L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 24 aprile 2021

NON CI SI DEVE CURARE IN CASA

“Tachipirina e vigile attesa”, è un ordine!
Maurizio Blondet 23 Aprile 2021

Ricapitolo: a marzo, il TAR sospende il protocollo “Tachipirina e vigile attesa” (in atto dal dicembre 2020 per volontà AIFA – che porta i pazienti all’intubazione e alla morte), su ricorso dei medici che dimostrano che il Covid è da curare a casa con aulin e aspirina (anti-infiammatori: il contrario della tachipirina) idrossiclorochina, antibiotico, eparina se occorre..

L’’8 aprile il Senato, vota all’unanimità sul fatto, impegnando il governo a rivedere il protocollo vigile attesa e a modificare le linee guida per una vera terapia domiciliare Covid che non prevedesse

Invece, Speranza col suo ministero e l sua AIFA – col consenso di Draghi – ricorrono contro la decisione del TAR al Consiglio di Stato, l’istanza superiore della giustizia amministrativa, per far rimettere “tachipirina e vigile attesa” come unica strada da seguire ai primi sintomi: evidente volontà di convogliare i malati negli ospedali e terapie intensive, dove le “cure” tardive non servo che ad aumentare il numero dei “morti per Covid” quotidianamente snocciolati dai media.

Il Consiglio di Stato ha accolto il ricorso di AIFA-Speranza: si torna a “Tachipirina e vigile attesa” come approccio unico ed obbligatorio al virus corona.

Patroni Griffi, messo a quel posto da Mario Monti-Letta

En passant, il presidente del Consiglio di Stato, “Il magistrato Filippo Patroni Griffi”, è indagato per il reato di “induzione indebita”: “Per i pm ha fatto pressioni per favorire un’amica”, scrive Il Fatto Quotidiano.

Dunque perfetto il titolo e l’articolo che dice:


“Questo atteggiamento non può non essere una precisa strategia politica del governo Draghi che ha confermato pubblicamente la sua fiducia a Speranza, non può che essere il risultato di una programmazione che vede nella cura precoce del Covid un ostacolo al raggiungimento di certi scopi. Quali? Sicuramente il vaccino che deve essere il primo e unico obiettivo delle attuali politiche sanitarie.

Domande da fare non più a Speranza, ma a Draghi:

Perché uno come lei s’è ridotto a leccare le suole delle scarpa a Speranza? In base a quale motivo e ordinamento lei gli fa da subalterno? E en passant:

– perché è contrario alle cure domiciliari? – perchè vuole impedire agli italiani di curarsi? – perché vuole riempire gli ospedali, le terapie intensive e le casse da morto? – perché vuole portare questo paese al disastro?

Il Tar annichilisce la VIGILE ATTESA e allora il governo le istituzioni si appellano al Consiglio di Stato: NON CI SI DEVE CURARE A CASA!

Ricorre al Tar il ministero della malattia


La notizia dovrebbe fare scandalo, e mostrare il vero volto del governo Draghi, ovvero un cinico venditore di vaccini che se ne frega totalmente della salute dei cittadini: ma dal momento che la grande maggioranza degli italiani si è scoperta inguaribilmente suddita, non in grado di ribellarsi, ma solo di supplicare o al massimo di cercare quei compromessi al ribasso come se fossimo in un passato che proprio la dittatura sanitaria ha spazzato via. Così assistiamo all’incredibile: Il ministero della Salute, guidato da Senza Speranza, e l’Agenzia italiana del farmaco hanno presentato ricorso al Consiglio di Stato contro l’ordinanza con la quale il Tar del Lazio, il 4 marzo scorso, aveva stabilito che i medici nel trattamento dei pazienti positivi al coronavirus potessero «prescrivere i farmaci che essi ritengono più opportuni secondo scienza e coscienza» senza necessariamente attenersi ai protocolli Aifa che prevedono che le cure domiciliari si basino sulla somministrazione di tachipirina e “vigile attesa”. Insomma bisogna assolutamente distribuire vaccini oppure ospedalizzare, fare cioè quello che fa intascare soldi a Big Pharma, riempire le tasche della burocrazia sanitaria e provocare decessi per mancata assistenza o per interventi troppo procrastinati nel tempo quando invece esiste una panoplia di farmaci molto efficaci, assai più dei vaccini, per fermare la presunta pandemia. Il divieto di cura, come mi è capitato di dire qui non è una scelta medica, ma un ideologia costruita negli anni dalle case farmaceutiche e tendente essenzialmente a considerare i trattamenti medici non dal punto di vista dell’efficacia e della salute, ma da quello della remuneratività e del profitto. Oltretutto cure efficaci e a basso costo non sono in grado di creare quell’atmosfera di angoscia e di rassegnazione necessaria ad imporre le ingegnerie sociali, ampiamente illustrate dai think tank pandemico globalisti.

Il Comitato Cure Domiciliari Covid-19, ovvero l’associazione di medici che aveva presentato il ricorso in favore delle cure domiciliari che era stato accolto dal Tar sottolinea come il ricorso vada contro le fondamenta stesse delle cure domiciliari che hanno bisogno della “libertà dei medici di fare riferimento alla propria esperienza e formazione per curare i pazienti con libertà prescrittiva dei farmaci ritenuti più efficaci e la necessità di agire tempestivamente, ovvero entro le prime 72 ore” e non va dimenticato che la validità dei trattamenti domiciliari è ormai ampiamente dimostrata, non solo da diverse ricerche scientifiche, ma anche dall’esperienza di molti paesi che proprio attraverso migliori protocolli di cure domiciliari hanno ottenuto livelli di contagio e tassi di mortalità ben al di sotto di quelli italiani.

In condizioni mentali normali chiunque si renderebbe conto che si tratta di una scelta scellerata e pericolosa specie per le persone anziane e/o afflitte da altri gravi patologie, tanto più che ormai è noto il rischio dei vaccini in queste condizioni e comunque la loro scarsa copertura temporale per cui già si prevendono almeno due anno di vaccinazioni continue e a ripetizione . Questo significa alla fine più ospedalizzazioni e più rischi visto che almeno 50 mila persone l’anno muoiono per infezioni ospedaliere. Ma diciamolo pure: la paura rende stupidi, disposti ad asseverare qualunque sciocchezza che viene fatta grottescamente passare per scienza, soprattutto agli occhi di coloro che non sanno nemmeno lontanamente cosa sia la medesima e la confondono con il principio di autorità, vedi Luca Carbone, La pandemia gesuitica . Così un governo che nasce e vive di pandemia, che deve vaccinare tutti e tenerli ugualmente rinchiusi per evitare l’esplosione di proteste una volta che anche l’ultimo degli orbi si sarà accorto che non esistono ristori i orbi, nega le cure ai chi è malato e considera malato chi è sano. Arrivare al punto di ricorrere nei tribunali contro le possibilità di cure rappresenta il massimo dell’abiezione e credere in tutto questo significa arrivale al massimo della stupidità da panico.

Proibire di uscire di casa dopo le 22.00 è l'assurdo dell'assurdo

La notte è piccola per noi

Anna Lombroso per il Simplicissimus


La notte è piccola per noi, troppo piccolina, cantavano profeticamente le due gemelle che a dispetto della sensualità di un manico di scopa, furono costrette a indossare mutandoni e collant neri coprenti, per via dell’immagine del messaggio peccaminoso che minacciavano di trasmettere.

Sarà per via delle radici confessionali dell’Europa, sarà per via della credenza diffusa che non si possa non dirsi cristiani, sarà per via del fatto che tutto è più gustoso se il piacere è più appagante quando si combina con la trasgressione, e si agisce al buio e nella clandestinità, se si cade in peccato veniale o mortale, di pensiero o della carne, preferibilmente di notte. Tanto che, a parte i posseduti dalla lussuria, anche gli impenitenti della gola si avventano sul barattolone della Nutella in compagnia di Moretti o sulla trippa surgelata insieme a Fantozzi nelle stesse ore in cui Dracula succhia dal collo candido della vergine.

Quindi non è ipotetico che anche l’empia colpa di assembramento sia più viziosa e produca effetti più nefasti, sia di carattere sanitario che morale, dopo il crepuscolo. E siccome gli esecutivi che si succedono sono molto compresi di questo aspetto, dovendo governare una massa fanciullesca e indisciplinata, persuaderla al bene anche con mezzi coercitivi che prevedono i sistemi educativi dei collegi militari, si può interpretare in questo senso l’applicazione a tempo indeterminato del coprifuoco, suggestiva evocazione bellica con ronde, lampadine oscurate, parole d’ordine e Radio Londra attaccata all’orecchio.

Ed è un indicatore di immatura irresponsabilità il malumore di cittadini e esercenti di pubblici locali pretenderebbero di allungare almeno di un’ora il periodo di «libera circolazione» chiudendo tutto alle 23, dal momento che la cena sarà possibile “solo all’aperto e mantenendo il doveroso distanziamento”. Apriti cielo, immediata la risposta del Comitato tecnico scientifico che in una tempestiva nota ha illustrato come «alla luce delle situazione epidemiologica attuale e in una strategia di mitigazione del rischio di ripresa della curva epidemica, si ritiene opportuno che venga privilegiata una gradualità e progressività di allentamento delle misure di contenimento, ivi compreso l’orario d’inizio delle restrizioni di movimento», dando la parola all’immunologo Sergio Abrignani, che con quel simpatico piglio che lo accomuna ai millenaristi medievali lancia il suo anatema: «A livello nazionale dare un’ora in più a milioni di persone per interagire vuol dire dare milioni di chance in più al virus di circolare».

Ovviamente l’intento è quello di limitare le interazioni sociali tra i target più dinamici, più sociali, quelli che si muovono di più e che saranno gli ultimi ad essere vaccinati.

Così come dei padri lungimiranti ma severi, solo apparentemente fuori moda a vedere recenti esternazioni di genitori troppo indulgenti, le nostre autorità prescrivono che la popolazione giovanile non possa munirsi di passaporto vaccinale, a meno di non reiterare quotidianamente il tampone, rientri come le collegiali dei libri di Liala alle 10, ora nella quale un tempo si sceglieva pigramente la discoteca cui recarsi intorno a mezzanotte, vada in gita scolastica seduta davanti al Pc, mostri indole disciplinata imbavagliandosi e pure bendandosi durante le interrogazioni della Dad, eviti qualsiasi commercio carnale , riti di iniziazione superficiale compresi, evitando così il rischio di eccessi di esuberanze condannabili sia pure da un pubblico minoritario, insieme a quello del contagio.

Il Corriere della Sera azzarda timidamente che non è facile “capire quanto sia efficace il solo coprifuoco dal momento che altre misure per contenere il contagio vengono adottate contemporaneamente: mascherine, lavaggio mani, distanziamento sociale” e riporta le previsioni rovinologiche di chi immagina ammucchiate all’aperto di gioventù bruciata che non torna a casa, dorme avviluppata in mucchi selvaggi all’addiaccio, dopo qualche sabba e qualche rave party. Antonella Viola, immunologa, professoressa ordinaria di Patologia generale all’Università di Padova, addirittura arrischia: «Spostare il coprifuoco di 1 ora, alle 23, permetterebbe ai ristoratori di affrontare con maggiore fiducia la ripartenza. Così come aiuterebbe il mondo dello spettacolo, duramente colpito dalle restrizioni. E non cambierebbe invece nulla dal punto di vista dei contagi, a patto che continuino i controlli. Sono piccoli passi che vanno incontro alle esigenze di tante persone e che farebbero la differenza», mettendo in luce il pericolo che rischio “con i tempi ridotti tutti si vedano alle stesse ore, senza possibilità di “spalmare” gli avventori di bar e ristoranti”.

E il professor Ira Longini esperto di biostatistica ed epidemiologia delle malattie infettive presso l’Emerging Pathogens Institute dell’Università della Florida sostiene che le prove sull’efficacia del coprifuoco sono tutto fuorché evidenti, anche perché se i locali sono chiusi non è che si possa impedire ad una famiglia di fare una passeggiata, “ tenuto conto che il virus prospera al chiuso” e la maggior parte dei contagi avverrebbe proprio all’interno delle mura domestiche, finora esibite come la trincea difensiva scavata per fermare l’invasione del nemico invisibile, come registrerebbero i dati accertati nella provincia di Wuhan a inizio epidemia, secondo i quali coprifuoco e lockdown avrebbero sortito un effetto paradossale, riducendo la trasmissione all’interno della comunità ma aumentando il rischio di contagio nelle famiglie.

Macché, rintuzza una ricerca extraeuropea. Sono gli inglesi a aver condotto un’analisi in sette paesi del continente secondo la quale il coprifuoco avrebbe un effetto “moderato ma statisticamente significativo” perché porta a una riduzione dell’indice di riproduzione Rt del 13%, con un effetto “molto simile all’uso delle mascherine nei luoghi pubblici”.

E pensate che successo si otterrebbe combinandoli insieme tutti questi accorgimenti: stare a casa, ma distanti, senza parlare, senza litigare, o cantare per via dei funesti droplets, con bavaglio, guanti in lattice, sanificandosi e tamponandosi a vicenda in sostituzione di più temerari congiungimenti, viaggiando, studiando e lavorando ognuno davanti al suo pc disinfettato scrupolosamente, in un prudente e salutare solipsismo.

Che poi è quello che vogliono le “autorità” da sempre, quando adottano e applicano leggi troppo restrittive, troppo severe, criptiche e della cui efficacia è lecito dubitare: esasperare la gente, condurla inevitabilmente alla disobbedienza e alla trasgressione, in modo da poterla incolpare della rovinosa caduta nel precipizio che hanno scavato per quelli che scivolano giù dalle impalcature delle piramidi di ieri e di oggi.

Stati Uniti, chiudono i centri di vaccinazione, passata l'ondata dei si ai vaccini ad ogni costo una grande massa rifiuta

Negli USA le vaccinazioni record frenano: quale messaggio per la Fed?

24 Aprile 2021 - 13:00

Stando a Forbes, in tutti gli Usa chiudono i centri vaccinazione a causa della scarsa richiesta. E se l’effetto Johnson&Johnson innescato dallo stop deciso dalla FDA ha inciso, le sempre maggiori tensioni di mercato sembrano giovare da un raffreddamento della ripresa. Soprattutto, alla luce della minaccia di taper della Fed e legata all’immunità di gregge.


A lanciare l’allarme non è stato un blog di complottisti ma l’autorevole ed establishment rivista Forbes nel suo ultimo numero: l’America delle vaccinazioni record e dell’immunità di gregge a portata di mano pare aver cambiato atteggiamento.

E in maniera decisamente repentina, quantomeno stando al numero di centri vaccinali di massa chiusi nell’ultima settimana da autorità locali e federali.

La ragione? Scarsa domanda. Ad esempio a Palm Beach in Florida, dove tre siti con enorme capacità di somministrazione sono stati bloccati e sostituiti da più piccole unità mobili, dopo che negli ultimi otto giorni hanno operato al di sotto del 50% dei volumi attesi. Lo stesso a Clarkesville in Georgia e Summit County in Ohio, quest’ultimo caso particolarmente eclatante, poiché la struttura è stata chiusa prima dell’inaugurazione attesa per il 27 aprile. Troppe poche richieste. E poi Williamson e Galveston in Texas, Las Vegas in Nevada, Cascade County in Montana.

E anche in Stati dove per ora non si segnalano chiusure ufficiali come Idaho, Missouri, Alabama e Maine, il numero di prenotati è drasticamente calato. Addirittura, Larry Hogan, governatore del Maryland, ha preannunciato che avanti di questo passo, molto presto chiuderemo i centri con maggiore capacità. E se a Waukesha County in Wisconsin, la decisione di terminare con anticipo le operazioni è legata al raggiungimento del target massimo previsto di dosi somministrate, nel resto del Paese l’effetto Johnson&Johnson pare aver operato da freno.

E questi due grafici

Bloomberg/CivicScience
Bloomberg

mostrano una realtà che difficilmente trova spazio nelle cronache: stando all’ultimo sondaggio condotto da CivicScience, il 37% degli americani che non ha ancora ricevuto la prima dose di vaccino, direbbe di no alla somministrazione se questa fosse immediatamente disponibile.

E se quasi un altro 20% si trincera dietro un I’m not sure che tradisce quantomeno scetticismo, a impressionare è il tonfo della linea blu relativa alla risposta sì, lo farei immediatamente.

Il secondo grafico, poi, mostra come siano i Millennials e la cosiddetta Generazione Z a operare maggiormente da vento contrario verso quell’immunità di gregge, la stessa che alcune banche d’affari come JP Morgan davano già per certa sul finire della primavera.

Quindi, persone mediamente acculturate, informate anche attraverso canali innovativi, attivi nella cosiddetta chattering society e tutt’altro che ascrivibili al novero di negazionisti per puro spirito di contrarietà politica all’attuale amministrazione.

Un bel problema. O forse no. Perché questa doccia fredda arriva con tempismo sbalorditivo a ridosso del Comitato monetario della Fed, previsto per il 27 e 28 aprile prossimi e destinato a dire qualcosa di concreto al mercato rispetto al Qe e ai tassi di interesse, stante anche lo shock innescato sulle equities dall’anticipazione di Bloomberg rispetto all’intenzione di Joe Biden di raddoppiare la tassa sul capital gain per finanziare parte del suo piano infrastrutturale.

E nonostante l’apparente calma, sotto traccia sono molte le criticità che si agitano. In primis, il timore per un balzo dell’inflazione certificato dalla decisione del CME Group di aumentare i margini di mantenimento di posizioni futures sul mais del 13,3% in un solo colpo a partire dal 1 maggio, portandoli dagli attuali 1.500 dollari per contratto a 1.700.

Per quanto la Fed possa derubricare la questione a fiammata passeggera, qualcosa suggerisce che tale non sarà. Quantomeno nella prezzatura incorporata dalle richieste di mercato. Non a caso, Jerome Powell ha anticipato tutti, parlando chiaramente di una decisione sui tassi che non si baserà sulle variazioni contingenti dei prezzi, bensì sulle dinamiche occupazionali.

Insomma, la Fed ragionerà su un ritocco all’insù dei tassi solo quando verrà raggiunto il livello di occupati pre-Covid: calcolando un trend record di 500.000 nuovi posti al mese, comunque sia fino all’autunno 2022 il mercato dovrebbe sentirsi rassicurato.

Ma anche dietro a questa dinamica si nasconde una criticità, come mostrano questi due grafici.
S Congressional Budget Office
US Treasury/BLS

Se infatti i conti correnti di milioni di americani stanno già beneficiando del ricco assegno federale in seno al piano di sostegno da 1,9 trilioni di dollari, il timore sta nell’effetto day after: di quella cifra monstre, infatti, oltre i due terzi verrà erogata entro settembre, dando vita a uno shock salariale da welfare che si è già sostanziato con il dato record delle vendite al dettaglio di marzo ma che potrebbe svanire in fretta con l’autunno.

Lasciando psicologicamente campo libero all’altra faccia della medaglia del piano Biden, quella appunto del salasso fiscale già bocciata dagli indici di Wall Street. E con 17 milioni di americani che ancora beneficiano di un sostegno di disoccupazione, il secondo grafico mette drammaticamente in prospettiva la dinamica in progress: oltre il 23% del reddito medio degli statunitensi oggi dipende dalla cosiddetta transfer window federale, ovvero da programmi più o meno emergenziali di aiuto.

Quale effetto potrebbe innescare il combinato di una fiammata inflattiva su un potenziale, drastico ridimensionamento del livello salariale e quindi del potere di acquisto di decine di milioni di cittadini?

Ed ecco come, paradossalmente, il rallentamento della campagna vaccinale può operare da assist per la Banca centrale.

James Bullard, presidente della Fed di St. Louis, non più tardi di dieci giorni fa aveva infatti suscitato scalpore e attenzione con la sua lettura del dato macro statunitense: Al netto della ripresa sostenuta e del piano Biden, quando verrà raggiunto il 75% di tasso di vaccinazione, è giusto che la Federal Reserve cominci a discutere di un ritiro graduale del suo piano di intervento. Tradotto, taper del Qe.

Il terrore principale dei mercati, come testimoniato dall’ultimo sondaggio di Bank of America fra i gestori di fondi e, soprattutto, da questo grafico:

Bloomberg

nella settimana appena conclusa e sfruttando l’onda lunga delle trimestrali, infatti, le banche Usa hanno letteralmente inondato il mercato di emissioni obbligazionarie, spedendo gli swap spreads sulla scadenza decennale nuovamente in territorio negativo.

Di fatto, la diretta conseguenza delle parole di James Bullard e l’anticipazione di una possibile summer surprise legata al successo vaccinale. Magari da comunicare trionfalmente al mondo nel corso del meeting di Jackson Hole ad agosto. E questo ultimo grafico

Société Générale

mostra il perché la Fed non possa minimamente pensare a un ridimensionamento non solo dei controvalori del proprio programma di acquisto obbligazionario ma nemmeno a una normalizzazione dei criteri di classificazione del collaterale accettato per operazioni di finanziamento.

La capitalizzazione di mercato a livello globale di aziende che hanno presentato profitti negativi nell’ultimo o negli ultimi tre anni, oggi è al massimo dal 1999. L’infausto anno della dilatazione esiziale e terminale della bolla tech.

Insomma, un mondo di zombie firms che necessitano di finanziarsi a tassi zero e con un prestatore di ultima istanza garantito e di cittadini ormai dipendenti dall’assistenzialismo dei programmi pandemici ha bisogno che l’emergenza non finisca troppo in fretta.

Per puro caso, la solitamente pragmatica FDA ha bloccato dalla sera alla mattina il vaccino Johnson&Johnson dopo soli 6 casi di eventi avversi su milioni di somministrazioni. E a tutt’oggi, lo mantiene in stand-by, nonostante il via libera dell’EMA, ente fino ad oggi invece caratterizzato da una cautela quasi ossessiva. E le chiusure di massa dei centri vaccinali di quest’ultima settimana negli Usa paiono confermare una correlazione difficilmente smentibile. Via libera, Jerome!

La Svezia ha trattato il covid per quello che era una influenza più virulenta di altre e i risultati gli danno ragione. A settembre del 2019, quindi prima della narrazione pandemica l'economia mondiale arrancava formalizzata a settembre di quell'anno negli Stati Uniti dall'intervento della Fed che ha iniziato a iniettare miliardi al giorno nel sistema economico-finanziario

Come andrà l’economia svedese post pandemia

24 aprile 2021


Che cosa succederà alla Svezia? Ecco l’opinione dell’analista svedese di macroeconomia Johan Carlström (con trascorsi su Bloomberg e Cnbc)

Vediamo cosa accade all’economia della Svezia, un Paese della Ue che si è distinto dagli altri per non aver messo in atto particolari restrizioni della libertà personale e di impresa durante la pandemia. Molte luci ma, secondo l’analista svedese di macroeconomia Johan Carlström (con trascorsi su Bloomberg e Cnbc) è probabile che il problema più grande dell’economia svedese sia diventato ancora più grande.
[Tratto dal quotidiano Svenska Dagbladet del 16 aprile]

L’economia svedese ha ottenuto risultati migliori rispetto a molti altri paesi durante la crisi del Covid. Ma non tutto è oro e foreste verdi: nonostante i massicci sforzi per salvare i posti di lavoro in Svezia, la disoccupazione è aumentata notevolmente.

La crisi del covid ha lasciato profonde cicatrici sull’economia svedese, che lo scorso anno ha attraversato una decrescita di quasi il 3%, la seconda più grande battuta d’arresto in un solo anno dalla seconda guerra mondiale. Ma allo stesso tempo abbiamo molto di cui essere felici.

In primo luogo, la Svezia ha fatto meglio di quanto molti economisti inizialmente temevano. Nella fase iniziale della crisi, la Riksbank ha presentato due scenari. Nella migliore delle ipotesi, l’economia avrebbe dovuto ridursi di quasi il 7% nel 2020 e nel peggiore di quasi il 10%, ovvero quasi quattro volte di più rispetto alla fine.

Anche l’economia svedese ha dovuto attraversare una decrescita notevole rispetto alla maggior parte degli altri paesi comparabili. In Germania e nel Regno Unito, l’economia si è ridotta di quasi il doppio e di cinque volte rispetto alla Svezia. Nell’area dell’euro la produzione è diminuita di quasi il 7%.

Anche l’economia statunitense è andata leggermente peggio dell’economia svedese, nonostante il pacchetto di sostegno molto più ampio su cui ha potuto contare il paese.

Il fatto che la Svezia abbia fatto meglio degli altri è dovuto a una serie di cose. Ad esempio, la nostra società è più connessa e digitalizzata. Ha reso più facile lavorare da casa. Inoltre, abbiamo una grande industria manifatturiera. Quel settore è andato molto meglio durante la crisi rispetto, ad esempio, all’industria del turismo.

Il risultato è che l’economia svedese probabilmente si riprenderà con il botto quest’anno e il prossimo. La previsione del governo è che la Svezia produrrà tanti beni e servizi quanti ne producevamo prima della crisi già alla fine di quest’anno, dopo che la ripresa avrà preso più velocità in autunno e il prossimo inverno.

Ciò è positivo per le finanze dello Stato, che sono ancora quasi le migliori in Europa, nonostante il fatto che i sostegni per il covid ricevuti da parte del governo dopo il bilancio primaverile ammontino a poco più di 400 miliardi di corone svedesi. Secondo il governo, il debito del governo centrale aumenterà dal 35 per cento a circa il 40 per cento del Pil. È molto, ma bisogna ricordare che il debito medio nell’Ue è il doppio. Anche i pacchetti di supporto hanno dato risultati.

Il Fondo monetario internazionale (Fmi) prevede che il danno all’economia mondiale sarebbe stato tre volte maggiore senza le varie operazioni di salvataggio degli Stati.

La Svezia ha anche qualcos’altro di cui rallegrarsi nel post pandemia. Il numero di fallimenti svedesi è stato significativamente inferiore a quanto temuto lo scorso anno, anche leggermente inferiore a quello dell’anno precedente.

Ma non tutto è oro e foreste verdi. Quando giovedì il ministro delle Finanze Magdalena Andersson ha presentato il bilancio di primavera del governo, ha affermato che ci sono tre questioni che permeano la politica del governo: lavoro, lavoro e lavoro.

Ma nonostante i massicci sforzi per salvare i posti di lavoro svedesi, la disoccupazione è aumentata notevolmente in Svezia durante la crisi. La percentuale della popolazione adulta che lavora è certamente la seconda più alta nell’Ue. Allo stesso tempo, la disoccupazione è passata da poco più del 6 a quasi il 9 per cento negli ultimi due anni. La percentuale di svedesi a cui manca un lavoro è ora pari a quando la disoccupazione ha raggiunto il picco dopo la crisi del 2010.

La situazione peggiore continua ad essere per i giovani del paese (15-24 anni), gli svedesi nati al di fuori dell’Europa e le persone senza istruzione secondaria superiore. Tra questi ultimi due, più di uno su quattro non ha un lavoro.

Fortunatamente, è probabile che la disoccupazione diminuisca gradualmente dopo la revoca delle restrizioni. Ma anche il ministro delle Finanze ha avvertito l’altro giorno che la disoccupazione tra i gruppi vulnerabili continuerà ad essere alta.

Allo stesso tempo, all’inizio di questa settimana, il servizio pubblico svedese per l’impiego ha avvertito che la disoccupazione di lunga durata aumenterà. Dall’inizio della pandemia, il numero di persone che sono state senza lavoro per più di un anno è aumentato di quasi il 20%.

Quasi la metà di tutti i disoccupati sono di lunga durata e il numero rischia di salire a oltre 200.000 entro la fine dell’anno, secondo il servizio pubblico svedese per l’impiego. Si tratta, ad esempio, di persone che hanno precedentemente lavorato nel commercio e nell’amministrazione il cui lavoro non tornerà quando l’economia diventerà sempre più digitalizzata.

Il governo è salito al potere quasi sette anni fa con l’ambizione di ridurre la disoccupazione al livello più basso dell’Ue entro il 2020. Da allora è successo quasi il contrario. All’inizio di quest’anno, la Svezia aveva il quinto tasso di disoccupazione più alto dell’Ue.


E' censura - decine di post di Antonino Galloni sono stati cancellati anche dopo anni in quanto esprimevano/esprimono concetti e proposte contrastanti il Pensiero Unico in economia. L'influenza covid è la foglia di fico per uniformare, OMOLOGARE le idee alle catene di comando che dominano in Occidente

La guerra di YouTube contro la disinformazione su Covid e vaccini

24 aprile 2021


Ecco come la piattaforma video di Google sta contrastando le fake news su pandemia, vaccini e non solo

Da quando è iniziata la pandemia rimossi da YouTube più 850mila video per violazione della policy su disinformazione e Covid, di cui 30mila nell’ultimo trimestre del 2020 per violazione alla policy relativa ai vaccini.

La piattaforma video di Google è aperta ma le informazioni devono essere utili e di qualità, soprattutto quando si tratta di pandemia e crisi sanitaria. Ecco perché la responsabilità è una priorità per YouTube.

500 ore di contenuti caricati al minuto, un pubblico mondiale, con opportunità diretta di interazione tra i creatori di contenuti e gli utenti, l’unico modo di trovare un giusto bilanciamento tra la piattaforma aperta e le possibili conseguenze per i creatori di contenuti è avere chiare policy, ha spiegato Marco Pancini, Director Public Policy EMEA di YouTube.

Ovvero ferme regole di condotta che fissano quello che può essere caricato e quello che non può essere caricato.

Le policy sulla disinformazione che esistevano già prima del Covid-19 oggi seguono le attività delle autorità mondiali e locali.

Inoltre in Europa tutto si svolge in collaborazione e sotto l’impulso delle istituzioni europee che assistono la piattaforma. L’obiettivo è assicurare agli utenti un’esperienza sicura.

Il compito di YouTube è fare in modo infatti, alla luce di queste policy, che qualsiasi segnalazione giunga in violazione di queste regole sia presa in considerazione e attentamente analizzata.

Tutti i dettagli
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I QUATTRO PILASTRI DELLA RESPONSABILITÀ PER YOUTUBE

Le quattro azioni principali che YouTube ha intrapreso in relazione ai contenuti si possono riassumere con le “quattro R”, legate al tema della responsabilità: remobe, raise, reduce e reward. Remove, per rimuovere i contenuti in violazione delle policy di YouTube. Raise perché l’idea è di dare priorità e precedenza alle informazioni autorevoli, a maggior ragione in tempi di pandemia. Reduce, ridurre la diffusione di contenuti che, pur non oltrepassando le policy, si avvicinano molto alla soglia delle linee guida. E infine reward, ovvero ricompensare gli utenti che portano un contributo positivo alla community.

Secondo Pancini “se immaginiamo il limite della policy come quello che è accettato e quello che non è accettato, la soglia quando si tratta di monetizzazione è ancora più alta. Vogliamo fare in modo che i contenuti possano monetizzare soltanto se apportano un valore positivo sia alla community sia agli investitori pubblicitari”.

AI TEMPI DI COVID

Con l’affermarsi del Covid, YouTube ha introdotto funzionalità aggiuntive per garantire alle persone informazioni accurate e autorevoli.

Quest’ultime fornite da fonti istituzionali: come l’Oms, il ministero della Salute in Italia e le varie autorità sanitarie nei paesi in cui opera la piattaforma.

In questo modo le autorità ha avuto l’opportunità aggiuntiva di comunicare direttamente con l’audience di YouTube.

Grazie a questi pannelli informativi, la piattaforma video di Google ha fornito 400 miliardi di impressions in tutto il mondo alle autorità sanitarie. Il riquadro relativo al coronavirus è risultato quello più visto in assoluto.

Dal 2018 YouTube ha lanciato un Tranparency Report in cui ogni trimestre si pubblicano i dati relativi ai contenuti rimossi, perché contrari alle policy della piattaforma o alla legge.

Oltre a quella quantitativa, la piattaforma ha aggiunto una dimensione qualitativa: per questo il team di YouTube ha realizzato una nuova metrica, il tasso di visualizzazioni inappropriate (Vvr).

Questa metrica può aiutare a comprendere, non solo quanti contenuti sono rimossi, ma anche con quale frequenza gli utenti di YouTube sono stati esposti a contenuti non in linea con le policy.

Oltre a rimuovere il contenuto non in linea con la policy della piattaforma, è importante capire quante persone ha raggiunto quel contenuto. Da quando si è iniziato a monitorare il tasso Vvr si è registrata una diminuzione del 70% dell’esposizione a contenuti contrari alle regole di condotta.
TRE FONTI DI SEGNALAZIONE DEI CONTENUTI POTENZIALMENTE ILLECITI

Ma come scatta il controllo sui contenuti che potenzialmente violano le policy di YouTube? Avviene in tre modi. Nel primo caso un utente segnala attraverso un tool il contenuto ritenuto illecito. Nel secondo caso la segnalazione arriva tramite trusted flaggers e autorità che collaborano con YouTube. Queste in particolare sono di altissima qualità in quanto la segnalazione giunge da esperti. La terza fonte di segnalazione è quella attraverso strumenti di machine learning, algoritmi che si basano sulle prime due fonti (segnalazioni dagli utenti e dalle trusted flaggers).

Nell’ultimo periodo, YouTube è stato in grado di identificare il 94% di contenuti in violazione delle policy attraverso i sistemi automatici di segnalazione. E il 75% di questi sono stati rimossi prima che i singoli video superassero le 10 visualizzazioni.

NORME SULLA DISINFORMAZIONE IN AMBITO MEDICO

Anche prima del Covid, YouTube applicava la stessa policy in merito ai contenuti sui vaccini. La piattaforma ha adattato così la sua policy alle linee guida dettate dalle autorità sanitarie. Pertanto, la piattaforma video rimuove contenuti che sostengono tesi su Covid-19 e vaccini che contraddicono il parere di esperti come le autorità sanitarie locali o l’Oms.

Per esempio, Pancini ha sottolineato come sia stato fondamentale seguire il dibattito sorto intorno al Covid in particolare nel caso del collegamento fatto tra il 5G e la pandemia, due eventi non relazionabili con nessuna informazione scientifica a conferma.

RIGUARDO AGLI ANNUNCI

La piattaforma non consente annunci che promuovono contenuti anti-vax, inclusi annunci che scoraggiono gli utenti a ottenere un vaccino anti-Covid.

Inoltre, i contenuti che contraddicono l’opinione degli esperti delle autorità sanitarie locali non possono essere monetizzati sulla piattaforma.

Ma c’è un’eccezione. Sono consentiti infatti i video se è chiaro che intendo essere educativi, documentaristici, scientifici o artistici (Edsa). Questa norma si applica a video, descrizione dei video commenti, live streaming e qualsiasi altro prodotto o funzione di YouTube.

IL CONDICE DI CONDOTTA DELL’UE: “TACKLING COVID-19 DISINFORMATION”

Il lavoro di Youtube contro la disinformazione si inserisce anche nell’ambito della collaborazione con le istituzioni europee.

All’epoca delle elezioni europee è nato il codice di condotta dell’Ue sulla disinformazione, frutto della collaborazione tra Commissione europea, le piattaforme online come Facebook, Google, Microsoft, Twitter e TikTok e società civile finalizzato alla realizzazione di linee guida per poter offrire comunicazione politica sulle piattaforme online in linea con criteri specifici.

Con lo scoppio della pandemia, le istituzioni di Bruxelles hanno incoraggiato le piattaforme online a contribuire alla lotta contro le fake news e altri tentativi di disinformazione rimuovendo i contenuti illegali o falsi. Con l’avvio delle campagne di vaccinazione in tutta l’Ue si sono intensificati gli sforzi per contrastare la disinformazione sui vaccini contro la COVID-19. YouTube si inserisce dunque tra le piattaforme online firmatarie del codice di buone pratiche sulla disinformazione riferiscono periodicamente alla Commissione europea in merito alle loro azioni e misure volte a limitare la disinformazione.

Inutile girarci intono una parte molto consistente di statunitensi non si vuole vaccinare

Vaccino Covid, negli USA parte la caccia a chi non è vaccinato: il grafico della settimana

24 Aprile 2021 - 09:00

Se finora la distribuzione dei vaccini si è scontrata con le carenze dal lato dell’offerta, gli USA devono fronteggiare il problema opposto: come convincere gli indecisi ed i contrari.


Con la campagna vaccinazione che avanza a pieno regime, l’amministrazione Biden ha raggiunto il traguardo dei 200 milioni di vaccini erogati nei primi 100 giorni, negli USA si verso un punto di svolta particolarmente importante: gli “entusiasti” del vaccino si stanno riducendo sempre di più.

La prima economia è arrivata al punto di svolta in cui, terminate le fasce di popolazione che, per necessità di salute o per volontà personale, hanno avuto la priorità, ora serve convincere chi finora, perché indeciso o contrario, non si è vaccinato.

In termini economici, potremmo dire che se finora il problema era stato dal lato dell’offerta, di forniture insufficienti, ora la preoccupazione maggiore riguarda la domanda: occorre convincere chi finora non è stato vaccinato a sottoporsi all’iniezione.

Vaccino Covid: USA ad un punto di svolta

Secondo le indicazioni emerse da un’analisi della società di ricerca KFF, la porzione di americani adulti non vaccinati entusiasti di ricevere il vaccino lo scorso 10 gennaio si attestava in quota 50%. Dopo tre mesi, il dato si avvia verso la soglia dei 15 punti percentuali.


A fronte di questo, cresce la quota di chi non intende vaccinarsi e di chi avanza qualche dubbio sulla necessità o opportunità di vaccinarsi: questo a causa di posizioni anti-vaccino pregresse, di scarsa fiducia nei sieri anti-Covid finora sviluppati e della possibilità che l’immunità di gregge renda l’inoculazione meno utile.

“Le autorità federali, statali e locali, ed il settore privato, si trovano ad affrontare la sfida di capire come incrementare la volontà di essere vaccinati degli indecisi e, magari, di aumentare la quota di quel quinto di adulti che hanno più volte ribadito che non si vaccineranno, o che lo faranno solo se sarà loro imposto”, riporta lo studio.

Birra e ciambelle per chi si vaccina

Eccezion fatta per il siero sviluppato da Johnson&Johnson, occorrono due dosi di vaccino per ottenere l’immunità. Anche a causa di questo, diverse persone potrebbero non ottenere tutta la protezione necessaria.

Per quelli che, passato il punto più buio dell’emergenza, potrebbero saltare la seconda puntura e per gli indecisi (e magari per chi è contrario), un incentivo potrebbe essere utile. Questo potrebbe arrivare sia dal pubblico, e sia da iniziative delle aziende (che ne ricavano in pubblicità).

A chi offrirà la prova di essersi vaccinato, Budweiser ha offerto un credito di 5 dollari mentre la catena di caffetterie Krispy Kreme garantirà una ciambella al giorno per tutto il 2021.

Inoltre, diversi bar hanno attivato la formula dello “shot for a shot”, un drink in cambio di un’iniezione.

Sionisti ebrei e traditori palestinesi accomunati dalla paura del voto

CAOS A GERUSALEMME/ Violenze e voto palestinese, ecco cosa temono Hamas e Netanyahu

Pubblicazione: 24.04.2021 - int. Filippo Landi

L’estrema destra israeliana provoca i palestinesi: violenti scontri a Gerusalemme Est, mentre le elezioni palestinesi rischiano il rinvio per il timore che possa vincere Hamas

Gerusalemme (Lapresse)

Per l’intera notte di giovedì e anche nella mattinata di ieri violenti scontri si sono registrati nella Città Vecchia di Gerusalemme Est, nei dintorni della Porta di Damasco. Dopo almeno una settimana di aggressioni singole nei confronti di palestinesi, sostenitori del movimento di estrema destra Lehava sono scesi per strada gridando “morte agli arabi”, provocandone così la reazione. Feriti almeno un centinaio di palestinesi e una ventina di poliziotti.

Secondo Filippo Landi, ex corrispondente Rai a Gerusalemme, “si tratterebbe degli scontri più violenti registrati a Gerusalemme dal 2015, quando venne ucciso un palestinese e tre giovani ebrei furono rapiti e poi uccisi anche loro”. Scontri, ci ha detto ancora, “che tutti gli esperti hanno definito preparati a tavolino per provocare la reazione palestinese”. In questo quadro, si registra l’intenzione, sembra concordata tra Abu Mazen e Netanyahu con l’approvazione degli Stati Uniti, di rinviare le elezioni parlamentari palestinesi, in programma il prossimo 22 maggio, per il timore che possa vincere l’ala più estremista, Hamas.

Cosa sta succedendo a Gerusalemme? Come mai questa improvvisa esplosione di violenza?

A giudizio di tutti gli osservatori presenti a Gerusalemme si tratta degli scontri più gravi dal 2015, quando un palestinese venne ucciso e tre ragazzi ebrei furono rapiti e poi ritrovati ammazzati. L’analisi ha messo in luce alcuni elementi di novità e anche di profonda preoccupazione.

Quali?

Va detto, innanzitutto, che si è giunti a questi scontri nel giro di una settimana di piccole ma quotidiane aggressioni nei confronti di palestinesi a Gerusalemme Est, ma anche Ovest. Piccole aggressioni che hanno alzato la tensione come non mai e che hanno poi prodotto alcune reazioni gravi, come l’aggressione di un giovane ebreo vicino alla Porta di Damasco. La novità è che questa ultima aggressione è stata rilanciata con un video per invitare giovani e meno giovani del movimento Lehava a scendere in strada, cosa che è avvenuta e che ha interessato il quartiere ortodosso fuori delle mura antiche e poi la Porta di Damasco. Tutto questo indica una volontà a tavolino di provocare incidenti.

Chi rappresenta Lehava? Che forza numerica ha questo movimento?

È un movimento che secondo fonti di polizia avrebbe circa 10mila militanti e che si è caratterizzato negli anni per essersi battuto contro ogni forma di integrazione a Gerusalemme, scagliandosi con forza, all’interno della comunità ebraica, contro ogni ipotesi di matrimoni misti non solo con i musulmani, ma anche fra ebrei e cristiani. Il suo fondamento è la non assimilazione.

Politicamente sostengono Netanyahu?

Diciamo che con l’ingresso in Parlamento dopo le ultime recenti elezioni di un partito di estrema destra che ha raccolto 5 seggi, questo movimento ha ottenuto uno sdoganamento dal punto di vista politico, perché adesso ha un suo punto di riferimento all’interno delle istituzioni.

Torniamo agli incidenti di Gerusalemme. C’è il rischio di una nuova Intifada?

La tensione resta molto alta, perché tutto questo sta accadendo durante il Ramadan. La polizia venerdì, per la prima volta da decenni, ha vietato ai giovani palestinesi di pregare nella piazza antistante la Porta di Damasco, dove per tradizione coloro che hanno meno di 40-50 anni erano costretti a pregare, mentre tutti gli altri potevano salire alla spianata delle Moschee.

Si sono registrati nuovi scontri?

La polizia ha spiegato questa decisione con ragioni di sicurezza, in realtà per la sua iconica durezza ciò ha alimentato il risentimento di una vastissima parte dei giovani palestinesi, che infatti hanno protestato. Ma è stato considerato ingiustificato anche da parte degli israeliani, tranne la polizia.

Pensa ci sia un piano orchestrato dietro questa provocazione degli ebrei?

Sicuramente alla base di questa vicenda c’è un piano per alimentare lo scontro. L’obiettivo può essere anche quello di dare una giustificazione per il rinvio delle elezioni palestinesi.

Ecco, appunto. Si dice che Abu Mazen e Netanyahu si siano accordati per rinviare le elezioni del 22 maggio con il sostegno americano, perché preoccupati della vittoria di Hamas. È così?

In realtà la preoccupazione non riguarda solo Hamas, ma anche il partito di Marwan Barghuthi, storico attivista di Fatah che da 19 anni è in carcere accusato di terrorismo. I sondaggi resi noti il 21 aprile da un importante centro di ricerche di Gerusalemme hanno mostrato due cose.

Quali?

Se il 31 luglio dovessero tenersi le elezioni presidenziali, Barghuthi sarebbe il vincitore, batterebbe alla grande sia Abu Mazen che un candidato di Hamas. Seconda cosa: alle elezioni parlamentari previste il 22 maggio il partito di Barghuthi raccoglierebbe il 10%, altrettanto Hamas e un 20% Fatah, che risulterebbe il vincitore. Il sondaggio ha preoccupato sia Abu Mazen che israeliani e americani, perché sembra sottostimare volutamente il consenso popolare sia di Barghuthi che di Hamas.

Cosa significa tutto questo?

Molta gente, pur dicendo che avrebbe votato, e la percentuale è pari al 75%, non ha voluto dire chi avrebbe votato.

Perché?

Perché nel 2006, alle ultime elezioni, dopo la vittoria di Hamas il governo fu isolato e rovesciato dalla comunità internazionale. La gente non vuole rivivere la stessa esperienza e far sapere chi vincerà, preferisce mettere tutti di fronte al fatto compiuto. Il problema non è solo e non è tanto Hamas, quanto un fronte che ha ritrovato in Barghuthi il suo leader e che probabilmente sia nelle legislative che nelle presidenziali potrebbe dare un forte dispiacere ad Abu Mazen, ma soprattutto a Netanyahu.

Se saltano le elezioni di maggio ci sarà una rivolta, uno scontro civile?

Non credo, paradossalmente i palestinesi sono diventati pragmatici. La maggioranza dei palestinesi pensa che le elezioni saranno rinviate, in qualche modo si sono messi l’animo in pace nell’accettare il rinvio. Tutt’altro discorso sarebbe il rinvio delle presidenziali, perché in Palestina il presidente ha un grande potere rispetto al Parlamento. Ma questo è un discorso tutto da verificare.

(Paolo Vites)

Il comparto manifatturiero piccolo e medio oggi costituisce l’unico fattore di propulsione rimasto in Italia. La Bce è tutto meno che una banca centrale. Euroimbecilandia senza diritto e senza legittimità che decide la misura dei chicchi d'uva è una inutile burocrazia, solo la pseudo democrazia e la rappresentanza potrebbe governare la complessità economica-sociale-culturale di 27 paesi. Il governo dello "stregone maledetto" sostenuto da Washington a cui si è aggregata di corsa la Francia di Macron in netto affanno economico, per contrastare la pressione tedesco-cinese difficile che riesca a raggiungere i suoi obbiettivi SE non comprende che solo combattendo la disoccupazione giovanile ormai strutturale potrebbe raggiungere i suoi scopi

RECOVERY/ Sapelli: inadeguato a sostenere la ripresa, serve un piano italiano

Pubblicazione: 24.04.2021 - Giulio Sapelli

È ormai pronto il Piano nazionale di ripresa e resilienza. Potrà aiutare l’Italia a ripartire solo se riuscirà a far diminuire sensibilmente la disoccupazione

Premier Mario Draghi in collegamento con il Consiglio Ue (LaPresse)

Gli anni che verranno saranno decisivi per l’economia e la società italiana. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza ne è la cartina di tornasole. L’Italia è una nazione a tardiva unificazione e a tardiva industrializzazione che ha potuto superare, negli anni che vanno dall’inizio del Novecento alla sua seconda metà (sino agli anni Settanta), quella stessa arretratezza grazie a taluni fattori sostitutivi della crescita che oggi non si presentano più come allora.

Per l’Italia questi “fattori sostitutivi” nei primi decenni dell’industrializzazione furono le rimesse degli emigranti – che resero sostenibile il debito estero – e il capitalismo manchesteriano del Nord Italia, a cui si unì precocemente il capitalismo monopolistico di Stato degli investimenti strutturali; e più di tutto lo furono le grandi banche miste franco-tedesche, le banche d’affari angloamericane e le ben diverse banche cooperative che – con i loro finanziamenti alle imprese e il sostegno alle comunità – si affiancavano all’autofinanziamento imprenditoriale.

Dopo il primo dopoguerra, la crisi del 1929 fu superata grazie alla creazione di uno degli Stati imprenditori più potenti e lungimiranti al mondo – tanto industriale quanto finanziario – e dal prestito statunitense. Quel prestito si trasformò nel secondo dopoguerra nell’intervento a sostegno della domanda e dell’industrializzazione: fu il Piano Marshall e fu l’economia mista con le grandi imprese a partecipazione statale e le infrastrutture pubbliche “fanfaniane”, volano della crescita. Quando questa quando perse il suo slancio dopo la prima congiuntura della metà degli anni Sessanta, ci si accasciò sul ricorso alla svalutazione monetaria. Così si disaffezionarono le industrie private all’innovazione tecnologica e agli alti salari, salvo per quel comparto manifatturiero medio e piccolo (“manchesteriano”) che oggi costituisce l’unico fattore di propulsione rimasto in Italia e forse proprio perciò continuamente negletto dalle politiche pubbliche… italiche e dell’Ue.

Con Maastricht ci fu l’inserzione del Bel Paese nel capitalismo estrattivo franco-tedesco a moneta unica governato dai trattati e da un ircocervo (la Bce) che tutto è meno che una banca centrale e che altro non fa che sostenere le banche con acquisti di titoli di stato nazionali e regole di patrimonializzazione che aumentano il costo del capitale e riducono la redditività industriale dell’istituto bancario, con tassi tendenti allo zero che alimentano la deflazione secolare come un mantice oppiaceo.

L’italico meccanismo già stremato dalla crisi del 2007-2008 e dalla deflazione secolare è ora stato colpito dalla pandemia, che ha scosso profondamente anche la cupola del capitalismo estrattivo (vedi il pericolo del blocco delle catene di fornitura alimentate dal triangolo lombardoveneto-emilianoromagnolo-adriatico) e ha imposto una moderazione dell’asimmetria insita nei trattati e a cui ora si fa rimedio con la mutualizzazione del debito, creando special purpose entities per procacciare finanziamenti a basso tasso da riversarsi dal mercato finanziario mondiale sulle economie nazionali, secondo le regole dei trattati temporaneamente sospese: è il Pnrr fondato su prestiti e fondi di sostegno che ogni Governo nazionale deve sottoporre al governo dall’alto dell’Ue, che fissa regole e possiede gli strumenti per misurare i gradi di attuazione delle stesse: senza diritto, senza legittimità che non derivi dalle sole credenze nel libero mercato e nella razionalità burocratica di un neo-cameralismo che decide la misurazione dei chicchi d’uva e ora giunge anche al voltaggio dei sistemi elettrici in funzione decarbonizzante. Non il meccanismo di governo che avremmo voluto con una Costituzione europea, ma un governo tecnocratico non di diritto, ma di fatto che non può produrre “buon governo”, perché è solo con la democrazia e la rappresentanza che si governa la complessità.

Di qui, dunque, i Piani di Resilienza che i governi nazionali si apprestano a varare con atteggiamenti diversi. Spicca quello del Portogallo, che, pur bisognoso di investimenti, sceglie di puntare su quelli denominati “sostegni” e rifiuta di far ricorso a quei fondi denominati come “prestiti”. Gli Stati nazionali vanno a questo appuntamento in ordine sparso. I denari che debbono giungere non sfuggono, infatti alle regole, non solo dei trattati (di qui il ricorso alle Corti costituzionali nelle nazioni che non vogliono la mutualizzazione del debito), ma anche a quelle del rapporto tra crescita del debito e crescita del Pil e dell’occupazione. L’Italia appronta finalmente un piano certamente negoziato anzitempo con la cuspide Ue a cui i diversi gruppi di influenza presenti oggi nel Governo fanno riferimento. Ora la credibilità di Draghi pare rendere tutto più sostenibile nel confronto tanto con i francesi e gli Usa e rende meno presente la pressione tedesco-cinese straordinariamente attiva con il precedente Governo. Ma i problemi rimangono: si tratta di un piano complesso che si fonda sulla sinergia che dovrebbe crearsi tra riforma della Pubblica amministrazione, ricorso al debito per investimenti soprattutto nella transizione energetica e digitale e in quella educativa. Ma il sostegno alle imprese è incerto e non fondato su investimenti in capitale fisso tali da mettere in moto un’ondata che provochi un tasso di crescita più forte del tasso di indebitamento. Solo così, infatti, si potrebbe dar vita a una svolta per la nuova crescita italiana. Solo un aumento del tasso di profitto e della massa salariale può invertire la rotta.

Se la rotta non s’inverte il risparmio continuerà a non fluire verso gli investimenti produttivi ma verso la rendita. Solo un grande piano nazionale di opere pubbliche e di edilizia sociale può invertire la rotta. La transizione energetica su cui si punta, invece, se non s’invera con i caratteri dell’economia circolare rischia di farci sprofondare ancor più nella disoccupazione e quindi di aumentare l’esercito industriale di riserva e ancor più profondamente la deflazione.

Piuttosto che agire con una saggia riproposizione dello Stato imprenditore nello stock di capitale fisso che alimenti lavoro di fornitura e di investimenti privati in servizi essenziali per la libera impresa, ci si attarda (anziché inseguire folli ricette di rete unica delle telecomunicazioni) nella presenza dello Stato tout court nel capitale di imprese decotte, disperdendo risorse altrimenti meglio impiegabili in imprese dinamiche, che pure esistono ma non hanno accesso ai tavoli della decisione e della compensazione e ponderazione degli interessi che si attuano nella sfera della decisione politica. E occorrerebbero interventi più decisi sul corpo stesso dello Stato: con la riforma radicale del codice degli appalti, per esempio, e il ritorno alla Protezione civile modello Zamberletti-Bertolaso, la riforma della giustizia con la separazione delle carriere e non con le confuse misure cosmetiche annunciate.

In ogni caso tutto dipenderà dalla capacità di utilizzare le risorse tenendo conto che il problema continuerà a essere, per l’Italia, la disoccupazione ormai strutturale di tanta parte della popolazione potenzialmente attiva e della tardiva disposizione della gioventù al lavoro tanto dipendente quanto autonomo.

Il Pnrr non può essere neppure l’avvio alla risoluzione dei mali d’Italia (il percorso durerà anni) senza una rivoluzione morale e senza quel tanto di fantasia e di indipendenza di giudizio che solo possono farci ritornare alla crescita fondata sullo sviluppo integrale. Forse è dei poeti che abbiamo bisogno.

24 aprile 2021 - News della settimana (16-23 apr. 2021)

I paesi che sostengono con spada alla mano il Progetto Criminale dell'Euro NON possono tollerare che la Bce diventi banca centrale prestatore di ultima istanza e quindi hanno dato l'ultimatum alla Lagarde. Lo stregone maledetto ha capito e giocato d'anticipo con la riapertura quasi totale dell'Italia con piccoli segnali di possibilità come il mantenimento del coprifuoco se il gioco diventasse collettivo, come non è. D'altra parte TUTTI sono consapevoli che NON è più possibili protrarre di più lo strumento dell'influenza covid in quanto perde pezzi senza soluzioni di continuità ogni giorno che passa e il grande pubblico comincia a perdere la pazienza su questa grande MISTIFICAZIONE della realtà

I falchi danno il preavviso a Italia e Spagna e sfiduciano Lagarde: Draghi ha due mesi (e lui lo sa)

24 aprile 2021

La presidente della Bce, Christine Lagarde con il suo predecessore e attuale premier italiano, Mario Draghi. Foto di Alberto Pizzoli/AFP/Getty Images

Meno di 24 ore. La tregua armata tra falchi e colombe in seno al board Bce raccontata da Reuters come retroscena post-conferenza stampa di Christine Lagarde non ha retto alla prova delle spaccature e della posta in palio.

Se infatti l’agenzia britannica raccontava di un tacito patto di non belligeranza rispetto a un potenziale e graduale ritiro del programma di stimolo anti-pandemico PEPP, almeno fino al prossimo Consiglio del 10 giugno, qualcuno nel fronte del Nord deve aver mal digerito l’eccesso di dettagli contenuti nel pezzo, riferiti a tre fonti anonime interne al board. In particolar modo, il fatto che sia stato direttamente chiamato in causa il governatore della Banca centrale olandese (De Nederlandsche Bank), Klaas Knot, come principale sconfitto insieme alla sua posizione ultra-rigorista rispetto a una diminuzione dell’impegno Bce già dal terzo trimestre di quest’anno. In termini giuridici di aggravante in caso di querela, trattasi di attribuzione di fatto determinato. Sgradevole, quando si parla in regime di anonimato. E, paradossalmente, per descrivere quello che sarebbe nato come gentlemen agreement e destinato quindi a rimanere riservato.

Detto fatto, Bloomberg ha raccolto il parere di altri membri sotto anonimato del board e la musica è apparsa immediatamente cambiata: quella del 10 giugno, infatti, viene definita senza giri di parole una heated decision sul ritmo di acquisti del PEPP, proprio in ragione della tregua sancita ma sgradevolmente resa nota.

Come dire, aver ingoiato l’ennesimo rospo, a fronte di una situazione vaccinale e sanitaria nell’eurozona ancora preoccupante (soprattutto in Germania), non significa potersi arrogare il diritto di vendere all’opinione pubblica una narrativa auto-alimentante di sostegno open-ended. Non a caso, appena pubblicato l’aggiornamento della notizia con maggiori particolari, il nostro spread ha cominciato a lievitare. Anche perché, al netto della chiara contrapposizione in seno al board che il botta e risposta a mezzo stampa certifica, quanto riportato da Bloomberg sembra delineare uno scenario da ultimatum per le economie maggiormente dipendenti dallo schermo degli acquisti obbligazionari, cioé Italia e Spagna.

Oltre che una palese e quasi senza precedenti sconfessione di quanto confermato solo 24 ore prima da Christine Lagarde, la quale parlando di acquisti che sarebbero proseguiti almeno fino al 31 marzo 2022 o fino a quando non fosse terminata l’emergenza Covid, ha addirittura scoperchiato il vaso di Pandora di un ipotetico ragionamento attorno a tassi totalmente negativi come strumento aggiuntivo di stimolo. Di fatto, il corrispettivo della kriptonite per Superman se accostato ai Paesi del Nord e al loro sistema bancario. In base alla vulgata vista dai falchi, infatti, il 10 giugno il ritmo degli acquisti in seno al PEPP finirà pesantemente sotto la lente d’ingrandimento, dopo l’accelerazione del secondo trimestre che la stessa Lagarde ha più volte sottolineato in conferenza stampa e che dovrebbe sostanziarsi in base alle dinamiche illustrate da questi grafici.

Pictet Group/Bce

Bce

Di fatto, però, l’agenda imposta dalla Bundesbank: ok a un ritmo più spedito fino all'estate, ancorché a saldi invariati sul controvalore mensile di 20 miliardi e senza ufficializzare in alcun modo l’utilizzo per intero dell’envelop e poi dal terzo trimestre un possibile principio di graduale rallentamento. E sono in molti a leggere quanto emerso dall’ennesimo retroscena come la molla che avrebbe spinto Mario Draghi a giocare d’anticipo, accelerando da un lato sulle riaperture, il famoso rischio calcolato ma anche a riaffermando a brutto muso la sua leadership in seno al Consiglio dei ministri con lo scontro sul coprifuoco.

Se per caso realmente il 10 giugno la Bce lasciasse intendere al mercato che lo scudo del Pepp pare destinato a perdere di intensità nell’arco di pochi mesi, la prezzatura del rinnovato premio di rischio per i debiti più esposti sarebbe immediata. E il 160% di ratio sul Pil che l’Italia si trova costretta a gestire appare destinato a operare da potenziale detonatore, in caso di re-pricing emergenziale delle detenzioni di Btp di banche, fondi e assicurazioni.

Insomma, l’aria che comincia a circolare nell’eurozona è quella di un preavviso dei due mesi a Italia e Spagna, come accade con le donne di servizio che vengono licenziate, soprattutto alla luce di quanto illustrato da questo grafico.

Bce

I Paesi del Nord, preso atto del carattere di mero finanziamento diretto dei deficit sovrani assunto dal Pepp (stante l’ammontare risibile di bond corporate acquistati), vogliono evitare che l’alibi del Covid apra la porta a una de facto istituzionalizzazione del ruolo di prestatore di ultima istanza della Bce, a sua volta prodromo di una mutualizzazione del debito.

E di una questione di fiducia attorno alla guida di Christine Lagarde che ormai appare debordante e poco gestibile, almeno al netto del profilo di autorevolezza che un banchiere centrale deve vantare in momenti simili. E qualcuno teme il peggio, in caso sul tavolo del board di giugno arrivasse anche la questione della deroga concessa ai titoli di debito greco come collaterale per le operazioni di finanziamento. La fine della quale, di fatto, getterebbe le banche elleniche nel panico assoluto, essendone stracariche e con iscrizioni a bilancio frutto della distorsione di prezzo garantita dagli acquisti di Francoforte.

A quel punto, paradossalmente soltanto una recrudescenza della pandemia potrebbe fermare la macchina della normalizzazione monetaria. Di fatto, tramutandola in endemia e rendendo il Qe strutturale o portando al compromesso rispetto a un reinvestimento di più lungo termine, al limite della cancellazione di fatto.

Una cosa è già certa: Mario Draghi ha capito che la ricreazione sta finendo. Molti esponenti della maggioranza di governo, no.

La mascherata e il lockdown strumenti principi per la STRATEGIA DELLA PAURA attuale con l'influenza covid, con il terrorismo prima, cominciano a vacillare proprio nella patria della genesi dove è nata che ha una data 11 settembre 2001 quando due aerei fanno crollare tre torri

Usa, sta crollando il mito dei confinamenti



Le proteste contro i confinamenti e le mascherine stanno prendendo il sopravvento in Usa per la semplice ragione che i 10 stati che non hanno mai imposto restrizioni stanno molto meglio degli altri, soprattutto di quelli dove le restrizioni sono state più draconiane. Così man mano adesso sono 24 gli stati che stanno abolendo i lockdown e i distanziamenti. In un articolo apparso sull ‘American Institute for Economic Research uno dei commentatori più noti, Jeffrey A. Tucker autore di molte migliaia di articoli sulla stampa scientifica, parla di un vero e proprio collasso del paradigma del lockdown: “È passato molto più tempo di quanto avrebbe dovuto, ma alla fine sembra che stia accadendo: il paradigma del blocco sta crollando. I segni sono tutt’intorno a noi. L’ex eroe del blocco, il governatore di New York Andrew Cuomo ha visto il suo sostegno scendere dal 71% al 38% , insieme alle crescenti richieste di dimissioni. Nel frattempo, i sondaggi mostrano che il governatore della Florida e oppositore del blocco Ron DeSantis è ormai visto da sempre più persone come il massimo politico repubblicano”. Ciò è dovuto alla consapevolezza che i confinamenti hanno avuto risultati disastrosi dal punto di vista economico e nessun vantaggio da quello epidemiologico . Anzi a questo proposito va ricordata la figuraccia di Fauci a un’audizione del Congresso, quando gli fu chiesto di spiegare perché il Michigan, completamente in blocco, avesse un ‘incidenza dei contagi molto superiore al confinante Wisconsin dove non era stato attuato alcun lockdown: l’anziano pusher di vaccini per conto di Big Pharma ha finto di riuscire a comprendere la domanda , poi di non vedere la tabella presentata e infine di non capirla.

Si tratta dello stesso Fauci che dopo aver indicato a tutti la sola via di salvezza nei vaccini adesso, di fronte ai problemi che stanno saltando fuori e alla loro scarsa efficacia, dice che non bastano e che bisogna sempre affidarsi ai confinamenti: nemmeno cita le cure possibili dimostrando che il suo ruolo non è la difesa della salute pubblica, ma solo quella delle multinazionali che lo hanno arricchito in decenni di operazioni in favore di vaccinazioni per ogni cosa senza che tuttavia egli sia mai riuscito a mettere a punto un vaccino. Ma superiamo questo triste capitolo e veniamo al Texas che è rimasto completamente aperto e senza mascherine per 6 settimane e dove contagi, ospedalizzazioni e decessi sono diminuiti drasticamente. Oppure confrontiamo la California tutta bloccata con la Florida completamente libera: questa tabella dove sono inseriti i decessi per milione di persone in tutti gli stati Usa quelli in rosso senza lockdown, quelli blu con e quelli in giallo con uno stadio intermedio, dimostra la mancanza di una qualche correlazione tra le misure di coercizione delle libertà e la diffusione del Covid.


Il problema è che la presenza o l’assenza di blocchi di fronte al virus sembra essere completamente non correlata con il decorso della malattia. Perché gli “scienziati” che hanno consigliato i blocchi sostenendo di aver trovato il modo per controllare il virus e minimizzare le conseguenze negative, hanno in realtà peggiorato e di molto le cose. Tuttavia si rifiutano di prendere delle cose e stanno condannando un intero sistema al rifiuto intellettuale della realtà e dunque al fallimento finale. Per quanto ne sappiamo, l’idea di rinchiudere le persone di fronte a un nuovo virus è nata negli Stati Uniti e nel Regno Unito intorno al 2005-2006. È iniziato con un piccolo gruppo di fanatici i quali hanno ipotizzato di poter tenere sotto controllo un virus dettando il comportamento delle persone: quanto sono vicine, dove viaggiano, a quali eventi partecipano, dove si siedono e per quanto tempo. Hanno portato avanti l’idea di barriere e restrizioni, che hanno definito “interventi non farmaceutici” attraverso un “contenimento mirato e stratificato”. Quello che hanno proposto era medievale, ma con una sfumatura di informatica ed epidemiologia e di certo non avrebbero potuto condizionare le pratiche di salute pubblica se dietro di loro non avessero avuto gigantesche risorse fornite dalla fondazione Gates, da Gavi e da Big Pharma che hanno man mano fatto diventare ortodossia questa tesi che ora sta manifestamente crollando. Il silenzio di Fauci nelle udienze del Congresso è istruttivo come lo è la sua volontà di essere intervistato solo da oscuri presentatori televisivi dei media mainstream. Lui come centinaia di altri “esperti” dei media mainstream cominciano a temere la realtà che hanno per troppo tempo manipolato e deriso.

Siria - gli statunitensi hanno invaso la Siria per rubargli petrolio e grano ma missili e granate cominciano a prenderli di mira

22 Aprile 2021 18:56
Missili e granate contro truppe occupazione USA in Siria
La Redazione de l'AntiDiplomatico


Assalitori non identificati hanno attaccato un convoglio dell'esercito statunitense con granate a propulsione a razzo, mentre stava attraversando la città di (Al-Busirah) nella campagna orientale di Deir Ezzor, ore dopo aver preso di mira un altro convoglio di Washington vicino ad Al-Omar, il più grande giacimento petrolifero della Siria.

Secondo fonti locali citate da Sputnik in arabo, l'attacco è stato effettuato da sconosciuti all'alba di oggi, seguito da scontri con armi automatiche, indicando che l'esito dell'attacco è stato tenuto segreto dall'esercito americano, confermando allo stesso tempo l'arrivo di squadre di miliziani, le forze democratiche siriane, FDS (Qasd in arabo).

Il corrispondente di Sputnik a Deir Ezzor ha citato fonti locali che hanno affermato che i miliziani dell'organizzazione affiliata all'esercito americano hanno imposto un cordone di sicurezza su tutta l'area presa di mira e ne hanno impedito l'ingresso e l'uscita, in mezzo a diversi voli di elicotteri nel cielo della città.

Le fonti hanno indicato che il convoglio americano è rimasto a lungo all'ingresso della città, prima di entrare (giacimento petrolifero di Al-Omar) a nord della città, controllata dall'esercito americano.

Le fonti hanno aggiunto: "Dopo l'attacco missilistico al convoglio, l'esercito americano ha iniziato un'operazione di risposta nel villaggio di Al-Kassar vicino alla città di Al-Busirah, e i suoi soldati - come risultato preliminare - hanno arrestato l'imam della moschea Al-Safa della città, Abdul Majeed Al-Ghannam (Abu Mustafa) con tutta la sua famiglia, e lo sceicco Abu Bilal, l'imam della moschea Al-Taas (all'ingresso di Al- Busirah), e confisca di telefoni cellulari e somme di denaro da casa sua.

La regione sta assistendo a uno stato di tensione tra le fila delle forze americane e delle FDS, con il dispiegamento di un gran numero di loro nel villaggio di (Al-Kassar) e gli ingressi a (Al- Busirah).

Ore prima dell'attacco (Al-Basirah) , persone non identificate avevano fatto esplodere un ordigno esplosivo mentre le forze statunitensi stavano passando verso il giacimento petrolifero di Al-Omar vicino alla città di Al-Shuhail nella campagna orientale di Deir Ezzor.

Le operazioni condotte da ignoti contro l'esercito americano e le milizie alleate fanno seguito al rifiuto delle tribù arabe alla loro presenza nella regione e con la denuncia del suo continuo saccheggio dei giacimenti di petrolio e gas siriani.

Nei giorni scorsi si è assistito a un'ondata di arresti effettuati dalle FDS in un certo numero di città nelle campagne di Deir Ezzor, che hanno portato all'arresto di decine di esponenti delle tribù arabe e portate a una destinazione sconosciuta senza conoscere le ragioni del loro arresto.