BANCHE CENTRALI
Fed e Bce, due ricette contro l’inflazione
26 novembre 2021
La fiammata dei prezzi, temporanea ma sempre più persistente, preoccupa le banche centrali. Ma mentre negli Usa si prepara la chiusura dei rubinetti, in Europa si resta accomodanti
Due banche centrali, due ricette diverse, un solo problema. L’inflazione non abbandona il centro del palco da mesi e, in questi ultimi giorni, vista la pubblicazione dei verbali delle ultime riunioni di Fed e Bce, la questione è tornata prioritaria, con i mercati pronti a cogliere qualsiasi avverbio o dissonanza all’interno dei board per cercare di prevedere eventuali cambi di rotta e future mosse di Jerome Powell e Christine Lagarde.
Ad aprire le danze è stata la Federal Reserve, che già lunedì scorso aveva conquistato la scena con la conferma per un nuovo mandato del presidente Powell e la contestuale promozione a vice di Lael Brainard. Una decisione, targata Joe Biden, nel segno della continuità “dovish” e dunque molto gradita ai mercati.
Dai verbali della riunione del 2-3 novembre è emerso però che la banca centrale Usa potrebbe accelerare il processo di riduzione degli acquisti di asset o alzare i tassi prima del previsto se l’alta inflazione persisterà. La banca Usa ha deciso di dare il via al tapering pari a 15 miliardi di dollari a novembre e dicembre, un passo che porterebbe a mettere fine al programma entro giugno, ma i rischi inflativi sono visti al rialzo. I prezzi elevati riflettono effetti transitori, si ribadisce nel documento, ma alcuni membri del Fomc stanno spingendo per un tapering più veloce e hanno anticipato le attese sul primo dei rialzi dei tassi previsti nel 2022.
Si va dunque delineando uno scenario piuttosto complicato per la Fed, che è sì intenzionata ad avviare la chiusura dei rubinetti ma che si trova di fronte un inflazione più alta e persistente di quanto stimato e, contemporaneamente, segnali di rigidità nel mercato del lavoro. Nonostante quindi il binomio di testa Powell-Bainard sia decisamente per una linea accomodante, la situazione potrebbe richiedere presto un cambio di programma, anche alla luce delle prospettive di crescita del prossimo anno che la banca definisce “robuste”.
Tutt’altra aria tira invece al di qua dell’Oceano, dove la Bce non mostra ripensamenti. Nel meeting del 27-28 ottobre, il consiglio direttivo ha deciso di riaffermare la sua forward guidance e la sua valutazione sul cammino futuro dell’inflazione, pur notando come i mercati abbiano ultimamente mostrato un certo scetticismo. “Alcuni indicatori delle aspettative del mercato monetario per l’andamento futuro del tasso di interesse a breve termine sono difficili da conciliare con la forward guidance della Bce sui suoi tassi ufficiali”, si sottolinea infatti nelle minute.
Secondo la valutazione dei governatori dell’Eurozona, però, sebbene i prezzi impiegheranno con ogni probabilità più tempo del previsto per raffreddarsi, nel medio termine l’indice resterà sotto l’obiettivo del 2%. Allo stesso tempo, specificano comunque dall’Eurotower, è stato necessario riconoscere che alcuni dei rischi al rialzo indicati dallo staff Bce a settembre “si sono materializzati e che il recente aumento dell’inflazione avrebbe dovuto essere più persistente di quanto previsto in precedenza”.
A Francoforte, insomma, sono fiduciosi sulla validità del proprio scenario d’inflazione e ribadiscono le aspettative per un allentamento significativo nel 2022. Ma non mancano di sottolineare come ci si aspetti che i colli di bottiglia nell’industria durino più a lungo, cosa che ha portato i governatori Ue a non essere concordi su quanto debbano durare gli acquisti di asset.
Proprio alla luce di questo Lagarde e colleghi sono tornati a garantire che “sebbene sia necessario riconoscere un aumento dei rischi al rialzo per l’inflazione, è importante per il Consiglio direttivo evitare una reazione eccessiva e un’inazione ingiustificata e mantenere una sufficiente flessibilità nel calibrare le misure di politica monetaria per affrontare tutti gli scenari di inflazione che potrebbero presentarsi”. Insomma: si va avanti per la strada segnata, e il il Pepp terminerà il prossimo marzo, ma sempre con la flessibilità che l’incertezza della situazione richiede.
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