L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 19 giugno 2021

19 giugno 2021 - News della settimana (11-18 giu 2021)

La strategia della Fratellanza Musulmana è chiara con l'arte della Dissimilazione occuperanno Euroimbecilandia

Dentro i misteri dei Fratelli musulmani. Così gli islamisti s'insinuano in Occidente

19 Giugno 2021 - 06:00

L'inchiesta di un super esperto sulla rete dell'estremismo e dell'islam politico


«Ciò che resta è conquistare Roma. L'Islam tornerà in Europa per la terza volta dopo esser stato espulso due volte. Conquisteremo l'Europa, conquisteremo l'America! Non con la spada, ma con la predicazione». Parole di Yusuf Al Qaradawi, leader della Fratellanza Musulmana, che Lorenzo Vidino, studioso italo-americano dei movimenti islamisti e direttore del «Programma sull'estremismo» della George Washington University cita più volte nel suo nuovo Islamisti d'Occidente (Egea-Università Bocconi Ediore). E lo fa per mettere in risalto non solo la volontà di conquista e di pretesa superiorità culturale-religiosa della Fratellanza Musulmana, ma anche la sua vocazione alla dissimulazione. Fondata in Egitto nel 1928 dall'Imam Hasan Banna, la Fratellanza oltre che portabandiera dell'Islam politico è il terreno di coltura, grazie ai testi dell'ideologo Sayyd Al Qutb, di idee e azioni di terroristi come Osama Bin Laden e Ayman Al Zawahiri.

Unendo il rigore della ricerca accademica a un incisività di stampo giornalistico, Vidino offre un dettagliato e inedito resoconto delle attività svolte dalla Fratellanza in seno alle società europee e statunitensi. Vidino ha analizzato per oltre 20 anni le attività della Fratellanza diventandone uno dei pochissimi esperti occidentali, fin da quando all'indomani dell'11 settembre un'inchiesta statunitense svelò i rapporti tra la moschea milanese di viale Jenner, al tempo succursale europea di Al Qaida, e la banca ticinese di Al Taqwa gestita da un trio di facoltosi esponenti della Fratellanza trasferitisi a Milano dopo l'addio ai Paesi d'origine (Egitto, Eritrea e Siria). Vidino è oggi consulente del governo inglese per le attività della Fratellanza.

Come fanno ben capire le interviste dell'autore ai fuoriusciti del movimento, le severe regole di segretezza dell'organizzazione e la rigida compartimentazione della sua filiera rendono difficile percepirne l'influenza. E così, mentre, paradossalmente, Paesi come Egitto, Emirati Arabi ed Arabia Saudita la equiparano alle formazioni terroriste in Europa, la Fratellanza diventa un punto di riferimento per governi e autorità ignari di affidarsi alle sue strutture. È il caso dell'Italia dove nel novembre 2015 l'Ucoii (Unione delle Comunità Islamiche in Italia), evidente, ma non esplicita filiazione della Fratellanza, ottiene dal Ministero di Grazia e Giustizia l'incarico di selezionare gli imam autorizzati a entrare nelle carceri per amministrare il culto islamico e prevenire la radicalizzazione. Lo stesso Ucoii che tra il 2013 e il 2016 gestisce «25 milioni di euro di fondi» donati dal Qatar, grande padrino internazionale dei Fratelli Musulmani, per garantire «la costruzione di 43 moschee, tra cui quelle di Ravenna (la seconda più grande d'Italia), Catania, Piacenza, Vicenza, Saronno...».

«La segretezza del movimento - scrive Vidino - rende difficile la maggior parte degli sforzi volti a comprendere il complesso meccanismo interno suo e dei suoi spin-off». Un meccanismo ben presente nel panorama italiano dove l'Ucoii continua a negare o celare i suoi legami con la Fratellanza. «Uno degli aspetti più problematici -sottolinea Vidino - è l'identificazione di quali organizzazioni e individui possono essere collegati al movimento». Un'ambiguità che permette alla Fratellanza di operare come una piovra invisibile usando le sue smisurate risorse finanziarie per creare intrecci di associazioni, enti o fondazioni dove la Fratellanza Pura, ovvero la rete riservata ai membri dell'organizzazione, non è distinguibile dalle sue emanazioni o dai gruppi che ne subiscono l'influenza. Un labirinto in cui si smarriscono anche magistrati, investigatori e politici.

Lo Stato italiano esce da Mps (Monte dei Paschi di Siena) e alle assicurazioni francesi Axa andrà 1 miliardo di euro, tondo tondo. Continua la speculazione, e il governo consenziente, sulla banca più antica d'Europa, avava e ha la maggioranza nel Consiglio d'amministrazione

BANCHE & MERCATI
Mps, 1 miliardo ai francesi di Axa: indovinate chi è l’ad e dove lavorava prima?

17 Giugno 2021, 17:32

L’operazione è semplice: lo Stato italiano esce da Mps (Monte dei Paschi di Siena) e alle assicurazioni francesi Axa andrà 1 miliardo di euro, tondo tondo. Si parla di “bonus”, ovvio. A a spiegare il “giochino” nel dettaglio ci ha pensato Nicola Borzi con un articolo pubblicato su Il Fatto Quotidiano: “Martedì Il Sole 24 Ore ha sganciato una nuova bomba sull’accidentato percorso di riprivatizzazione della banca che da mesi cerca senza successo un cavaliere bianco. L’accordo sulle polizze tra Mps e Axa, secondo il quotidiano economico, prevede un’opzione “put” che concede ai transalpini il diritto di vendere per un miliardo la propria quota nella joint venture assicurativa con il Monte in caso di nuovo azionista di controllo”.



Ma lo scoop del Sole “dimentica” un dato non marginale, sul quale invece si sofferma Borzi: “La porta girevole di cui ha beneficiato Marco Morelli, amministratore delegato del Monte durante la revisione del contratto con Axa e ora presidente esecutivo di Axa Investment Managers, il ramo di gestioni patrimoniali del gruppo francese. La vicenda inizia il 22 marzo 2007, quando Mps e Axa firmano un accordo per creare una joint venture di 10 anni a partire dal 19 ottobre 2007. Nell’autunno del 2016 tra Mps e Axa inizia la revisione dell’accordo, in vista della sua proroga per 10 anni”. 


“Il 20 settembre 2016 – ricostruisce Borzi – Morelli entra incarica come ad di Mps. Il manager conosceva bene la banca, della quale da giugno 2006 a febbraio 2010 era stato vicedirettore generale e responsabile finanziario. L’ennesimo aumento di capitale da 5 miliardi del Monte fallisce il 22 dicembre. Dopo lunghe trattative con Ue e Bce, nel 2017 lo Stato salva la banca con la “ricapitalizzazione prudenziale” da 5,4 miliardi, tornando primo azionista con il 68%. Il 10 novembre 2017, dopo il salvataggio pubblico, Mps firma la nuova intesa nella bancassurance con Axa”. Il 20 febbraio 2020 Morelli annuncia l’addio a Mps. E dove va? 


Facile: “Il 16 luglio Axa Investment Managers lo nomina presidente esecutivo. Ora emerge la put che consente ad Axa di ricevere sino a 1 miliardo quando lo Stato uscirà dal Monte. È una clausola comune nelle joint venture, che però l’accordo di novembre 2017 validato dal Comitato parti correlate di Mps aveva escluso”. Mps e Axa, contattate dal Fatto Quotidiano, non commentano.

I vaccini a modificazione genetica possono creare problemi sulla fertilità dei giovani e delle generazioni future

L’inventore della tecnica a mRma lancia l’allarme rosso sui rischi dei vaccini



Se l’inventore del test PCR, il premio Nobel Kary Mullis , non voleva espressamente che la sua invenzione fosse usata per la diagnosi, mentre i tamponi sono stati lo strumento principe della mistificazione pandemica, adesso tocca all’inventore della vaccinazione a mRna, Robert Malone, esprimere il più totale disaccordo con il modo in cui vengono ignorati i rischi per la sicurezza in relazione alla vaccinazione contro il Covid. In lunga un’intervista di tre ore con il podcast scientifico Dark Horse , Malone ha espresso preoccupazione per il fatto che, contrariamente a quanto affermano i produttori di vaccini le particelle di nanolipidi di mRNA non rimangono nel sito di puntura nella parte superiore del braccio , ma si distribuiscono in tutto il corpo. Sembra particolarmente esplosivo che Malone abbia confermato di aver informato lui stesso l’autorità di regolamentazione FDA sui rischi per la sicurezza anche riguardo all’effetto anche l’effetto citotossico della proteina spike che tuttavia è stato completamente ignorato.

Questa e altre critiche espresse nel corso dell’intervista sono particolarmente rilevanti perché è davvero difficile accusare Malone di essere un anti vaccinista tanto più che sia lui che sua moglie sono stati vaccinati con Moderna. Quindi la sua richiesta alla Food and drug administration di comunicare i rischi per la sicurezza in modo aperto e trasparente costituisce uno straordinario atto di accusa contro la gestione della cosiddetta emergenza pandemica. Malone ha espresso grande preoccupazione anche circa l’effetto della vaccinazione a mRna genetica sulla fertilità dei giovani e delle generazioni future. Ha criticato la censura delle dichiarazioni critiche sui social media e in un contesto accademico come una minaccia per la società.

Qui il video in cui c’è la sintesi dell’intervista https://alschner-klartext.b-cdn.net/wp-content/uploads/1623/13/mRNA.mp4?_=1 . Un documento che forse sarebbe bene diffondere il più possibile visto che su di esso calerà la più 

La metà degli adulti preferisce pagare in digitale. Ma i contanti restano, resistono, e avranno un ruolo anche in futuro

Perché i contanti non scompariranno (nonostante il Covid)

Meno usati come mezzo di pagamento durante la crisi "pandemica", ma nell'area euro la domanda di banconote è addirittura aumentata


Redazione17 giugno 2021 11:04

Per quanto sperato, i contanti non spariranno, o almeno non nell'immediato futuro. Nonostante sotto pandemia sia calato il loro utilizzo come mezzo di pagamento la domanda di banconote in euro nell'area pare essere addirittura aumentata. Si tratta de "l'apparente paradosso" descritto da Fabio Panetta, componente del comitato esecutivo della Bce nel suo intervento alla quinta conferenza internazionale sul contante della Bundesbank ("Cash in times of turmoil").

Come spiega Today, il 63% dei pagamenti è digitale secondo alcune ricerche, ma ciò non significa affatto che i contanti diventeranno un ricordo del passato. Con la pandemia cala nettamente l'utilizzo del contante, mentre sale la preferenza per i pagamenti digitali. In un periodo in cui si è cercati di ridurre al massimo ogni tipo di contatto tra persone, pensare di eliminare le banconote e le monete è parsa una cosa scontata: secondo Confesercenti già tra il 2012 e il 2018 i pagamenti tramite Pos erano cresciuti del 112%. La minore circolazione del contante garantisce un maggiore contrasto all'evasione fiscale, e per questo è stato introdotto, per chi paga con le carte o con le app, il cosiddetto cashback (un successo in termini di adesioni).

Rivoluzione digitale e modalità di pagamento

Gli effetti della rivoluzione digitale sulle modalità di pagamento nell'Eurozonza sono però meno nette di quanto si potrebbe pensare. Secondo un recente studio sulle preferenze di pagamento dei consumatori nell'area-euro condotto dalla Bce e dalle banche centrali degli Stati membri, la metà degli adulti preferisce pagare in digitale. Una tendenza aumentata durante la pandemia di Covid. I pagamenti con carta ed elettronici sono la soluzione preferita per gli acquisti per corrispondenza mentre per pagare le bollette delle utenze domestiche vengono sempre più utilizzati prevalentemente addebiti diretti e bonifici.

Ma i contanti restano, resistono, e avranno un ruolo anche in futuro: lo assicura il principale responsabile alla Bce degli studi su un futuro euro digitale. «L'Eurosistema è impegnato a preservare il ruolo del contante. Stiamo adottando misure concrete - ha detto - affinché esso rimanga ampiamente accessibile e accettato come mezzo di pagamento, anche qualora fosse introdotto l'euro digitale».

La Germania è uno dei Paesi in cui la popolazione è maggiormente legata all'uso del contante e in cui molti guardano con una certa preoccupazione i propositi dietro al lancio delle valute digitali. «Nonostante la significativa flessione dei pagamenti in contante, fra il marzo del 2020 e lo scorso maggio la domanda di banconote in euro ha registrato un aumento significativo, pari a circa 190 miliardi di euro in termini complessivi e a 550 euro su base pro capite - ha rilevato Panetta -. Nella primavera del 2020 l'ammontare delle banconote in euro emesse dall'Eurosistema superava del 4% il valore medio registrato nel precedente quinquennio. La seconda ondata di infezioni ha ulteriormente alimentato la domanda di banconote, determinando, rispetto al profilo di crescita atteso, una accelerazione che ha raggiunto l'8 per cento alla fine del 2020».
Le banconote nell'era del Covid

C'è anche un altro aspetto da tenere in considerazione. Anche l'uso delle banconote nel periodo pre-crisi conferma l'importanza del contante come "riserva di valore - ha proseguito il banchiere centrale - oltre che come mezzo di pagamento". Secondo stime recenti, prima della pandemia solo il 20 per cento dell'importo complessivo delle banconote in euro veniva utilizzato per effettuare pagamenti nell'area euro: in pratica solo una banconota su 5. "La quota di gran lunga prevalente, pari a circa 1.000 miliardi di euro, sarebbe infatti detenuta come riserva di valore e utilizzata solo sporadicamente per effettuare pagamenti o farebbe capo a soggetti residenti al di fuori dell'area. La funzione di riserva di valore - è l'ipotesi i Panetta - ha quindi presumibilmente contribuito a sostenere la domanda di banconote anche in una fase di forte aumento dei pagamenti digitali".

Panetta ha poi ammesso come il contante rappresenti lo strumento più indicato per garantire la privacy, mentre con l'espansione dell'economia digitale i cittadini - o parte di essi - nutrono timori crescenti sulla raccolta e l'utilizzo dei propri dati. «Infine, le banconote in euro rappresentano il segno più tangibile, il simbolo - ha detto - dell'integrazione europea. Date le sue molteplici funzioni, il contante svolge un ruolo fondamentale" ed è "agevole prevedere che esso sopravviverà alla rivoluzione digitale, continuando a essere utilizzato per molti anni a venire».

«La sua diffusione potrebbe essere, ciò nonostante, messa a rischio in futuro. Ciò potrebbe accadere - dice sempre Panetta - qualora le banconote non fossero più ampiamente accettate negli esercizi commerciali. Il ruolo del contante sia come mezzo di pagamento che come riserva di valore va pertanto salvaguardato con politiche attive. Per questa ragione, nel settembre del 2020 il Consiglio direttivo della BCE ha varato la strategia dell’Eurosistema 2030 per il contante, con quattro principali obiettivi strategici».

Il primo consiste nel continuare ad assicurare una adeguata offerta di contante, per soddisfare la domanda di banconote in euro in ogni circostanza e per qualsiasi importo. Il secondo obiettivo è quello di garantire che le banconote e le monete in euro continuino a essere accettate nei punti vendita e a essere disponibili ai consumatori insieme agli altri strumenti di pagamento. Il terzo obiettivo è quello di offrire banconote sicure e all’avanguardia tecnologica, affermandone il ruolo di emblema dell’integrazione europea. L’ultimo obiettivo è quello di ridurre l’impatto ambientale del contante grazie a nuovi prodotti e processi, andando a produrre banconote fatte unicamente cotone interamente riciclabile, evitando la produzione di rifiuti derivanti dalle banconote.

«L’economia mondiale è in rapida trasformazione, ma l’Eurosistema garantirà, anche nell’era digitale, a tutti i cittadini europei un accesso adeguato e privo di costi a forme di moneta sovrana esenti da rischi, rispettose della privacy, che abbiano corso legale e utilizzabili ovunque nell’area dell’euro - conclude Panetta - Il nostro impegno nell’offerta di moneta sovrana in forma sia fisica sia digitale rafforzerà il ruolo della moneta pubblica nell’area dell’euro, adeguandola alle esigenze dell’era digitale; assicurando al tempo stesso che il contante continui a soddisfare le esigenze dei cittadini europei».

Mai sottovalutare la forza d'urto del nemico

La Cupola del crimine economico


Anna Lombroso per il Simplicissimus

Una volta nelle redazioni dei quotidiani c’erano delle cassettine piene di frattaglie delle agenzie con indagini, ricerche, notizie rosa, che restavano a languire fino al 3 gennaio, al 17 agosto, quando le pagine reclamavano un po’ di trippa come riempitivo dopo l’arrivo del generale Inverno e l’invasione di meduse al largo di Rimini.

Era allora che venivano buone le statistiche su quanta immondizia producono i cittadini di Milano o quelli di Città del Messico e quanti sorci spettano di diritto a un romano.

E sulle pagine economiche non poteva mancare l’entità di debito pubblico che pesa già dalla nascita sulla testolina di ogni neonato, con l’immancabile corollario: spendiamo e abbiamo speso troppo, al di sopra delle nostre possibilità. E poi a seguire: se non interviene ognuno, razionalizzando consumi e accesso ai servizi sociali, i mercati finanziari ci puniranno facendolo lievitare, portandoci a un fallimento a carico delle generazioni future costrette a pagare per i nostri dissipati eccessi.

Fin dagli albori della conversione aberrante della oculata gestione in austerità, fin dai tempi di La Malfa che come altri, andava in giro per l’Europa a agitare gli spettri della rovina meritata di un Paese pigro, indolente e spendaccione senza né arte né parte, il mantra viene ripetuto per giustificare soppressione di diritti, esproprio di sovranità necessario per mettere in riga assetti democratici troppo permissivi, riduzione della spesa pubblica “sperperata” in istruzione, assistenza sanitaria, servizi, ammortizzatori. E di solito si accompagna allo spericolato e sfrontato paragone tra la gestione della spesa dello Stato e quella delle famiglie, usato da satrapi crudeli e manutengoli sfacciati della superpotenza che ci impone restrizioni e penitenza in cambio di obbedienza cieca e assoluta ai paradigmi euroatlantici, comprensivi di spese di guerra e in armamenti, quelle sì, indispensabili per la manutenzione di pace, sicurezza e della partecipazione a qualche colpaccio coloniale.

È un sistema che funziona sempre, perché più il ceto dirigente è autoritario e arbitrario, più ha bisogno di contare sulla “oggettività” pratica delle crisi e della scarsità, per legittimare l’obbligatorio assoggettamento a vincoli esterni, l’imposizione di criteri e misure vessatorie e di politiche recessive, combinando i loro interessi affaristici con i messaggi moralistici della loro “pedagogia” educativa del popolo bue e sciupone.

Per questo è opportuno non fidarsi dell’invito all’ottimismo e all’entusiasmo per la ripresa, che dovrebbe servire a rimuovere il ricordo della rovinosa gestione della pandemia che ha fatto dell’Italia uno dei cinque paesi al mondo con il maggior numero di morti sulla popolazione, in ossequio alla pretesa di Confindustria di tenere tutto aperto a qualsiasi costo, facendo della regione più industrializzata e che aveva maggiormente tagliato le risorse della sanità pubblica, il battistrada del contrasto all’epidemia estendendo a tutto il Paese insensate limitazioni, scegliendo di privare la collettività di ogni forma di medicina preventiva e territoriale, con la conseguente esclusione di ogni terapia che non consistesse nel ricovero prima e nel vaccino poi.

E non solo perché comporta lacrime e sangue in tema di diritti, garanzie, legalità, grazie alla violenta eliminazione di “lacci e lacciuoli”, alla dichiarata complicità dei sindacati che “abbozzano” perfino sulla sospensione del blocco dei licenziamenti, all’istituzione di un regime per gli appalti al massimo ribasso, che si tradurrà nella generalizzata sottoscrizione da parte di personale ricattato e intimorito, di contratti di comodo, quelli che servono nel dividere ancora di più i lavoratori tra “dipendenti” di aziende più o meno strutturate e “ aggiudicati”, quelli della serie B dei sub appaltati.

Ma perché a dispetto della benevola e promettente distinzione operata da Draghi poco prima di impugnare la scure del boia, il debito per i suoi padroni e mandanti è sempre cattivo, se serve a investire in ammortizzatori, scuola pubblica, sanità, servizi sociali, Welfare, tutela del territorio e del patrimonio artistico e culturale, e può essere buono se invece è un doveroso obbligo per assistere multinazionali che vogliono occupare la nostra dissanguata economia togliendo ossigeno all’ormai obsoleto sistema produttivo, in modo da comprare a poco prezzo o cancellare dal mercato concorrenti locali.

E difatti, come ha anticipato Gentiloni, è vero che – si direbbe malauguratamente, in quanto si tratta di una indulgenza diseducativa – il Patto di Stabilità è sospeso fino al 2022, ma non saremo certo autorizzati a spendere e spandere i miliardi del bottino del Recovery, se non metteremo già adesso mano agli implacabili tagli di bilancio che bisognerà effettuare dal 2023, per rispettare i parametri del Fiscal Compact, il caposaldo dell’austerità europea.

Ancora una volta è inutile sperare che il capitalismo muoia per eutanasia, suicidandosi alla prova dei fatti del buonsenso che dovrebbe caratterizzare i governi come i buoni padri di famiglia, sapendo che il debito pubblico è cresciuto da oltre cinquant’anni, malgrado ogni governo abbia provveduto a tagliare la spesa pubblica con politiche regressive che hanno penalizzato lavoratori, cittadini, piccole e medie imprese, opportunità di innovazione e bisogni di sicurezza, salvaguardia dell’ambiente e della salute, perché anche un amministratore di condominio avveduto sa che le restrizioni e la sforbiciate sociano in una riduzione delle risorse da impegnare in produzioni competitive e dunque in corrispondenti consumi, in una dequalificazione dei servizi e quindi in un abbassamento degli standard di civiltà e di crescita.

Ormai siamo vittime di tossici che proprio non vogliono antidoti per i veleni che assumono e che fanno circolare sotto forma di menzogne inconfutabili e incontrovertibili e che imporrebbero una Norimberga oltre che per i loro crimini sanitari, per i reati economici e sociali dei quali si sono macchiati: la disoccupazione si combatte licenziando, per aumentare i posti di lavoro è necessario incrementare la flessibilità, bisogna incatenare il demone tentatore del debito pubblico, malgrado sappiamo, tanto per fare un esempio, che la crisi dei subprime del 2007 è derivata proprio da un eccesso di debito privato innescato dalla più infame delle promesse dei despoti liberisti: una casa per tutti senza aumento dei salari, grazie alla mobilitazione delle forze del male della speculazione.

Sarebbe ora davvero di diventare negazionisti, impugnando le loro tesi, smentendo le loro promesse letali, quelle della elemosina avvelenata che dei 209 miliardi ce ne farà vedere al massimo 60 da impegnare in incentivi invece che in investimenti, disconoscendo le loro fatali e improrogabili necessità che fanno dire alla Fed che la sua pazienza ha un limite e che è obbligatorio un prossimo rialzo dei tassi.

E è il momento di mettere in pratica tecniche di autodifesa, contro i teorici, i sacerdoti e la manovalanza di una ideologia che ha distrutto l’esistenza di milioni di individui in Grecia, in Spagna, qui e oltre il Mediterraneo in terre di conquista e dominio per questi predatori, che hanno prodotto a raffica crisi su crisi, economiche, sociali, ambientali e sanitarie riuscendo a fare retrocedere geografie sviluppate in Terzi Mondi cui vengono negati – dopo che se li erano conquistati- acqua, foreste, beni e prodotti della terra, medicine e cure e una piccola quota di felicità cui abbiamo diritto.

Stiamo vivendo situazioni caotiche impossibili da gestire, che potrebbero portare a un dissolvimento graduale della mistificazione narrativa in cui ci hanno costretto a vivere

Sognando Norimberga



La negazione della realtà è talmente frustrante che i pochi che ancora non hanno perso la testa e/o la dignità parlano di una sorta di processo di Norimberga da organizzare contro i mandanti, gli organizzatori e gli esecutori della narrazione pandemica e ne favoleggiano nei pochi spazi rimasti rimasti liberi al dibattito. Tuttavia si tratta di sogni: Norimberga fu possibile perché la Germania e il regime nazista furono sconfitti da potenze esterne e anche così molto della organizzazione e degli uomini che avevano collaborato col potere hitleriano, rimasero al loro posto perché in qualche modo e soprattutto all’impero americano facevano comodo. Analogamente una qualsiasi Norimberga avrebbe bisogno che l’occidente in qualcuna delle sue varie espressioni subisse uno scacco decisivo dal mondo altro, dal mondo multipolare. E’ quasi impossibile pensare che un potere in grado di creare una realtà fittizia per imprigionare l’umanità dentro le proprie distopie possa essere messa sul banco degli imputati da minoranze che per quanto agguerrite hanno a che vedere con masse sempre più amorfe che addirittura non hanno nemmeno più la forza di lottare per la loro esistenza economica e solo adesso, dopo un anno e mezzo, di tormenti stanno afferrando che ubbidire alle cose più assurde nella speranza che così si sarebbe usciti dalla pandemia non è stata una buona strategia: lo sarebbe stata se il Covid fosse stato davvero la peste e non in sostanza una mistificazione che ha portato peraltro a migliaia di vittime da caos e da errori medici.

A questo si aggiunga la totale e pneumatica mancanza di una qualsiasi alternativa politica credibile a meno che non ci si voglia illudere che Salvini, la Meloni, personaggi alla Paragone o altre schegge derivanti dall’esplosione dei Cinque stelle possano esprimere una qualche reale opposizione al regime euro pandemico che si stringe attorno a Draghi e alla sua opera di svenditore e impoveritore del Paese. Magari possono tapparsi il naso, fare la voce grossa, ma sostanzialmente sanno qual è il loro ruolo nell’orchestra del potere, ossia quello della stonatura programmata. Ciò che è accaduto in questo anno e mezzo è talmente scandaloso e radicale che non può essere affrontato da un’opposizione che in qualche modo sia interna al sistema, la battaglia per la libertà e la Costituzione devono far riferimento a un idea completamente antagonista rispetto al mondo che ci si trova ad affrontare. Purtroppo questo antagonismo non è che marginale e molto spesso espresso da persone che sono nate nella stagione in cui si scontravano diverse idee della società, diverse speranze, diverse e avverse visioni del mondo. Difficile riattizzare questi fuochi nel conformismo contemporaneo e nella sua ideologia costruita come una collana di spot insensati.

Dunque forse si riuscirà a venire fuori dalla narrazione pandemica e della distopia sociale che ne è una componente essenziale, forse il peso della multipolarità, probabilmente l’azione di forze economiche non ancora del tutto normalizzate, magari, chissà, brandelli di coscienza e di dignità ancora esistenti nel mondo della ricerca e soprattutto le situazioni caotiche impossibili da gestire, potrebbero portare a un dissolvimento graduale della mistificazione e tuttavia la ritirata sarà gestita dagli stessi che hanno guidato l’assalto alla ragione e al buon senso. In effetti, anzi, già si può notare che qualche giornale ( in maniera evidente Il Fatto) e qualche personaggio comincia una quasi impercettibile marcia indietro, anche perché incalzato dal disastro immane delle vaccinazioni di massa e non si fa fatica a credere che esista un piano B grazie al quale tutti o quasi i colpevoli saranno innocenti: le autorità sanitarie che si sono svendute tireranno fuori (alcune già lo stanno facendo alla chetichella) i numeri veri e diranno di essere state fraintese, i medici sosterranno di aver ubbidito persino quando questi assassini negavano le cure, i media diranno di aver solo riferito quello che diceva la scienza, i responsabili politici si nasconderanno dietro il medesimo tappeto. Al massimo si troverà qualche capo espiatorio e si fingerà che che non sia mai avvenuto ciò a cui abbiamo assistito, ossia a un tentato golpe delle oligarchie finanziarie per via sanitaria. Non ci saranno colpevoli e intanto rimarranno alcuni strumenti di negazione delle libertà come i passaporti vaccinali che all’occorrenza potranno essere usati in modo diverso e non a caso non si chiamano come dovrebbero, ma green pass, che può valere per un milione di cose o come gli strumenti della gestione di emergenza sempre pronti a scattare per qualsiasi cosa. E tutto questo in attesa di poter ritentare la strada del neo feudalesimo.

Occorreranno anni e forse decenni decenni di reinsediamento di una cultura politica, ammesso che ciò sia realizzabile, per poter davvero opporsi su tutti i fronti a questo degrado sociale, cognitivo e oserei dire spirituale se non temessi di essere frainteso. Solo allora si potrà immaginare davvero la Norimberga per quelli che vogliono essere padroni del mondo.

Ogni “strategia” deve avere definiti tre elementi fondamentali: obiettivi, metodi e strumenti necessari per avere successo.

Afghanistan: sconfitta dell’Occidente o naturale conclusione di una missione priva di un chiaro obiettivo?
17 giugno 2021
di Redazione
in Opinioni



di Andrea Armaro

E’ di questi giorni la notizia che i Paesi NATO e della Coalizione internazionale che ha gestito l’Afghanistan negli ultimi 20 anni stanno velocemente lasciando quel martoriato Paese. L’Italia ha ammainato la bandiera l’8 giugno con una piccola cerimonia ad Herat. Il nostro Paese ha pagato un tributo importante con i suoi 53 morti e circa 700 feriti. Un impegno bellico che ha visto migliaia di donne, uomini e mezzi impegnati, risorse industriali imponenti e miliardi di euro. Uno sforzo sicuramente immane. Ne è valsa la pena? E’ la domanda che molti si sono posti.

Lungi da noi unirci al coro di coloro che polemizzano legittimamente se questo rientro o ritiro prefigura una sconfitta dell’Occidente o una naturale conclusione della crisi afghana. Qui vorremmo esclusivamente fissare alcuni punti di riflessione che speriamo possano essere utili per meglio affrontare “strategicamente” le future crisi internazionali, a partire dal nostro impegno nel Sahel.


Il primo elemento di rilievo è che l’intera “operazione Afghanistan” sembra essere stata priva di un chiaro obiettivo finale da raggiungere. L’obiettivo è tutto, e a noi è stato sempre sottratta la possibilità di una riflessione adeguata dando per scontata il dovere di solidarietà derivanti dalla nostra partecipazione alla Alleanza Atlantica.

In ogni attività e quindi in ogni “strategia” per svilupparla, devono essere chiaramente definiti tre elementi fondamentali: obiettivi, metodi e strumenti necessari per avere successo.

L’operazione in Afghanistan è stata sicuramente priva del primo degli elementi, o meglio, nel corso di vent’anni si sono succeduti diversi “obiettivi”, mutevoli e spesso contingenti o parziali o peggio ancora legati alla politica interna.

L’obiettivo strategico iniziale, in altre parole quello che ha dato avvio all’intervento prima solo americano, poi con il coinvolgimento della Nato, spesso in contrasto o comunque non coordinato, (ricordo una importante discussione a Bruxelles tra il segretario di Stato Donald Rumsfield e il ministro della Difesa Arturo Parisi), tra le missioni Enduring Freedom e Isaf, era tuttavia apparentemente molto chiaro, circoscritto e raggiungibile.

L’obiettivo concreto era di eliminare la possibilità che in un Afghanistan divenuto “santuario” per l’organizzazione terroristica Al Qaeda di Osama Bin Laden, quest’ultimo potesse pianificare e coordinare un nuovo attacco terroristico agli Stati Uniti o ad altri Paesi occidentali.


Sconfitte militarmente le forze e le basi organizzative di Osama, l’obiettivo della coalizione ha continuato a mutare quasi per giustificare la presenza e si è ampliato notevolmente fino ad immaginare niente di meno la “costruzione della democrazia” in Afghanistan.

.Oltre che la cattura dello stesso Osama, l’obiettivo è diventato quello di garantire la completa distruzione della sua organizzazione, delle sue basi di reclutamento e della stessa ideologia di base, legata a una radicata corrente di pensiero culturale e religiosa.

Parallelamente, e in coerenza alle idee del periodo (temo sbagliate) si voleva dare pure un futuro di “pieno sistema democratico” all’Afghanistan, che forse non aveva neppure idea di cosa fosse e molto probabilmente neppure voglia di aderirvi.

Ecco quindi che a fronte di un obiettivo (ideologico?) quasi irraggiungibile o che comunque avrebbe richiesto molti decenni, generazioni di afghani, oltre che strumenti ben di là di quelli che si era pronti a mettere in campo per raggiungerlo, si è cercato di procedere con uno stillicidio di “piccoli obiettivi”: dalle elezioni alla riconquista di una provincia, dalla distruzione dei campi di papavero e della produzione di droghe alla costruzione di infrastrutture e così via.


Tutti mini-obiettivi che giustificavano la permanenza nell’area che hanno però distolto dalla vera discussione politico-strategica, che non è mai stata affrontata, sul futuro reale del popolo afghano e su come addivenire ad una ricomposizione del Paese che comprendesse anche la componente cosiddetta Talebana, organizzazione evoluta nel tempo e oggi tutt’altro che coesa e rappresentante almeno una dozzina di diverse “anime” con differenti obiettivi.

Il secondo elemento, già introdotto, è rappresentato proprio dall’irrealizzabilità dell’obiettivo inizialmente ipotizzato. Oltre che essere chiaro, preciso e ben definito, infatti, un obiettivo strategico deve essere “raggiungibile”, ovvero commisurato agli strumenti disponibili, e comunque “accettabile” nell’ambito dei vincoli politici, economici, legali esistenti.


Ecco quindi che già fin dalle fasi iniziali delle attività in Afghanistan, nel 2001, era opportuno ipotizzare e identificare un nuovo “status quo” realistico e accettabile per molti, con la consapevolezza (anzi certezza) che esso sarebbe rimasto tale solo per un certo periodo.

Sicuramente non sarebbe stato perfetto, forse non avrebbe portato a tutti gli obiettivi che nel tempo ci siamo immaginati per l’Afghanistan, ma pensare a un accordo “perfetto ed eterno” con chiunque sia la controparte è, nelle relazioni umane e nella politica internazionale, semplicemente illusorio. In ogni caso sarebbe stato meglio di un lungo stillicidio con un esito finale comunque inevitabile.

La storia ci insegna che nessuna nazione è in grado di trasformare un altro popolo semplicemente occupando il suo territorio e che i cambiamenti introdotti sono tali solo se imposti a fronte di una forza. Quando però questa rientra o si ritira, ogni popolo tende a tornare indietro, a riassumere il suo percorso di sviluppo sociale con riferimento alla sua cultura, alle sue tradizioni ed idee.

Un ultimo punto è una riflessione generale che si spera il Governo e il Parlamento italiano possano promuovere riguardo l’intero processo di gestione di una crisi o di una situazione internazionale. Vi è la tendenza a credere, soprattutto nel mondo occidentale, più ancora americano, che esista una soluzione puntuale delle crisi con la possibilità quindi di affrontarle e risolverle in modo definitivo al loro insorgere.


In realtà, l’esperienza insegna che le crisi non si “risolvono”, ma tutt’al più si “gestiscono”, significando che non esistono soluzioni ottimali o risultati sempre raggiungibili secondo i propri desideri, quanto piuttosto “percorsi” che richiedono un impegno lungo e costante, spesso con esiti totalmente distanti dagli intenti iniziali, ma comunque pragmaticamente accettabili.

Al contrario, per la situazione afghana abbiamo spesso osservato lunghi periodi di totale disinteresse politico e internazionale, quasi che aver avviato una missione militare o di aiuto allo sviluppo fosse considerato sufficiente per raggiungere quegli obiettivi che oggi tutti piangono come compromessi o non più raggiungibili.

I nostri militari e i nostri diplomatici hanno fatto tutto quello che era necessario e richiesto, ma il loro sacrificio non poteva compensare la mancanza di una reale strategia fatta di obiettivi chiari e pragmaticamente raggiungibili da parte di coloro che nel tempo, in primis gli Stati Uniti, avrebbero avuto la responsabilità di sviluppare.

Foto ISAF/ Op. Resolute Support e Difesa.it

https://www.analisidifesa.it/2021/06/afghanistan-sconfitta-delloccidente-o-naturale-conclusione-di-una-missione-priva-di-un-chiaro-obiettivo/

il «fortino» di San Didero, sgomberato all’alba del 13 aprile e trasformato nel nuovo fronte della lotta contro la Torino-Lione, resta poco più di un recinto vuoto, presidiato giorno e notte da un imponente schieramento di poliziotti, carabinieri e finanzieri. Solo cinque milioni e trecentoquarantamila i soldi per la "sicurezza"

TORINO-LIONE
Lavori all’autoporto di San Didero: Sitaf sospende le gare d’appalto


La motivazione: «Necessarie modifiche al progetto». È il cantiere nel mirino dei No Tav

di Massimo Massenzio

Sono passati solo due mesi dall’apertura del cantiere del nuovo autoporto di San Didero e gli appalti sono già fermi. Le marce No Tav e le proteste dei sindaci valsusini questa volta non c’entrano. I lavori, che rientrano nelle opere connesse alla Torino-Lione, sono gestiti per conto di Telt dalla Sitaf, concessionaria dell’autostrada A32 Torino-Bardonecchia. Proprio la società del gruppo Gavio, ha comunicato a tutte le imprese, «preselezionate» da circa un anno e invitate a dicembre a presentare un’offerta, che la procedura di gara è sospesa per «intervenuta necessità di modifiche progettuali». Un annuncio inaspettato che, nella lettera protocollata lo scorso 7 giugno, viene motivato in maniera abbastanza vaga. Tenuto conto che si tratta di interventi per un importo superiore a 47 milioni di euro e che il progetto del nuovo autoporto «è stato approvato in tutte le sedi competenti». Eppure Sitaf fa sapere che «nel corso dell’iter di approvazione del progetto esecutivo è emersa la necessità di un suo aggiornamento, con la rivisitazione delle soluzioni inizialmente prospettate. Si rende pertanto necessario provvedere ad una nuova trasmissione al Ministero delle Infrastrutture del progetto esecutivo». E conclude disponendo la «sospensione temporanea di tutte le operazioni di gara fino alla pronuncia definitiva del Ministero».


Uno stop che rischia di fare accumulare ritardi su ritardi, ma anche senza modifiche progettuali e cambi di capitolato riuscire a ottenere i contributi dell’Unione Europea per le opere completate entro il 2022 era impossibile. I tempi di realizzazione di truck station, parcheggio, area di servizio e — soprattutto — delle due rampe di immissione, sono infatti stimati in 755 giorni. Bisognerà comunque inseguire altri finanziamenti europei, che quasi certamente ci saranno, ma resta da capire quale parte del progetto dovrà essere cambiata e soprattutto per quale motivo non sia stato possibile farlo con una variante in corso d’opera. Un tema sul quale, per il momento, Sitaf non si è pronunciata, mentre Telt ha preso una posizione molto chiara: «Al di là dei passaggi tecnici e procedurali in capo a Sitaf, per Telt è fondamentale il rispetto del cronoprogramma condiviso con la Ue, che la concessionaria autostradale si è impegnata a onorare. In caso contrario, valuteremo tutte le strade per garantire la continuità dei lavori».

Nel frattempo il «fortino» di San Didero, sgomberato all’alba del 13 aprile e trasformato nel nuovo fronte della lotta contro la Torino-Lione, resta poco più di un recinto vuoto, presidiato giorno e notte da un imponente schieramento di poliziotti, carabinieri e finanzieri. Per garantire la protezione del cantiere e il supporto logistico alle forze dell’ordine la spesa massima prevista nel progetto è di 5 milioni 340 mila euro. Una cifra che ha sollevato non poche polemiche: «Inutile lamentarsi dei costi della sicurezza — sottolinea Alberto Poggio, membro della commissione tecnica No Tav — se poi si aprono cantieri in anticipo e i progetti devono essere modificati». Dello stesso avviso anche il vice sindaco di San Didero Alberto Lorusso: «Hanno utilizzato una procedura d’urgenza per espropriare i terreni e adesso si blocca tutto. Non vorremmo che lo stop fosse legato a problematiche di inquinamento ambientale, visto che in quel sito sono già stati interrati in passato rifiuti tossici. Chiediamo di essere informati».
17 giugno 2021 | 20:40





Ricordare ai cagnolini chi è il capo branco, la "nuova" Nato. L'Italia ha un'alternativa la Strategia del Mare Nostrum

Per la NATO la Cina è più vicina della Libia

18 giugno 2021


Gli ultimi sono stati giorni decisamente intensi per la diplomazia USA: in rapida successione G7, Summit NATO, colloqui con l’UE, confronto con Putin! L’impressione era che l’obiettivo principale della nuova amministrazione fosse quello di marcare la differenza con la precedente.

La differenza nel modo di relazionarsi c’è stata sicuramente (si ricordino i burrascosi G7 e summit NATO dell’epoca Trump), ma il messaggio di fondo non sembra poi così diverso: “noi (gli USA) fissiamo gli obiettivi strategici, voi (gli alleati) siete tenuti, per lealtà, riconoscenza, comunanza di valori democratici eccetera ad essere con noi (o meglio: dietro di noi).”


Al riguardo il Summit della NATO ha riscosso sui maggiori organi di stampa reports entusiastici che evidenziavano il ritrovato legame trans-atlantico su cui si basa la solidità e, in fondo, la credibilità dell’Alleanza.

Eppure, leggendo i 79 articoli e le 26 pagine fitte del comunicato finale approvato dai Capi di Stato e di Governo dell’Alleanza emergono valutazioni meno entusiasmanti.


Come sempre accade il comunicato è il risultato di un incessante lavorio di negoziazione tra i divergenti desiderata dei paesi membri, ciascuno dei quali (dovendo le decisioni in ambito NATO essere assunte tutte all’unanimità) mantiene di fatto un diritto di veto. Peraltro, se ciò avviene con il comunicato, avverrà in maniera ancora più evidente con la politica reale che l’Alleanza metterà in opera.

Intendiamoci, vi sono molti punti che era giusto sottolineare, come la centralità dell’Articolo 5, sia per consentire a Biden di marcare le differenze rispetto a Trump, sia per rassicurare i paesi est-europei che si sentono più esposti a minacce. L’impegno dell’Alleanza anche nel settore delle minacce ibride e degli attacchi cibernetici è una chiara dimostrazione di sapersi adattare a situazioni di rischio in continua evoluzione.

Non stupisce più di tanto neppure che la missione in Afghanistan sia stata presentata come un successo (art 15) anziché una frettolosa ritirata (la Grande fuga). Non si poteva fare altrimenti in questa sede. Su altri temi non mancano invece le perplessità.

Russia

E’parsa eccessiva l’insistenza con cui il documento si dilunga sui singoli aspetti della minaccia russa. Minaccia (o forse rischio) che sicuramente c’è, anche se percepita con diversa intensità dai singoli paesi. Il ripetuto richiamo a questa minaccia russa sembra però stonare in un documento nel quale vengono per contro appena accennati, quando non del tutto ignorati, diversi altri fattori di instabilità che minacciano la sicurezza dei paesi membri (quali il Nord-Africa ed il Sahel).


Inoltre, è chiaro che il forte richiamo alla centralità dell’articolo 5, alla deterrenza (articoli 38 – 40 del Comunicato), all’irrinunciabilità della dimensione nucleare della NATO (art.41), alla centralità della Ballistic Missile Defence dell’Alleanza (art. 42-44) siano tutti messaggi molto chiari diretti a Mosca.

Messaggi ineccepibili ai cui peraltro fanno seguito il “reiterato supporto” promesso dalla NATO per salvaguardare l’integrità territoriale di Ucraina, Georgia e Moldavia (art.14), rimarcando al contempo che Georgia ed Ucraina”will become members of the Alliance” (diventeranno membri della NATO – art. 68 e 69).

Non si può non pensare che ciò venga percepito dalla Russia come una ulteriore espansione, ostile ed anti – russa della NATO. D’altronde l’accesso di Ucraina e Georgia alla NATO venne discusso e in parte promesso nel corso del Summit di Bucarest del 2008 (su pressione di Bush) e se per 13 anni non se ne è fatto nulla ci sarà stata una ragione!

Cina

Suscita perplessità il tentativo (in effetti appena accennato, sembra per via delle prevedibili resistenze franco-tedesche) di allargare l’area di interesse dell’Alleanza verso l’Indo-Pacifico. La Cina è sicuramente il fattore di rischio più rilevante per i paesi della NATO, ma è un rischio che l’Alleanza è strutturata per contrastare?

Che possibilità ha l’Alleanza Atlantica di dirigere le politiche economiche e le legislazioni dei paesi membri per contenere una invasione che è tutt’altro che militare?

Il ruolo globale della NATO

Il Comunicato, in linea con il futuro Concetto Strategico NATO 2030, tende a disegnare un’Alleanza che geograficamente sia sempre più “mondiale” anziché puramente “atlantica” e, come capacità di intervento, sempre più “globale e politica” anziché puramente “militare”. Obiettivo ineccepibile ma al di fuori dell’area Euro-Atlantica gli interessi dei paesi membri sono davvero coincidenti?

In merito alla dimensione “globale” dell’Alleanza, che richiede che la NATO sia in grado di esercitare un’azione politica unitaria che non sia solo (come oggi) il massimo comune divisore tra quelle dei paesi membri, ipotizziamo davvero che gli USA o anche la Gran Bretagna, la Francia o la Germania sarebbero disponibili a fare politica estera per il tramite della NATO che a differenza della UE ha una dimensione dimensione quasi esclusivamente militare?

Ambizioni e costi

Si tende a disegnare un futuro ruolo dell’Alleanza molto più ampio e con livelli di ambizione molto più estesi degli attuali sia geograficamente sia in campi che travalicano il puro ambito della difesa e sicurezza.

Tutto ciò senza però veramente voler esaminare le implicazioni pratiche (e i costi) di tali sogni di gloria. Infatti per il momento ci si limita ad accennare pudicamente al fatto che tali ambizioni richiederanno un incremento di risorse rese disponibili dai paesi membri, con un notevole incremento a partire già dal 2023 delle spese gravanti sul budget comune (common funding) che pertanto dovrà essere “rimpinguato”.


Le relative implicazioni economiche non vengono neanche minimamente accennate e se ne rimanda la valutazione (che non sarà certo indolore) al Summit del 2022 (art.7).

Inoltre, chi si fosse aspettato una minor rigidità rispetto alla Amministrazione Trump in relazione al raggiungimento degli obiettivi di spesa fissati su pressione USA al Summit in Galles del 2014 (ovvero, almeno il 2% del PIL destinato alla Difesa e almeno il 20% di tale spesa destinato all’ammodernamento, obiettivi da raggiungere entro il 2024) sarà rimasto deluso. Tali impegni sono stati non solo confermati ma ulteriormente ribaditi (art 35). D’altronde nel 2014 alla Casa Bianca c’erano Obama e Biden.

Il dimenticato Fianco Sud

Nel comunicato delude soprattutto la quasi totale assenza di accenni seri alla questione libica e all’instabilità del Nord Africa, in un documento che ipotizza un ruolo “mondiale “ per la NATO, che viene chiamata ad una più stretta collaborazione con i partners dell’Asia – Pacifico e a rapporti con “nuovi interlocutori in Africa, Asia e America Latina” ( art. 6. E) e a divenire una “leading International Organization” addirittura in riferimento all’adattamento dell’impatto dei cambiamenti climatici sulla sicurezza (art. 6.g).

Al Mediterraneo in generale non viene dedicato alcuno spazio, a parte qualche accenno alla Siria (art 52 e 53), ma solo per puntare anche qui il dito contro la politica destabilizzante di Mosca.


Nel comunicato c’è solo un brevissimo accenno alla Libia (art 76) in merito alla quale ci si limita a complimentarsi con l’ONU per quanto sta facendo per un processo di pace a guida libica finalizzato alla riconciliazione nel paese.

Comprensibile che in merito alla Libia la NATO (che ha condotto l’operazione “Unified Protector” nel 2011) dovrebbe sentirsi la coscienza sporca (tra l’altro Biden era vicepresidente USA all’epoca). Meno scusabile è invece che ancora oggi l’Alleanza non paia in grado di esercitare alcun ruolo in relazione ad una crisi che ha contribuito a generare, stanti i contrastanti interessi dei paesi membri e al ruolo che la Turchia ricopre nel paese nord-africano.

Per noi italiani, per il momento, sembra chiaro che non ci si possa aspettare alcun aiuto dalla NATO nel Mediterraneo e rispetto ai problemi sulla nostra ex Quarta Sponda.

Ignorare il problema libico rischia di suonare come una chiara luce verde alla politica di Recep Tayyp Erdogan nel bacino del Mediterraneo, purché continui a contrastare Mosca come sta facendo in vari teatri (Caucaso, Siria, Libia) e svolgere il ruolo di fedele controllore degli Stretti (come da Convenzione di Montreux del 1936).

Conclusioni

In conclusione il summit ha decisamente messo in luce alcuni punti fondamentali:
Il cambio della leadership a Washington ha visto il nuovo presidente mostrarsi nei confronti dell’Alleanza più attento del predecessore, ma anche molto più esigente nell’indicare gli obiettivi geo-politici e i “nemici” della NATO. L’impressione è che il prolisso linguaggio da guerra fredda usato contro Mosca nel Comunicato, oltre a voler dare un “contentino” ai paesi Est Europei, intendesse fornire un supporto a Biden per i suoi colloqui di Ginevra. Ovvero presentarsi al tavolo con Vladimir Putin non solo come leader degli USA ma anche come leader di una NATO coesa e determinata nel confronto con la Russia.
Il desiderio USA di utilizzare la NATO come strumento di politica di sicurezza anche nei confronti della Cina e a favore degli alleati degli USA nell’Indo-Pacifico: schieramento che potrebbe nuocere agli interessi commerciali di vari paesi europei.
La necessità di guardare a una NATO “più politica” (anche senza definire esattamente cosa ciò comporti) anche per girare pagina dopo l’esperienza afghana che, in ogni caso non può essere definita un successo.
Impossibilità di controllare un alleato ufficialmente ritenuto poco presentabile, come la Turchia, ma che continua ad assolvere un ruolo essenziale nel confronto con la Russia.

Ci si poteva spettare di più da questo Sumnit della NATO ? Forse sì ma di certo all’Italia conviene incominciare a pensare quali alleanze tessere (dentro e fuori la NATO) per risolvere i problemi alle porte di casa nostra che a Bruxelles e a Washington sembrano non interessare più di tanto.

Foto NATO

La Sicilia terra di conquista

“NESSUNO POTEVA PIU’ VIVERE AL SICURO”

17 giugno 827 l’Islam conquista la Sicilia bizantina

Articolo di Santi Gnoffo
Il 17 Giugno dell’827, gli Arabi (arabi, berberi, musulmani di Spagna e Persiani), comandati dal settantenne Sinàn Asad al-Furàt, sbarcarono a Capo Granitola (Tp).
L’armata era composta di diecimila fanti e settecento cavalieri. La conquista della Sicilia era stata ordinata dall’emiro aghlabita di Quairawàn Ziyàdat Allàh, a seguito della richiesta di un traditore siciliano: il tumarca (funzionario) Eufemio, comandante delle truppe bizantine a Messina. Da anni gli Arabi avevano praticato diverse scorrerie in Sicilia, la stessa Panormo, nell’anno 819 era stata vanamente attaccata ma le possenti mura li fecero rinunciare dal loro proposito.
I musulmani avevano dato inizio alla guerra santa contro la Sicilia cristiana. Iniziarono i saccheggi, le rapine, gli incendi, le distruzioni delle messi, il taglio degli alberi, l’abbattimento delle case. Uccidevano tutti coloro che facevano resistenza, gli altri furono ridotti in schiavitù.
Nessuno poteva più vivere al sicuro.
Ogni giorno la verde bandiera dell’Islam poteva apparire improvvisamente all’orizzonte come segno di morte e rovina. Nell’830 sbarcò un nuovo esercito di 30.00 uomini. Alla guida era il berbero Asvag, soprannominato Fargalùs. Nel Nordafrica si era sparsa la voce che la Sicilia, una terra ricca di uomini e di beni, non era adeguatamente difesa. Inoltre si trattava di una terra abitata da infedeli. Era la grande occasione per fare rapidamente fortuna. I musulmani abbandonarono le loro terre desertiche e si precipitarono sulla fertile isola. Fu posto l’assedio a Panormo. Gli abitanti della città, abbandonati da Bisanzio, senza viveri e distrutti da un’epidemia, si arresero nel mese di Rageab 831 del calendario musulmano (corrisponde al periodo compreso fra il 14 Agosto e il 12 Settembre dell’831), esattamente il giorno 11 Settembre dell’anno 831.
Secondo lo storico arabo Ibn al-Atir rimasero in vita solo 3.000 cittadini, 60.000 erano stati uccisi nei combattimenti o erano morti per stenti.
Gli Arabi, dopo avere conquistato Panormo, la denominarono Balarm o Balarmuh.
I primi anni furono duri per tutti, le truppe musulmane furono costrette a vivere in campi aperti o asserragliati in piccole rocche fortificate, gli abitanti della Città vivevano impauriti dalle scorrerie e razzie degli invasori. Ai cristiani fu concesso lo status di “dhimmi” (vassalli) e grazie all’amàm, ogni cittadino era tutelato nei suoi beni ed aveva libertà di commerciare. Questo status, implicava degli obblighi (quasi sempre rimasti teorici), come il contrassegnare con appositi simboli i propri abiti e le proprie case e pagare tasse più alte rispetto ai musulmani. Ai cristiani non fu concesso di occupare ruoli sociali che implicassero potere sui musulmani o possedere case più alte delle loro.
Sul piano religioso, fu tutelata la libertà di culto ma non fu concesso edificare nuove chiese, celebrazioni funebri, suonare le campane, fare processioni, leggere la Bibbia alla presenza di musulmani, bere pubblicamente alcolici.
Nella vita sociale furono tutelati la proprietà privata, il libero commercio e le antiche tradizioni locali ma allo stesso tempo furono obbligati ad alzarsi in piedi alla presenza di un musulmano, nelle strade ceder loro il passo; sul piano della difesa personale non fu consentito indossare armi, avere un cavallo o montare su di un mulo in loro presenza.
All’uomo cristiano fu proibito sposare una musulmana, di contro, un uomo di fede islamica poteva liberamente sposare una cristiana.
La popolazione fu sottoposta a particolari tributi.
Per trattare gli affari era necessario la giamà’a, cioè il consenso municipale rilasciato dal Consiglio dei notabili della Città: una struttura formata da sceicchi, esponenti delle famiglie nobili, dai capi delle corporazioni, dai dotti e dai cittadini più ricchi.
Pochi furono i panormiti che rimasero in città, la maggior parte della popolazione era composta di ebrei e musulmani (berberi, immigrati arabi, egizi, persiani, siriani, maghrebini, iracheni, negri), greci, longobardi, tartari e schiavi di ogni nazionalità.
La tolleranza tra tutte queste etnie non creò dissapori perché era unita da interessi economici, perciò, non vi fu attrito tra vinti e vincitori. Molte persone delle varie etnie si convertirono all’Islamismo.
Alla donna cristiana non fu consentito entrare nei bagni pubblici alla presenza di donne islamiche: prima dell’occupazione islamica, erano le prostitute a non poter frequentare i bagni pubblici alla presenza di donne di altra estrazione sociale.
Alcuni di questi divieti furono del tutto teorici e spesso non osservati (ad eccezione del divieto per un cristiano di sposare una musulmana), servivano soltanto per prostrare psicologicamente la comunità.
(Santi Gnoffo, Palermo nei secoli)

Il sindaco Rasero è parte integrante del Sistema mafioso massonico politico istituzionalizzato

POLITICA | 18 giugno 2021, 18:24

"Gratteri? Non so chi sia". La frase del sindaco Rasero finisce sulla pagina Facebook intitolata a Giovanni Falcone. Cerruti torna a chiedere le dimissioni

Scrivono gli amministratori della pagina: "È estremamente inquietante che in un territorio come l'Astigiano dove diverse inchieste hanno confermato una presenza radicata da anni della 'ndrangheta ci siano sindaci che non sanno nemmeno chi sia il principale procuratore della Repubblica impegnato contro di essa"


"Il nome di Gratteri non l’avevo mai sentito in 40 anni. Non lo conosco. Non so chi sia. E comunque avevo già un impegno".

La frase del sindaco di Asti, Maurizio Rasero, oltre a far discutere da giorni la politica locale, finisce anche sulla pagina facebook intitolata a Giovanni Falcone seguita da più di 700mila persone.

L'assenza di tutta l'amministrazione comunale all'appuntamento del festival letterario Passepartout con Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, non era sfuggita alla minoranza che attacca da giorni Rasero e la sua giunta, chiedendone le dimissioni come ha fatto oggi anche Massimo Cerruti capogruppo del Movimento 5 Stelle che scrive: "La figuraccia si allarga a vista d'occhio, purtroppo.
Asti ed il Sindaco stanno finendo (in negativo), oltreché su diverse testate di varie zone d'Italia, anche su una pagina di Giovanni Falcone con oltre 700.000 followers e nelle newsletters a tutti gli iscritti...Una macchia che rimarrà indelebile.

Ribadiamo la richiesta: a tutela della città di Asti e dei suoi cittadini ammetta l'errore e si dimetta".

Il sindaco Rasero, durante una conferenza stampa, qualche giorno fa aveva ammesso di non conoscere assolutamente la figura di Gratteri, scatenando una polemica ulteriore.

Scrive ancora la pagina di Falcone: "Oltre al sindaco, nessun assessore e nessuno dei 20 consiglieri di maggioranza si è fatto vedere. Non si stupisce l'opposizione, che in una nota ricorda che Rasero presiede la stessa giunta che voleva far uscire la città di Asti da Avviso Pubblico, la rete di comuni contro mafie e corruzione, e si è schierata contro la legge regionale che limita il gioco d'azzardo in Piemonte.

Il sindaco ha anche dichiarato che il nome di Gratteri è sconosciuto all'astigiano medio, che lui rappresenterebbe, e che comunque lui, da tifoso dell'Inter, non sa nemmeno i nomi dei giocatori, quindi non è un problema politico, anzi, è felice che il procuratore sia intervenuto nella sua città.

Sarà anche vero, ma è estremamente inquietante che in un territorio come l'astigiano dove diverse inchieste hanno confermato una presenza radicata da anni della 'ndrangheta ci siano sindaci che non sanno nemmeno chi sia il principale procuratore della Repubblica impegnato contro di essa".

C'è da scommettere che l'argomento non finisce qui.

Ci sono tanti modi per guadagnarsi da vivere senza andare a rubare

“Quarta chiave”, Gratteri: “Non ci possono essere luoghi fuori dal controllo dello Stato”

18 Giugno 2021 18:31

Non possono esserci luoghi ‘franchi’, fuori dal controllo dello Stato; luoghi in cui qualcuno si sente autorizzato a fare ciò che vuole. Così Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, a proposito dell’operazione “Quarta chiave”, che questa mattina ha portato all’arresto di 29 persone per un traffico di rifiuti illeciti all’interno del campo Rom di contrada Scordovillo, a Lamezia Terme. “È un reato importante, perché l’indagine nasce da quell’incendio spaventoso nel 2019 che ha messo in ginocchio Lamezia, un incendio che ha inquinato l’aria in modo pesante, anche con diossina. Qui ci sono ettari di terreno inquinati in maniera irreversibile, e questo tipo di inquinamento provoca tumori, problemi alle vie respiratorie e inquina le acque che andiamo a bere”.

“Qui bisogna intervenire sul piano giudiziario, e la pubblica amministrazione deve intervenire anche sul piano sociale. Ma ognuno deve finirla di fare la vittima: tutti hanno bisogno di una casa, di istruzione, e non è possibile che siccome sono rom, non devono rispettare le regole. Ci sono tanti modi per guadagnarsi da vivere senza andare a rubare. Non ci sono alibi per nessuno, si tratta di gente che in modo scientifico viola la legge sapendo di farlo; e pensano che nessuno li disturbi perché si sentono padroni di un territorio, di uno spazio, che però è dell’intera città di Lamezia Terme”.

Nell'Agenda Rossa nomi e cognomi degli uomini del Sistema massonico mafioso politico istituzionalizzato, di quelli che ci governano

Mafie, ecco perché è interessante leggere l’ultimo libro di Gratteri e NicasoTra etica dell'antimafia, pedagogia dell'antimafia, cultura dell'antimafia. L'agenda rossa di Borsellino e i tanti che temono il Procuratore di Catanzaro

18 Giugno 2021 14:07
Scritto da: MASSIMO TIGANI SAVA


Ho letto tutto d’un fiato l’ultimo libro firmato da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso: «Non chiamateli Eroi» (Mondadori). Lo stile è scorrevole e asciutto, richiamando la lezione dei biografi antichi. Le storie proposte sono quattordici, seguite da tre pagine degli Autori intitolate “Per non dimenticare”. Il volume non contiene solo una chiara etica dell’antimafia, molto cara a Gratteri e Nicaso, con alcuni aspetti che spero prima o poi di poter approfondire. Un’etica delineata nella ben modulata selezione di vite vissute (dai magistrati Livatino, Falcone e Borsellino al generale Dalla Chiesa, da Don Pino Puglisi al povero bimbo Giuseppe Di Matteo, da Peppino Impastato a Lea Garofalo), ma con alcuni messaggi molto importanti che anche il sindaco di Asti e la sua giunta farebbero bene a leggere visto che mafia e ‘ndrangheta non sono due fenomeni che riguardano solo la Sicilia e la Calabria. Anzi, tante preziose inchieste giudiziarie hanno dimostrato che mafia e ‘ndrangheta hanno da tempo conquistato ampi territori e settori delle regioni italiane del Centro-Nord e dell’Europa tutta. I messaggi sono interpolati fra le righe delle biografie, ma soprattutto nelle tre pagine finali. Li elenchiamo schematicamente perché ciascuno di essi merita riflessioni attente: 1) Falcone e Borsellino vissero e agirono in “un ambiente che non li ha mai sopportati, fatto di ostilità, sabotaggi e maldicenze” e “sono stati uccisi in una guerra che pochi hanno voluto combattere”; 2) Una mafia “silenziosamente legittimata da una società malsana che se n’è lungamente servita”; 3) In Italia “i violenti sono diventati classe dirigente grazie alle collusioni di una schiera di politici, imprenditori, uomini delle istituzioni che hanno sempre agito secondo logiche di convenienza”; 4) Richiamando Falcone: “Contano le azioni e non le parole”; 5) “Raccontare la storia di chi è morto per mano delle mafie, i loro sogni, le loro speranze, la loro normalità, ma anche il loro coraggio, è un modo per non dimenticare, per farli rivivere”. “La memoria del loro sacrificio – e qui siamo al passo cruciale del libro di Gratteri e Nicaso – deve spingere a impegnarsi per costruire un Paese che sia veramente libero dalla paura, dal bisogno, ma soprattutto dal condizionamento mafioso e dai maneggi elettorali”; 6) La lotta alle mafie “deve passare da una corresponsabilità dell’intero sistema istituzionale, culturale, sociale ed economico”; 7) “Le parole sono pietre. Usiamole per costruire ponti, per unire le coscienze di chi non sopporta più la tirannide delle mafie, l’ipocrisia di chi dovrebbe combatterle e le menzogne di chi continua a girarsi dall’altra parte” (il concetto non sembri in contraddizione con il punto “4” dedicato, potremmo dire, all’antimafia da parata). “Oggi più che mai – sottolineano gli Autori – c’è bisogno di conoscenza, ma soprattutto di scelte, coraggiose e inequivocabili”.
Consiglio la lettura del libro soprattutto al mondo delle università, della scuola, della chiesa, tra docenti, studenti e famiglie che possono compiere un’attività straordinaria nell’ambito di una pedagogia dell’antimafia capace di distruggere anche falsi miti talora alimentati, magari indirettamente o inconsapevolmente, anche dall’arte cinematografica o dalle serie tv. Etica dell’antimafia, pedagogia dell’antimafia, cultura dell’antimafia: l’ultimo contributo di Gratteri e Nicaso offre spunti decisivi e ben focalizzati.
Falcone e Borsellino furono barbaramente trucidati, assieme a tantissimi altri servitori dello Stato o a coraggiose personalità della società civile, per essere andati a fondo, per non essersi limitati a perseguire e additare il malavitoso per quanto di rango: c’è un livello della mafiosità che veste abiti firmati, che frequenta salotti importanti se non decisivi, che è porzione sostanziale delle classi dirigenti nazionali e internazionali, che i soldi li muove con i sistemi dell’alta finanza, che detta i compiti alla politica collusa, che regge da solido burattinaio i fili di tanti burattini più o meno grossi. Raccontando dell’atroce attentato a Borsellino, Gratteri e Nicaso scrivono: “Dal luogo della strage scompare l’agenda di colore rosso sulla quale il giudice annotava ogni cosa”. Se è scomparsa quell’agenda, è ovvio che la stessa non contenesse solo nomi e indirizzi di pregiudicati e mafiosi acclarati. C’erano molto probabilmente ben altri cognomi, appunti su collegamenti indicibili, riferimenti su indagini da perfezionare alla ricerca delle mafie che non sparano ma ordinano di sparare. E questo è il motivo principale, a mio avviso, per il quale anche Nicola Gratteri fa paura a tanti!

Crash uno e due a distanza di pochi giorni

IL DOWN
Internet, caos in Usa e Australia: in tilt i siti di banche e compagnie aeree

L’evento a pochi giorni dal blackout mondiale dovuto a un malfunzionamento dei sistemi di Fastly. Pagine web e applicazioni inaccessibili agli utenti. Ipotizzato un problema con i sistemi Akamai. L’azienda: “Il segmento colpito della nostra piattaforma Prolexic è attivo e funzionante, stiamo verificando i servizi”

17 Giu 2021
Veronica Balocco

Siti web in tilt in Australia e Usa. Commonwealth Bank, Westpac, Anz, Me Bank, CommBank, le principali banche australiane, e le linee aere americane American, Delta e Southwester e United, hanno denunciato il crash di app e siti precisando che non è ancora chiaro quale sia il problema e che sono in corso indagini urgenti per determinarne l’origine. L’ipotesi, comunque, è che l’inconveniente sia stato provocato da un “provider esterno” di servizi.

Il problema tecnico è stato rilevato e reso noto dal sito di monitoraggio Downdetector.

Mentre la situazione sta gradualmente tornando alla normalità, analisti citati dalla Bbc indicano il fornitore di servizi di cloud Akamai.
“Sappiamo che alcuni dei nostri clienti stanno attualmente riscontrando problemi nell’accesso ai nostri servizi”, ha detto Commonwealth Bank ad Afp durante il guasto. “Questo problema sta interessando più organizzazioni, comprese molte delle principali banche”. Circa un’ora dopo, alle 16:15 ora locale, CommBank ha twittato che i servizi stavano iniziando a tornare alla normalità ed ha ringraziato i clienti per la loro pazienza.

La nota di Akamai

In una nota Akamai “conferma che il segmento colpito della nostra piattaforma Prolexic è attivo e funzionante e che stiamo continuando a verificare i servizi. Condivideremo maggiori dettagli su ciò che è accaduto, ma la nostra prima priorità è mitigare l’impatto sui clienti”.

Solo pochi giorni fa il crash dovuto al fornitore cloud Fastly

Solo qualche giorno fa era avvenuto un caso simile, con diversi siti web in tutto il mondo per circa un’ora. Tra i portali coinvolti i principali media internazionali – Le Monde, Nyt, Financial Times, The Guardian – mentre siti istituzionali come la Casa Bianca o quello del governo britannico, nonché la piattaforma Reddit o il sistema di pagamento Paypal, hanno riscontrato difficoltà di accesso.

I siti mostravano almeno temporaneamente messaggi come “Error 503 Service Unavailable” o “Connection Failure”. Il sito specializzato nel rilevamento dei problemi di accesso a Internet Downdetector, aveva riportato informazioni “che potrebbero indicare una grossa interruzione di Fastly”, fornitore americano di servizi di cloud computing. Potrebbe, quindi, essere quindi il “crollo” di una Cdn (content delivery network) ad aver determinato il problema.
Da parte sua fornitore di Content Delivery Networks (Cdn) Fastly ha poi comunicato di aver identificato il problema al cloud alla base del gusto. Nel frattempo molti dei siti interessati erano sono tornati online passando a un altro Cdn.

E' ovvio che se quel pezzetto di carta telematico è a tempo, 6/8 messi per i vaccini sperimentali alla scadenza dovrai rifarti la ri-inoculazione e ancora e ancora e ancora, per sempre

CRONACA
L'illusione della libertà e il Grande Reset: dal paradiso all'inferno


venerdì, 18 giugno 2021, 09:33
di marina mascetti

Finalmente, liberi tutti!! Forse l'incubo è finito, forse la Salvifica Iniezione ci ha restituito la libertà. Dimentichiamo Cenerentola e il coprifuoco, godiamoci di nuovo la vita! Cari Italiani, non illudetevi, presto suonerà la campanella come a scuola, per segnalare la fine della Ricreazione. Come lo scorso anno ci concederanno due o tre mesi di vacanza; ma a ottobre si ricomincia. Un tempo a ottobre si tornava a scuola, adesso torneremo alla Nuova Normalità; messi dietro la lavagna per punizione, perché abbiamo marinato il Distanziamento Sociale.

Spiace fare le cassandre, ma le premesse ci sono tutte, e fanno parte della gigantesca operazione d'ingegneria sociale che in nome della Ricostruzione e Resilienza ci stanno preparando con somma cura. Per il nostro bene, beninteso. Quelli che hanno causato il disastro – guarda un po' – sono gli stessi che ci propongono la cura, ma a caval donato...

Fase uno: Morte e Dannazione. A partire dal febbraio 2020, la paura è stata dominante, e continua ad esserlo. Un crescendo di terrore mediatico H24, alimentato ad arte con 'eventi' ad alto impatto emotivo, come i camion di Bergamo che portano via le bare, le sanificazioni di spiagge e strade, gli arresti domiciliari, i bollettini dei morti e dei contagi. Se il morbo fosse stato davvero così letale, saremmo già morti tutti. Ma niente paura, abbiate fiducia nella Dea Scienza: presto arriverà l'Unico Rimedio, la "Soluzione Finale" (come diceva Billgates) cioè la Salvifica Iniezione. Parola sua e di Antonyfauci, i migliori esperti della materia in tutto il pianeta (con qualche lieve conflitto di interessi).

Fase due: Salvezza e Resurrezione. A partire da gennaio 2021 è iniziato il martellamento non-stop. In collaborazione col Ministero della Salute, la Dea Scienza di ha dato un'altra Speranza: finalmente è pronta la Salvifica Iniezione, fonte di ogni Bene: ovvero "libera nos a malo", «liberaci da ogni male, passato, presente e futuro». Qualche miliardo di persone sperimenteranno felici le nuove e prodigiose tecnologie biologiche e transgeniche, ma vale la pena di sacrificarsi per il Bene Comune. Meglio ancora se lo si fa due o tre volte all'anno, con richiami vari e controlli. Anche qui 'eventi' simbolici: l'arrivo in sacra processione degli austeri furgoni scortati dalla Polizia, coi primi scatoloni del portentoso medicamento. All'inizio dovevano essere tenuti a -70°, poi è bastato il frigo di casa, e già lì sorgeva qualche dubbio.

L'Iniezione è subito diventata un dogma di Fede. Già nel 2020 l'Italia (e il mondo) si era divisa fra Guelfi e Ghibellini, cioè fra chi vive nel terrore e mette la mascherina anche a letto, e chi non ci crede più, perché ha capito che troppe menzogne sono state raccontate, e troppe cose non quadrano. Nel 2021 il mondo si è nuovamente diviso in due fazioni: gli Eletti e Benedetti – che hanno ricevuto l'Iniezione – e i Dannati e Reietti, che si rifiutano di accedere al Paradiso e preferiscono l'Inferno.

I medici sono di nuovo in prima fila per una serie di ragioni. Innanzitutto perché sono stati obbligati a farsi l'Iniezione, e gli obiettori minacciati di sospensione dal lavoro. Devono per forza seguire i Protocolli ufficiali (antipiretico & "aspetta e spera che già l'ora s'avvicina": ovvero biglietto di sola andata verso il disastro). Se non lo fanno, dovranno rispondere in prima persona e l'assicurazione non li coprirà.

Le proteste dei Medici Veri – quelli che onorano il Giuramento di Ippocrate, hanno fatto le autopsie di nascosto e curano i malati a casa con farmaci a basso costo – vengono sistematicamente censurate. La Santa Inquisizione a confronto era un club di educande: gli Algoritmi dei social tutto vedono e tutto sentono, non si scappa. La cura è una sola: l'Iniezione.

Poi ci sono i medici integralisti (culo e càmice con le Case farmaceutiche) secondo i quali chi non si sottopone all'Iniezione è pericoloso per sé e per gli altri: un untore della peste da sottoporre a TSO (trattamento sanitario obbligatorio).

Domande senza risposta. Finalmente si è levata una voce fuori dal coro, che non può in alcun modo essere screditata bollandola come fascista, negazionista, no-vaks & compagnia bella. Si tratta di Michele Santoro, ex-icona della Sinistra televisiva, che è riemerso dall'oblio in una memorabile trasmissione TV, prima da Floris e poi dalla inviperita Annunziata.

Finalmente ha dato voce a quel «30% o più di Italiani» che hanno osato esprimere qualche dubbio sull'Iniezione ed in generale sulla gestione dell'epidemia, ma sono stati sistematicamente messi a tacere da gennaio in poi, bollandoli come incoscienti ed eretici.

Qualche semplice domanda (sua e nostra): se l'Iniezione è davvero efficace

1 - Perché aver paura di chi non la fa? È lui che si assume dei rischi.

2 - Perché bisogna continuare a portare la mascherina e fare distanziamento sociale?

3 - Perché bisogna lo stesso fare i tamponi, per vedere se si è positivi e non si contagiano gli altri?

4 - Perché l'anno scorso si moriva solo di "coro-navirus" e mai di malattie pregresse; e viceversa adesso tutti muoiono "per altre patologie" e mai nessuno per gli effetti avversi dell'Iniezione?

5 - Perché c'è una vera e propria roulette russa sulle marche e relativi "benefici"?

6 - Perché nessuno spiega quali possano essere gli effetti collaterali a lungo termine, soprattutto sui bambini e sui ragazzi, anche in materia di fertilità e di mutazioni genetiche?

Il Dito e la Luna In realtà stiamo guardando il dito e non la Luna, perché l'Iniezione è un mezzo, e non un fine. Si comincerà con il "Green pass" (Draghi ha appena firmato il decreto) e la mitica App Immuni, per identificare i potenziali untori della peste, stanarli, ed eventualmente confinarli negli appositi containers, provvidenzialmente acquistati dallo Stato Italiano: 8000 per ogni regione, roba che neanche per un terremoto.

Legalmente non ti possono obbligare a fare l'Iniezione, ma faranno di tutto per renderti la vita impossibile
Iniziando col Passaporto Sanitario (cosa buona e giusta) si arriverà all'Identità Digitale obbligatoria (già prevista da Agenda 2020), senza la quale non potrai nemmeno pagare un caffè con la carta di credito. Il Certificato di avvenuta Iniezione, guarigione o il tampone (altro business miliardario assieme alle mascherine) saranno indispensabili per andare allo stadio, a teatro, e in genere per viaggiare. Poi verranno estesi a tutto il resto, grazie all'eliminazione del denaro contante.

Il vero fine è il controllo totale della popolazione, dei suoi movimenti, spese e consumi, dati da rivendere a fini commerciali con guadagni miliardari per le Piattaforme. Grazie all'Intelligenza Artificiale si va verso il modello sociale cinese: un sistema 'a punti', che premia chi si comporta bene e riduce allo stato di paria senza diritti tutti gli altri. Alla faccia della libertà di movimento delle persone, in teoria garantita dalla Costituzione e dall'ineffabile Trattato di Schengen; la cui applicazione è però una variabile indipendente, specie in materia di immigrazione clandestina.

Intanto stanno già arrivando le 'varianti' con le lettere dell'alfabeto greco. L'Inghilterra come sempre è all'avanguardia: Boris Johnson parla già di rimandare le aperture appena iniziate. Ma che strano, la stragrande maggioranza degli Inglesi ha ricevuto l'Iniezione e si ammalano lo stesso? Misteri della... Fede nella Scienza.

Dulcis in fundo, preparatevi al Grande Evento del 9 di Luglio! Seguite con trepidante devozione il Grande Profeta, Klaus Schwab, il capo del World Economic Forum: quello che nelle Simulazioni prevede il futuro, e ci azzecca più del Mago Otelma. Ha iniziato nel 2019 con Event 201, che simulava una Pandemia di Coro-Navirus. Ha appena pubblicato un libro sul Grande Reset, dove afferma che «la pandemia rappresenta una rara, ma stretta finestra di opportunità per riflettere, reimmaginare e resettare il nostro mondo». Ci aspetta il Nuovo ordine mondiale verde, per ridurre le emissioni di Co2. Il che comporta un nuovo ordine sociale, digitalizzazione totale, "distruzione creativa" della piccola impresa (specie italiana) e di tutto ciò che non si conforma ai nuovi parametri ecologici. Un delirio.

Il 9 luglio prossimo Schwab lancerà Cyber Polygon, la «Simulazione di una pandemia informatica che potrebbe avere effetti molto più devastanti del virus». Un attacco informatico che simulerà la distruzione della catena di approvvigionamento alimentare (hanno già fatto le prove negli USA): basta carne, mangiate gli insetti e i surrogati vegetali, che fa tanto Green Economy.

Il passo successivo, vedrete, sarà un attacco informatico mondiale che di colpo cancellerà i 'Social': così le voci non allineate e la possibilità di contatto fra i dissidenti verranno azzerate. Non per colpa delle Istituzioni (o del Ministero dell'Amore), che naturalmente sono a favore della Libertà d'Informazione, e con cortese sollecitudine censurano le Fake News o le Bufale per il nostro bene, per guidarci lungo la Retta Via della Verità Vera.

Sarà colpa dei soliti malignissimi Hacker russi! Ma l'Unione Europea sicuramente ci proteggerà, siatene certi: dovrà solo scegliere fra Cina e America ("purché se magna", come ai vecchi tempi). Ed il Dragopardo è pronto a fare la sua parte: seguendo le istruzioni di Klaus Schwab, ha già creato il ministero della Transizione ecologica, che non è altro che la piattaforma per il Great Reset italiano.

Concludiamo con le parole di IDA MAGLI, scritte quasi vent'anni fa, quando fondò ItalianiLiberi: «Oggi gli Italiani sono privati dell'unica, vera libertà: quella di essere responsabili di se stessi, di poter affermare il proprio Io, sia come individui che come popolo. Respingere la creazione di un impero totalitario e distruttivo che porta il nome di Unione Europea non è lecito: pertanto non trova nessuno spazio legittimo dove esprimersi, e viene negato con il procedimento della tabuizzazione. Chiunque si azzardi a parlare [dell'Unione Europea] in maniera negativa cade sotto la condanna dell'impurità, dell'evitazione tabuistica, e di conseguenza della illegittimità. L'evitazione, il tabù, la contaminazione, su queste basi è stato creato il Potere stesso: la delimitazione fra ciò che è sacro e tutto il resto, che non lo è».

Stesso meccanismo censorio viene usato oggi contro chi non si uniformi al pensiero unico ufficiale in materia di pandemia, con i Comitati Tecnico Scientifici eretti a custodi della sacra ortodossia. O in materia di 'cambiamenti climatici', ai quali viene data la colpa di ogni evento atmosferico avverso, e guai a dire il contrario.

Ancora IDA MAGLI: «Un desiderio di onnipotenza e di conquistare dell'Europa, analogo a quello [di Hitler], spinge oggi i politici alla costruzione dell'Unione Europea. Nessuno si lasci ingannare dalle apparenze. Non si vedono le armi, ma la violenza con la quale i popoli vengono privati della propria identità, della propria libertà, è analoga. E finirà con le armi. Il detto del nostro tempo è: se vuoi la guerra, prepara la pace».

La (pseudo) libertà che ci hanno appena concesso sarà solo un'illusione, prima di tornare nel Purgatorio?