L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 10 aprile 2021

10 aprile 2021 - News della settimana (2-9 apr. 2021)

La Guerra Illimitata si riverbera sui microprocessori

Crisi mondiale dei microchip, cos'è e perché mina la ripresa economica post Covid

Decine di fabbriche anche in italia si stanno fermando per la carenza di componenti elettronici

di FABIO LOMBARDI
9 aprile 2021

La Candy (azienda del gruppo Haier) si fermerà due settimane a fine aprile. Forse altre due in maggio. E questa volta non è colpa della crisi dei consumi e nemmeno del Covid (almeno in modo diretto). Questa volta manca la materia prima. In particolare i microchip. La produzione mondiale non riesce a stare al passo con la richiesta. In particolare del settore automotive che in particolare in Asia sta vivendo una nuova primavera.

La preoccupazione dei sindacati

"Siamo fortemente preoccupati - spiega Pietro Occhiuto della Fiom Cgil -. Diversi delegati nelle fabbriche ci informano che c'è in questa fase una richiesta di cassa integrazione in aumento da parte delle aziende non a causa del calo della domanda dei prodotti, non per le chiusure dovute al Covid ma proprio per la mancanza di materie prime, in particolare i microchip che oramai finiscono un po' in tutti gli strumenti di uso comune: dalle auto ai telefonini, dagli elettrodomestici ai computer. Questa cosa rischia di scatenare una crisi che potrebbe essere ben peggiore addirittura di quella generata dal Covid".

Cos'è un microchip

Il microchip è "un circuito integrato (IC, dall'inglese integrated circuit), in elettronica digitale, è un circuito elettronico miniaturizzato dove i vari transistori sono stati formati tutti nello stesso istante grazie a un unico processo fisico-chimico.Un chip (lett. "pezzetto") è il componente elettronico composto da una minuscola piastrina del wafer di silicio (die), a partire dalla quale viene costruito il circuito integrato; in pratica, il chip è il supporto che contiene gli elementi (attivi o passivi) che costituiscono il circuito. A volte si utilizza il termine chip per indicare complessivamente l'integrato.Il circuito integrato è adibito, sotto forma di rete logica digitale o analogica, a funzionalità di processamento o elaborazione di ingressi espressi sotto forma di segnali elettrici, al fine di ottenere dati in uscita. L'ideazione del circuito integrato si deve a Jack St. Clair Kilby, che nel 1958 ne costruì il primo esemplare composto da circa dieci componenti elementari, per il quale vinse il premio Nobel per la Fisica nel 2000", si legge su Wikipedia.

La crisi delle materie prime

"La Cina è ripartita, ed è ripartita molto forte. La richiesta di materie prime è elevatissima in Asia. Ad esempio la bauxite, che serve alla lavorazione dell'acciaio. La Cina ne è ricchissima. Ha diversi giacimenti. Prima esportava un po' in tutto il mondo. Ora tiene tutto in patria perché c'è forte richiesta". Un problema quello della produzione dei microchip che coinvolgerà anche aziende italiane del settore come la StMicroelectronics (colosso dei semiconduttori con sede in Brianza) che "sta avendo ordini enormi dall'Asia proprio per la produzione di microchip il settore dell'automotive".

Decine di fabbriche ferme

E' dei giorni scorsi la notizia che Subaru chiudera' il suo stabilimento di Yajima, in Giappone, a causa delle difficolta' nell'approvigionamento di microchip, necessari alla produzione di auto. Lo ha fatto sapere la societa' giapponese in una nota dove spiega che il polo produttivo della citta' nella prefettura dei Gunma dovra' fermarsi tra il 10 e il 27 aprile perche' mancano chip per la produzione di circa 10.000 veicoli.La produzione di auto riprendera' dal 10 maggio, ha fatto sapere la societa'. La scarsita' di semiconduttori e' un problema sempre piu' urgente nella produzione di beni a livello mondiale. Secondo un'analisi Deloitte solo nella produzione di auto l'elettronica rappresenta oggi il 40% del valore di un veicolo. Infuria dunque la "crisi" dei chip che sta mettendo a serio rischio la capacita' dei comparti produttivi, in primis il settore automotive, di cavalcare l'onda della ripresa economica, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19. L'industria automobilistica statunitense e non solo (compresi marchi come Volkswagen, Ford e General Motors) ha a piu' riprese esortato il governo a intervenire vista la carenza globale di semiconduttori che potrebbe provocare solo negli Stati Uniti 1,28 milioni di veicoli consegnati in meno quest'anno e interrompere la produzione per altri sei mesi.

Volano i produttori di chip

Contemporaneamente, le societa' produttrici di chip stanno registrando ordini record per il primo trimestre, con una domanda in aumento che ha contribuito a piu' che raddoppiare gli utili registrati nel trimestre precedente. Ad esempio il marchio olandese Besi, che produce attrezzature per i produttori di chip, ha riportato ordini record a 327 milioni di euro in crescita del 108% rispetto al trimestre precedente e del 176% rispetto allo stesso trimestre del 2020. La domanda e' stata particolarmente forte per le applicazioni di fascia alta degli smartphone legate ai prodotti 5G, ma anche per le applicazioni automobilistiche e i dispositivi logici utilizzati nell'intelligenza artificiale e nei data center. Insomma, le case automobilistiche competono contro la tentacolare industria dell'elettronica di consumo: la carenza globale di microchip e semiconduttori - i chip sono in pratica i sistemi nervosi che controllano i dispositivi elettronici - sta rallentando infatti la loro capacita' di realizzare nuovi prodotti nel 2021.

Gli interventi del Governo

In questo contesto il Governo italiano, applicando per la prima volta la golden power (il potere del Governo di porre il veto sulla cessione di aziende ritenute strategiche), ha bloccato l’acquisizione del 70% di Lpe spa, azienda lombarda che opera nel settore dei semiconduttori, da parte del gruppo cinese Shenzen investnent holdings. La decisione del governo italiano di bloccare attraverso il golden power la vendita di una societa' italiana di semiconduttori a un'azienda cinese arriva infatti mente nel mondo infuria la "crisi" dei chip. Uno stallo che sta mettendo a serio rischio la capacita' dei comparti produttivi, in primis quello dell'automotive, di cavalcare l'onda della ripresa economica, dopo lo scoppio della pandemia di Covid-19.

"Abbiamo più volte sollecitato il Governo italiano di entrare nel merito della questione della crisi dei microchip al fine di poter garantire alle imprese italiane un adeguato approvvigionamento, ma per ora non abbiamo ottenuto risposte", conclude Occhiuto.

Lo stregone maledetto ha mandato due segnali precisi a Washington prescrizione sulla tecnologia 5G a Linkem e Fastweb e sui semiconduttori

09/04/2021 15:20 CEST

Perché Mario Draghi ha usato il golden power sui semiconduttori
La mossa nel segno di Biden per arginare la Cina in un settore sempre più strategico


GETTYHuffpost

Il primo veto imposto con il golden power è anche il primo vero sgarbo a Pechino. Il premier Mario Draghi ha annunciato di aver impedito la vendita del 70% di una azienda italiana, la Lpe di Baranzate, nel Milanese, a una società cinese, accogliendo nel corso del Cdm del 31 marzo la proposta del Mise guidato da Giancarlo Giorgetti. La Lpe è una società attiva nello sviluppo di reattori epitassiali utilizzati per la produzione di semiconduttori finita nelle mire della società di diritto cinese Shenzen Invenland holdings che voleva rilevarne il 70%. Il Governo Draghi ha detto no. In realtà, non è la prima volta che l’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce esercita il golden power nei confronti di aziende cinesi: come ricostruito da Formiche.net, nelle scorse settimane ha già imposto prescrizioni su contratti di fornitura di tecnologia 5G ad aziende italiane come Linkem e Fastweb da parte di società del dragone come Zte e Huawei.

Nel caso di Lpe l’esecutivo si è spinto oltre nell’esercizio dei poteri speciali, arrivando a porre il veto sull’intera operazione. E non è un caso che il blocco riguardi una società che contribuisce a produrre elementi grandi una manciata di nanometri (un miliardesimo di metro). Attorno ai semiconduttori ormai gira il mondo: sono impiegati negli smartphone, nei pc, tablet e laptop, negli elettrodomestici, nell’industria della difesa. Ma soprattutto sono presenti nelle automobili, e sempre in quantità maggiori di pari passo con lo sviluppo di veicoli ibridi e full electric.

Nulla di nuovo, ma l’importanza strategica del settore è diventata sempre più evidente da diversi mesi quando le catene di fornitura hanno iniziato a fare i conti con una penuria globale che non sta risparmiando nessun comparto. La carenza ha colpito anche le industrie americane, finendo presto sul tavolo del neopresidente americano Joe Biden che ha firmato poche settimane fa un ordine esecutivo per arginare la carenza di chip e ridurre la dipendenza dall’estremo oriente, preparandosi a stanziare quasi 40 miliardi di dollari sulla produzione made in Usa. Lo stesso Draghi in conferenza stampa ha ricordato come la penuria “ha costretto molti costruttori di auto a rallentare la produzione lo scorso anno quindi è diventato un settore strategico”.

La scarsità dei semimetalli diventati preziosi come l’oro è l’ennesimo frutto avvelenato della pandemia. Con l’avvento del Covid, i principali clienti delle aziende di chip hanno ridotto scorte e produzione, annullando ordini per un mercato previsto in calo. A fine 2020 la domanda delle case automobilistiche è tornata a crescere, sommandosi a quella delle aziende che producono elettronica di consumo in vista del periodo natalizio. Risultato? Colli di bottiglia.

Il primo produttore al mondo di chip, Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), ha chiesto di recente alla sua clientela internazionale di accettare un aumento dei prezzi, necessario a finanziare gli investimenti necessari a far fronte “all’aumento strutturale e fondamentale” della domanda globale di microchip. Per quest’anno l’azienda taiwanese ha già annunciato un aumento record della spesa in conto capitale, a 28 miliardi di dollari.

Ma il mercato dei circuiti elettronici integrati più grande al mondo è quello cinese. Nel 2020 il settore per Pechino ha registrato una crescita arrivando a sfiorare i 150 miliardi di dollari come mostra un report di settore elaborato da IC Insights. Una delle più grandi fonderie al mondo, SMIC, ha sede a Shangai e, alla fine dello scorso anno, si è parlato di un rafforzamento della collaborazione tra Smic e Huawei. In questo senso la mossa di Draghi è da leggere come strettamente connessa all’amministrazione Biden di arginare la presenza del dragone in un settore sempre più strategico come quello dei semimetalli.

Gli Stati Uniti ospitano i più grandi venditori mondiali di microchip al mondo come Intel, Qualcomm, Broadcom, Micron Technology, Nvidia, Amd, tra i primi nella progettazione di dispositivi e di software (fabless), ma non nella fabbricazione materiale, non dispongono cioè di fonderie (foundry). Secondo i dati della Semiconductor Industry Association, nel 1990 gli Usa rappresentavano il 37% della produzione di semiconduttori, oggi solo il 12% sebbene quasi la metà della vendita dei prodotti finiti sia in capo ad aziende a stelle e strisce. Tradotto: in America (come in Europa) si è preferito esternalizzare la produzione di chip.

Ora, gli effetti della penuria di chip si stanno dispiegando in tutta la loro gravità, in particolare sul settore dell’automotive, tra i più colpiti dalla pandemia. Basti pensare che secondo un’analisi Deloitte solo nella produzione di auto l’elettronica rappresenta oggi il 40% del valore di un veicolo. General Motors ha già chiuso tre impianti in America e dimezzato la produzione di due impianti in Corea; Ford ha tagliato il 20% della produzione nel primo trimestre, riducendo a un solo turno di 8 ore la produzione di uno stabilimento di Detroit, per una potenziale perdita di circa un miliardo. Secondo Moody’s Investor Service la carenza di semiconduttori ridurrà gli utili di General Motors e Ford di circa un terzo quest’anno. Analoghe revisioni delle linee produttive sono state fatte da altre case automobilistiche giapponesi Mazda, Nissan, o quelle tedesche.

Subaru ha da poco annunciato che chiuderà il suo stabilimento di Yajima, in Giappone: in una nota ha spiegato che le linee dovranno fermarsi tra il 10 e il 27 aprile perché mancano chip per la produzione di circa 10.000 veicoli. La produzione di auto non riprenderà prima del 10 maggio. In definitiva, ha calcolato la società di consulenza AlixPartners, l’industria globale dell’automobile rischia di veder minori entrate per 60 miliardi di dollari. Una cifra astronomica che rischia di affossare la ripresa post-Covid del settore e, di riflesso, dell’economia mondiale.

Anche in Oriente si fanno i conti con la carenza globale di chip. L’azienda giapponese di semiconduttori, Renesas, a marzo scorso è stata colpita da un incendio nello stabilimento di Naka che ha rallentato ancora di più la produzione. Renesas aveva avvertito che sarebbero serviti almeno tre mesi per tornare al ritmo normale di produzione.

Per tutte queste ragioni il pressing dei Paesi industrializzati su Tapei, che ospita la più grande fonderia al mondo con la sua TSMC, è diventato asfissiante. Il consigliere economico di Biden e il ministro dell’Economia tedesco Altmaier, sollecitato dalle case tedesche dell’auto in subbuglio, hanno preso carta e penna e scritto al governo taiwanese per sollecitare la produzione di chip. Un analogo appello è arrivato anche da Tokyo.

 


Cina - La Strategia della doppia circolazione poggia sulle gambe solide della Innovazione&Ricerca

Cina: meno export, più consumi interni

8 Aprile 2021, di Massimiliano Volpe

L’articolo fa parte di un lungo dossier sulla Cina pubblicato sul numero di marzo del magazine Wall Street Italia.

Le tensioni commerciali con gli Stati Uniti e lo shock provocato dalla pandemia hanno spinto la Cina a imboccare una nuova strada per sostenere la crescita della sua economia.
Dopo il periodo orientato all’export, ora Pechino punta alla crescita del consumo domestico della propria classe media e all’innovazione tecnologica. Con la nuova strategia la Cina non vuole convertirsi all’autarchia, bensì ribilanciare la propria economia puntando a ridurre la vulnerabilità causata da possibili shock finanziari esterni e dal processo di deglobalizzazione in atto a seguito delle tensioni con l’amministrazione Usa (che assorbe il 20% dell’export cinese) e agli effetti della pandemia che stanno portando a un accorciamento delle filiere produttive in tutto il mondo.

Il nuovo modello di crescita denominato Dual circulation strategy è una delle colonne portanti del 14° Piano quinquennale valido per il periodo 2021-2025 reso noto dal consiglio del Partito comunista centrale a marzo. Quando il presidente Xi Jinping ha presentato questo concetto ha parlato di una Cina che per il suo sviluppo futuro farà affidamento principalmente sulla circolazione interna, da intendere come ciclo locale di produzione e consumo, grazie a un continuo processo di innovazione tecnologica.
La circolazione interna avrà da ora in avanti la priorità mentre quella internazionale basata sull’export sarà complementare alla prima. D’altronde il peso dei consumi privati sul Pil della Cina è inferiore alla media mondiale, circa il 40% rispetto al 58%, con punte del 68% negli Stati Uniti.
Tradotta in numeri questa nuova strategia dovrebbe consentire al Paese di garantire per i prossimi 5 anni una crescita del Pil nell’ordine del 4-5% all’anno.
Un progresso meno impetuoso di quanto abbiamo visto negli ultimi venti anni ma che dovrebbe portare la Cina a diventare la più grande economia del mondo nel 2028, superando gli Stati Uniti secondo quanto stimato dagli economisti del Centre for Economics and Business Research (Cebr).
Cina, la strategia del nuovo piano

Per mettere in pratica la nuova strategia della doppia circolazione il governo di Pechino lavorerà su due binari: favorire la domanda interna e aumentare lo sviluppo tecnologico per essere meno dipendente dagli altri paesi. Secondo quanto chiarito su LaVoce.info da Alessia Amighini, professore di politica economica all’università del Piemonte Orientale, affinché ciò avvenga, Pechino dovrà aumentare i redditi dei suoi cittadini e ottimizzare la distribuzione del reddito in modo che i cinesi possano essere più propensi al consumo e un po’ meno al risparmio.
La differenza del nuovo piano rispetto al precedente è che i 10 milioni di nuovi posti di lavoro che saranno creati ogni anno, necessari a garantire un reddito che sostenga i consumi (per un totale di 50 milioni sull’intero orizzonte del piano) saranno creati nei nuovi settori dell’economia digitale, nello sviluppo dell’intelligenza artificiale, dei big data e del 5G, che dovrà diventare il motore principale della crescita e dell’innovazione. Ciò consentirà di conseguire l’autosufficienza nel campo della scienza e della tecnologia.
L’innovazione tecnologica a sua volta guiderà tutta l’industria manifatturiera cinese e la spingerà verso l’alto nella catena del valore globale con prodotti di maggiore qualità rispetto al passato, assicurando contemporaneamente l’approvvigionamento interno.

Un altro aspetto essenziale della dual circolation è lo sviluppo di una catena di approvvigionamento del Paese, così da evitare la dipendenza dalle importazioni. Le preoccupazioni riguardo al futuro della supply chain cinese interessano oltre al settore tecnologico, quello energetico e l’alimentare. Basti pensare che nel 2019 la Cina ha importato quasi l’85% del petrolio consumato e oltre il 40% di gas.
Per essere meno dipendente dall’import la Cina ha deciso di puntare sulle energie rinnovabili, oltre alla diversificazione delle relazioni internazionali per quanto riguarda il settore energetico.
Un focus particolare è rivolto poi al comparto alimentare, poiché si prevede che nei prossimi anni la Cina possa subire un deficit di produzione di cereali a seguito della progressiva migrazione di lavoratori dalle campagne alle industrie presenti nelle principali città.
Infine, per aumentare i consumi interni la Cina si è impegnata anche a favorire una maggiore circolazione di capitali, anche di quelli provenienti dall’estero, per favorire nuovi investimenti. Al momento infatti, gli investitori internazionali detengono solo il 3% delle azioni quotate sui listini cinesi.

Ema e il gioco delle tre carte, quanti morti servono per stabilire causa-effetto?

ESTERO

L'Ema avvia una valutazione sul vaccino Johnson & Johnson dopo 4 casi di trombosi

Al momento non è chiaro se esista un'associazione causale tra la vaccinazione con questo siero e gli episodi

aggiornato alle 14:0009 aprile 2021

Ema

AGI - Il Prac, il comitato per la sicurezza dell'Agenzia europea per i medicinali (Ema), ha avviato una revisione per valutare segnalazioni di eventi tromboembolici (formazione di coaguli di sangue, con conseguente ostruzione di un vaso) in persone che hanno ricevuto il vaccino contro il Covid-19 Janssen di Johnson&Johnson.

"Dopo la vaccinazione con il Janssen sono stati segnalati quattro casi gravi di coaguli di sangue insoliti con piastrine basse. Un caso si è verificato in uno studio clinico e tre casi durante la campagna vaccinale negli Stati Uniti. Uno di questi è stato fatale", spiega l'Ema in una nota.

Questi alert "indicano un 'segnale di sicurezza', ma al momento non è chiaro se esista un'associazione causale tra la vaccinazione con il Janssen e queste condizioni. Il Prac sta indagando su questi casi e deciderà se potrà essere necessaria un'azione normativa, che di solito consiste in un aggiornamento delle informazioni sul prodotto", spiega l'Agenzia europea.

Il vaccino di J&J è attualmente utilizzato solo negli Stati Uniti, con un'autorizzazione all'uso di emergenza. È stato autorizzato nell'Ue l'11 marzo 2021. La somministrazione non è ancora iniziata in nessuno Stato membro dell'Ue, ma è prevista nelle prossime settimane.

Emirati arabi un paese in piena ascesa strategica: Infrastrutture portuali ed energia


9 APRILE 2021

In Uzbekistan sta venendo scritto un paragrafo importante della riedizione contemporanea del Grande Gioco che ha travolto l’Asia centrale a partire dalla seconda metà degli anni 2010. Punto di collegamento tra gli –stan e l’Asia meridionale e cuore pulsante dell’Antica e della Nuova Via della Seta, Tashkent è l’epicentro di uno scontro che sta coinvolgendo una costellazione variegata di potenze – in primis Washington, Ankara, Mosca, Pechino e Nuova Delhi – e si caratterizza per un elemento in particolare: la centralità della questione energetica.

Perché le parole d’ordine del pivotale Uzbekistan nel campo energetico sono diversificazione, autosufficienza e transizione verde, ergo chiunque sia in grado di offrire una di queste è ben accetto. E l’eco della chiamata proveniente dalla terra di Tamerlano sta attraendo una moltitudine di attori che sul leveraggio dell’energia, specialmente di tipo rinnovabile, hanno costruito fortuna e immagine: dall’Italia alla Turchia e dagli Stati Uniti all’Arabia Saudita. L’ultima potenza ad aver colto il richiamo di Tashkent e Samarcanda sono gli Emirati Arabi Uniti.

L’accordo tra Masdar e Tashkent

Il mese di aprile si è aperto all’insegna della cooperazione per Uzbekistan ed Emirati Arabi Uniti, i quali hanno siglato un riguardevole accordo di implementazione nel settore eolico, avente come protagonista la firma emiratina Masdar e destinato a incidere profondamente sul panorama energetico nazionale e regionale.

Il documento prevede che la Masdar si occupi del potenziamento massiccio della capacità di generazione elettrica eolica installata in Uzbekistan ed è stato firmato a Tashkent nel corso di una pomposa cerimonia presenziata, tra gli altri, dal titolare del Ministero dell’Energia uzbeko, Alisher Sultanov, dal vice-primo ministro uzbeko, Sardor Umurzakov, dall’ambasciatore emiratino in loco, Saeed Matar Al-Qemzi, e dall’amministratore delegato della Masdar, Mohamed Jameel Al Ramahi.

La Masdar, un gigante in ascesa nel campo delle rinnovabili, ha ottenuto un incarico tanto onorevole quanto oneroso: portare a quota un miliardo e mezzo di gigawatt la capacità di generazione elettrica eolica totale dei propri impianti in Uzbekistan entro il 2030, cioè raddoppiare l’attuale volume attraverso un potenziamento delle installazioni esistenti.
Cosa verrà potenziato

Le installazioni a cui si fa riferimento nell’accordo di inizio aprile sono in via di edificazione e sono il risultato di documenti siglati l’anno scorso tra Masdar e il governo uzbeko inerenti lo sviluppo, la costruzione e la messa in operatività di un parco eolico da cento megawatt a Navoi e di una fattoria del vento da 500 megawatt nel distretto di Zarafshan, la più grande dell’Asia centrale.

La centrale di Zarafshan dovrebbe iniziare le attività commerciali entro la fine del 2024 e, se utilizzata al massimo dell’attuale capacità, potrebbe dare luce a 500mila abitazioni ed eliminare un milione di tonnellate di anidride carbonica su base annua. Il potenziamento auspicato dalle autorità uzbeke aumenterebbe la nodalità del sito in questione e contribuirebbe in maniera determinante a supportare il ritmo della corsa di Tashkent verso i due obiettivi energetici principali per l’anno 2030: aumento della capacità di generazione elettrica eolica totale di tre gigawatt e un quarto del fabbisogno domestico di enegia elettrica soddisfatto da fonti rinnovabili.

Non solo energia

La cooperazione bilaterale tra Uzbekistan ed Emirati Arabi Uniti non è limitata allo sfruttamento energetico del vento. Il 7 aprile, a pochi giorni di distanza dall’accordo tra Masdar e governo uzbeko, ha avuto luogo il quarto incontro della Commissione intergovernativa su commercio e cooperazione tecnica, scientifica ed economica, organizzato da remoto a causa del perdurare della pandemia.

L’evento, co-presieduto dal vice-primo ministro uzbeko, Sardor Umurzakov, e dal titolare del Ministero dell’Economia emiratino, Abdulla bin Touq Al Marri, ha funto da occasione ideale per la finalizzazione di una serie di tavoli negoziali su agricoltura, investimenti e interscambio, e si è concluso con la firma di ventuno accordi di cooperazione bilaterale e con l’annuncio della creazione del Consiglio affaristico Uzbekistan–EAU, la cui prima riunione dovrebbe avere luogo fra due mesi, ossia a giugno.

Il sole nuovo oro strategico


9 APRILE 2021

La vittoria nella seconda guerra del Karabakh ha dato un impulso determinante, vitalizzante e neurotonico ai piani che la presidenza Aliyev ha in serbo per l’Azerbaigian. Consapevole delle implicazioni geopolitiche ed economiche derivanti dall’esito del conflitto, nonché della rendita di posizione ottenibile da un acuto leveraggio dell’incuneamento geostrategico della nazione, il presidente Ilham Aliyev ha trasformato Baku in un cantiere a cielo aperto e nel teatro di una corsa mondiale al corteggiamento alla quale stanno partecipando piccole, medie e grandi potenze.

L’obiettivo della presidenza Aliyev è di trasformare l’Azerbaigian in un magnete naturale per gli investimenti stranieri, generando un moto d’attrazione autoalimentante che garantisca sicurezza e sostenibilità nel medio e lungo termine. Innumerevoli, come si è scritto poc’anzi, le potenze che stanno rispondendo positivamente alla chiamata proveniente da quel mercato sconfinato chiamato Azerbaigian: dall’Italia alla Turchia e dalla Cina al Qatar, passando per gli ultimi arrivati, gli Emirati Arabi Uniti.

Il progetto targato Masdar

Nella giornata del 6 aprile ha avuto luogo un’importante trilaterale a Baku tra il titolare del Ministero dell’Energia dell’Azerbaigian, Parviz Shahbazov, il presidente di Azerenergy, Baba Rzayev, e l’amministratore delegato della firma emiratina Masdar, Mohamed Jameel Al Ramahi. I tre si sono riuniti per mettere la firma su un pacchetto di accordi in materia di cooperazione energetica nel promettente settore fotovoltaico azerbaigiano.

Gli accordi prevedono che la Masdar costruisca un’avanguardistica centrale solare da 230 megawatt nella penisola di Abseron, del valore di duecento milioni di dollari e con una capacità annua di cinquecento milioni di chilowattora di elettricità – abbastanza per illuminare più di 110mila abitazioni –, e che Azerenergy si occupi della sua connessione alla rete nazionale e dell’acquisto dell’energia ivi generata. Si tratta del primo progetto fotovoltaico implementato in Azerbaigian sotto forma di partenariato tra pubblico e privato e del primo investimento targato Masdar nella nazione sudcaucasica.

L’impianto, che dovrebbe iniziare le attività commerciali nel 2023, è stato progettato per permettere all’Azerbaigian di accelerare in maniera significativa il ritmo della diversificazione e dell’autosufficienza energetica; una volta in funzione, infatti, dovrebbe consentire di risparmiare ogni anno centodieci milioni di metri cubi di gas naturale e duecentomila tonnellate di carbone, nonché di ridurre drasticamente le emissioni di gas serra – dovrebbero registrare una diminuzione del 35% su base annua.

In sintesi, una volta completata, la centrale contribuirà in maniera determinante a dare concretezza ai sogni di diversificazione energetica dell’Azerbaigian, che ha fissato come obiettivo di fine decennio la produzione di un terzo dell’elettricità da fonti rinnovabili.
Il solare in Azerbaigian

Forte di una media annuale di duecentocinquanta giorni di soleggiamento, che in termini di radiazione solare equivalgono a 5000–6500 MJ/m2, l’Azerbaigian è il Paese del Caucaso meridionale “più baciato dal Sole” e, di conseguenza, il maggiormente bendisposto allo sfruttamento di questa fonte energetica. Secondo l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili (IRENA), “l’Azerbaigian ha un potenziale energetico solare di 23.040 megawatt, il più elevato in comparazione agli altri segmenti del rinnovabile”. Spiegato altrimenti, Baku potrebbe estrarre più energia dal Sole che dal vento e dal mare.

La dirigenza è pienamente cosciente del ruolo che il solare potrebbe giocare nella corsa alla sicurezza energetica, perciò, negli anni recenti, ha eteroguidato la crescita del settore a mezzo di investimenti domestici e attrazione di capitale straniero. I numeri mostrano e dimostrano come il fotovoltaico azerbaigiano, sebbene si trovi allo stadio embrionale, stia crescendo rapidamente: potenziamento degli impianti esistenti e progressiva costruzione di nuovi hanno condotto ad un aumento della capacità installata totale da 36.30 megawatt a 50 megawatt dal 2019 al 2020.

Ultimo ma non meno importante, v’è da considerare il fattore Karabakh. Perché la regione presenta un elevato potenziale in termini di rendita fotovoltaica: le sole aree comprese tra Kalbajar, Lachin, Gubadli, Zangilan, Jabrayil e Fuzuli sarebbero in grado di offrire una capacità totale di 7.214 megawatt.

Il biglietto da visita dello stregone maledetto è l'OBBLIGO, sta mantenendo le premesse di leader funzionale al Sistema massonico mafioso politico istituzionale italiano e a quello finanziario internazionale

Sanitari no-vax: sono 18 mila. Punirli tutti?

Maurizio Blondet 9 Aprile 2021

“Ora metteteli tutti in ferie, e vediamo chi vaccina chi”

La minaccia di lasciare i reparti vuoti

Di pochi giorni fa un post che avvertiva: “Non con gli avvocati si vince, ma con la nostra assenza. Interi reparti con una improvvisa carenza di personale, valgono più di 100 cause dispendiose!”. Dopo i casi di focolai in corsia, il governo ha infatti pensato a un decreto Covid che impone il vaccino ai sanitari. Come si legge al comma 1 dell’articolo 4 del decreto legge n.44 del 1 aprile, “La vaccinazione costituisce requisito essenziale per l’esercizio della professione e per lo svolgimento delle prestazioni lavorative rese dai soggetti obbligati”.

Quindi, dal 7 aprile vi è l’obbligo per i sanitari di sottoporsi alla vaccinazione. Ma ovviamente, subito qualcuno ha pensato di correre ai ripari, in modo da evitare il vaccino e anche una ripercussione dovuta alla sua decisione. Coloro che dimostrano che fare il vaccino li sottopone a un rischio per la salute può rifiutarsi di farlo. Senza conseguenze per il proprio lavoro. L’unica cosa che serve è un semplice certificato medico.

Chi sono?

Un gruppo privato su Facebook. Sarebbero oltre 18mila gli iscritti e si tratterebbe di operatori sanitari no vax. “Il particolare, che preoccupa maggiormente gli inquirenti, è che il numero sta salendo di minuto in minuto. La metà degli adepti si sarebbe iscritta nell’ultima settimana”.

Il gruppo e i suoi seguaci starebbero anche organizzando una manifestazione a Roma per il prossimo 21 aprile. Nel gruppo si possono trovare medici, infermieri, operatori-socio sanitari, psicologi di tutta Italia, tutti uniti nella lotta, non contro il Covid-19, ma contro il vaccino. Legati a filo doppio dalla volontà di opporsi al decreto legge che impone a queste categorie l’obbligo di sottoporsi all’inoculazione del siero. Nel gruppo solo i membri possono vedere quel che viene pubblicato ed è stato creato lo scorso 28 marzo. L’ultimo post, risalente a circa una quindicina di ore fa, farebbe presagire una sommossa.

Dà infatti appuntamento a tutti i suoi iscritti alla manifestazione nazionale del 21 aprile a Roma in piazza Montecitorio alle ore 15. Nel post viene anche ricordato “che il gruppo è nato soprattutto per unirci e intraprendere qualcosa tutti insieme, le vie legali come vedo sono già state intraprese da molti di voi quindi ora è tempo di muoversi anche in un altra direzione. Basta parlare, riprendiamoci la nostra libertà manifestando pacificamente a Roma il 21 aprile alle 15”.

Ciò che era ovvio ieri, oggi non lo è più. Il POLITICAMENTE CORRETTO da dei matti sta implodendo paurosamente passando dal delirio alla farsa “Se io non posso tradurre una poetessa perché è donna, giovane, nera e statunitense del secolo XXI, non posso neppure tradurre Omero in quanto non sono un greco dell’VIII secolo avanti Cristo e non potrei aver tradotto Shakespeare perché non sono un inglese del secolo XVI “.

La traduzione impossibile. Ed altri deliri.
Maurizio Blondet 9 Aprile 2021
di Roberto PECCHIOLI

L’officina della cultura della cancellazione è aperta ventiquattro ore tutti i giorni dell’anno. Nulla sfugge all’immenso apparato di riconfigurazione mentale di cui è banditrice. Dobbiamo cominciare a negare lo statuto di cultura a ciò che cancella anziché incrementare la conoscenza. Apprendiamo che una grande università tedesca boccia gli studenti di biologia se affermano che in natura i sessi/generi sono due. I gestori di blog e siti in rete mettono in guardia chi scrive persino dall’utilizzare il vocabolo “normale” poiché provoca la censura politicamente corretta se usato in contesti in cui si parla di orientamento sessuale o teoria gender.

Il migliore di mondi possibili, la società sedicente aperta è ormai chiusa a chiave. Il dramma è che troppi non lo sanno – non lo vogliono sapere – e pochissimi hanno il coraggio e la voglia di dare battaglia. Davvero Dio toglie il senno a chi vuol rovinare. Un esempio tra i tanti è la sconcertante vicenda della traduzione della poesia-pistolotto politico di Amanda Gorman, letta in occasione dell’insediamento di Joe Biden alla Casa Bianca. I fatti avrebbero destato incredulità e indignazione solo pochi anni fa, ma oggi siamo davanti a un delicato problema “culturale”. La domanda è: possono le opere di una giovane donna afroamericana ed attivista politica, essere tradotte da qualcuno che non sia donna, giovane, afroamericano/a e neppure attivista? Risposta ovvia, se ci atteniamo alla storia delle traduzioni nel corso dei secoli. Tuttavia, ciò che era ovvio ieri, oggi non lo è più.

Amanda Gorman, sconosciuta sino al 20 gennaio di quest’anno, è stata incaricata di leggere un suo componimento poetico di carattere politico, intitolato The hill we climb. Non osiamo tradurre il titolo, in qualità di maschi bianchi appartenenti – ahimè- alla vecchia generazione, limitandoci a segnalare che hill significa collina e che il verbo to climb indica l’atto di scalare o di arrampicarsi. La Gorman, ventiduenne neo laureata ad Harvard, incarna tutti i luoghi comuni della poltiglia sottoculturale progressista: giovane, donna, nera, impegnata politicamente a sinistra, cresciuta senza padre da una mamma single. Un’icona, un’eroina a prescindere. A nulla vale il nostro personale giudizio negativo sul valore letterario del testo, che abbiamo trovato retorico, ridondante e manicheo. Colpa nostra: pregiudizi eteropatriarcali, o forse, a parziale scusante, il fatto che la traduzione italiana di cui ci siamo avvalsi è stata eseguita da soggetti indegni in base al nuovo criterio etnico, anagrafico e di genere.

La polemica nasce esattamente da questo. Un editore olandese ha incaricato della traduzione una giovane scrittrice, Marieke Lucas Rijneveld. Fatale, scandaloso errore. Una giornalista americana, Janice Deul, anch’essa nera e attivista del variopinto mondo woke (gli autodefiniti “risvegliati”, i forzati della cancellazione, sacerdoti inflessibili della religione degli indignati e degli offesi) ha scritto un duro articolo su uno dei principali quotidiani dei Paesi Bassi, De Volkskrant, una volta portavoce della comunità cattolica, in cui ha vietato alla Rijneveld di tradurre l’opera di Amanda Gorman. Pur riconoscendo le qualità della traduttrice – ritenuta un astro nascente della scena letteraria olandese – la ritiene inadatta a lavorare sull’opera della Gorman perché bianca e – udite udite – in quanto si percepisce sessualmente “non binaria”. Colpita e affondata.

Il comportamento della Deul è discriminatorio e razzista: immaginiamo quale tempesta si sarebbe scatenata a razze e generi invertiti. La povera Rijneveld è bianca- prima condizione ostativa- dunque discriminata per motivi etnici; inoltre, si considera “non binaria”, ovvero ha dubbi sulla sua identità e orientamento sessuale. Una discriminazione intollerabile in base al quinto evangelo gender e politicamente corretto. Si attende invano l’indignata reazione della comunità LGBTQI+.

Il vero paradosso è culturale in senso ampio: secondo le nuove stravaganti regole, una traduzione corretta deriverebbe in primo luogo dall’identità personale dell’autore e di quella del traduttore, che dovrebbero coincidere. La Gorman è donna – quindi a un uomo è proibito tradurla – è giovane (divieto per gli over 30!) è attivista politica, quindi non si azzardi a prendere in mano il testo chi non lo è, infine è di pelle nera, afroamericana. Astenersi perditempo bianchi, gialli, meticci, “nativi americani”. Estremizzando, ma non troppo, seguendo il metodo delle intersezioni identitarie, finirà che solo l’autrice sarà titolata a tradurre se stessa.

Il caso ha avuto strascichi anche in Spagna, dove un editore di lingua catalana ha commissionato la traduzione a un noto specialista di Oscar Wilde e di Shakespeare. Stesso risultato: levata di scudi da parte americana – forse dalla stessa Gorman- e Vìctor Obiols- sessantenne, quindi escluso a priori per sovraccarico anagrafico- ha dovuto gettare nel cestino il suo lavoro. A differenza della Rjineveld, tuttavia ha reagito. “Vietato perché, nonostante si riconosca il mio curriculum, vogliono una traduttrice donna, attivista e preferibilmente nera.” Ha aggiunto che non è un tema che si possa trattare con frivolezza. “Se io non posso tradurre una poetessa perché è donna, giovane, nera e statunitense del secolo XXI, non posso neppure tradurre Omero in quanto non sono un greco dell’VIII secolo avanti Cristo e non potrei aver tradotto Shakespeare perché non sono un inglese del secolo XVI “.

Elementare, ma l’ideologia della cancellazione – perché tale è, totalitaria e devastante- non ha nulla di logico e di raziocinante. E’ insieme un paralogismo e un sofisma: il primo per l’assurdità del procedimento logico che inficia le conclusioni; il secondo perché l’errore è intenzionale. Viene da sorridere amaramente al pensiero di vite dedicate alla cultura e alla diffusione di grandi opere: slavisti come Ettore Lo Gatto, insigni germanisti come l’istriano Ervino Pocar hanno regalato ai lettori di lingua italiana romanzi immortali e la grande poesia, riuscendo a penetrare non solo i segreti della lingua, ma anche l’anima degli autori.

Generazioni di studenti hanno conosciuto i grandi poemi epici nelle venerande traduzioni di Annibal Caro (la sua Eneide è addirittura del Cinquecento), Vincenzo Monti (“Cantami, o Diva, del pelide Achille l’ira funesta “) o di Ippolito Pindemonte. Non conosceremmo la grande filosofia tedesca senza lo sforzo gigantesco di un Sossio Giametta. E che dire di chi è riuscito nell’impresa di restituire al lettore italiano la complessità degli Esercizi di stile di Raymon Queneau, o dei traduttori che per dieci anni hanno lavorato per offrire al pubblico la traduzione di Finnegans Wake, La veglia di Finnegan, opera oscura, realizzata con la tecnica del flusso di coscienza, in cui James Joyce abolisce le regole della grammatica e dell’ortografia, fa sparire la punteggiatura e le parole si fondono nel tentativo di riprodurre la simbologia del linguaggio onirico.

Nulla, tutti sforzi vani, destituiti di senso in base alla tavola della legge post moderna etnicamente, sessualmente e generazionalmente corretta. Cesare Pavese, langarolo triste, non era autorizzato a tradurre la grande letteratura americana, Fernanda Pivano – donna – non poteva regalare agli italiani l’opera di Hemingway. Probabilmente non ebbe senso decifrare la pietra di Rosetta e scoprire nelle tavolette babilonesi il codice di Hammurabi. Conta solo qui e adesso, il resto è muffa, odore stantio di un passato di cui liberarsi, magari per scalare la collina della Gorman.

Anni fa ci fu mostrata un’edizione originale della prima traduzione nella nostra lingua del  Donchisciotte. Nella prima pagina era scritto “tradotto con fedeltà e chiarezza da Lorenzo Franciosini fiorentino.” Quanta presunzione, direbbe con commiserazione l’anticultura woke (risvegliati ma narcotizzati). Franciosini, in sostanza, confessa la sua inadeguatezza: non è spagnolo, ma fiorentino, lavora nel 1677, settant’anni dopo l’uscita del libro. Era “binario”, come Cervantes, o non lo era? Quanto alla chiarezza e alla fedeltà, potrebbe giudicarla solo l’autore, ma questo è impossibile. E se traducendo ogni parola, il buon Franciosini avesse “snervato il senso,” come temeva Voltaire? La follia della cultura della cancellazione, intrisa di vittimismo, correttezza politica e “furia del dileguare”, come direbbe Hegel, appare evidente anche nell’ambito di questa disputa sulle traduzioni. O almeno, tale dovrebbe apparire: se viene presa sul serio, è il sinistro segnale che non c’è più cultura, ma caos, guazzabuglio, happening senza senso e senza direzione.

Nello specifico, Janice Deul – e la Gorman se la pensa allo stesso modo – sono razziste poiché incitano all’ esclusione per motivi etnici, di genere, di età e di posizionamento politico. Un osservatore si è chiesto quale reazione avrebbe suscitato la richiesta di far tradurre Walt Whitman – lui sì grande poeta – esclusivamente da persone di origini ariane come l’autore di Oh capitano, mio capitano. Oltre la bufera mediatica, probabilmente si sarebbe invocato a carico del malcapitato il TSO (trattamento sanitario obbligatorio).

Non si può più sottovalutare ciò che accade: ogni persona di buon senso dovrebbe reagire con indignazione. Il meccanismo è semplice, se si hanno a disposizione mezzi illimitati e l’intero apparato mediatico-culturale dell’Occidente in agonia: prendi una ragazza nera, ambiziosa e di bell’aspetto, la metti davanti alle telecamere nel momento più favorevole e, da un momento all’altro, un pretenzioso discorso orientato politicamente diventa poesia. Lei diventa una influencer, un fenomeno mediatico da imporre all’adorazione di masse cretinizzate. Il campo di battaglia sono diventate le parole: vi si gioca la partita della libertà o della barbarie.

Siamo immersi in una via senza sbocchi; può aiutarci ad uscirne il grande poeta del labirinto, Jorge Luis Borges, che di traduzioni si è occupato in un racconto visionario delle sue Finzioni, Pierre Menard autore del Chisciotte, che ci sembra gettare luce anche sulla vicenda su cui riflettiamo. Nel racconto borgesiano (letto – ohibò – in una traduzione dell’epoca oscura pre-Gorman!) Pierre Menard è uno scrittore francese della prima metà del XX secolo che vuole compiere la temeraria impresa di scrivere il Don Chisciotte. Non intende tradurlo in francese dallo spagnolo d’inizio Seicento, né vuole scriverne una versione contemporanea o copiarlo. Il Menard di Borges non vuole comporre un altro Chisciotte, sarebbe troppo facile. La sua ambizione è produrre delle pagine coincidenti –parola per parola e riga per riga- con quelle di Cervantes.

“Vuole continuare ad essere Pierre Menard e arrivare al Chisciotte attraverso le esperienze di Pierre Menard.” Nella sua ossessione labirintica, ambisce a scrivere un Chisciotte uguale all’originale, a cui perviene attraverso la condizione di autore del suo tempo. Borges sembra quasi prendere in giro il lettore che non sa muoversi nel suo universo di specchi. “Il testo di Cervantes e quello di Menard sono verbalmente identici ma il secondo è infinitamente più ricco “. Il brano è da antologia: “Cervantes scrisse: la verità, la cui madre è la storia, emula del tempo, deposito delle azioni, testimone del passato, esempio e avviso per il presente, avvertimento per l’avvenire. Scritta all’inizio del XVII secolo, la frase ci appare solo un elogio retorico della storia, ma se scritta alla metà del XX, tutto cambia. La storia è madre della verità: l’idea è sorprendente. Menard non definisce la storia come indagine sulla realtà, ma come la sua origine. La verità storica, per lui, non è quello che accadde; è quello che noi riteniamo che accadde. E’ vivido il contrasto dei due stili. Lo stile arcaizzante di Menard – alla fine straniero – è viziato da una certa affettazione. Non così quello del precursore, che maneggia con disinvoltura lo spagnolo corrente della sua epoca. “

Dal racconto di Borges, in cui brilla un’ironia di alta classe, si possono inferire varie cose: la prima è che in ogni traduzione c’è una sorta di “opera nuova”. I due testi sono diversi nonostante siano identici. In secondo luogo, la differenza è data dal lettore, colui che completa l’opera. Il Chisciotte di Cervantes ha un significato diverso agli occhi dello “sfaccendato lettore” cui si rivolge nel 1605 e di quello della metà del XX, sino a trasformarsi, se attribuito al fantomatico Pierre Menard, in riferimento per una precisa filosofia della storia. Se questa interpretazione borgesiana ha senso ed esistono tante opere quante traduzioni e lettori, la discussione sui requisiti identitari dei traduttori diventa futile, insensata.

E’ evidente che esistono buone e cattive traduzioni, ma desta ilarità la pretesa che la traduzione perfetta (ovvero politicamente corretta) sia realizzata solo da chi risponde a determinati criteri identitari la cui lista si arricchisce ogni giorno. Nel merito, sconcerta pensare che ciò che definisce l’opera della Gorman sia la sua condizione di giovane donna, a tal punto che un uomo (Obiols) o una persona che si autodefinisce “non binaria “(la Rijeneveld) manchino di attitudine a tradurla. E se quello che più la definisce fosse il fatto di essere un’attivista politica? E se avesse più importanza l’età, il colore della pelle o il luogo dove è vissuta? La ragazza sta diventando ricca: conta anche il reddito della traduttrice? E se invece fosse povera? L’elenco potrebbe continuare all’infinito e includere la storia familiare, gli hobby, le passioni, le idiosincrasie.

La conclusione è quella prospettata all’inizio: Amanda Gorman può essere tradotta solo da se stessa! Un bel problema, poiché non le basterà tutta la vita per imparare le lingue… C’è di più: ogni lingua è una specifica maniera di vedere e interpretare la realtà, quindi ogni traduzione tradirebbe l’identità dell’originale e l’unica perfetta sarebbe quella in cui il testo coincidesse parola per parola con l’originale, come nel Chisciotte di Menard immaginato da Borges.

Il paradosso di questa polemica, ovvero l’enfasi posta sugli aspetti che costituiscono l’identità personale dell’autore – e la loro pretesa coincidenza con quelli del traduttore – è la riduzione all’individualismo più estremo. Solo un ologramma dell’autore sarebbe capace di eseguire la traduzione di un’opera in quanto è il solo uguale a se stesso, capace di riprodurre e riversare nel testo tutte le esperienze che lo rendono unico – come ogni testo – irripetibile come unica e irripetibile è ogni biografia personale. Il destino di una cultura siffatta è segnato: la ricerca della traduzione perfetta perché “fedele” rende impossibile ogni traduzione precipitando nell’individualismo più estremo, in cui ogni persona è un mondo a parte, chiuso e incomunicabile all’altro, con in più la contraddizione insuperabile del teorema dell’uguaglianza per equivalenza. E’ a questo che mira la cultura della cancellazione? Temiamo di sì.

E’ in corso una guerra epocale, in cui la sconfitta significa la morte di una civiltà, un confronto il cui campo di battaglia è il bene più prezioso: le parole come segno e pegno di libertà. Non lasciamo via libera ai seminatori di ignoranza e di confusione. Ogni giorno di più, tacere è tradire.

Stati Uniti - Peter Turchin ha avvertito per un decennio che alcune tendenze sociali e politiche chiave fanno presagire un '"epoca di discordia", disordini civili e carneficina peggio di quanto la maggior parte degli americani abbia sperimentato

Il prossimo decennio potrebbe essere anche peggio

Uno storico crede di aver scoperto leggi ferree che predicono l'ascesa e la caduta delle società. Ha cattive notizie.


Nicolas Ortega
Storia di Graeme Wood

Peter Turchin , uno degli esperti mondiali di coleotteri di pino e forse anche di esseri umani, mi ha incontrato con riluttanza quest'estate nel campus dell'Università del Connecticut a Storrs, dove insegna. Come molte persone durante la pandemia, ha preferito limitare il suo contatto umano. Dubitava anche che il contatto umano avrebbe comunque molto valore, quando i suoi modelli matematici potevano già dirmi tutto ciò che avevo bisogno di sapere.

Ma prima o poi doveva lasciare il suo ufficio. ("Un modo in cui sai che sono russo è che non riesco a pensare di sedermi", mi ha detto. "Devo andare a fare una passeggiata.") Nessuno di noi due aveva visto nessuno da quando la pandemia aveva chiuso il paese per diversi mesi prima. Il campus era silenzioso. "Una settimana fa, era ancora più simile a una bomba al neutrone", ha detto Turchin. Gli animali stavano timidamente reclamando il campus, ha detto: scoiattoli, marmotte, cervi, persino un occasionale falco dalla coda rossa. Durante la nostra passeggiata, i giardinieri e alcuni bambini sugli skateboard erano gli unici altri rappresentanti della popolazione umana in vista.

L'anno 2020 è stato gentile con Turchin, per molte delle stesse ragioni è stato un inferno per tutti noi. Città in fiamme, leader eletti che appoggiano la violenza, omicidi in aumento: per un normale americano, questi sono segni apocalittici. A Turchin, indicano che i suoi modelli, che incorporano migliaia di anni di dati sulla storia umana, stanno funzionando. ("Non tutta la storia umana", mi ha corretto una volta. "Solo negli ultimi 10.000 anni.") Ha avvertito per un decennio che alcune tendenze sociali e politiche chiave fanno presagire un '"epoca di discordia", disordini civili e carneficina peggio di quanto la maggior parte degli americani abbia sperimentato. Nel 2010, aveva predetto che i disordini sarebbero diventati seri intorno al 2020 e che non sarebbero cessati fino a quando quelle tendenze sociali e politiche non si sarebbero invertite. Il caos al livello della fine degli anni '60 e dei primi anni '70 è lo scenario migliore;

I problemi fondamentali, dice, sono un'oscura triade di malattie sociali: una classe d'élite gonfiata, con troppo pochi lavori d'élite per andare in giro; declino del tenore di vita tra la popolazione generale; e un governo che non può coprire le proprie posizioni finanziarie. I suoi modelli, che tracciano questi fattori in altre società nel corso della storia, sono troppo complicati da spiegare in una pubblicazione non tecnica. Ma sono riusciti a impressionare scrittori per pubblicazioni non tecniche, e gli hanno fatto fare paragoni con altri autori di "mega storie", come Jared Diamond e Yuval Noah Harari. L' editorialista del New York Times Ross Douthat una volta aveva trovato la modellazione storica di Turchin poco convincente, ma il 2020 lo ha reso un credente: "A questo punto", ha ammesso di recente Douthat in un podcast, "Sento che devi prestare un po 'più di attenzione a lui. "

Diamond e Harari miravano a descrivere la storia dell'umanità. Turchin guarda a un futuro lontano e fantascientifico per coetanei. In Guerra e pace e guerra (2006), il suo libro più accessibile, si paragona a Hari Seldon, il "matematico anticonformista" della serie della Fondazione di Isaac Asimov , che può predire l'ascesa e la caduta degli imperi. In quei 10.000 anni di dati, Turchin crede di aver trovato leggi ferree che determinano il destino delle società umane.

Il destino della nostra società, dice, non sarà bello, almeno nel breve termine. "È troppo tardi", mi ha detto mentre passavamo davanti a Mirror Lake, che il sito web di UConn descrive come il luogo preferito dagli studenti per "leggere, rilassarsi o cavalcare sull'altalena di legno". I problemi sono profondi e strutturali, non del tipo che il noioso processo di cambiamento democratico può risolvere in tempo per prevenire il caos. Turchin paragona l'America a un'enorme nave diretta direttamente a un iceberg: "Se hai una discussione tra l'equipaggio su quale direzione prendere, non ti girerai in tempo e colpirai direttamente l'iceberg". Gli ultimi 10 anni o giù di lì sono stati discussioni. Quel nauseante scricchiolio che senti ora - l'acciaio che si attorciglia, i rivetti che scoppiano - è il suono della nave che colpisce l'iceberg.

"Siamo quasi garantiti" cinque anni infernali, prevede Turchin, e probabilmente un decennio o più. Il problema, dice, è che ci sono troppe persone come me. “Sei una classe dirigente"Disse, senza più rancore che se mi avesse informato che avevo i capelli castani o un iPhone leggermente più nuovo del suo. Dei tre fattori che guidano la violenza sociale, Turchin sottolinea più pesantemente la "sovrapproduzione delle élite": la tendenza delle classi dirigenti di una società a crescere più velocemente del numero di posizioni che i loro membri devono occupare. Un modo per far crescere una classe dirigente è biologicamente: pensa all'Arabia Saudita, dove principi e principesse nascono più velocemente di quanto possano essere creati ruoli reali per loro. Negli Stati Uniti, le élite si riproducono in modo eccessivo attraverso la mobilità economica ed educativa verso l'alto: sempre più persone si arricchiscono e sempre più vengono istruite. Nessuno di questi suona male da solo. Non vogliamo che tutti siano ricchi e istruiti? I problemi iniziano quando i soldi e le lauree di Harvard diventano come i titoli reali in Arabia Saudita.

Negli Stati Uniti, mi ha detto Turchin, puoi vedere sempre più aspiranti lottare per un singolo lavoro, diciamo, in un prestigioso studio legale, o in un influente governo sinecuro, o (qui è diventato personale) in una rivista nazionale. Forse vedendo i buchi nella mia maglietta, Turchin ha notato che una persona può far parte di un'élite ideologica piuttosto che economica. (Non si considera nemmeno un membro di nessuno dei due. Un professore raggiunge al massimo qualche centinaio di studenti, mi ha detto. "Tu raggiungi centinaia di migliaia.") I lavori d'élite non si moltiplicano così velocemente come fanno le élite. Ci sono ancora solo 100 seggi al Senato, ma più persone che mai hanno abbastanza soldi o titoli di studio per pensare che dovrebbero governare il paese. "Ora hai una situazione in cui ci sono molte più élite che combattono per la stessa posizione, e una parte di loro si convertirà in controelite", ha detto Turchin.

Donald Trump, ad esempio, può apparire d'élite (padre ricco, laurea a Wharton, cassapanche dorate), ma il trumpismo è un movimento contro-élite. Il suo governo è pieno di nessuno accreditato che è stato escluso dalle precedenti amministrazioni, a volte per buone ragioni e talvolta perché l'establishment di Groton-Yale semplicemente non aveva posti vacanti. L'ex consigliere e capo stratega di Trump Steve Bannon, ha detto Turchin, è un "esempio paradigmatico" di controelite. È cresciuto nella classe operaia, è andato alla Harvard Business School e si è arricchito come banchiere di investimenti e possedendo una piccola quota nei diritti di sindacazione di Seinfeld. Niente di tutto ciò si è tradotto in potere politico fino a quando non si è alleato con la gente comune. "Era una controelite che ha usato Trump per sfondare, per rimettere in carica i maschi lavoratori bianchi", ha detto Turchin.

La sovrapproduzione d'élite crea controelite e le controelite cercano alleati tra la gente comune. Se gli standard di vita dei cittadini comuni scivolano - non rispetto alle élite, ma rispetto a quello che avevano prima - accettano le aperture delle controelite e iniziano a lubrificare gli assi dei loro tumbrels. La vita della gente comune peggiora ei pochi che cercano di tirarsi su una scialuppa di salvataggio d'élite vengono respinti in acqua da quelli già a bordo. L'ultimo fattore scatenante dell'imminente collasso, dice Turchin, tende ad essere l'insolvenza dello Stato. Ad un certo punto la crescente insicurezza diventa costosa. Le élite devono pacificare i cittadini infelici con elargizioni e omaggi - e quando questi si esauriscono, devono sorvegliare il dissenso e opprimere le persone. Alla fine lo stato esaurisce tutte le soluzioni a breve termine e quella che prima era una civiltà coerente si disintegra.

I pronostici di Turchin sarebbero più facili da liquidare come teorie da sgabello da bar se la disintegrazione non fosse avvenuta ora, più o meno come aveva predetto il Veggente di Storrs 10 anni fa. Se i prossimi 10 anni saranno così sismici come lui dice che saranno, le sue intuizioni dovranno essere spiegate da storici e scienziati sociali, supponendo, naturalmente, che ci siano ancora università per impiegare queste persone.Peter Turchin, fotografato nella foresta statale di Natchaug nel Connecticut a ottobre. L'ex ecologista cerca di applicare il rigore matematico allo studio della storia umana. (Malike Sidibe)

Turchin è nato nel 1957 a Obninsk, in Russia, una città costruita dallo stato sovietico come una sorta di paradiso dei nerd, dove gli scienziati potevano collaborare e vivere insieme. Suo padre, Valentin, era un fisico e dissidente politico, e sua madre, Tatiana, si era formata come geologa. Si sono trasferiti a Mosca quando aveva 7 anni e nel 1978 sono fuggiti a New York come rifugiati politici. Lì trovarono rapidamente una comunità che parlava la lingua domestica, che era la scienza. Valentin ha insegnato alla City University di New York e Peter ha studiato biologia alla NYU e ha conseguito un dottorato in zoologia alla Duke.

Turchin ha scritto una dissertazione sullo scarabeo messicano dei fagioli, un simpatico parassita simile a una coccinella che si nutre di legumi nelle zone tra gli Stati Uniti e il Guatemala. Quando Turchin iniziò la sua ricerca, all'inizio degli anni '80, l'ecologia si stava evolvendo in un modo che già avevano alcuni campi. Il vecchio modo di studiare gli insetti era raccoglierli e descriverli: contare le loro gambe, misurare la loro pancia e fissarli a pezzi di truciolato per riferimento futuro. (Vai al Natural History Museum di Londra, e nei vecchi magazzini si possono ancora vedere gli scaffali delle campane e delle casse di esemplari.) Negli anni '70, il fisico australiano Robert May aveva rivolto la sua attenzione all'ecologia e contribuito a trasformarla in una scienza matematica i cui strumenti includevano supercomputer insieme a reti per farfalle e trappole per bottiglie. Eppure nei primi giorni della sua carriera, Turchin mi ha detto,

Turchin, in effetti, ha svolto ricerche sul campo, ma ha contribuito all'ecologia principalmente raccogliendo e utilizzando i dati per modellare le dinamiche delle popolazioni, ad esempio, determinando perché una popolazione di coleotteri potrebbe impadronirsi di una foresta o perché quella stessa popolazione potrebbe diminuire. . (Ha lavorato anche su falene, arvicole e lemming.)

Alla fine degli anni '90, avvenne un disastro: Turchin si rese conto di sapere tutto ciò che avrebbe sempre voluto sapere sugli scarafaggi. Si paragona a Thomasina Coverly, la ragazza geniale nell'opera di Tom Stoppard Arcadia , che era ossessionata dai cicli di vita dei galli cedroni e di altre creature intorno alla sua casa di campagna nel Derbyshire. Il personaggio di Stoppard aveva lo svantaggio di vivere un secolo e mezzo prima dello sviluppo della teoria del caos. "Ha rinunciato perché era troppo complicato", ha detto Turchin. "Ho rinunciato perché ho risolto il problema."

Turchin ha pubblicato un'ultima monografia, Complex Population Dynamics: A Theoretical  /  Empirical Synthesis (2003), quindi ha dato la notizia ai suoi colleghi UConn che avrebbe detto un sayonara permanente al campo, anche se avrebbe continuato a percepire uno stipendio come titolare professore nel loro dipartimento. (Non riceve più aumenti, ma mi ha detto che era già "a un livello confortevole e, sai, non hai bisogno di così tanti soldi.") "Di solito una crisi di mezza età significa che divorziare dalla tua vecchia moglie e sposare un studente laureato ", ha detto Turchin. "Ho divorziato da una vecchia scienza e ne ho sposata una nuova."I pronostici di Turchin sarebbero stati più facili da liquidare come teorie da sgabello da bar se non fossero stati riprodotti ora, più o meno come aveva predetto 10 anni fa.

Uno dei suoi ultimi articoli è apparso sulla rivista Oikos. "L'ecologia della popolazione ha leggi generali?" Ha chiesto Turchin. La maggior parte degli ecologisti ha detto di no: le popolazioni hanno le proprie dinamiche e ogni situazione è diversa. Gli scarabei di pino si riproducono, si scatenano e devastano una foresta per motivi di scarabeo di pino, ma ciò non significa che le popolazioni di zanzare o zecche si alzeranno e si abbasseranno secondo gli stessi ritmi. Turchin ha suggerito che "ci sono diverse proposizioni simili a leggi molto generali" che potrebbero essere applicate all'ecologia. Dopo la sua lunga adolescenza di raccolta e catalogazione, l'ecologia disponeva di dati sufficienti per descrivere queste leggi universali e per smetterla di fingere che ogni specie avesse le proprie idiosincrasie. "Gli ecologisti conoscono queste leggi e dovrebbero chiamarle leggi", ha detto. Turchin ha proposto, ad esempio, che le popolazioni di organismi crescano o diminuiscano in modo esponenziale, non lineare. Questo è il motivo per cui se acquisti due porcellini d'India, presto non avrai solo qualche altro porcellino d'India, ma una casa - e poi un quartiere - pieno di quelle dannate cose (a patto che continui a dar loro da mangiare). Questa legge è abbastanza semplice da essere compresa da uno studente di matematica delle superiori e descrive le fortune di tutto, dalle zecche agli storni ai cammelli. Le leggi che Turchin applicava all'ecologia - e la sua insistenza nel chiamarle leggi - generarono all'epoca rispettose controversie. Ora sono citati nei libri di testo. Le leggi che Turchin applicava all'ecologia - e la sua insistenza nel chiamarle leggi - generarono all'epoca rispettose controversie. Ora sono citati nei libri di testo. Le leggi che Turchin applicava all'ecologia - e la sua insistenza nel chiamarle leggi - generarono all'epoca rispettose controversie. Ora sono citati nei libri di testo.

Dopo aver lasciato l'ecologia, Turchin ha iniziato una ricerca simile che ha tentato di formulare leggi generali per una diversa specie animale: gli esseri umani. Aveva a lungo l'interesse di un hobbista per la storia. Ma aveva anche l'istinto di un predatore di sorvegliare la savana della conoscenza umana e balzare sulla preda più debole. "Tutte le scienze attraversano questa transizione verso la matematizzazione", mi ha detto Turchin. “Quando ho avuto la mia crisi di mezza età, stavo cercando una materia in cui avrei potuto aiutare con questa transizione verso una scienza matematizzata. Ne era rimasto solo uno, ed era storia ".

Gli storici leggono libri, lettere e altri testi. Di tanto in tanto, se sono inclini archeologicamente, scavano frammenti di vaso e monete. Ma per Turchin, affidarsi esclusivamente a questi metodi equivaleva a studiare gli insetti fissandoli al pannello di particelle e contando le loro antenne. Se gli storici non avessero intenzione di inaugurare una rivoluzione matematica da soli, avrebbe preso d'assalto i loro dipartimenti e lo avrebbe fatto per loro.

"C'è un dibattito di vecchia data tra scienziati e filosofi sul fatto che la storia abbia leggi generali", hanno scritto lui e un coautore in Secular Cycles (2009). "Una premessa di base del nostro studio è che le società storiche possono essere studiate con gli stessi metodi usati da fisici e biologi per studiare i sistemi naturali". Turchin ha fondato una rivista, Cliodynamics , dedicata alla "ricerca di principi generali che spieghino il funzionamento e le dinamiche delle società storiche". (Il termine è il suo conio; Clio è la musa della storia.) Aveva già annunciato l'arrivo della disciplina in un articolo su Nature, dove ha paragonato gli storici riluttanti a costruire principi generali ai suoi colleghi di biologia "che si preoccupano maggiormente della vita privata dei warblers". "Lascia che la storia continui a concentrarsi sul particolare", ha scritto. La Cliodinamica sarebbe una nuova scienza. Mentre gli storici spolveravano i vasi delle campane nel seminterrato dell'università, Turchin ei suoi seguaci sarebbero stati di sopra, rispondendo alle grandi domande.

Per seminare la ricerca della rivista, Turchin ha ideato un archivio digitale di dati storici e archeologici. La codifica dei suoi archivi richiede finezza, mi disse, perché (ad esempio) il metodo per determinare la dimensione della classe di aspiranti elite della Francia medievale potrebbe differire dalla misura della stessa classe negli Stati Uniti di oggi. (Per la Francia medievale, un delegato è l'appartenenza alla sua classe nobile, che si riempì di secondo e terzo figlio che non avevano castelli o manieri su cui governare. Un delegato americano, dice Turchin, è il numero degli avvocati). i dati vengono inseriti, dopo il vaglio di Turchin e degli specialisti del periodo storico in esame, offrono suggerimenti rapidi e potenti sui fenomeni storici.

Gli storici della religione hanno riflettuto a lungo sulla relazione tra l'ascesa di una civiltà complessa e la fede negli dei, in particolare negli "dei moralisti", il tipo che ti rimprovera per il peccato. L'anno scorso, Turchin e una dozzina di coautori hanno estratto il database ("record di 414 società che coprono gli ultimi 10.000 anni da 30 regioni del mondo, utilizzando 51 misure di complessità sociale e 4 misure di applicazione soprannaturale della moralità") per rispondere la domanda in modo conclusivo. Hanno scoperto che le società complesse hanno maggiori probabilità di avere dei moralizzatori, ma gli dei tendono a iniziare a rimproverare dopo che le società diventano complesse, non prima. Man mano che il database si espande, tenterà di rimuovere più domande dal regno della speculazione umanistica e di rinchiuderle in un cassetto contrassegnato come risposta .

Una delle conclusioni più sgradite di Turchin è che le società complesse nascono dalla guerra. L'effetto della guerra è quello di premiare le comunità che si organizzano per combattere e sopravvivere, e tende a spazzare via quelle semplici e su piccola scala. "Nessuno vuole accettare che viviamo nelle società che viviamo" - quelle ricche e complesse con università e musei, filosofia e arte - "a causa di una cosa brutta come la guerra", ha detto. Ma i dati sono chiari: i processi darwiniani scelgono società complesse perché uccidono quelle più semplici. L'idea che la democrazia trovi la sua forza nella sua essenziale bontà e miglioramento morale rispetto ai suoi sistemi rivali è altrettanto fantasiosa. Invece, le società democratiche prosperano perché hanno il ricordo di essere state quasi cancellate da un nemico esterno. Hanno evitato l'estinzione solo attraverso un'azione collettiva, e il ricordo di quell'azione collettiva rende la politica democratica più facile da condurre nel presente, ha detto Turchin. "C'è una correlazione molto stretta tra l'adozione di istituzioni democratiche e il dover combattere una guerra per la sopravvivenza".

Altrettanto sgradita: la conclusione che presto ci sarebbero stati disordini civili e che potrebbero arrivare al punto di mandare in frantumi il Paese. Nel 2012, Turchin ha pubblicato un'analisi della violenza politica negli Stati Uniti, sempre a partire da un database. Ha classificato 1.590 incidenti - rivolte, linciaggi, qualsiasi evento politico che abbia ucciso almeno una persona - dal 1780 al 2010. Alcuni periodi sono stati placidi e altri sanguinosi, con picchi di brutalità nel 1870, 1920 e 1970, un ciclo di 50 anni. Turchin esclude l'ultimo incidente violento, la guerra civile, come un "evento sui generis". L'esclusione può sembrare sospetta, ma per uno statistico, "tagliare i valori anomali" è una pratica standard. Storici e giornalisti, al contrario, tendono a concentrarsi sui valori anomali - perché sono interessanti - e talvolta perdono le tendenze più grandi.

Alcuni aspetti di questa visione ciclica richiedono di riapprendere parti della storia americana, con particolare attenzione al numero delle élite. L'industrializzazione del Nord, a partire dalla metà del XIX secolo, dice Turchin, ha arricchito un gran numero di persone. La mandria d'élite fu abbattuta durante la Guerra Civile, che uccise o impoverì la classe meridionale degli schiavi, e durante la Ricostruzione, quando l'America subì un'ondata di omicidi di politici repubblicani. (Il più famoso di questi è stato l'assassinio di James A. Garfield, il ventesimo presidente degli Stati Uniti, da parte di un avvocato che aveva richiesto ma non ricevuto un incarico politico.) Non è stato fino alle riforme progressiste degli anni '20, e dopo il New Deal, quella sovrapproduzione d'élite in realtà rallentò, almeno per un po '.

Questa oscillazione tra violenza e pace, con la sovrapproduzione d'élite come primo cavaliere dell'apocalisse americana ricorrente, ha ispirato la previsione del 2020 di Turchin. Nel 2010, quando la Natura ha intervistato gli scienziati sulle loro previsioni per il prossimo decennio, la maggior parte ha preso il sondaggio come un invito ad auto-promuovere e ad entusiasmare, sognante, i prossimi progressi nei loro campi. Turchin ribatté con la sua profezia di sventura e disse che niente di meno che un cambiamento fondamentale avrebbe fermato un'altra svolta violenta.

Le prescrizioni di Turchin sono, nel complesso, vaghe e non classificabili. Alcuni suonano come idee che potrebbero essere venute dalla senatrice Elizabeth Warren - tassare le élite finché non ce ne saranno meno - mentre altre, come un appello a ridurre l'immigrazione per mantenere alti i salari per i lavoratori americani, assomigliano al protezionismo trumpiano. Altre politiche sono semplicemente eretiche. Si oppone, ad esempio, all'istruzione superiore orientata alle credenziali, che secondo lui è un modo per produrre élite di massa senza anche produrre lavori d'élite di massa da occupare. Gli architetti di tali politiche, mi ha detto, stanno "creando élite in surplus, e alcuni diventano contro-élite". Un approccio più intelligente sarebbe quello di mantenere piccoli i numeri delle élite e i salari reali della popolazione generale in costante aumento.

Come farlo? Turchin dice che non lo sa veramente, e non è compito suo saperlo. "Non penso davvero in termini di politica specifica", mi ha detto. “Dobbiamo fermare il processo incontrollato di sovrapproduzione d'élite, ma non so cosa funzionerà per farlo, e nessun altro lo fa. Aumentate la tassazione? Aumentare il salario minimo? Reddito di base universale? " Ha ammesso che ciascuna di queste possibilità avrebbe effetti imprevedibili. Ha ricordato una storia che aveva sentito quando era ancora un ecologo: una volta il servizio forestale aveva implementato un piano per ridurre la popolazione di coleotteri della corteccia con pesticidi, solo per scoprire che il pesticida ha ucciso i predatori dei coleotteri anche più efficacemente di ha ucciso gli scarafaggi. L'intervento ha prodotto più coleotteri rispetto a prima. La lezione, ha detto, è stata quella di praticare "la gestione adattiva,

Alla fine, spera Turchin, la nostra comprensione delle dinamiche storiche maturerà al punto che nessun governo farà una politica senza riflettere sul fatto che si stia precipitando verso un disastro matematicamente preordinato. Dice che potrebbe immaginare un'agenzia asimoviana che tiene sotto controllo gli indicatori anticipatori e consiglia di conseguenza. Sarebbe come la Federal Reserve, ma invece di monitorare l'inflazione e controllare l'offerta monetaria, avrebbe il compito di evitare il collasso totale della civiltà.

gli storici non hanno , nel complesso, accettato i termini di resa di Turchin con grazia. Almeno dal 19 ° secolo, la disciplina ha abbracciato l'idea che la storia sia irriducibilmente complessa, e ormai la maggior parte degli storici crede che la diversità delle attività umane vanificherà qualsiasi tentativo di elaborare leggi generali, soprattutto predittive. (Come Jo Guldi, uno storico della Southern Methodist University, mi ha detto: "Alcuni storici considerano Turchin il modo in cui gli astronomi considerano Nostradamus.") Invece, ogni evento storico deve essere amorevolmente descritto e le sue idiosincrasie devono essere altri eventi. L'idea che una cosa ne causi un'altra, e che il modello causale possa parlarvi di sequenze di eventi in un altro luogo o secolo, è territorio straniero.

Si potrebbe anche dire che ciò che definisce la storia come un'impresa umanistica è la convinzione che non sia governata da leggi scientifiche - che le parti operative delle società umane non siano come le palle da biliardo, che, se disposte a determinati angoli e colpite con una di forza, invariabilmente si spezzerà proprio così e rotolerà verso una sacca d'angolo di guerra, o una sacca laterale di pace. Turchin ribatte di aver già sentito affermazioni di irriducibile complessità e che la costante applicazione del metodo scientifico è riuscito a gestire quella complessità. Considera, dice, il concetto di temperatura, qualcosa di così evidentemente quantificabile ora che ridiamo all'idea che sia troppo vago da misurare. "Prima che la gente sapesse quale fosse la temperatura, la cosa migliore che potevi fare era dire che sei caldo o freddo", mi ha detto Turchin. Il concetto dipendeva da molti fattori: vento, umidità, differenze umane ordinarie nella percezione. Ora abbiamo i termometri. Turchin vuole inventare un termometro per le società umane che misurerà quando è probabile che si trasformeranno in una guerra.Alla fine, spera Turchin, nessun governo farà una politica senza riflettere sul fatto che si stia precipitando verso un disastro matematicamente preordinato.

Uno scienziato sociale che può parlare con Turchin nel suo argomento matematico è Dingxin Zhao, un professore di sociologia all'Università di Chicago che è, incredibilmente, anche un ex ecologista matematico. (Ha conseguito un dottorato modellando le dinamiche della popolazione del tonchio carota prima di conseguire un secondo dottorato in sociologia politica cinese.) "Vengo da un background di scienze naturali", mi ha detto Zhao, "e in un certo senso sono solidale con Turchin. Se vieni alle scienze sociali dalle scienze naturali, hai un modo potente di guardare il mondo. Ma potresti anche commettere grossi errori. "

Zhao ha detto che gli esseri umani sono solo molto più complicati degli insetti. "Le specie biologiche non strategizzano in modo molto flessibile", mi ha detto. Dopo millenni di ricerca e sviluppo evolutivo, un picchio escogiterà modi ingegnosi per infilare il becco in un albero in cerca di cibo. Potrebbe anche avere caratteristiche sociali: un picchio alfa potrebbe fare in modo che i picchi beta dalle ali forti gli diano i primi piatti sulle termiti più gustose. Ma gli umani sono creature sociali molto più astute, ha detto Zhao. Un picchio mangerà una termite, ma "non spiegherà che lo sta facendo perché è un suo diritto divino". Gli esseri umani tirano continuamente mosse di potere ideologico come questa, ha detto Zhao, e per comprendere "le decisioni di un Donald Trump, o di uno Xi Jinping", uno scienziato naturale deve incorporare la miriade di complessità della strategia umana, delle emozioni e delle convinzioni. "Ho apportato quel cambiamento,

Turchin sta tuttavia riempiendo una nicchia storiografica lasciata vuota dagli storici accademici con allergie non solo alla scienza, ma a una visione grandangolare del passato. Si inserisce in una tradizione russa incline a pensare in modo ampio, pensieri tolstoiani sul percorso della storia. In confronto, gli storici americani sembrano per lo più micro-storici. Pochi oserebbero scrivere una storia degli Stati Uniti, per non parlare di quella della civiltà umana. L'approccio di Turchin è anche russo, o post-sovietico, nel suo rifiuto della teoria marxista del progresso storico che era stata l'ideologia ufficiale dello stato sovietico. Quando l'URSS è crollata, così è stato anche il requisito che la scrittura storica riconoscesse il comunismo internazionale come la condizione verso la quale si stava piegando l'arco della storia. Turchin ha abbandonato del tutto l'ideologia, dice: Piuttosto che piegarsi verso il progresso, l'arco a suo avviso si piega completamente su se stesso, in un ciclo senza fine di boom e bust. Questo lo mette in contrasto con gli storici americani, molti dei quali nutrono la tacita fede che la democrazia liberale è lo stato finale di tutta la storia.

Scrivere la storia in questo modo ampio e ciclico è più facile se ci si allena al di fuori del campo. "Se guardi chi sta facendo queste megahistorie, il più delle volte, non sono storici veri", mi ha detto Walter Scheidel, un vero storico a Stanford. (Scheidel, i cui libri coprono millenni, prende sul serio il lavoro di Turchin e ha anche co-scritto un articolo con lui.) Invece provengono da campi scientifici in cui questi tabù non dominano. Il libro più famoso del genere, Guns, Germs, and Steel(1997), ha visto 13.000 anni di storia umana in un unico volume. Il suo autore, Jared Diamond, ha trascorso la prima metà della sua carriera come uno dei massimi esperti mondiali sulla fisiologia della cistifellea. Steven Pinker, uno psicologo cognitivo che studia come i bambini acquisiscono parti del linguaggio, ha scritto una megastoria sul declino della violenza nel corso di migliaia di anni e sulla fioritura umana dall'Illuminismo. La maggior parte degli storici a cui ho chiesto informazioni su questi uomini - e per qualche ragione la megastoria è quasi sempre un'attività maschile - ha usato termini come lo zimbello e chiaramente tendenziosa per descriverli.

Pinker ribatte che gli storici sono risentiti dell'attenzione che i “burattinai disciplinari” come lui hanno ricevuto per aver applicato metodi scientifici alle discipline umanistiche e per giungere a conclusioni che avevano eluso i vecchi metodi. È scettico sulle affermazioni di Turchin sui cicli storici, ma crede nell'indagine storica basata sui dati. "Data la rumorosità del comportamento umano e la prevalenza di pregiudizi cognitivi, è facile illudersi su un periodo storico o una tendenza scegliendo quale evento si adatta alla propria narrativa", afferma. L'unica risposta è utilizzare set di dati di grandi dimensioni. Pinker ringrazia gli storici tradizionali per il loro lavoro di raccolta di questi set di dati; mi ha detto in una e-mail che "meritano un'ammirazione straordinaria per la loro ricerca originale (" spazzare via la merda del topo dai documenti giudiziari ammuffiti nel seminterrato dei municipi, 'come mi ha detto uno storico). " Non chiede la resa ma una tregua. "Non c'è motivo per cui la storia tradizionale e la scienza dei dati non possano fondersi in un'impresa cooperativa", ha scritto Pinker. “Conoscere le cose è difficile; dobbiamo utilizzare tutti gli strumenti disponibili ".

Guldi, il professore della Southern Methodist University, è uno studioso che ha abbracciato strumenti precedentemente disprezzati dagli storici. È una pioniera della storia basata sui dati che considera le scale temporali oltre una vita umana. La sua tecnica principale è l'estrazione di testi, ad esempio setacciando i milioni e milioni di parole catturate nel dibattito parlamentare per comprendere la storia dell'uso del suolo nell'ultimo secolo dell'impero britannico. Guldi può sembrare una potenziale recluta per la cliodinamica, ma il suo approccio ai set di dati è fondato sui metodi tradizionali delle discipline umanistiche. Conta la frequenza delle parole, piuttosto che cercare di trovare modi per confrontare categorie grandi e sfocate tra civiltà. Le conclusioni di Turchin sono valide quanto i suoi database, mi ha detto, e qualsiasi database che cerchi di codificare qualcosa di così complesso come chi costituisce le élite di una società - quindi cerca di fare confronti simili tra millenni e oceani - incontrerà lo scetticismo degli storici tradizionali, che negano che l'argomento a cui si sono dedicati le loro vite possono essere espresse in formato Excel. I dati di Turchin sono anche limitati alle caratteristiche del quadro generale osservate in 10.000 anni, o circa 200 vite. Secondo gli standard scientifici, una dimensione del campione di 200 è piccola, anche se è tutto ciò che l'umanità ha. o circa 200 vite. Secondo gli standard scientifici, una dimensione del campione di 200 è piccola, anche se è tutto ciò che l'umanità ha. o circa 200 vite. Secondo gli standard scientifici, una dimensione del campione di 200 è piccola, anche se è tutto ciò che l'umanità ha.

Eppure 200 vite sono almeno più ambiziose della media storica competenza di una sola. E la ricompensa per quell'ambizione - oltre ai diritti di vantarsi per aver potenzialmente spiegato tutto ciò che è mai accaduto agli esseri umani - include qualcosa che ogni scrittore desidera: un pubblico. Pensare in piccolo raramente ti fa citare il New York Times . Turchin non ha ancora attirato il pubblico di massa di Diamond, Pinker o Harari. Ma ha attirato intenditori di catastrofi politiche, giornalisti ed esperti in cerca di grandi risposte a domande urgenti e veri credenti nel potere della scienza per vincere l'incertezza e migliorare il mondo. Ha sicuramente superato la maggior parte degli esperti di coleotteri.

Se ha ragione, è difficile vedere come la storia eviterà di assimilare le sue intuizioni, se può evitare di essere abolita da esse. In privato, alcuni storici mi hanno detto che considerano gli strumenti che usa potenti, anche se un po 'rozzi. La Cliodinamica fa ora parte di una lunga lista di metodi che sono arrivati ​​sulla scena promettendo di rivoluzionare la storia. Molte erano mode passeggere, ma alcune sono sopravvissute a quella fase per prendere il loro giusto posto in un kit di strumenti storiografici in espansione. I metodi di Turchin hanno già dimostrato la loro potenza. La ciclodinamica offre ipotesi scientifiche e la storia umana ci darà sempre più opportunità di verificare le sue previsioni, rivelando se Peter Turchin è un Hari Seldon o un semplice Nostradamus. Per il mio bene, ci sono pochi pensatori che sono più ansioso di vedere smentiti.