinesi nel quartiere occupato di #Jerusalem di Sheikh Jarrah stanno affrontando una minaccia imminente di sfratto forzato dalle loro case a favore delle organizzazioni dei coloni israeliani coloniali.
Si piazzano nelle terre altrui come da Promessa Biblica e come settlers nella prateria disabitata del West, prendono case altrui, oppressori in una civiltà che ebraicamente sono istruiti a considerare come inferiori, anzi animali parlanti, in quella che Ortega y Gasset chiama “la vita coloniale”, “vita non autoctona” proprio a proposito dell’homo americanus,
“Immagini il lettore di essere trasportato, solo o con pochi suoi affini, a un territorio molto remoto, disabitato e di enorme estensione.. Arriva con le superiori tecniche intellettuali che una civiltà molto sviluppata gli ha messo dentro, e alcuni degli strumenti efficientissimi che la civiltà ha creato. In cambio, i problemi della sua vita cambiano. Nella metropoli erano quelli propri di una civiltà avanzata; nella terra nuova deve risolvere i problemi più primitivi. Ossia, la sua esistenza coloniale consiste in un anacronismo fra il repertorio dei mezzi più perfetti e un repertorio di problemi molto semplici. Senza perdere nessun vantaggio , è sceso molti secoli addietro, si è installato in una zona vitale più facile. Conseguenza: sentimento di prepotenza. Lo stesso uomo si sente nella nuova terra più capace che in quella antica.
Però mentre l’esuberanza dei suoi mezzi in paragone coi problemi rianima l’uomo coloniale insufflandogli una sensazione di onnipotenza, accade che il primitivismo dei problemi, dell’ambiente vitale in cui cade, – la foresta, la prateria vergine, la solitudine – lo tira verso il primitivo. Cinque o sei anni, non più, e si noterà una strana semplificazione del suo essere. I raffinamenti intimi, le complessità, i saranno totalmente atrofizzate per non essere usate, mentre le reazioni elementari sollecitate dall’ambiente si irrobustiranno sorprendentemente.
Il coloniale è sempre, in questo senso, un arretramento dell’uomo verso un relativo primitivismo nel fondo della sua psiche,però conservando uno strumentario materiale e sociale – per quanto riguarda l’’ordine esterno – di piena modernità. E’ questa duplicità che conferisce il suo anacronismo costituzionale a produrre l’illusione ottica nel giudicare gli Stati Uniti”.
(Sobre los Estados Unidos,1932)
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