L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 23 ottobre 2021

Sempre più cittadini consapevoli dell'inutilità del voto si astengono. L'Offerta politica è uguale a se stessa e non ci sono differenze sostanziali ma solo apparenti. Oggi questa politica è solo magna magna e lontanissima dalle problematiche delle comunità, si sono creati due mondi diversi ognuno con vita autonoma. Televisioni, giornaloni, giornalisti tutti schierati e venduti a l potere non si sforzano neanche di mettere in rilievo i veri interessi e di fare qualche larvata critica a chi comanda. I due mondi si allontanano sempre di più

A lezione dalle urne: l’astensionismo è distanza tra cittadini e politica

-22 Ottobre 2021

L’affluenza alle urne è un punto critico nelle democrazie occidentali. Non sempre si registrano medie elevate, anzi l’Italia è uno dei paesi messi meglio, o meno toccati dal fenomeno. In Gran Bretagna, per dire, paese di solida democrazia, va al voto un terzo dell’elettorato. Da noi, nella tornata del 2018, che ha eletto l’attuale parlamento, ha votato il 73% del corpo elettorale, non proprio male.

Astensionismo, un fenomeno diffuso e crescente

Tuttavia da tempo si registra un declino nella partecipazione al voto, un fenomeno diffuso e crescente sia nelle elezioni politiche che, da almeno un decennio, in quelle locali. È quanto in particolare avvenuto nelle recenti elezioni dei Sindaci, e ancor più nei ballottaggi, in cui pure la posta in gioco era alta: tra l’altro la poltrona di Sindaco della Capitale. Al voto è andata una percentuale vicina al 50% degli aventi diritto, un segnale di crisi della democrazia, un avvertimento pesante sullo stato di salute delle Istituzioni. Hanno dunque perso tutti se alla fine i Sindaci hanno saputo conquistare l’appoggio solo di un quarto o un quinto del corpo elettorale? Comunque siano andate le cose, la preoccupazione per questi risultati sconsolanti investe sia vincitori che perdenti?

L’astensionismo è un argomento che, come ovvio, attira la massima attenzione proprio a margine delle votazioni. Poi è spesso trascurato nelle fasi successive, ci si occupa d’altro e non si ha cura di studiarne cause e rimedi. È anche inevitabile che nell’immediatezza sia usato in modo strumentale. Per esempio, per delegittimare quanti hanno ottenuto più voti conquistando il governo di città o regioni. Costoro hanno vinto, ma in fondo a votarli sono stati in pochi, dunque la vittoria vale poco e non c’è ragione di esaltarsi. L’astensionismo offre alibi politici di fronte alle sconfitte. Serve a mascherare inadeguatezze e scelte sbagliate rispetto ai grandi problemi. Insomma un certo fallimento. Abbiamo perso sì, ma a credere in noi sono molti di più e se fossero venuti a votare – accadrà di sicuro la prossima volta – avremmo vinto noi. Insomma la sconfitta è meno bruciante, se ci si può consolare con la mitica riserva dei voti che non ci sono.

L’astensionismo incrina l’idea delle Istituzioni locali vicine al cittadino

A prescindere delle polemiche del momento, l’astensionismo nelle elezioni locali ha un significato particolare, che lo distingue dalle altre forme. Considerare di second’ordine le elezioni di Sindaci e consiglieri è comprensibile rispetto al momento in cui si decidono le sorti del Paese, ma certo incrina pesantemente l’idea che le istituzioni locali siano quelle più vicine al cittadino e quindi più partecipate. Infondo la sensibilità civile parte dal basso, deve misurarsi dal più piccolo o modesto dei livelli. Il rischio è che l’idea di una maggiore partecipazione alla vita delle singole comunità, in sé veritiera e fondata, si trasformi in una retorica. Le cose dimostrano che i cittadini non si sentono (più) rappresentati da queste istituzioni (comuni, municipi, circoscrizioni) rispetto alla politica nazionale. Finiscono per accomunare il grande e il piccolo, nello scetticismo verso la capacità di governare bene. Per questo il segnale di crisi è più allarmante.

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