L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

martedì 28 settembre 2021

Il CROLLO CLIMATICO, il terzo giocatore dopo il terrorismo, l'influenza covid, stenta ad entrare in campo per conto della Strategia della Paura. La Cina detta l'agenda e obbliga il CAPITALISMO GLOBALE TOTALIZZANTE al cambio di strategia, se vuole combattere l'emissione di CO2 e metano deve seriamente pensare a energie alternative per sostituire quelle fossili

Ma che Evergrande, la tempesta perfetta Cinese arriva da Energy & Gas27 

Settembre 2021, di Redazione Wall Street Italia

Pubblichiamo l’articolo di Giuseppe Rodio sulla crisi energetica cinese

“Giuseppe dimentica Evergrande, l’azienda del mio fornitore sta lavorando 2 giorni alla settimana”. Questo il messaggio di un caro amico di base ad Hong Kong che mi ha letteralmente impedito di dormire questa notte.

L’azienda a cui fa riferimento è una SME con circa mille dipendenti che opera nel comparto manifatturiero tra Taiwan, Hong Kong e Mainland China. Il fatto: nella provincia di Guangdong (numero uno per produzione industriale in Cina, e quindi nel pianeta), il governo ha ordinato a SMEs considerate ad alto consumo energetico di chiudere 3 giorni a settimana a causa di power shortage.

Inquietante…al che ho controllato la mia Bloomberg app e leggo tra gli articoli dell’ultim’ora: “China Power Crunch Is Next Economic Shock After Evergrande”. Decisamente un tema da approfondire, ebbene: almeno 9 province cinesi colpite da power cuts, con compagnie costrette a chiudere per 3 giorni alla settimana.
Tra queste le province di Jiangsu, Zhejiang e la sopra citara Guangdong, le potenti zone industriali che da sole valgono quasi un terzo dell’intera economia cinese.

Considerando il fatto che siamo a Settembre e di inverno a Pechino fa davvero molto freddo, sembra si tratti della punta di un iceberg…

Si è discusso molto nelle ultime settimane dell’aumento dei prezzi di gas ed elettricità in Europa e Stati Uniti, i fantomatici “temporary bottlenecks” citati più volte da Powell e dovuti alla forte spinta produttiva connessa alle riaperture, che si sta verificando in contemporanea al delicato processo di transizione energetica verso fonti rinnovabili.
Questa dinamica è stata però sino ad ora sottovalutata in Cina, dove in realtà l’aumento dei prezzi di gas, carbone etc assieme alle severe politiche del governo centrale mirate a ridurre le emissioni, sembra stiano già avendo gli effetti più profondi e lasciano prevedere l’inizio di una tempesta.

Un vecchio detto di Wall Street dice “se l’America starnutisce, l’Europa si becca il raffreddore”. Cosa succederà al mondo, se alla Cina viene la polmonite?

Al che la domanda che mi ha tenuto sveglio e mi ha imposto di scrivere questa breve nota: quanto può davvero essere temporaneo un supply shock inflativo che sembra derivare da premesse di natura decisamente strutturale? Ma soprattutto che succederà ai prezzi, ai ricavi di vendita ed ai margini aziendali se la prima manifattura del pianeta opera 2 giorni a settimana da qui a marzo.

Al che una riflessione personale relativa al recente andamento del mercato azionario ed ai suoi possibili sviluppi futuri.

Un bull market sostenuto come quello che abbiamo avuto da marzo 2020 non attraversa periodi di correzioni significative se non ci sono cambiamenti strutturali in: prospettive di crescita degli utili aziendali, inflazione (e quindi aumento delle stessa, che viene incorporato nei tassi di interesse) o politiche monetarie/ fiscali (vedi tapering, aumento dei tassi di riferimento, incremento delle imposte e cosi via).
Se uno di questi tre motori si ferma, la storia insegna che in genere l’aereo va in stallo. Cosa succede se si fermano tutti e tre contemporaneamente?

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