L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 3 aprile 2021

3 marzo 2021 - Londra: la protesta 'Kill the Bill' culmina con gli arresti

Il governo, i partiti ci odiano per questo ci tolgono la luce, il sole, l'aria

Perché il sole ci rende felici? Ecco la risposta della scienza

Dopo mesi trascorsi chiusi in casa in un tetro inverno, il tempo sotto il sole potrebbe essere proprio quello che il dottore ha ordinato: ma perché è così buono per noi?

-3 Aprile 2021


Esci e qual è la prima cosa che noti? Forse sono i gruppi seduti a chiacchierare allegramente nel parco, o l’allegro cinguettio degli uccelli. Ma una cosa che tutti sembrano avere in comune questa settimana è il buon umore, che potrebbe essere dovuto a un inaspettato ma graditissimo incantesimo di sole primaverile. Ma perché il sole ci rende felici?
Il sole ci rende felici: ma per quale motivo?

Dopo mesi in cui siamo rimasti bloccati nelle nostre case durante uno degli inverni più cupi mai registrati, questo periodo di sole è proprio quello che ha ordinato il dottore. Ma cosa c’è del sole che ci fa sentire così felici? Ecco la scienza dietro al motivo per cui quei raggi sono così buoni per noi.

Migliora il nostro umore

La maggior parte di noi concorderà sul fatto che è difficile sentirsi infelici al sole. Ciò è dovuto al legame tra la luce solare e i nostri livelli di serotonina, l’ormone che ci fa sentire felici. Questo è anche il motivo per cui le persone hanno maggiori probabilità di sviluppare il Disturbo Affettivo Stagionale (SAD) quando arrivano i giorni autunnali più brevi e ci avviciniamo all’inverno con meno ore di luce diurna. Ci sono molte ricerche per sostenere questa idea. Uno studio intrapreso in Australia ha scoperto che le persone avevano livelli più elevati di serotonina nelle giornate soleggiate rispetto a quelle nuvolose. Livelli aumentati di questo ormone generalmente portano a maggiori sentimenti di soddisfazione e calma e livelli più bassi di depressione e ansia. Esistono persino ricerche che dimostrano che le persone che usano lettini abbronzanti possono provare sentimenti più frequenti di euforia, il che potrebbe spiegare perché le persone sviluppano una dipendenza da sessioni regolari. Sebbene la connessione non sia ancora del tutto stabilita, i ricercatori ipotizzano che ciò potrebbe dipendere dal modo in cui la luce UV costringe i melanociti, le cellule che producono il pigmento scuro nella pelle, a rilasciare endorfine. Tuttavia, la maggior parte degli esperti concorda anche sul fatto che l’aumento del rischio di cancro al sole annulla il fattore di benessere.

Il sole migliora il nostro sonno

L’esposizione regolare alla luce solare incoraggia la produzione di melatonina, l’ormone che aiuta a regolare il ciclo sonno-veglia del corpo. Questo incoraggia sensazioni di sonnolenza, permettendoci di addormentarci più facilmente di notte, il che ci fa sentire più felici durante il giorno. La melatonina aiuta anche a regolare i nostri ritmi circadiani – l’orologio interno del corpo che segnala quando essere vigili e quando riposare – che possono essere fuori sincrono dall’esposizione alla luce blu della tecnologia, dai modelli di lavoro interrotti e dall’inquinamento luminoso. A sua volta, questo ci permette di sentirci più felici. La ricerca mostra che la nostra amigdala – la parte emotiva del cervello – è significativamente più reattiva dopo una brutta notte di sonno, il che significa che è più probabile che ci sentiamo irritabili per tutto il giorno se abbiamo passato la notte a girarci e rigirarci. Il tempo trascorso al sole può aiutarci a dormire sonni tranquilli.

Il sole ci rende felici e il nostro desiderio sessuale viene risollevato

Che tu ci creda o no, anche il nostro desiderio sessuale è influenzato dal tempo trascorso al sole, quindi un’ondata di caldo primaverile è una buona notizia per coloro che hanno trovato la loro libido in qualche modo attenuata. I ricercatori dell’Università di medicina di Graz in Austria hanno scoperto che passare solo un’ora al sole può aumentare i livelli di testosterone di un uomo del 69%. A sua volta, questo aiuta a bilanciare l’umore, il desiderio sessuale e la funzione cognitiva. Gli esperti attribuiscono questo al ruolo della vitamina D, che viene prodotta dopo l’esposizione alla luce solare. È la stessa situazione per le donne. I ricercatori in Cina, che hanno condotto uno studio sulle donne in post-menopausa, hanno identificato un legame tra bassi livelli di vitamina D e bassi livelli di estrogeni, l’ormone sessuale femminile.

Le tue ossa riceveranno un aiuto

La vitamina D è anche fondamentale per aiutare il nostro corpo ad assorbire il calcio, che è responsabile del rafforzamento delle ossa. La mancanza di vitamina D è stata associata sia all’osteoporosi, al rachitismo che a malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide (RA). Una revisione della Cochrane Library ha rilevato che i tassi di caduta negli anziani, che sono in parte dovuti agli effetti delle ossa fragili, potrebbero essere ridotti di oltre un quarto se agli anziani fossero somministrati integratori di vitamina D. Tuttavia, negli ultimi anni molti studi hanno messo in dubbio l’efficacia degli integratori nel ridurre i tassi di osteoporosi. Questo non vuol dire che la luce solare non possa aiutare: oltre il 90% del fabbisogno di vitamina D di una persona tende a provenire dall’esposizione casuale alla luce solare, rendendola la migliore fonte di nutrienti. Quindi quanta esposizione abbiamo bisogno per migliorare la nostra salute? In media, gli esperti ritengono che dovremmo puntare a 10-30 minuti di luce solare di mezzogiorno, più volte alla settimana. Quindi assicurati di uscire per una passeggiata oggi per ottenere una spinta di vitamina D.

Migliora la salute del cervello di mezza età

Mentre la maggior parte della ricerca sulla luce solare e sul cervello si è concentrata sui livelli di serotonina, una dose di vitamina D potrebbe anche essere buona per il nostro intelletto. Nel 2009, gli scienziati dell’Università di Manchester hanno scoperto che livelli più elevati di vitamina D sono collegati a una migliore capacità mentale negli uomini di mezza età e negli anziani. Gli uomini nello studio sono stati testati per la memoria e il ricordo della velocità, nonché per i livelli di umore e attività fisica, prima che venissero prelevati i campioni di sangue. I ricercatori hanno scoperto che gli uomini con livelli più elevati di vitamina D si sono comportati costantemente meglio di quelli con livelli più bassi.

I tuoi occhi hanno bisogno della luce del sole

Il dottor Rangan Chatterjee, medico di base e autore di Feel Great, Lose Weight, spiega che la luce viene misurata in un’unità chiamata lux: se trascorriamo 20 minuti all’aperto, anche in una giornata nuvolosa, siamo esposti a circa 10.000 lux, rispetto a 500 lux se passiamo del tempo in casa. Questo è particolarmente importante per i bambini. I ricercatori del King’s College di Londra, la London School of Hygiene and Tropical Medicine, hanno scoperto che l’esposizione regolare alla luce solare riduce il rischio di miopia – o miopia – nei bambini e nei giovani adulti aiutando l’occhio a produrre dopamina, che aiuta lo sviluppo sano degli occhi. L’esposizione alla luce naturale può anche aiutare a ridurre l’affaticamento degli occhi degli adulti, che è in aumento durante la pandemia a causa di più tempo davanti allo schermo e meno interruzioni naturali nella giornata lavorativa. Un sondaggio condotto su 2.000 adulti che lavorano da casa ha rilevato che uno su tre ha problemi di affaticamento degli occhi alla fine di ogni giornata, nonostante un decimo abbia tre o più luci accese nel proprio ufficio a casa.

ll sole ci rende felici e può abbassare la pressione sanguigna

La ricerca condotta dall’Università di Southampton nel 2018 ha esposto i partecipanti con un intervallo normale di pressione sanguigna alla luce ultravioletta. Hanno scoperto che dopo l’esposizione, i partecipanti hanno visto una modesta diminuzione dei livelli di pressione sanguigna, che potrebbe essere dovuta al ruolo dell’ossido nitrico immagazzinato negli strati superiori della pelle. Quando reagisce alla luce solare, fa allargare i vasi sanguigni, spostando l’ossido nel flusso sanguigno. A lungo termine, avere una pressione sanguigna più bassa può ridurre il rischio di arresto cardiaco o ictus, quindi è ancora più una scusa per assorbire i raggi.

E' risaputo che Washington stia bramando e tramando per portare l'Ucraina nell'orbita della Nato ed accerchiare una volta per tutte la Russia

UCRAINA. TENSIONE ALLE STELLE FRA GLI USA E LA RUSSIA, CHE AMMASSA TRUPPE AL CONFINE

2 Aprile 2021


di Guido Keller –

Non si è ancora sopito il conflitto del Donbass, costato già 14mila morti, ma mentre l’Osce continua a denunciare le ripetute violazioni del cessate-il-fuoco, oggi è l’intero paese ad essere al centro delle beghe fra l’occidente, leggasi pure gli Usa di Joe Biden, e la Russia.
Che nel Donbsas continuino a combattere contro i regolari i ribelli locali coadiuvati da mercenari russi è risaputo, come anche non è un mistero il fatto che Washington stia bramando di portare l’Ucraina nell’orbita della Nato ed accerchiare una volta per tutte la Russia.
In questi giorni tra Kiev e Washington è stato un susseguirsi di telefonate a vari livelli, compresa quella del ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba con il segretario di Stato Antony Blinken, ed il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato la Russia di ammassare truppe al confine. Preoccupazione per “la recente impennata delle azioni aggressive e delle provocazioni russe in Ucraina orientale” sono state espresse dagli uffici della Casa Bianca, per cui il capo dello Stato maggiore congiunto Usa Mark Milley si è sentito col numero uno delle forze armate russe Valery Gerasimov al fine di prevenire un’escalation.
Il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha ricordato che “una guerra nel Donbass si tirerebbe dietro la distruzione del paese”, ed il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ha fatto sapere che in caso di dispiegamento di forze statunitensi in Ucraina verranno introdotte misure per garantire la sicurezza della Russia. Peskov ha sottolineato che “La Russia non minaccia nessuno, e non ha mai minacciato nessuno”, ma ha aggiunto che “la Russia sposta le sue truppe come meglio crede”.

I guerrafondai ebrei sionisti si leccano le ferite

Written by Franco Londei• Aprile 3, 2021• 9:20• Editoriali, Middle East

Siamo onesti, sulla politica di contrasto all’Iran Netanyahu ha sbagliato

Se gli iraniani sono ad un passo dal confine con Israele, ad un passo dall’avere la bomba atomica, controllano Libano, Siria, Iraq e stanno per controllare lo Yemen, lo vogliamo ammettere che qualcosa non ha funzionato?


Sono sempre stato un fervente sostenitore di Benjamin Netanyahu, non per ragioni politiche delle quali non mi interesso, ma perché ho sempre creduto che fosse l’uomo migliore per guidare Israele.

E lo penso ancora. Tuttavia questo non mi esime dal criticarlo per quelli che io credo essere stati una serie di gravi errori nella politica di contrasto all’Iran.

Il primo punto è il più evidente. Se gli iraniani sono posizionati a pochi Km dal confine israeliano un errore di gestione ci deve essere stato.

Puoi fare tutti i raid aerei che vuoi contro le basi iraniane in Siria, purtroppo il succo non cambia: gli iraniani solo li, e possono vedere il confine di Israele anche senza cannocchiale.

Il secondo punto, sempre a mio modestissimo parere, è quello relativo all’aver dato troppa fiducia a Donald Trump e all’aver puntato quasi tutto sul fatto che sarebbe stato rieletto.

Questo ha provocato due gravi storture. La prima e più evidente è quella di aver corrotto i rapporti con gli Stati Uniti al punto che il Presidente Biden ha chiamato Bibi solo dopo un mese dalla sua elezione. Indiscutibilmente uno smacco politico.

La seconda stortura, meno evidente ma forse più importante, è quella che proprio a causa della troppa sicurezza nella rielezione di Trump, Israele non si è procurato il necessario per mettere in pratica le minacce contro l’Iran. In poche parole, le bombe anti-bunker.

Tutto sembrava essere pronto per farle arrivare in Israele, ma si era così sicuri di avere tempo che non si è accelerato come si sarebbe dovuto fare. Ora Biden non le fornirà mai e senza quelle bombe Israele non può attaccare le centrali nucleari iraniane. Ergo, le minacce verso Teheran sono minacce vuote.

Il terzo punto è forse il più importante. Netanyahu ha sempre sostenuto che con l’Iran non bisognasse trattare ed era un convinto sostenitore del ritiro degli Stati Uniti dal JCPOA, cioè dall’accordo sul nucleare iraniano. Lo ero anche io, tanto che ho gioito quando Trump è uscito da quel bruttissimo accordo.

Ma con il senno di poi quella decisione alla quale non sono stati fatti seguire atti concreti per non permettere all’Iran di andare comunque avanti con il suo programma nucleare, è stata una decisione sbagliata.

Mi spiego meglio. Di per se la decisione era giustissima, ma sarebbe dovuta essere stata accompagnata da una serie di azioni mirate a fermare il programma nucleare iraniano, anche con azioni violente.

Invece non si è andato oltre alle sanzioni e gli Ayatollah, senza più nessuno a controllare, sono veramente a un passo dalla bomba.

Facendo un breve riassunto di quella che è stata la politica di contrasto all’Iran negli ultimi anni non possiamo non notare che:
  • gli iraniani sono al confine con Israele
  • gli iraniani sono a un passo dalla bomba atomica
  • gli iraniani hanno portato avanti un programma balistico in grado di trasportare ordigni nucleari
  • gli iraniani controllano Libano, Siria e Iraq mentre stanno per prendere possesso anche dello Yemen
Onestamente non mi sembra che negli ultimi anni la politica di contrasto all’Iran portata avanti da Netanyahu e Trump abbia dato risultati, anzi…

Ora temo che sia troppo tardi per cambiare passo e per agire contro l’Iran in maniera definitiva. Paradossalmente possiamo solo sperare che il tentativo del Presidente Biden di rimettere un qualche controllo al programma nucleare iraniano vada a buon fine. Questo permetterebbe a Israele (e al mondo) di prendere tempo e magari decidere il da farsi.

Certo, la soluzione più pratica e veloce sarebbe quella che Biden autorizzi il trasferimento in Israele delle bombe anti-bunker e degli aerei adatti a trasportarle. Ma la vedo veramente dura.

Il 5 marzo in una telefonata alla responsabile europea Catherine Ashton il ministro degli Esteri estone puntava il dito contro i leader di Maidan, che avrebbero organizzato la mattanza per far cadere il regime, come è avvenuto

L'altra verità su piazza Maidan: cecchini ucraini arruolati per portare il paese alla guerra civile

02 Aprile 2021 14:54
La Russia definisce spaventosa la situazione in Donbass a causa delle provocazioni ucraine

La Redazione de l'AntiDiplomatico


Aumenta l’aggressività di NATO e USA verso la Russia. Le nuove provocazioni sono portate attraverso l’Ucraina, ma Mosca fa sapere che non resterà a guardare. In caso di dispiegamento di truppe Usa sul territorio ucraino o di un rafforzamento delle truppe Nato nei Paesi limitrofi, saranno necessarie ulteriori misure per garantire la sicurezza della Russia: lo ha dichiarato il portavoce di Putin, Dmitri Peskov, ripreso dall'agenzia Interfax. "Naturalmente questo sviluppo porterebbe a un ulteriore aumento delle tensioni nei pressi dei confini russi. E certamente questo richiederà ulteriori misure da parte della Russia per garantire la sua sicurezza", ha affermato Peskov secondo Interfax.

"La Russia non minaccia nessuno, e non ha mai minacciato nessuno", ha aggiunto Peskov, ripreso dalla Tass.

Ieri il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha accusato la Russia di ammassare truppe al confine e gli Usa hanno si sono detti "assolutamente preoccupati dalla recente impennata delle azioni aggressive e delle provocazioni russe in Ucraina orientale". "Ciò a cui siamo contrari sono le azioni aggressive che hanno l'obiettivo di intimidire, di minacciare, i nostri partner ucraini", ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price, ripreso ieri dall'Afp. "Flettere i muscoli con esercitazioni militari e possibili provocazioni lungo il confine sono giochi tradizionali per la Russia", ha dichiarato da parte sua Zelensky.

Ma il punto ‘critico’ è quello del Donbass dove si teme un’escalation. A tal proposito Dmitry Peskov ha parlato di una situazione spaventosa a causa delle continue provocazioni da parte delle forze armate ucraine.

"La nostra posizione (sul Donbass) è assolutamente costruttiva", ha detto Peskov in risposta a una domanda. "Non ci abbandoniamo a un pio desiderio. Purtroppo, le realtà lungo la linea del fronte è spaventosa. Sono numerose le provocazioni delle forze armate ucraine. Non sono casuali. Ce ne sono state molte".

Alla domanda sulla proposta del capo delegato ucraino Leonid Kravchuk "per l'osservanza del cessate il fuoco completo e globale" a partire dal 1 aprile, Peskov ha detto che la Russia non è una parte in conflitto.

"La tregua riguarda solo le forze su entrambi i lati della linea di disimpegno", ha detto Peskov.

Le tensioni nel Donbass sono aumentate il 26 marzo, quando quattro militari ucraini sono stati uccisi nei pressi del villaggio di Shumy. Kiev ha incolpato della loro morte le forze della Repubblica Popolare di Donetsk.

Donetsk ha negato la sua responsabilità per eventuali bombardamenti. Successivamente, la Repubblica di Donetsk ha dichiarato che i soldati ucraini sono stati uccisi da una mina durante l'ispezione dei campi minati.

Il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov aveva affermato in precedenza che il Cremlino era preoccupato che la parte ucraina potesse intraprendere azioni provocatorie nel sud-est dell'Ucraina, creando così il rischio di una guerra civile.

Mercoledì, Boris Gryzlov, rappresentante presidenziale russo nel Gruppo di contatto per una soluzione del conflitto nell'est dell'Ucraina, ha definito irresponsabile e cinica la posizione di Kiev sulla questione della sicurezza nella zona del conflitto nel Donbass.

La famosa provocazione per scatenare la guerra calda si avvicina, l'Ucraina foraggiata ed incitata dagli Stati Uniti va in guerra, la Nato è pronta ad intervenire. Il punto di non ritorno e l'attacco alla Crimea territorio russo

La Russia mette in guardia la NATO dall’invio di truppe in Ucraina

Maurizio Blondet 3 Aprile 2021

mentre si profila un’escalation “spaventosa”

Zero Hedge

Le ultime dichiarazioni del Cremlino rilasciate venerdì in mezzo alla potenziale nuova crisi ucraina che ha visto una seria riacutizzazione nei combattimenti nella regione del Donbass:

La Russia prenderà “misure extra per garantire la propria sicurezza” se dovesse osservare un eventuale dispiegamento di truppe NATO all’interno dell’Ucraina, secondo la dichiarazione del Cremlino venerdì secondo Reuters .

Ha fermamente messo in guardia contro qualsiasi potenziale incombente movimento di truppe della NATO dopo che Bruxelles ha espresso preoccupazione il giorno prima per i rapporti e i video diffusi che pretendono di mostrare un significativo accumulo di forze russe lungo il confine orientale dell’Ucraina.

Reuters riporta la dichiarazione del venerdì della Russia e “avvertimento” come segue :

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha detto venerdì ai giornalisti che la situazione sulla linea di contatto nell’Ucraina orientale tra le forze governative ucraine e le forze separatiste sostenute dalla Russia era piuttosto spaventosa e che lì si stavano verificando molteplici “provocazioni” .

Il Segretario alla Difesa degli Stati Uniti Lloyd Austin giovedì ha parlato con il suo omologo ucraino, Andrii Taran, e “ha condannato le recenti escalation di azioni aggressive e provocatorie russe nell’Ucraina orientale”, ha detto il Pentagono.

“La nostra retorica [sul Donbass] è assolutamente costruttiva”, ha detto Peskov in risposta alle domande dei giornalisti. “Non ci abbandoniamo a un pio desiderio. Purtroppo, le realtà lungo la linea sono piuttosto spaventose . Le provocazioni delle forze armate ucraine hanno luogo. Non sono casuali. Ce ne sono state molte”.

Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha condannato i movimenti delle truppe russe attraverso il confine, definendo la situazione “flessione muscolare” che potrebbe portare a “provocazioni” per le quali l’esercito ucraino è “pronto” …

È stata esattamente una settimana fa che i combattimenti a Donetsk hanno conquistato nuovamente i titoli internazionali quando sono state uccise quattro truppe nazionali ucraine, che Kiev ha prontamente incolpato sui separatisti sostenuti dalla Russia. Tuttavia, la Repubblica popolare di Donetsk ha affermato che non era il risultato di uno scambio di fuoco diretto, ma a causa dell’ispezione di un campo minato.

Il parlamento ucraino ha poi annunciato una forte “escalation” nell’est – una regione contesa che ha visto 14.000 morti nel 2014, e la leadership militare del paese ha messo le forze armate in massima allerta.

Ciò anche quando le truppe e le armature russe sono state avvistate dirette verso la Crimea e la regione del confine orientale dell’Ucraina, tuttavia, Mosca ha spazzato via le preoccupazioni dicendo che è normale trasferire le forze all’interno dei propri confini e del territorio sovrano.

Alcuni giorni dopo, mercoledì, il Comando europeo degli Stati Uniti (EUCOM) ha emesso una notifica di un aumento del “livello di minaccia” in Europa. La designazione è attualmente ufficialmente elevata a “potenziale crisi imminente” a causa delle preoccupazioni per l’Ucraina orientale.

Nel frattempo, questa settimana sono proseguiti gli intensi bombardamenti sul terreno a Donetsk, con tutti i segnali che indicano un’ulteriore escalation e intensità nei combattimenti …

Ma la Russia ha sottolineato che non è in alcun modo nel suo interesse vedere un ‘conflitto caldo’ nel Donbass :

Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha detto che la maggior parte dei militari ucraini sembra aver compreso il pericolo di un “conflitto caldo” nel Donbass.

“Spero vivamente che non vengano ‘incitati’ dai politici, che a loro volta saranno ‘incitati’ dall’Occidente, guidato dagli Stati Uniti”, ha detto Lavrov.

Lavrov ha inoltre lanciato un minaccioso avvertimento: “Il presidente russo Putin ha detto (questo) non molto tempo fa, ma questa affermazione è ancora rilevante oggi, che coloro che tenteranno di iniziare una nuova guerra nel Donbass – distruggeranno l’Ucraina“.

SPECIALE DWN: L’Ucraina potrebbe perdere Mariupol contro la Russia

Si avvicina un conflitto tra Ucraina e ribelli filo-russi. Questa volta il conflitto si sposterà nella parte meridionale dell’Ucraina lungo il Mar d’Azov. I ribelli potrebbero prendere la città portuale di Mariupol e poi avanzare lungo la costa del Mar d’Azov. Un’analisi tattico-militare.




11 marzo 2021 - Ucraina

3 aprile 2021 - News della settimana (26 mar - 2 apr 2021)

28 gennaio 2021 - TERAPIE DOMICILIARI PRECOCI: Fuori dal Coro di 26/01/21 Rete 4

Il cuore pulsante di Euroimbecilandia è il Mediterraneo ma per gli euroimbecilli è marginale tesi solo a guardare il proprio ombelico e a continuare a portare avanti il Progetto Criminale dell'Euro teso solo ad impoverire i paesi periferici privi di altre possibili progettualità

Il Mare (ex) nostrum al centro di dispute pericolose.

Categoria: Asia
Creato: 01 Aprile 2021 Ultima modifica: 01 Aprile 2021
Scritto da Gaetano Fontana

Dalla rivista D-M-D' N°16. Traduzioni:[EN][FR]

Negli ultimi mesi l’area del Mediterraneo è al centro di pericolose tensioni regionali ed internazionali. La Libia continua ad essere divisa al suo interno per essere spartita da forze esterne, in Siria le elites politiche e militari appaiono sempre più indebolite, ed entrambe sono chiaramente lontane dal trovare soluzioni pacifiche.

Per rendere chiaro lo scenario che si sta delineando in questa area, che è bene ribadire è in piena evoluzione, conviene valutare le dinamiche dei singoli attori e i contrapposti interessi in gioco.


Il 15 settembre 2020 viene formalizzato il trattato di pace “Peace to Prosperity”, fortemente voluto da Donald Trump a suggello del suo mandato presidenziale. La “Pax Americana”, come la definiva the Donald, che prevedeva la normalizzazione dei rapporti tra Israele, Emirati Arabi e Bahrein, di fatto si potrebbe sostanziare nell’annessione da parte israeliana di 132 insediamenti in Cisgiordania. “ L’accordo del secolo” è in perfetta continuità con la politica estera americana avviata da Trump nel febbraio 2017 con l’incontro ufficiale alla Casa Bianca con il primo ministro israeliano Netanyahu e proseguita con lo spostamento dell’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme nel dicembre 2017 e con il riconoscimento delle alture del Golan come territorio di Israele nel marzo del 2019.

Il piano dell’ex presidente americanoTrump sottende però un progetto strategico di più ampio respiro. Grazie al rafforzamento dei rapporti con gli alleati storici degli Stati Uniti, cioè Israele e Arabia Saudita, l’amministrazione americana intende perseguire l’obiettivo di spaccare il fronte arabo e creare un contesto regionale che faccia da scudo militare contro i nemici statunitensi e dei suoi alleati israeliani, in una sorta di richiamo alla Middle East Strategic Alliance” nota come “Nato Araba” nella quale includere le ricche monarchie del golfo. Questo consentirebbe ” di chiudere il cerchio di oltre 70 anni di ferree alleanze americane in Medio Oriente, una con lo Stato ebraico l’altra con la casa reale saudita, forgiata da Roosevelt nel 1945 ancora prima della fine della seconda guerra mondiale”[1].

Il contesto nel quale opera questa sorta di Nato araba non si limita al solo controllo del medio oriente, ma risponde alla necessità degli Stati Uniti di allargare la prospettiva all’Africa orientale e al quadrante indo-pacifico nella previsione di creare un blocco unico di stati (compresi i paesi del Golfo e l’India) per una condivisione di salvaguardia da minacce comuni provenienti da Iran, Russia e Cina.

E’ proprio la Cina il nuovo attore che si affaccia nel panorama medio orientale, infatti già nel 2017 Pechino firmava con Fayez Serraj un memorandum d’intesa di adesione alla nuova via della seta. La “Belt and Road Iniziative”, rimane un obiettivo strategico di primo piano per il governo cinese, da questo progetto dipenderà l’afflusso di merci cinesi in Europa, e sulla sua realizzazione si gioca gran parte del successo politico di Xi Jimping. Mentre il corridoio terrestre della Via della seta passa per Iran e Turchia, il corridoio marittimo vede i Paesi del Golfo al centro del progetto, ciò ha portato Pechino a fare ingenti investimenti negli ultimi anni in questa area. Inoltre « l’espansione economica degli ultimi vent’anni ha aumentato esponenzialmente la dipendenza cinese dalle importazioni di petrolio e gas naturale, portandola rispettivamente al 69,8% e al 45,3% del suo fabbisogno. Così, da zona marginale del mondo, il Medio Oriente è diventato un’area centrale nelle strategie di Pechino a partire dal 2008. Il documento che ancora guida la politica cinese in Medio Oriente è il China’s Arab Policy Paper, risalente al 2016»[2].

Che il Medio Oriente riveste un ruolo rilevante per la Cina si evince anche dagli investimenti che tra il 2005 e il 2020 hanno raggiunto 242 miliardi di dollari, e dall’interscambio commerciale con i Paesi Arabi che nel 2019 è stato di 317 miliardi di dollari.

Anche se l’interventismo politico di Pechino nella zona medio orientale mantiene un profilo basso, non gli ha impedito di firmare con l’ Iran un accordo di partenariato strategico commerciale e militare, che vedrebbe Pechino investire 400 miliardi di dollari in 25 anni. In un articolo apparso su “ The New York Times” dell’ 11 luglio 2020 a firma di Farnaz Fassihi e Steven Lee Myers il “documento di partenariato” indica come la cooperazione militare tra i due paesi sarebbe per la Repubblica Popolare un punto di appoggio militare in una zona che è sempre stata una priorità strategica degli Stati Uniti. La Cina ha già costruito una serie di porti creando una linea di collegamento dal Mar Cinese Meridionale al Canale di Suez, e anche se di natura commerciale nulla vieta che questi porti possano svolgere una funzione di tipo militare.

Del resto nel 2017 la Cina ha inaugurato la “base di supporto strategico” a Gibuti, che se pur formalmente nasce a sostegno di attività di antipirateria e peacekeeping, riveste un ruolo strategico quale avamposto a protezione degli interessi esteri cinesi così come prevedeva il “Libro Bianco” nella sezione “strategia militare della Cina” del 2015. Investimenti in infrastrutture come la linea ferroviaria che collega Gibuti con l’Etiopia, mettono altresì in rilievo come queste operazioni rientrino sia in una cornice di sviluppo economico e sia in quella di sicurezza strategica.

Ma la Russia non sta a guardare

La Russia nello scacchiere geopolitico mediorientale assurge ad un ruolo di attore primario grazie al suo intervento nel conflitto siriano del 2011. Iniziato come violenta repressione da parte di Assad verso le frange di oppositori, tale conflitto si trasforma in guerra civile, fino ad assumere valenza internazionale.

In quel contesto Stati Uniti, Inghilterra, Francia e Turchia si schierano in appoggio ai ribelli mentre dall’altra parte Russia, Iran e Hezbollah sostengono il regime di Assad, successivamente la Turchia cambierà strategia passando sul fronte pro Assad a fianco della Russia anche e soprattutto per contenere le milizie curde probabili alleati del PKK.

L’avvento delle primavere arabe, e il progressivo ridimensionamento americano, favorisce la crescita di attori locali rimescolando le carte in gioco, si creano così le condizioni affinché quello che rimane dell’ex Unione Sovietica riassuma un ruolo rilevante, recuperando la concezione di “derzhavnost”, lo “status di super potenza”, per essere riconosciuta al pari delle altre potenze globali.

La Russia a seguito di richiesta formale da parte di Assad nel 2015 prende attivamente parte al conflitto, rifacendosi ad un vecchio accordo bilaterale siglato nel 1980, in rispetto al diritto internazionale. L’abilità diplomatica di Putin in questa occasione ha fatto si che da interventista la federazione russa sia passata a difensore dei diritti siriani in nome della lotta al terrorismo. Sigillando una forte alleanza risalente al 1971 quando al potere della Siria c’era Hafez al-Assad padre di Bashar l’attuale presidente, oltre a dimostrare di esser pronta a supportare i suoi alleati anche senza l’approvazione della potenza americana, mira a difendere le undici postazioni della sua base navale a Tartus, e contemporaneamente ribadisce il suo ritorno sullo scacchiere internazionale.

Da qualche anno a questa parte una questione spinosa mette alla prova le doti diplomatiche di Putin. La provincia siriana di Idlib è diventata una zona rifugio per i gruppi di opposizione espulsi dalla Siria, nonché luogo di concentramento dei guerriglieri caucasici antirussi, in più è da Idlib che partono i veicoli a pilotaggio remoto in direzione della base russa di Humaymim. Chiaramente Putin non ha intenzione di ritirarsi dalla Siria senza risolvere questo problema, raggiungendo per adesso un accordo di collaborazione con la Turchia di Erdogan.

Un’ulteriore dimostrazione di questa peculiare sensibilità strategica attualmente la Russia la sta dando ancora una volta nel Mediterraneo, dove tramite il ministro degli esteri Lavrov si propone come mediatore di spinose divergenze. Già in Siria Putin aveva sperimentato una nuova manovra diplomatica, giocando tra le divergenze strutturali tra turchi, iraniani e israeliani. Nell’area Mediterranea dove vengono toccati direttamente interessi russi in quanto esportatori di gas, che potrebbe vedere ridimensionata la sua posizione dopo il ritrovamento di grandi giacimenti nel mar nero, Mosca cerca di inserirsi tra le divergenze createsi tra la Nato e la Turchia, intrecciando con quest’ultima una strategica relazione geopolitica lungo la linea del fronte Mar Nero- Mar Arabico.

“Chi devo chiamare se voglio parlare con l’Europa?”, la provocatoria domanda la pose Henry Kissinger per evidenziare la mancanza di una convergente linea politica estera nel vecchio continente.

"L'Europa - ha proseguito l'ex segretario di Stato Usa - ha la capacità di diventare una superpotenza, ma non ha né l'organizzazione né l'idea di diventarlo. Questa è una sfida per il concetto di Europa".

Ad una idea europea-continentale di matrice franco tedesca si è sempre opposta una spinta centrifuga di matrice anglosassone, a questa dicotomia corrispondono due concezioni differenti di relazioni internazionali, divergenze che ostacolano un progetto comune in politica estera e che danno senso alla provocatoria domanda di Kissinger.

L’unione Europea ha attraversato ed in parte superato sfide importanti negli ultimi anni, la gestione dei migranti, una crisi economico-finanziaria senza precedenti, la Brexit, ma il salto di qualità a realtà politica sembra ancora lontano da venire.

Quando a dicembre del 2019 Ursula von der Leyen ha formato la “Geopolitical Commission” lo scopo era quello di dotare l’Unione Europea di una commissione promotrice di una strategia condivisa per una politica estera di rilevanza internazionale, tramite anche l’istituzione della tanto attesa “ Direzione generale per Industria della difesa e Spazio (DG Defis)” come struttura autonoma. Ma ai fatti con il Mediterraneo che sta diventando sempre più una polveriera, detta commissione, sembra essersi eclissata.

Le prime avvisaglie di questa impotenza si sono avute in occasione del raid americano per l’uccisione del generale iraniano Qassem Suleimani, avvenuto il 3 gennaio del 2020, innescando un’ulteriore escalation di violenza nella zona, la “Geopolitical Commission” si è espressa pubblicamente solo tre giorni dopo l’accaduto, lasciando così spazio agli interventi diplomatici di Francia, Germania e Regno Unito (in piena fase Brexit).

Ma questo atteggiamento non arriva per caso, è figlio di “un’autorappresentazione della UE come potenza del diritto sprovvista di qualsiasi strumento coercitivo atto a far valere la sua concezione puramente normativa dei rapporti internazionali. Un malinteso cresciuto all’ombra della tutela militare e geostrategica statunitense, progressivamente erosasi dal 1989 e ora per certi versi aperta a discussione”[3].

Last but not least .

Abbiamo lasciato per ultima la Turchia non perché attore meno rilevante bensì proprio perché nello scenario Medio orientale sta giocando un ruolo di primo piano, tentando di ritagliarsi uno spazio di primazia nel suo estero vicino.

“L’impero bizantino si mantenne in contatto con gli altri grandi imperi del globo: da quello persiano a quello cinese, passando per l’impero Kushana, l’impero Gupta, il regno di Gandhara, il tollerante impero selgiuchide, l’immenso pacifico impero mongolo. E data la naturale posizione dello stato bizantino, a presidio delle due orbite geopolitiche asiatica e mediterranea, non c’è fase della storia medievale in cui, per capire quanto accadeva in Europa, non si debba osservare quanto stava passando dalle due grandi porte che delimitavano lo sterminato territorio di Bisanzio: quella aperta a nord-est sull’Asia Centrale e soprattutto quella aperta a sud-est, attraverso la Mesopotamia, sul Grande Oriente indoiranico”.[4]

La splendida descrizione di Silvia Ronchey, restituisce un’immagine di una identità turca, che affonda le proprie radici in un forte senso della patria e di un popolo tutt’altro che modesto che si sente consacrato sull’altare dell’impero ottomano, questo ci aiuta a capire con quale spirito si inserisce il sultanato di Recep Erdogàn nella voragine geopolitica apertasi a sud della fascia mediterranea, là dove si sta consumando la decomposizione della Libia.

Quanto è successo tra maggio e giugno del 2020 tra il porto di Gabès in Tunisia e il porto libico di Misurata anche se derubricato ad incidente di percorso, dà l’opportunità di misurare l’importanza attribuita dalla Turchia a questa area geografica. La cronaca racconta della presenza in zona del mercantile turco Çirkin scortato da tre navi militari turche, che fra il 19 e il 24 maggio dopo aver lasciato le acque territoriali del paese di origine, con il sistema automatico di tracciamento spento per non essere localizzato, raggiunge Misurata per scaricare materiale bellico e ripartire, ciò nonostante il convoglio sia stato avvistato a sud di Creta da un mezzo militare francese e aver rifiutato i controlli. La cosa si ripeterà il 7 e il 10 giugno, in questo caso è la fregata greca Spetsai impossibilitata a effettuare controlli per la presenze delle navi militari turche. Entrambi i mezzi francesi e greci operano in zona per conto dell’Alleanza Atlantica in ottemperanza all’embargo sulle armi alla Libia, ed in entrambi i casi questi non sono intervenuti dopo aver registrato un atteggiamento apertamente ostile da parte dei turchi, onde evitare uno scontro armato. Ad una riunione di emergenza della Difesa Nato seguita all’incidente Stati Uniti e Gran Bretagna si sono schierati a fianco della Turchia.

Vediamo di capire cosa spinge la Turchia in queste acque agitate.

“Mavi Vatan”, Patria blu. Il termine è stato coniato nel 2006 dall’ammiraglio Gurdeniz, indica gli interessi strategici della Turchia nelle acque territoriali interne e nella Zee la zona territoriale esclusiva, proiettando in mare il futuro della patria, e che in prospettiva andrà anche oltre la presidenza Erdogan. Nel progetto turco è previsto che da Cipro a Kastellorizo navi da guerra accompagneranno l’esplorazione delle risorse energetiche offshore, rimettendo in discussione le zone di sovranità marittima nel Mediterraneo, quelle dove trivellano le grosse compagnie come Total, Eni ed Exxon. Naturalmente la posta in gioco non lascia indifferenti attori locali come Egitto, Israele o Cipro, rendendo ancora più aspro il confronto.

La Turchia sul fronte libico.

La Libia dopo la caduta del regime del maresciallo Muammar Gheddafi del 2011, ha vissuto una infinita serie di scontri armati e caos amministrativi, trovandosi dopo circa dieci anni in perenne guerra civile, che vede la stessa Libia divisa sostanzialmente in due fronti: da una parte Tripoli che è sede del GNA acronimo di Government of National Accord guidato da Fayez al-Serraj riconosciuto dalla comunità internazionale a controllo della Tripolitania, dall’altra parte la Cirenaica controllata dal LNA l’esercito nazionale libico del generale Haftar, sostenuta da Emirati Arabi, Egitto e Russia.

In questo contesto a fine 2019, sotto la pressione della crisi incalzante al Serraj e il presidente turco Erdogan hanno firmato il Memorandum d’Intesa. «Esso prevedeva un duplice scambio: in primis l’accettazione da parte della Libia di un’area marittima sfruttabile in termini di risorse naturali, in base alle cosiddette zone economiche esclusive (Eez). L’altra parte dell’accordo sanciva l’intervento militare immediato da parte della Turchia qualora il Gna lo avesse richiesto. Cosa che di fatto è avvenuta»[5].

Ankara è consapevole di giocarsi una partita importante in questo quadrante, lo sviluppo della “patria blu” nei programmi del sultano sarà il sostegno per i piani egemonici e di leadership della nuova Turchia, proiettando la stessa oltre i confini tradizionali di influenza, aiutandola a superare l’isolamento regionale, lasciando così intendere che la presenza turca in Libia non è cosa estemporanea.

Questo stato di cose, è il riflesso di competizioni strategiche in piena evoluzione. La strategia statunitense esplicata nel 2017 nel “National Secutity Strategy of the United State of America”, metteva in evidenza come le priorità degli USA divenivano il contenimento dell’asse russo-cinese, disimpegnando il fronte mediorientale, lasciando così spazi di manovra a potenze regionali.

Le guerre civili in Siria e in Libia hanno accentuato la competizione tra le potenze regionali, trasformando quest’area in teatro di forte instabilità percepita dalla Turchia come una minaccia, accentuata dal fatto che tale bacino potrebbe divenire il terzo per volume di riserve di gas mondiale.

Fin dove sia intenzionata ad arrivare la Turchia non è facile capirlo, anche perché alla volontà di ergersi a potenza imperiale del suo sultano si contrappone una carenza di risorse disponibili a realizzarsi, vista la crisi economica e finanziaria che la flagella, anche se a parte la Russia a queste latitudini non si percepiscono altri rivali superiori.

Nei piani di Ankara rientra verosimilmente l’asse europeo per avanzare nei Balcani adriatici, e ancora più verosimilmente la realizzazione della Patria blu di cui sopra, che apra una strategia marittima che tocca interessi che vanno dal Mar Nero al Mediterraneo orientale, toccando territori importanti anche per i commerci e la sicurezza italiana. Si capisce come in questo contesto l’Italia potrebbe rivestire un ruolo importante, almeno dal punto di vista geografico, visto che quello di politica estera è stato ormai derubricato ad affare destinato ad altri.

Nel Mediterraneo si sta giocando una partita delicatissima, che sta coinvolgendo anche militarmente diversi paesi, sia per l’appropriazione di ricchi giacimenti di idrocarburi, sia per difendere lo spazio geopolitico di ognuno. I rapporti tra Parigi ed Ankara sono al loro minino storico, cosi pure quelli tra Grecia e Turchia, tutto questo fa di quello che un tempo fu il mare nostrum una vera e propria polveriera, le grandi manovre nel Mediterraneo orientale sono solo all’inizio, e nessuno dei protagonisti sembra disposto a lasciare campo all’altro. Come era prevedibile questa crisi epocale, aggravata dalla pandemia da Covid 19, sta mettendo in luce tutte le criticità del sistema capitalistico nell’era della guerra imperialistica permanente e ogni scintilla può essere quella giusta per far scattare la “Trappola di Tucidide”.

[1] Alberto Negri: La pace dello sceicco Trump, il manifesto 16 agosto 2020.

[2] Vedi Terapie geopolitiche di Corrado Cok pubblicato su Babilon del 20 ottobre 2020.

[3] Europa chi? “ di Fabrizio Maronta in Limes gennaio 2020.

[4] Silvia Ronchey nel saggio introduttivo a “Il Buddha bizantino” di Jean Francois Boissonade.

[5] Federica Fasini Fasanotti, il bilico geopolitico della Libia. In “Mediterraneo allargato” settembre 2020 a cura dell’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale.

Ida Magli 25

Prossimo convegno a Copenhagen
I movimenti antimaastricht
e la strategia necessaria

di Ida Magli
Italiani Liberi | 26 Novembre 2002

Cari Italiani Liberi,

ho ricevuto l’invito a partecipare ad un convegno che si terrà a Copenhagen il 10 e 11 dicembre prossimi sul futuro dell’Europa. Potrete vedere il testo dell’invito e gli argomenti dei quali si tratterà nella lettera che pubblichiamo qui di seguito. Io scriverò il testo da loro richiesto e lo manderò, pur non andando a Copenhagen. Il motivo per il quale questi convegni non sono utili è facilmente comprensibile. Se ne sono fatti già molti, organizzati di volta in volta da movimenti antieuropeisti, con i quali io sono in contatto fin da quando ho preso posizione contro l’Unione Europea con la pubblicazione del libro Contro l'Europa. Un libro che ha avuto molta risonanza sia perché all’estero tutti erano (e sono) convinti che gli Italiani fossero i più entusiasti europeisti, sia perché, pur essendoci in tanti paesi dell’Unione movimenti, pubblicazioni, o addirittura piccoli partiti ostili al progetto di Maastricht, in nessuno però è stato pubblicato un libro decisamente e chiaramente contro, e per giunta da parte di un antropologo e saggista famoso in Italia e all’estero.

Il motivo per il quale questi movimenti non sono utili (e la prova più evidente sta nel fatto che l'Unione va avanti senza tenerne minimamente conto) risiede nell’aver impostato la loro azione sui medesimi presupposti dell’Unione, ossia nel voler abbracciare tutti i popoli che vi sono coinvolti, nella speranza di avere così maggior forza. Ma, come l’unione Europea è debole perché si fonda su molti popoli, così sono deboli i movimenti antieuropeisti. Guardiamo, per fare un solo esempio, le lingue che saranno ammesse al Convegno di Copenhagen: quella ufficiale è l’inglese. Ovvio, direte voi: è praticamente così in tutti i convegni. Ma, come potrebbe mai l’unione Europea mettersi in competizione con l’America — è questo, infatti, il suo scopo primario — adottandone ufficialmente la lingua, ossia estendendone il primato con lo strumento più forte che la specie umana possiede? Le altre lingue ammesse (che godranno di traduzione) sono il francese, il tedesco, e il danese perché è la lingua del paese ospite. Bene. La lingua italiana non esiste fra i movimenti antieuropeisti così come non esiste nell'Unione Europea; non per offendere gli italiani, naturalmente, ma perché è questa la realtà dell’Unione, e del contro-unione modellato sull’Unione. Ho fatto soltanto un esempio per far capire che se vogliamo veramente combattere contro l’Unione, lo dobbiamo fare (ed è quello che sosterrò nella mia relazione) ogni popolo all’interno del proprio paese, in funzione delle forze e degli interessi del proprio paese, che sono diversi l’uno dall'altro tanto da rendere appunto assolutamente fallimentare e grottesca l’idea stessa su cui si basano i costruttori dell’Unione.

I governanti e i mezzi di comunicazione di massa parlano il meno possibile di ciò che avviene a Bruxelles; ma è sufficiente che un solo paese, anche di quelli più "piccoli", come è successo in Irlanda per l’approvazione del trattato di Nizza, susciti al suo interno un vero dibattito e un conflitto politico che i giornalisti sono costretti a riferirlo, e i governanti a darne qualche spiegazione ai cittadini di tutti gli altri paesi. In Italia, per esempio, è certo che nessuno era minimamente al corrente del Trattato di Nizza, approvato all'unanimità dal Parlamento senza neanche informarne i poveri sudditi. E' stata soltanto la battaglia referendaria svoltasi in Irlanda che ha fatto giungere fino agli Italiani una qualche briciola di curiosità sulla “stranezza” di un paese democratico dove i cittadini si oppongono alla politica di cui sono tutti invece entusiasti tutti i governanti.

Di questo, per quanto amaro sia, dobbiamo essere convinti: l'Unione Europea è un progetto imperiale di dominio sui popoli funzionale esclusivamente ai desideri di potenza e di ricchezza dei governanti, cosa che spiega come mai non vi sia nessun partito che vi si oppone e perché gli organi di informazione tacciano il più possibile. Di tutti i movimenti antimaastricht non hanno quasi mai dato notizia, come non daranno notizia del convegno di Copenhagen. La strategia che ci aiuterà di più sarà organizzare, ognuno all'interno del proprio paese, un piccolo, piccolissimo partito politico antieuropeista; antieuropeista esclusivamente in base agli interessi del paese che rappresenta, interessi che sono diversi da paese a paese. Per quanto riguarda l’Italia, tanto per rimanere all'esempio precedente, basterebbe il fatto che scomparirebbe la lingua italiana e con essa una delle maggiori ricchezze della storia del pensiero e della letteratura di cui tutta l’Europa abbia usufruito, a convincerci che dobbiamo combattere con tutte le nostre forze contro l’unificazione. Pensare che Mozart non si arrischiava a scrivere un’opera il cui libretto non fosse scritto da un poeta italiano e in italiano! Abbasso i traditori dell’Italia!

Ida Magli

26 Novembre 2002

Lo stregone maledetto conferma che esiste solo il vaccino, le cure domiciliari inesistenti. L'influenza covid non va curata, bisogna usare i ricoveri per spargere paura, vaccinare e rassicurare tenendo un occhio alle vacanze

Non vogliono curare: escluso dal Cts il medico da Nobel

di Andrea Zambrano
27 marzo 2021

Draghi conferma che esiste solo il vaccino, cure domiciliari inesistenti. Infatti Cavanna, neo testimonial per il Nobel 2021 e simbolo del covid at home, è stato escluso dal Comitato Tecnico Scientifico. La strategia è chiara: il covid non va curato, bisogna usare i ricoveri per spargere paura, vaccinare e rassicurare tenendo un occhio alle vacanze

Le vacanze sì, le cure no. Nel corso della conferenza stampa di ieri, il presidente del Consiglio Mario Draghi, affiancato dal ministro della Salute Roberto Speranza, ha toccato tre argomenti: i vaccini, la ripresa post pandemica e la scuola. Si è parlato anche di vacanze e il premier ha consigliato agli italiani di prenotarle, mentre il viceministro Pierpaolo Sileri aveva già tranquillizzato l’umore italico che «al mare staremo senza mascherina».

Prenotare le vacanze mentre oggi siamo alle prese con una pandemia che non ci lascia scampo e che fa morire 500 persone al giorno negli ospedali? Quindi a giugno, luglio e agosto sappiamo già che, per parafrasare una celebre battuta, nun ce n’è coviddi? E chi ci dà questa garanzia?

C’è qualche cosa che non quadra: o siamo troppo ottimisti per il futuro o siamo troppo catastrofisti nel presente. Una cosa è certa: scordiamoci anche questa volta una gestione del covid incentrata sulle cure domiciliari precoci.

Ecco il grande assente dai piani del governo, dalle domande dei giornalisti, dagli interventi di Draghi. Assente. Così assente che per trovare qualche dichiarazione pubblica sulle cure domiciliari bisogna andare a pescare i celebri virologi da salotto, i quali ovviamente ne parlano male. Sta succedendo qualche cosa di veramente strano, proprio ora che il comitato dei medici che curano il covid a casa, è riuscito, dopo aver posto l’attenzione sulle cure domiciliari ad avere un po’ di visibilità: i medici sono silenziati, denigrati o trattati come medici di serie B.

La conventio ad excludendum ha motivazioni profonde e parte dalla strategia della priorità vaccinale. Una priorità che si poteva intravedere già nel febbraio 2020 quando la pandemia è scoppiata, basta leggere i verbali dell’epoca del Cts. Ma la priorità vaccinale, a discapito di un sistema di cure ramificato e che non costringa tutt’Italia a chiudersi in casa, si comprende se analizziamo le complesse dinamiche di politica sanitaria globale e globalista che il professor Belli ha denunciato sulle nostre colonne, col coinvolgimento della Gates foundation nelle scelte sanitarie pro vaccino degli stati: l’obiettivo è il vaccino, mentre la paura, i lockdown, i tamponi aumentati o diminuiti al bisogno e i ricoveri sono funzionali a convincerci obtorto collo che l’unico modo per affrontare la pandemia sia l’antidoto miracoloso.

Certo, per arrivare a minimizzare le cure domestiche i passaggi sono molteplici e su vari livelli.

Uno dei più evidenti è rappresentato dall’esclusione del dottor Luigi Cavanna dal Comitato Tecnico Scientifico, notizia che la Bussola ha confermato con i protagonisti della vicenda. Stiamo parlando del medico che prima di tutti ha portato avanti un protocollo di cura domiciliare precoce che ha ridotto le ospedalizzazioni al 5%. A maggio ottenne la copertina del Time come medico eroe e la scorsa settimana è stato scelto addirittura dalla Fondazione Gorbachev come testimonial per la candidatura dei medici italiani al Nobel per la pace 2021.

Non che una candidatura al Nobel, di questi tempi, sia indice di santità, ma è pur sempre un indizio di serietà. Sull’esempio di Cavanna, infatti, i protocolli di cura domiciliare precoce, si sono estesi a migliaia di medici che nel silenzio delle istituzioni e senza considerare i protocolli inutili del Ministero, hanno creato una rete che ha curato i pazienti senza mandarli all’ospedale.

La strada per gestire la pandemia cercando di normalizzare e non deprimere l’economia e affollare gli ospedali c’era. Ed era una strada fatta di cure a casa con evidenze scientifiche via via migliorate nel tempo, con pazienza e fiducia nelle evidenze cliniche che da marzo 2020 erano già disponibili.

Ma il fatto che nel corso dell’ultimo rinnovo del Cts non sia entrato nessuno dei medici che in questo ultimo anno ha curato a casa è indice di un disinteresse inquietante.

Quando il 10 marzo, i medici del comitato hanno incontrato il sottosegretario alla Salute Sileri (in foto), hanno avanzato questa richiesta: che anche Cavanna potesse sedere nel consesso degli espertoni che orienta le decisioni del governo o che comunque potesse sedere in una qualunque delle commissioni che si occupa di cure covid, come quella affidata all’infettivologo Matteo Bassetti, incaricato da Agenas di sviluppare un protocollo di cure domiciliari.

Ebbene: ad oggi Cavanna non è stato chiamato a offrire il suo contributo in nessuno di questi consessi di esperti mentre nessuno sa che cosa abbia fatto Sileri dopo aver promesso di impegnarsi «in un dialogo costruttivo». Alla Bussola che glielo ha chiesto insistentemente, non è stata neanche concessa una risposta. Evidentemente il tema non lo appassiona, come invece quello della spiaggia senza mascherina. E stiamo comunque parlando di uno dei membri del governo più loquace e presente in tv che però di fronte a certe domande ostenta il disprezzo del Marchese del Grillo.

«Certo – commenta con la Bussola l’avvocato del comitato Erik Grimaldi – speriamo che a Cavanna venga offerta la possibilità di poter partecipare a qualche gruppo di lavoro. Il fatto, poi, che sia entrato nel comitato il presidente dell’Aifa Palù ci dà qualche speranza». Certo, ma va detto però che da quando è arrivato alla guida dell’Aifa, Palù ha smesso di prendere posizione pubblica a favore di un investimento terapeutico sulle cure domiciliari, vanificando così tutti i suoi interventi precedenti il suo ingresso nell’Aifa e riservando le sue convinzioni sulla necessità di investire sulla cura domiciliare solo ad ambiti ristretti, come testimoniano alcuni scambi fugaci anche con la Bussola.

Le aspettative erano altre, però.

Nel frattempo i virologi demoliscono più che possono le cure domiciliari. Come ha fatto il professor Burioni e come ha fatto non più tardi di giovedì il professor Massimo Galli, che ai microfoni de La7 ha continuato a difendere la strategia della vigile attesa e del paracetamolo «e basta». Per non dimenticare dello stesso Bassetti, che ha bacchettato Simona Ventura per essersi curata in casa, rimproverandole di non essere un medico.

Insomma, gli unici che parlano in tv di cure domiciliari sono i medici ospedalieri che non curano i pazienti a casa. E questo fa capire la confusione che regna sul fronte della strategia di cura del covid, i ritardi e il fallimento della strategia ospedaliera con gli affollamenti in terapia intensiva, usati come spauracchio per chiuderci in casa ancora un po’.

venerdì 2 aprile 2021

Questa scelta ideologica di non voler convivere con i virus che ci accompagnano fin da quando l'uomo è nato ha portato a scelte aberranti e demoniache, un imbarbarimento civile ineguale, in cui ci privano della libertà di movimento, ci obbligano a mascherarci, a non gustare il sole, l'aria, la luce

Zangrillo: “Riprendere a vivere col virus per non morire di tutto il resto”

RICCARDO BARBIN 2 APRILE 2021


“Basta con la narrazione quotidiana che porta a terrorizzare e spaventare”. Secondo Zangrillo, primario del San Raffaele: “A poco a poco dobbiamo riprendere a vivere. Perché se no non moriamo non di virus, ma di tutto il resto”

Non sono certo le parole di speranza che si vorrebbe ascoltare prima di Pasqua, ma il realismo di cui sono impregnate forse ci sarà più utile. “Non illudiamoci che sia finita. Questo virus è stato un campanello d’allarme di quel che potrà accadere in futuro. Ci ha messo in guardia e ha chiesto a ognuno di noi di adoperarsi perché quel che è accaduto non si ripeta più in futuro”. Lo ha detto Alberto Zangrillo, primario di anestesia e rianimazione dell’ospedale San Raffaele di Milano. Questo non significa però che ci aspetta un futuro di lockdown, anzi: “A poco a poco dobbiamo riprendere a vivere. Perché se no non moriamo non di virus, ma di tutto il resto”.

“Se pensiamo di limitarci a gestire una stagione che per quanto dolorosa ha un termine – ha sottolineato il dottore all’Adnkronos Salute – probabilmente non sarà così. Quel che è accaduto è un monito”. E proprio perché questo non sarà l’ultimo virus, sottolinea il prorettore dell’università Vita Salute, “tutti abbiamo il dovere di perseguire una progettualità che ci permetta di avere in futuro un sistema sanitario organizzato” per far fronte a queste crisi. “Dobbiamo arrivare a un punto fondamentale, che è la convivenza con il virus e con ogni genere di problema che potrà presentarsi. Convivenza vuol dire essere armati per affrontare le future emergenze sanitarie”.

“Non estremizziamo il dibattito” fra aperturisti e rigoristi, chiede Zangrillo che invita anche a interrompere “la narrazione quotidiana che porta a terrorizzare e spaventare”. “Qui non ci sono buoni e cattivi, quelli che hanno ragione e chi ha torto. Siamo tutti chiamati a fare la nostra parte. Abbiamo capito gli errori e dagli errori dobbiamo riprendere più forti di prima e avere il coraggio e il senso di responsabilità a cui ci chiama la società per poter ripartire. Il Paese deve poter ripartire”.

Di Maio dalle stelle alle stalle

31 Marzo 2021 16:23
Caro Di Maio, i crimini in Siria li ha commessi la Nato
Angelo Brunetti
Foto Manifestazione Pro Assad 22-06-2011. The New York Times: https://www.nytimes.com/2011/06/22/world/middleeast/22syria.html

Oggi si è consumato l'ennesimo atto di servilismo dell'Italia alla NATO.

Il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, si è accodato ad altri 17 paesi dell'Unione Europea( gli altri 10 paesi perché non si sono uniti?) nel sottoscrivere un editoriale sul quotidiano cattolico "Avvenire" che, de facto, è una dichiarazione di guerra contro la Siria, con la solita scusante dei diritti umani e della lotta ai crimini di Assad.

Stendiamo un velo pietoso su "Avvenire", che ignora volutamente quanto i cristiani, di tutte le confessioni, siano stati tutelati in Siria sempre e, soprattutto, durante la guerra, non solo quando erano perseguitati da Al Qaeda e ISIS, ma dagli stessi "moderati" che nelle piazze gridavano: "Cristiani a Beirut, Alauiti nella tomba". Una vera rivoluzione in Siria, nel 2011, doveva partire con un genocidio e le deportazioni. 

Al quotidiano dei vescovi riportiamo questo appello fatto dai Patriarchi, esponenti delle Chiese del Medio Oriente al Presidente USA, Joe Biden.

Non c'è giorno che Di Maio non colga occasione per volersi mostrare sempre più atlantista.

Come dicevamo, oggi, insieme ad altri 17 ministri dell'UE ha sottoscritto un comunicato denso di retorica guerrafondaia ma nello stile odioso adottato da Washington negli ultimi 30 anni, ovvero spalmato di retorica dirittoumanista.

Editoriale così ridicolo che può smontare chiunque.

Nella prima parte si avverte con tono minaccioso: "Non resteremo in silenzio di fronte alle atrocità avvenute in Siria, per le quali il regime e i suoi fiancheggiatori esterni sono i principali responsabili. Molti di questi crimini, compresi quelli commessi da Daesh e da altri gruppi armati, possono costituire crimini di guerra e crimini contro l'umanità. È obbligo di ognuno di noi combattere l'impunità ed esigere che siano individuati i responsabili per i crimini commessi in Siria indipendentemente dall'autore".

I fiancheggiatori della Siria, primo punto, in questa guerra, sono Iran, Hezbollah, Russia, Cina. Perché non hanno il coraggio di nominarli? Forse perché avrebbero dovuto ringraziare Hezbollah, i consiglieri iraniani, Mosca per aver bloccato l'avanzata dell'ISIS sul Mediterraneo?

Se volete perseguire i crimini ed anche evitarli basterebbe revocare le sanzioni contro la Siria inasprite dagli Stati Uniti con il 'Caesar Act' che stanno mettendo in ginocchio i siriani. La relatrice dell'ONU Alena Douhan le ha definite "un trattamento crudele, inumano o degradante" per i civili siriani. Come si può credere che al titolare della Farnesima non sia pervenuto questo rapporto Onu?

Se proprio volete portare alla sbarra Assad, almeno siate onesti, e con lui portateci Clinton, Bush, Obama, Blair, Sarkozy e tutti coloro che hanno portato morte e distruzione negli ultimi 30 anni in Jugoslavia, Iraq, Afghanistan, Libia.

I 17 ministri, non tutti e 27 dell'UE ricordiamolo sempre, hanno sparato cifre a caso sulel manifestazioni contro Assad, parlando di "milioni di siriani scesi per le strade di Dara'a, Aleppo e Damasco, invocando la Democrazia e il rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali".

Se manifestazioni ci sono state tra il 2011 e il 2012, con milioni di persone, sono state quelle a favore di Assad come potete vedere nei video a seguire

  

Se non ci fosse stata l'ingerenza in primis degli Stati Uniti, spiegata magistralmente in questo dall'inviato di guerra Robert Fisk, migliaia di vite sarebbero state risparmiate in Siria.

Ministro di Maio, lei e il suo staff, prima di voler dimostrare a tutti i costi il suo fervente atlantismo fomentando altra guerra, si prenda la briga di leggere questo articolo di Fisk del 2014, una voce di giornalismo indipendente, per nulla sostenitore di Assad, ma onesto da ammettere come i veri crimini, in Siria, li ha commessi la NATO.

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-caro_di_maio_i_crimini_in_siria_li_ha_commessi_la_nato/8_40510/

Dopo un anno in cui ci hanno tenuto prigionieri dentro casa, con l'obbligo di mascherarci la situazione non è cambiata i morti sono sempre quelli. Mentre aspettiamo il vaccino miracoloso NON hanno VOLUTO parlare e far fare le cure attraverso i medicinali esistenti per iniziare la semplice aspirina, hanno eliminato la rete dei medici di famiglia IMPONENDOGLI la VIGILE ATTESA

Covid, Diego Fusaro: “Restrizioni inutili”

La posizione del filosofo e professore.
(Prima Pagina News) | Lunedì 15 Marzo 2021



Roma - 15 mar 2021 (Prima Pagina News)
La posizione del filosofo e professore.

"La verità evidente è che provare a combattere una epidemia con il lockdown, o confinamento domiciliare coatto, risulta assurdo almeno quanto il gesto di chi provasse a fermare un maremoto con un cancello sulla battigia. Per questo, come non mi stanco ormai da un anno di ripetere, la funzione dei lockdown è solo ideologicamente di ordine sanitario: in realtà, la funzione reale del lockdown risulta di ordine squisitamente politico, sociale, economico. Con il lockdown, si educa la popolazione a un nuovo autoritarismo repressivo, quasi come se la libertà venisse a singhiozzo concessa dal potere, che poi puntualmente se la riprende, calpestando il volto dei sudditi col suo stivale. Si spazzano via per sempre i ceti medi, le piccole imprese, i lavoratori precari e i negozi di prossimità. Infine, viene riplasmata la società in forma piramidale: in alto, i plutocrati della finanza, dell'e-commerce, del Big Pharma, della shut-in Economy; in basso, una nuova plebe sofferente, privata di ogni bene e di ogni diritto, controllata in ogni istante in forma totalitaria dal biopotere".

Lo scrive su Facebook, in riferimento alle restrizioni in vigore da oggi in tutta Italia volte a contenere l' epidemia causata dal Coronavirus, il filosofo, scrittore, giornalista e professore Diego Fusaro.

In punto di diritto i Dpcm non sono costituzionali, l'EMERGENZA non può durare un anno. Lo stregone maledetto pensa che con i decreti legge supera le riserve giuridiche al riguardo. MA la sostanza non cambia proibire gli uomini di godere gustare la luce sole e aria e obbligarlo a mascherarsi se esce di casa è illogico innaturale, è demoniaco

31 Marzo 2021 15:00

Tribunale di Bruxelles ordina di eliminare le restrizioni Covid entro 30 giorni

La Redazione de l'AntiDiplomatico


Sentenza che viene dal Belgio ma che può essere fondamentale anche per il resto d'Europa.

Un tribunale di primo grado di Bruxelles ha ordinato allo Stato belga di porre fine alle "misure Covid" entro trenta giorni, a pena di pagare una multa di 5.000 euro al giorno. A dichiararlo al quotidiano Soir è stato Audrey Lackner, avvocato della Human Rights League (Ligue des Droits Humains) che aveva presentato ricorso legale.

Le organizzazioni per i diritti umani Ligue des droits humains (LDH) e Liga voor mensenrechten avevano presentato poche settimane fa al tribunale una richiesta per costringere lo Stato a sospendere il decreto ministeriale del 28 ottobre 2020 e delle sue successive modifiche. Gli avvocati delle due associazioni, Audrey Lackner e Audrey Despontin, avevano sostenuto che questi decreti "poggiano su basi giuridiche inadeguate e sono violazioni della legislazione del Consiglio di Stato con il pretesto di emergenza". Tuttavia, dopo un anno di crisi sanitaria, l'emergenza non è più una scusa per evitare un dibattito parlamentare sulle misure da adottare, hanno sostenuto.

Secondo Lackner, la Corte ha sostanzialmente ritenuto non valida la base giuridica su cui si basano le ordinanze ministeriali. Lo Stato, rappresentato dal proprio Ministro dell'Interno, è tenuto a “prendere tutte le misure che ritenga opportune per porre fine alla situazione di apparente illegalità derivante dalle misure restrittive fondamentali diritti e libertà riconosciuti dalla Costituzione […] contenuti nel decreto ministeriale del 28 ottobre 2020 e nei suoi successivi decreti ”.

Il tribunale belga ha ritenuto in particolare che la legge del 15 maggio 2007 sulla sicurezza civile, che prevede l'organizzazione dell'evacuazione della popolazione dai luoghi o dalle regioni minacciate o colpite "si rivolge a situazioni molto specifiche che non coprono la situazione gestionale attuale della Pandemia" . Ha precisato che "sostenere che questa legge possa fornire una base giuridica sufficiente per i decreti ministeriali contestati equivarrebbe a dare a una legge ordinaria delega ad un ambito generale identico a quello di conferimento di poteri speciali senza le garanzie che lo richiedono".

Il giudice ha quindi ritenuto che “in queste circostanze, sembra che le misure restrittive delle libertà costituzionali e dei diritti umani, emanate dal decreto ministeriale del 28 ottobre 2020 e dai suoi successivi decreti non appaiano fondate su una base giuridica sufficiente”. Ha aggiunto che "se l'urgenza dei primi giorni dell'epidemia poteva spiegare che è necessario fare affidamento sulla legge del 15 maggio 2007, non sembra più giustificato fare affidamento su di essa diversi mesi dopo l'emergere della crisi ”e che“ le difficoltà più che complesse che la crisi genera per lo Stato belga non giustificano l'elusione per molti mesi, e ormai più di un anno, il principio di legalità necessario per qualsiasi restrizione dei diritti fondamentali ”.

Le organizzazioni per i diritti umani Ligue des droits humains (LDH) e Liga voor mensenrechten avevano presentato poche settimane fa al tribunale una richiesta per costringere lo Stato a sospendere il decreto ministeriale del 28 ottobre 2020 e delle sue successive modifiche. Gli avvocati delle due associazioni, Audrey Lackner e Audrey Despontin, avevano sostenuto che questi decreti "poggiano su basi giuridiche inadeguate e sono sistematicamente esclusi dalla consultazione della sezione di legislazione del Consiglio di Stato con pretesto di emergenza". Tuttavia, dopo un anno di crisi sanitaria, l'emergenza non è più una scusa per evitare un dibattito parlamentare sulle misure da adottare, hanno sostenuto.

Il ministro dell'Interno Annelies Verlinden sta studiando il verdetto. Lo ha detto VRT.