L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 23 ottobre 2021

23 ottobre 2021 - No green pass incontrano Patuanelli: "No obbligo vaccino per i medici, n...

Sempre più cittadini consapevoli dell'inutilità del voto si astengono. L'Offerta politica è uguale a se stessa e non ci sono differenze sostanziali ma solo apparenti. Oggi questa politica è solo magna magna e lontanissima dalle problematiche delle comunità, si sono creati due mondi diversi ognuno con vita autonoma. Televisioni, giornaloni, giornalisti tutti schierati e venduti a l potere non si sforzano neanche di mettere in rilievo i veri interessi e di fare qualche larvata critica a chi comanda. I due mondi si allontanano sempre di più

A lezione dalle urne: l’astensionismo è distanza tra cittadini e politica

-22 Ottobre 2021

L’affluenza alle urne è un punto critico nelle democrazie occidentali. Non sempre si registrano medie elevate, anzi l’Italia è uno dei paesi messi meglio, o meno toccati dal fenomeno. In Gran Bretagna, per dire, paese di solida democrazia, va al voto un terzo dell’elettorato. Da noi, nella tornata del 2018, che ha eletto l’attuale parlamento, ha votato il 73% del corpo elettorale, non proprio male.

Astensionismo, un fenomeno diffuso e crescente

Tuttavia da tempo si registra un declino nella partecipazione al voto, un fenomeno diffuso e crescente sia nelle elezioni politiche che, da almeno un decennio, in quelle locali. È quanto in particolare avvenuto nelle recenti elezioni dei Sindaci, e ancor più nei ballottaggi, in cui pure la posta in gioco era alta: tra l’altro la poltrona di Sindaco della Capitale. Al voto è andata una percentuale vicina al 50% degli aventi diritto, un segnale di crisi della democrazia, un avvertimento pesante sullo stato di salute delle Istituzioni. Hanno dunque perso tutti se alla fine i Sindaci hanno saputo conquistare l’appoggio solo di un quarto o un quinto del corpo elettorale? Comunque siano andate le cose, la preoccupazione per questi risultati sconsolanti investe sia vincitori che perdenti?

L’astensionismo è un argomento che, come ovvio, attira la massima attenzione proprio a margine delle votazioni. Poi è spesso trascurato nelle fasi successive, ci si occupa d’altro e non si ha cura di studiarne cause e rimedi. È anche inevitabile che nell’immediatezza sia usato in modo strumentale. Per esempio, per delegittimare quanti hanno ottenuto più voti conquistando il governo di città o regioni. Costoro hanno vinto, ma in fondo a votarli sono stati in pochi, dunque la vittoria vale poco e non c’è ragione di esaltarsi. L’astensionismo offre alibi politici di fronte alle sconfitte. Serve a mascherare inadeguatezze e scelte sbagliate rispetto ai grandi problemi. Insomma un certo fallimento. Abbiamo perso sì, ma a credere in noi sono molti di più e se fossero venuti a votare – accadrà di sicuro la prossima volta – avremmo vinto noi. Insomma la sconfitta è meno bruciante, se ci si può consolare con la mitica riserva dei voti che non ci sono.

L’astensionismo incrina l’idea delle Istituzioni locali vicine al cittadino

A prescindere delle polemiche del momento, l’astensionismo nelle elezioni locali ha un significato particolare, che lo distingue dalle altre forme. Considerare di second’ordine le elezioni di Sindaci e consiglieri è comprensibile rispetto al momento in cui si decidono le sorti del Paese, ma certo incrina pesantemente l’idea che le istituzioni locali siano quelle più vicine al cittadino e quindi più partecipate. Infondo la sensibilità civile parte dal basso, deve misurarsi dal più piccolo o modesto dei livelli. Il rischio è che l’idea di una maggiore partecipazione alla vita delle singole comunità, in sé veritiera e fondata, si trasformi in una retorica. Le cose dimostrano che i cittadini non si sentono (più) rappresentati da queste istituzioni (comuni, municipi, circoscrizioni) rispetto alla politica nazionale. Finiscono per accomunare il grande e il piccolo, nello scetticismo verso la capacità di governare bene. Per questo il segnale di crisi è più allarmante.

Il Sistema mafioso massonico politico non demorde vuole continuare a gestire attraverso i suoi uomini

INCHIESTA MALA PIGNA
I beni confiscati ai Piromalli gestiti sempre dai Piromalli: ecco come il clan continuava a far soldi

Amministratori giudiziari finiti ai domiciliari per avere permesso ai fratelli Delfino di continuare a gestire la ditta che gli era stata sottratta dallo Stato. Coinvolti nell'inchiesta della Dda di Reggio anche altri professionisti

di Francesco Altomonte
22 ottobre 2021 17:41

La conferenza dell’operazione Mala pigna

Commercialisti, amministratori giudiziari, consulenti ambientali. È lungo il novero dei professionisti colpiti da misura cautelare nell’inchiesta della Dda di Reggio Calabria Mala pigna. Tutti sono accusati, a vario titolo, di avere favorito la cosca Piromalli di Gioia Tauro.

L’inchiesta della procura reggina gira intorno alla figura di Rocco Delfino, il 58enne che insieme a Domenico Gangemi avrebbero gestito gli affari del potente clan di Gioia Tauro dopo l’arresto dei vertici della famiglia mafiosa della città del porto. Sono diversi i casi di professionisti coinvolti nell’inchiesta, così come sono molti i casi finiti sotto la lente di ingrandimento degli investigatori.

Nell’ordinanza di custodia cautelare rientra la trattazione della gestione della ditta Delfino s.r.l. di Giovanni Delfino, fratello di Rocco. Una vicenda usata come paradigma dalla procura per fare emergere la presunta partecipazione di molti professionisti, entrati in scena in diversi momenti della vicenda, per favorire le ditte dei due esponenti del clan Piromalli.

La ditta confiscata gestita dal clan

La ditta Delfino srl, sebbene sottoposta a confisca definitiva e sotto amministrazione giudiziaria, sarebbe stata utilizzata dai fratelli Delfino come se fosse nella loro disponibilità. Ciò sarebbe stato possibile, secondo gli inquirenti, grazie «contributo consapevole ed incondizionato dei coadiutori giudiziari nominati dall'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati».

«I due professionisti, ossia l'avvocato Alessio Gangemi ed il commercialista Giuseppe Antonio Nucara (finiti ai domiciliari ndr)– si legge negli atti di indagine - si sono messi a disposizione totale dei fratelli Delfino al fine di consentire loro di continuare ad amministrare la società confiscata, che in perfetto stile mafioso era "un loro possedimento", in sfregio alle disposizioni di legge e d elle istituzioni che loro rappresentavano».

I 700mila euro dello Stato dati al clan

Gli stessi si sarebbero resi disponibili addirittura a effettuare prelievi in contanti dai conti correnti della Delfino s.r.l. per importi ragguardevoli, 700mila euro nel periodo che va dal gennaio 2018 al maggio 2019, come risulterebbe dagli accertamenti bancari. «svuotando le casse societarie e consentendo soprattutto ai fratelli Delfino – sottolineano i magistrati - di reimpiegare somme di denaro derivanti da attività illecita di traffico di rifiuti».

Secondo la procura, la condotta dei due amministratori giudiziari configurerebbe «il delitto di peculato aggravato dall'agevolazione mafiosa, in quanto trattasi di conti correnti di proprietà dello Stato italiano in quanto afferenti a una società confiscata ed in gestione dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati».

Gli investigatori annotano innumerevoli ingressi in ditta dell'ex sorvegliato speciale Giovanni Delfino, come documentato dalle telecamere poste dinanzi alla Delfino e dalle conversazioni intercettate da cui sarebbe emerso che lo stesso continuava a gestire la società secondo le proprie volontà e necessità, insieme al fratello Rocco Delfino.

La commercialista e la falsa documentazione

La società, ricordiamo, gli era stata sottratta dal tribunale sezione misure di prevenzione. Inoltre i rapporti commerciali della Delfino srl erano quasi esclusivamente con società riconducibili a Rocco Delfino, che trasportavano illecitamente rottami ferrosi destinati ad acciaierie in tutto il territorio nazionale o allo smaltimento per conto della società confiscata facendo peraltro transitare sui conti correnti somme derivanti dalle presunte attività illecite effettuate.

A seguito di una richiesta di chiarimenti da parte dell'Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati sull'attività svolta dai coadiutori quale relazioni periodiche o documentazione inerenti rapporti con ditte terze, «gli stessi professionisti si sono attivati – si legge nell’ordinanza - a favore di Rocco Delfino, diretti dalla commercialista Deborah Cannizzaro (domiciliari) per falsificare la documentazione da trasmettere all'agenzia nazionale, ed in seguito, essendo stati richiesti ulteriori chiarimenti, sono stati costretti a depositare parte della documentazione (ovviamente sempre previo accordo con i fratelli Delfino) da cui risultavano gli illeciti prelievi dai conti dell’azienda confiscata».

Sileri prima di essere sottosegretario di stato, prima di essere medico è un emerito imbecille. Già avete allungato la SCIIENZA per legge dai nove ai dodici mesi la validità dei Passaporti dei vaccini sperimentali, ora volete per caso sempre per legge allungare la scadenza? O ci volete inoculare per sempre? L'OBBLIGO è più coerente e crea meno problemi, ma siete troppo meschini e falsi per metterlo

Per Sileri "il green pass lo terremo anche per parte del 2022"

Il sottosegretario: "Prima di toglierlo dovremo riaprire tutto, poi eliminare distanza e mascherina"

aggiornato alle 17:53 22 ottobre 2021


AGI - Il green pass "lo terremo per diversi mesi ancora, secondo me anche per una parte del 2022. Prima di togliere il green pass dovremmo riaprire tutto, ad esempio, le discoteche al 100%, poi eliminare la distanza e infine la mascherina. Non bisogna togliere tutto appena si raggiunge il 90% dei vaccinati, quel 90% va mantenuto". Lo dice a Rai Radio1, ospite di Un Giorno da Pecora, il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri.

Quanto alla terza dose, "la scienza ci ha già detto le categorie che ne hanno bisogno, sopra i 60 anni e soprattutto con determinate patologie. Se ad un anno di vaccinazioni la scienza ci dirà che è necessario il richiamo, e spostare il richiamo ai 40 o ai 30 anni, faremo quel che è necessario", afferma Sileri.

Sileri concorda con Brusaferro, secondo cui è ancora troppo presto per salutarsi stringendosi la mano. "Il non contatto è auspicabile ma dal punto di vista medico, se stringi la mano ad una persona e poi la disinfetti o te la lavi si può fare".

e poi porteremo le scorie nucleari a casa di Salvini e Giorgetti

Si tornerà al nucleare? Cosa ne pensano UE e Italia

23 Ottobre 2021 - 12:50

Il ritorno all’energia nucleare si sta imponendo come un tema di attualità. Anche al Consiglio Europeo se ne è discusso: cosa ne pensa l’UE? E, soprattutto, l’Italia è favorevole a questa risorsa?


Si torna a parlare di energia nucleare nel complesso percorso che dovrà portare all’obiettivo zero emissioni inquinanti.

Il tema è particolarmente sentito in Europa, dove i target della transizione energetica sono ambiziosi e, soprattutto, dove diversi Paesi spingono per considerare questa risorsa come pulita. In primis, la Francia.

Cosa ne pensano UE e Italia dell’energia nucleare? Le ultime dichiarazioni sul tema, affrontato anche nel Consiglio Europeo del 21 e 22 ottobre.

Il nucleare ci serve, dice l’UE

In questo difficile momento per l’approvvigionamento energetico, l’Europa si sta interrogando seriamente sul ruolo che potrebbe giocare anche il nucleare.

Ciò che è successo negli ultimi mesi soprattutto nel continente europeo è stato emblematico: ci sarà sempre più bisogno di diversificare le fonti di energia e di rafforzare il passaggio alle risorse sostenibili.

La dipendenza dal gas ha mostrato tutte le sue debolezze. Lo ha detto a chiare parole Ursula von Der Leyen: il mix energetico del futuro comprenderà quantità via via maggiori di risorse rinnovabili e pulite.

“Il solare è dieci volte meno cara di dieci anni fa, l’energia eolica è volatile, però è del 50% meno cara di dieci anni fa, quindi vi sono rinnovabili e sono fonti che abbiamo in casa”, ha sottolineato la presidente della Commissione.

E poi ha aggiunto: “accanto a questo abbiamo bisogno di una fonte stabile, il nucleare per esempio.”

A breve verrà presentata la proposta di tassonomia (la classificazione) delle fonti e il potenziale atomico rientra nelle valutazioni.

La Francia insiste già da tempo su questo punto e insieme ad altri Paesi UE ha presentato una lettera per premere sulla considerazione positiva del nucleare di ultima generazione.

Italia: il Governo Draghi è favorevole al nucleare?

Al termine del Consiglio Europeo, il presidente Draghi ha fatto un accenno al tema, pur restando vago e piuttosto neutrale.

“Abbiamo parlato anche di nucleare. Alcuni Paesi chiedono di inserirlo tra le fonti di energia non inquinanti...La Commissione procederà a una proposta a dicembre. Ci sono posizioni molto divisive in Consiglio. Vedremo quale nucleare e poi in ogni caso ci vuole moltissimo tempo.”

Maggiore entusiasmo, invece, è trapelato da Matteo Salvini che ha accolto l’idea di un nucleare pulito e sicuro, tanto che la Lega presenterà una proposta di legge al riguardo.

Apertura anche da Giorgetti, che ha espressamente auspicato un dibattito sul nucleare pulito, soprattutto in prospettiva di una indipendenza energetica.

Prima o poi l’inverno e il freddo arriveranno e l'inflazione transitoria che transitoria non è sull'energia creerà disfunzioni e malessere sociale che si riverseranno nelle piazze ed è solo l'inizio ...

Draghi resterà a Palazzo Chigi. Per gestire il caos di cui il PNRR si rivelerà detonatore

23 Ottobre 2021 - 13:00

Documento di bilancio approvato «al buio», spread agitato, l’allarme di Salini sui lavoratori mancanti e la sortita di Bankitalia per un fondo Ue di sterilizzazione del debito: cosa bolle in pentola?


Concentriamoci sulle materie su cui c’è accordo, del resto ci occuperemo in un secondo tempo. Bene ha fatto Mario Draghi a riportare sul pianeta Terra i partecipanti all’ennesimo, fallimentare Consiglio Europeo, terminato con un nulla di fatto sul tema dell’immigrazione e una serie di minacce e veti incrociati sul dossier Polonia, a sbrogliare il quale è stata chiamata Angela Merkel, giunta alla sua ultima uscita ufficiale dopo 16 anni e 117 vertici simili a quello appena concluso.

Nonostante questo, il tema delle riserve di gas condivise su cui tanto aveva premuto il presidente del Consiglio italiano, conscio della non transitorietà dell’inflazione energetica, è rimasto sul tavolo, ennesima vittima di troppe teste e troppi interessi da far convergere. Questo grafico

Livelli di stoccaggio del gas europeo e media storica per il mese di ottobre (10 anni) Fonte: Bloomberg

mostra chiaramente il perché della fretta messa in campo da Mario Draghi: nonostante il tepore di questa infinita ottobrata, prima o poi l’inverno e il freddo arriveranno. E questo è lo status con cui si affacciano a quella stagione gli stoccaggi strategici di gas europeo rispetto alla media storica del mese di ottobre. Il tutto con la Russia che si è detta chiaramente pronta ad aumentare il flusso da subito ma solo attraverso Nord Stream 2: quindi, o l’Ue si decide a dare un dispiacere al Dipartimento di Stato Usa, affrettandosi ad approvare le licenze oppure l’hub tedesco di Mallnow rischia di restare a secco. E noi al freddo e al buio. Pragmatismo da uomo di mercato.

Il quale, però, in conferenza stampa ha ceduto alla tentazione di immedesimarsi troppo nel nuovo ruolo di politico: Sul PNRR non ci sono ritardi, rispetteremo tempi e scadenze come abbiamo fatto finora. Impossibile. E Mario Draghi lo sa. Perché, casualmente, proprio nel pieno della due giorni del Consiglio Europeo faceva rumore l’intervista de Il Messaggero a Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild (ex Salini-Impregilo), gruppo specializzato nel campo delle infrastrutture ma oggi denominato con il più esotico titolo di general contractor. Il senso del suo allarme? Ai piani legati al PNRR e al Recovery Plan mancano circa 100.000 addetti, fra cui 3mila figure di staff specializzato, 23mila operai specializzati e più di 70mila operai generici. Praticamente, rispettare i tempi appare impossibile. Oltretutto, al netto di ritardi già ampiamenti cristallizzati nelle amministrazione del Mezzogiorno, incapaci di far partire bandi e appalti e quindi già a forte rischio di perdita degli stanziamenti europei.

Ora il governo sta preparandosi al licenziamento di una sorta di enorme deregulation sul modello Ponte Morandi ma il tempo stringe. E 100.000 lavoratori sono tanti da trovare, soprattutto quando la ricetta offerta da Salini fa riferimento a programmi nazionali di reskilling dedicati al settore delle costruzioni e al reintegro nel mondo del lavoro delle risorse disoccupate, modalità queste ultime che consentirebbero di smaltire per esempio lo stock di percettori di prestazioni di sostegno al reddito considerati attivabili. Di fatto, i cantieri dell’enorme piano di ripartenza infrastrutturale nazionale vengono legati al fallimentare loop formativo e di matching dei centri per l’impiego e del reddito di cittadinanza. Auguroni.

Ma non basta. A far capire che qualcosa sta bollendo in pentola ci ha pensato, anch’esso in contemporanea con la due giorni europea, il numero uno di Bankitalia, Ignazio Visco. Il quale, intervenendo alla Giornata del risparmio, ha estratto a sorpresa dal cilindro un coniglio di quelli destinati a parecchi interpretazioni: l’Ue dia vita a un fondo di ammortamento per sterilizzare il debito contratto dagli Stati membri come risposta alla pandemia. Tradotto, il debito da Covid diventi comune. Nella fattispecie dell’Italia, una mossa simile si sostanzierebbe in un risparmio e mancato aggravio delle ratio pari a 300 miliardi di euro. Insomma, nonostante la messe di denaro messo in campo dall’Ue con il Next Generation Eu, la compressione artificiale dei costi di servizio garantita dagli acquisti del Pepp e la quasi certezza di una prosecuzione sotto altro nome e forma di quest’ultimo dopo il 31 marzo prossimo, l’inquilino di Palazzo Koch pare entrato in modalità ti piace vincere facile.

Per quanto in Germania regni un po’ di caos interno e il falco Jens Weidmann abbia annunciato l’addio, appare quantomeno improbabile che Berlino lasci passare una simile proposta senza alzare le barricate. Soprattutto, al netto del no ex ante recapitato ai partner dal nascituro governo Scholz rispetto a riforme e ammorbidimenti del Patto di stabilità. Ma il problema c’è. Primo, a detta dello stesso Visco, i finanziamenti bancari alle imprese con un «significativo aumento del rischio di credito» sono saliti del 40% dalla fine del 2019 e per questo la Banca d’Italia sta sollecitando le banche «a continuare a valutare attentamente le prospettive delle imprese affidate e ad effettuare accantonamenti prudenti e tempestivi.

Secondo, lo mostra questo grafico:

Andamento dei controvalori di acquisti settimanali in seno al Pepp Fonte: Pictet/Bce

la Bce, quantomeno nelle prime due settimane di ottobre, sta bellamente ignorando la propria promessa di moderato rallentamento nel ritmo degli acquisti settimanali in seno al Pepp. Questi ultimi, infatti, non solo appaiono perfettamente in media con quelli dei due trimestri precedenti ma, alla luce delle alte redemptions, a livello netto paiono addirittura in lieve aumento. Nonostante questo, il nostro spread non riesce a varcare al ribasso in maniera strutturale la soglia del passaggio a due cifre. E, anzi, negli ultimi giorni ha vissuto vere e proprie montagne russe, sintomo di vendite reali cui la Bce ha operato off-setting al fine di evitare il processo inverso: ovvero, la rottura al rialzo di una prima soglia psicologica fissata a 110 punti base.

Infine, le tensioni politiche, esacerbate dai risultati dei ballottaggi. Ma non solo. Perché se le divergenze fra le varie anime che formano la coalizione di governo paiono destinate ad aumentare, soprattutto su temi caldi come le pensioni e con la Lega ancora al centro delle dispute, ecco che il Corriere della Sera si è visto costretto a riportare quanto fatto notare dai capi-delegazioni di PD e M5S, Orlando e Patuanelli, al presidente Draghi: di fatto, il Consiglio dei ministri ha votato il via libera al documento programmatico di bilancio senza che i suoi membri lo avessero potuto preventivamente leggere. Se a Palazzo Chigi ci fosse stato Silvio Berlusconi e si fosse proceduto con tale modalità, avremmo avuto una manifestazione al giorno di sinistra e sindacati contro il rischio di deriva autoritaria. Oggi, invece, solo una garbata sottolineatura.

Il tutto senza scordare l’aumento vertiginoso (+23%) delle assenze per malattia nelle aziende dopo l’introduzione del green pass, di fatto segnale chiaro di come la situazione occupazionale e produttiva - la stessa denunciata da Salini - rischi di subire contraccolpi ulteriori a quelli che inflazione e crisi della supply chain stanno già inferendo al nostro outlook per un Pil atteso ancora al 6%, mentre quello del mondo intero crolla. In controluce, poi, una nuova disputa in seno al Cts rispetto al perdurare dello stato di emergenza oltre il 31 dicembre e un nuovo aumento dei contagi, per ora definito non preoccupante stante l’alto tasso di vaccinazioni.

Gli ingredienti per l’incidente controllato perfetto paiono esserci tutti, poiché l’Europa è stata chiara dopo lo sblocco dei primi 25 miliardi del Recovery Fund arrivati ad agosto: l’elargizione delle prossime tranche sarà strettamente vincolata al raggiungimento degli obiettivi concordati nei tempi e nei modi. Altrimenti, chiusura del rubinetto. E conseguente fine dei sogni di gloria per il PNRR, destinato a tramutarsi da strumento di ripresa a infernale meccanismo di amplificazione delle criticità macro. A quel punto, ratio di riduzione di debito e deficit da ricalcolare, spread in agitazione e governo costretto a interventi emergenziali (ma strutturali) in stile 2011.

Vista oggi in base agli elementi che abbiamo in mano, la situazione pare chiara. Quantomeno a livello di corsa per il Quirinale: Mario Draghi è destinato a restare a Palazzo Chigi anche dopo il 2023. C’è un potenziale caos in stile greco all’orizzonte da gestire, di cui già oggi si intravedono chiarissimi i prodromi. Lascio in un momento preoccupante per l’Europa, le parole di commiato di Angela Merkel dal vertice di Bruxelles. Fine dei pasti gratis, insomma. E Mario Draghi lo sa. Anzi, è stato chiamato apposta a gestire il razionamento.

Il voto è una burletta e i cittadini in maggioranza acquisiscono consapevolezza

21 Ottobre 2021 20:55
Astensionismo di massa. L'ammissione di Paolo Mieli

Carlo Formenti


Straordinaria ammissione di Paolo Mieli nel fondo sul Corriere di oggi: si lascia andare a scrivere che se le entusiastiche celebrazioni del trionfo elettorale del centro sinistra non si accompagnano a una riflessione sull'astensionismo di massa, è perché si sta consolidando una élite che considera del tutto normale governare con il consenso di un cittadino su cinque, in quanto dà per scontato che la democrazia abbia lasciato il posto a un dispotismo illuminato, in cui il rito elettorale svolge il ruolo accessorio di un periodico plebiscito.

Posto che Mieli è uno di quelli che ha contribuito in prima persona al consolidamento di questo stato di cose, l'unica ragione di questa esibizione di sincerità e franchezza è, presumibilmente, che, essendo meno fesso delle "grandi firme" che adornano il foglio su cui scrive, si rende conto che questa situazione è foriera dell'accumularsi di rabbia sociale (non più misurabile tramite il risultato elettorale) che può esplodere in modo imprevedibile.

A ottobre del 2020, infatti, la multinazionale Eli Lilly avrebbe offerto all’AIFA 10 mila dosi di anticorpi monoclonali. “A questa offerta GRATUITA fu risposto che non c’era interesse”,

MONTAGNIER “VACCINI COVID NON SONO SICURI”/ “Stanno nascondendo effetti secondari…”

Pubblicazione: 08.09.2021 Ultimo aggiornamento: 11:31 - Chiara Ferrara

Luc Montagnier, Premio Nobel per la Medicina nel 2008, demolisce i vaccini anti Covid: “Non sono sicuri, stanno nascondendo effetti secondari”. E parla di terapie a basso costo…

Luc Montagnier a Fuori dal Coro

Fanno rumore le parole di Luc Montaigner trasmesse ieri da “Fuori dal Coro” in esclusiva. Il Premio Nobel per la Medicina nel 2008, oltre a precisare di non essere contro i vaccini, che peraltro ha studiato per tutta la sua vita, è partito da una premessa: «Siamo davanti ad una situazione sconosciuta e quando è così bisogna adottare un principio di precauzione. La medicina esiste per curare, non per uccidere. Non si possono sacrificare persone in nome della maggioranza». Le insinuazioni di Montaigner sono pesanti: «Attualmente non si dice come stanno attualmente le cose, si vogliono nascondere gli effetti secondari. È un grave errore, perché si perde la fiducia della gente». Lo scienziato ha poi sottolineato che «esistono terapie efficaci e a poco costo», quindi ci sono «i mezzi per lottare contro la pandemia».

Non è mancato un attacco alle case farmaceutiche: «Dovrebbero impegnarsi per trovare queste cure come sono state trovate per l’Aids, invece si impegnano solo per i vaccini». Quindi, un attacco a quelli attualmente a disposizione: «Lo sanno tutti che non ci proteggono dalla trasmissione del virus. Il 40% delle persone vaccinate può infettarsi. Il virus non resta quella che era all’inizio: cambia, muta e crea nuove varianti che resistono agli anticorpi che producono i vaccini». Montaigner “dimentica” che questi vaccini proteggono dalle forme gravi del Covid e dalla morte, ma tira dritto: «Il motivo per il quale si preferisce continuare solo con le vaccinazioni non è scientifico, ma politico». Quindi, conclude con un altro attacco ai vaccini anti Covid: «Se un vaccino attualmente non è sicuro, bisogna utilizzare altri mezzi invece della vaccinazione». (agg. di Silvana Palazzo)

Luc Montagnier “Non sono contro vaccini ma…”

Luc Montagnier, Premio Nobel per la Medicina nel 2008, ritiene che ci siano delle “soluzioni alternative al vaccino” contro il Covid-19. Il professore dell’istituto Pasteur di Parigi ne ha parlato nel corso di un video-intervento trasmesso in esclusiva a Fuori dal Coro, in onda su Rete Quattro.

L’esperto ha voluto fare alcune precisazioni in merito alla lotta contro il virus, seppure senza sbilanciarsi in merito a quelle che potrebbero essere le cure parallele. “Non sono contro il vaccino. Ho studiato tutta la vita e ritengo i vaccini molto importanti, ma oggi abbiamo tanti strumenti a disposizione. Bisognerebbe chiedersi se tutto può essere risolto tramite i vaccini o no e se esistono soluzioni alternative o complementari. Sono favorevole ai buoni vaccini e contrario ai vaccini dannosi”, ha detto.

L’ipotesi anticorpi monoclonali

Il Premio Nobel Luc Montagnier non è l’unico a credere che ci siano delle soluzioni alternative al vaccino, sia tra gli esperti sia tra coloro che sono guariti dal Covid-19. Nel corso della puntata di Fuori dal Coro, in particolare, si è tornati a trattare il tema degli anticorpi monoclonali. In Italia sarebbero 8 mila i pazienti che sono stati curati attraverso tale strumento.

In base al servizio realizzato dal programma in onda su Rete Quattro, tuttavia, molti più malati di Covid-19 potevano essere salvati attraverso questa cura. A ottobre del 2020, infatti, la multinazionale Eli Lilly avrebbe offerto all’AIFA 10 mila dosi di anticorpi monoclonali. “A questa offerta gratuita fu risposto che non c’era interesse”, rivela un dirigente. Soltanto a febbraio 2021 i farmaci in questione furono approvati, ma a pagamento. Il Comitato Cura Domiciliare Covid, rappresentato dall’avvocato Erich Grimaldi, chiede adesso che venga reso pubblico il verbale attraverso cui fu data risposta negativa alla società donatrice. Una sentenza del Tribunale del Lazio lo impone, ma ciò non è mai accaduto. Il presidente Giorgio Palù, ai microfoni di Mediaset, si è impegnato a fare chiarezza al più presto sul tema.

Se si vuole introdurre l’obbligo vaccinale lo si faccia, mi pare meno indecente rispetto al Passaporto dei vaccini sperimentali che è surrettizio e ipocrita

Diego Fusaro “Green pass? Meglio l’obbligo vaccinale”/ “Smart working nega i diritti”

Pubblicazione: 21.10.2021 - Davide Giancristofaro Alberti

Il filosofo Diego Fusaro è stato ospite stamane in collegamento con il programma di Canale 5, Mattino 5: le sue parole su green pass e smart working

Diego Fusaro a Mattino 5

Il filosofo e opinionista Diego Fusaro è stato ospite stamane in collegamento del programma di Canale 5, Mattino5. Si parla di green pass sul quinto canale, e Fusaro ha ribadito la sua opinione a riguardo: “Abbiamo visto scene che mai avremmo voluto vedere, forme di discriminazione che offendono il lavoro, forme di discriminazione oscena- La costituzione prevede la tutela della salute ma anche il diritto al lavoro in condizioni dignitose, dobbiamo rispettare la costituzione in tutte le sue istanze. Nel servizio mandato in onda (un’azienda che opera in condizioni fatiscenti e senza vaccini ndr) sono state messe ampiamente in discussione le condizioni di un lavoro dignitoso e sicuro”.

Quindi Diego Fusaro sottolinea come l’Italia sia il paese più rigido per quanto riguarda l’applicazione del green pass: “Solo da noi è operativo il green pass così pervasivo quindi non siamo noi che siamo indietro. Le persone che scelgono di fare il tampone – ha aggiunto – esercitano un loro diritto, non le criminalizziamo: io difendo la libertà di scelta di ognuno ma se si vuole introdurre l’obbligo vaccinale lo si faccia, mi pare meno indecente rispetto al green pass che è surrettizio e ipocrita”. Secondo Fusaro: “Con toni più cauti e se non li si fosse criminalizzati, magari si sarebbero già spontaneamente vaccinati: subentra un elemento quasi di opposizione morale”.

DIEGO FUSARO E LO SMARTWORKING: “VENGONO MENO I DIRITTI DEI LAVORATORI”

In studio si passa quindi a parlare dello smart working, e anche in questo caso Fusaro si dice contrario: “Guardo con preoccupazione allo smart working in generale per più ragioni, a cominciare dal fatto che comporti una riduzione diretta dei diritti dei lavori, viene labile il confine fra il tempo della vita e quella del lavoro, sparisce il confine fra vita e lavoro, la casa diventa un’azienda. Pone inoltre problemi per la privatezza del cittadino se vieni controllato dentro casa mentre stai lavorando. Nello smart working inoltre si è sempre soli, viene meno quella dimensione corale e collettiva che è fondamentale”.

Ma quali sono i diritti dei lavoratori a rischio? “La riservatezza, le spese (si paga la connessione a casa), il riscaldamento, cose un po’ banali e così via, i pasti… i ticket restoraunt anche a casa? Bhe se sei un lavoratore, si tratta di un costo che di solito è dell’azienda. ci sono tanti altri piccoli dettagli ma a me preoccupa soprattutto la dimensione del sociale, se si è isolati è difficile rivendicare diritti”.

La Siria è un paese occupato, nel quale la riva sinistra dell’Eufrate è in mano a curdi e statunitensi. L'Isis, mercenari sul libro paga degli statunitensi/ebrei sionisti che quando occorre fanno sentire la loro voce

CAOS SIRIA/ “L’attacco alla base Usa potrebbe innescare una guerra mondiale”

Pubblicazione: 22.10.2021 - int. Marco Bertolini

In Siria torna a salire la tensione militare: attaccata nel sud-est del paese una base americana con droni probabilmente iraniani. Ecco lo scenario in atto

Blindati Usa a Deir el Zor (LaPresse)

Dopo l’attacco a un autobus dell’esercito siriano a Damasco, che ha causato tredici vittime tra i soldati a bordo, anche la base americana di al Tanf, nel sud-est della Siria, è stata oggetto di un attacco con droni, fortunatamente senza vittime.

Sono episodi inquietanti, ci ha detto in questa intervista il generale Marco Bertolini, già comandante della Brigata paracadutisti Folgore a Kabul nel 2008 e capo di stato maggiore Isaf in Afghanistan, “che ci dicono come la Siria, benché nessuno ne parli più, sia sempre al centro di una guerra che non è mai finita, un paese dove si scontrano gli interessi nazionali, quelli iraniani, russi e americani. Senza dimenticare la presenza dell’Isis, che è sempre un pericolo”. Interessi che, se vengono presi di mira, ci ha detto ancora Bertolini, potrebbero portare a un’escalation di rappresaglie che possono mettere in pericolo la pace di tutto il mondo”.

In Siria torna a salire la tensione, con un attacco prima a un autobus militare e poi a una base americana. Che cosa sta succedendo?

Della Siria non se ne parla da parecchio, è ormai scomparsa dai radar dell’informazione, nascosta dal putiferio successo in Afghanistan. Anche tanti siti che una volta seguivano giorno per giorno l’evolversi della situazione oggi sono scomparsi. La Siria è un paese occupato, nel quale la riva sinistra dell’Eufrate è in mano a curdi e americani e c’è una presenza militare americana nella base colpita, nel sud-est del paese.

A proposito di questa base, che area specifica occupa e che importanza ha nello scenario siriano?

E’ un’area di occupazione che serve a supportare il sedicente Esercito siriano libero, da sempre contro Assad e sempre sostenuto dagli Usa. Questa base è sempre rimasta anche quando Trump ordinò il ritiro dalla Siria, ritiro che poi venne sospeso e si fece marcia indietro. In quella zona gli americani sono sempre rimasti ed è una presenza che dà fastidio alla Siria, perché interdice un asse di collegamento con l’Iraq e con la Giordania, il che spiega l’interesse giordano di riaprire il dialogo con Assad.

I più interessati a mantenere un collegamento tra Siria e Iraq dovrebbero essere gli iraniani, giusto?

Sicuramente è un intralcio ai collegamenti della Siria con l’Iraq. Ma gli iraniani sono molto interessati a mantenere un collegamento tra Siria e Iraq, perché significa anche un collegamento tra Siria e Iran. Il passaggio a nord di Mosul è interdetto dalla presenza americana e curda, quello a sud, invece, proprio da questa base americana, dove c’è anche il passaggio lungo l’Eufrate in cui sono avvenuti parecchi interventi militari contro le milizie iraniane. Sul fatto che sia un’azione condotta dagli iraniani, che così cercano di tenere aperto un collegamento e al tempo stesso cercano di togliersi qualche “sassolino” dalle scarpe, non ci dovrebbero essere dubbi.

Quali sassolini?

L’uccisione del generale Qasem Soleimani e gli attacchi alle basi iraniane. Il fatto che siano stati usati dei droni dovrebbe essere la prova provata del coinvolgimento iraniano.

Invece l’attacco all’autobus militare a Damasco?

A Damasco, fino a non molto tempo fa, interi quartieri periferici erano in mano all’Isis, ora Assad è riuscito a riprenderne il controllo, ma non c’è dubbio che il problema sussiste. Questo è un attacco probabilmente operato dall’Isis o un attacco ispirato dall’Esercito siriano libero. A Damasco sono in tanti a colpire e ad agire, da qui non possiamo però sapere con certezza chi sia stato.

Che conseguenze potrebbe avere l’attacco alla base americana di al-Tanf?

Il problema è che gli americani hanno dato prova di indeterminazione e indecisione con l’Afghanistan e adesso potrebbero essere tentati da una reazione muscolare per dimostrare di essere ancora una grande forza. Andare contro gli americani oggi è particolarmente pericoloso, perché le reazioni potrebbero essere anche esagerate. Gli americani non sono dalla parte del diritto in Siria, a differenza dei russi non sono stati invitati. Sono di fatto una forza di invasione.

A fine dicembre gli americani lasceranno l’Iraq, potrà scatenarsi una grave destabilizzazione dell’intera regione?

L’area è destabilizzata da quando nel 2003 ci sono arrivati gli americani.

Già, ma l’Iran non vorrà approfittare di questo ritiro?

Sicuramente, anche perché la componente sciita in Iraq è consistente. Sta cambiando qualcosa in maniera radicale in Medio Oriente e la Siria è al centro di tutto. In Siria ci sono americani e russi e un eventuale perdita di equilibrio, magari con un grosso incidente che coinvolga le due potenze, potrebbe innescare rappresaglie e contro rappresaglie, a loro volta potenzialmente pericolose anche per la pace mondiale.

(Paolo Vites)

l'Informazione è in mano all'1%

I padroni occulti delle notizie



Per quanto possa sembrare impossibile in un mondo razionale ancora molte persone sostengono la narrativa diffusa dai media e dai governi: SARS-CoV-2 è un virus killer e solo i blocchi e la vaccinazione possono proteggerci. E se questo non funziona è perché il blocco non è stato abbastanza severo e non sono state ancora vaccinate abbastanza persone, oppure c’è bisogno di una vaccinazione di richiamo, anche se non esiste alcuna ragione al mondo perché essa possa cambiare le cose, tanto che in alcuni Paesi già si pensa alla quarta dose e così via: un grande affare perpetuo. Esaminando punto per punto questo universo di asserzioni che ci vengono propinate ci si accorge facilmente che si tratta di sciocchezze che vengono credute solo perché ripetute tutte le ore e tutti i giorni. Ma c’è un altro fatto che aumenta decisamente la forza della narrativa pandemica, ovvero che le notizie sul Covid sonoo simili se non identiche in tutto il mondo: allora deve essere vero. E di fatto questo è l’argomento principe per parecchie persone.

Evidentemente l’uomo della strada non ha afferrato bene il significato di globalismo: i media scrivono le stesse cose perché nel mondo occidentale sono strettamente correlati tra loro e sono di fatto tutti convergenti nel mondi della finanza che tira anche i fili dell’editoria, sia quella di massa che quella scientifica e che di fatto ha l’ultima parola in tutte le questioni e in tutti gli ambiti. Tanto per fare un esempio la Trusted News Initiative ( Tni) di cui pochissime persone conoscono l’esistenza è un’associazione delle seguenti società:
  • Associated Press (AP) , Agenzia di stampa, Usa che fornisce notizie a tutti giornali e le televisioni del mondo
  • Agence France-Presse (AFP) , la più antica agenzia di stampa internazionale anch’essa seguitissima
  • Reuters , la più grande agenzia di stampa del mondo, Regno Unito
  • British Broadcasting Corporation (BBC) , la più antica emittente nazionale del mondo.
  • CBC / Radio-Canada , emittente statale, Canada
  • European Broadcasting Union (EBU) , fusione di 72 emittenti televisive in 56 paesi (più altre 33 emittenti associate in tutto il mondo), con sede in Svizzera che raccoglie tutte le più importanti televisioni pubbliche e private del continente , Rai compresa.
  • Facebook , social network, 2,5 miliardi di utenti attivi mensili,
  • Financial Times , quotidiano
  • First Draft News , un progetto per combattere la cosiddetta disinformazione formato da Google, Facebook, Twitter e , Open Society Foundations di Soros
  • Google/YouTube , sito web più visitato al mondo, portale video
  • The Hindu , quotidiano di lingua inglese in India
  • Microsoft
  • Reuters Institute for the Study of Journalism , think tank con sede nel Regno Unito
  • Twitter , servizio di blogging
  • The Washington Post , Giornale
In effetti sarebbe ben difficile trovare qualche foglio di carta o canale Tv o spazio in rete che non sia allineato direttamente o indirettamente a questo cartello della droga informativo. La Trusted News Initiative però non è uno strumento tradizionale, ma è nata nell’estate del 2019 proponendosi ufficialmente di “curare” in un certo modo le elezioni Usa ( sono state aggiunte anche quelle in Myanmar e Taiwan giusto per prenderci per il sedere), ma si è subito riciclata come megafono della narrativa pandemica che del resto è stata sfruttata in termini elettorali e già nell’autunno del 2020, prima ancora che i vaccini a mRna avessero l’approvazione di emergenza ha dato in numerose occasioni un avvertimento: “Trusted News Initiative combatte la diffusione della disinformazione dannosa sui vaccini e i memi diffusi che collegano le falsità sui vaccini con la libertà e i diritti fondamentali individuali”. Le aziende dei media e della tecnologia stanno lavorando per chiarire i miti dannosi sulla vaccinazione contro il Covid”

Più chiari di così è difficile essere. Ma più confusi di così non potrebbero essere i cittadini che vedono una ingannevole pluralità di fonti laddove ne esiste una sola. Ed è significativo che la Trusted News Initiative sia una sorta di oggetto misterioso che non ha nemmeno una voce di Wikipedia, l’ enciclopedia dei ricchi. Così adesso possiamo chiederci cosa hanno in comune l’autore dell’articolo più scaricato su Covid-19 sull’American Journal of Medicine, l’inventore della tecnica a mRna su cui si basano i vaccini occidentali, alcuni rinomati epidemiologi ad Harvard, Stanford e Oxford nonché e il principale microbiologo francese? Sono stati tutti censurati da una rete mediatica oppressiva di cui la maggior parte delle persone non ha mai sentito parlare.

Il CROLLO CLIMATICA arriva a Glasgow con il fiato corto. Carbone, petrolio, gas aumentato quasi del doppio. Ci/si propongono di arrivare al 2050 con lo zero emissioni con piani inadeguati è evidente. Bisogna creare l'Offerta di energia pulita, non comprensiva dell'energia nucleare. Solo quando l'Offerta diventa esuberante e poco costosa si abbandonerà l'energia fossile. Invece gli espertoni hanno rovesciato la questione si punisce chi usa l'energia fossile con la speranza che ci si rivolga a quella pulita. In questo modo hanno creato colli di bottiglia in cui oggi siamo immersi e paghiamo bollette stratosferiche. Per non parlare della CO2 la vogliono internare non sapendo neanche le possibili probabili sicure conseguenze, invece di continuare la deforestazione a ritmi forsennati e impiantare foreste su foreste, nel rispetto delle biodiversità e attuare piani per mantenerle e non farle distruggere dal primo pila che passa. La CO2 è alimento per le piante come natura insegna

Ecco il primo grande shock energetico dell’era verde. Report Economist



Senza riforme rapide, in futuro ci saranno più crisi energetiche e, forse, una rivolta popolare contro le politiche climatiche. L’approfondimento dell’Economist

Il mese prossimo i leader mondiali si riuniranno al summit di Cop26, dicendo che intendono stabilire una rotta per le emissioni globali nette di carbonio per raggiungere lo zero entro il 2050. Mentre si preparano a fare la loro parte in questo sforzo trentennale, il primo grande shock energetico dell’era verde è davanti ai loro occhi. Da maggio il prezzo di un paniere di petrolio, carbone e gas è aumentato del 95%. La Gran Bretagna, che ospita il summit, ha riacceso le sue centrali a carbone, i prezzi della benzina americana hanno raggiunto i 3 dollari al gallone, i blackout hanno inghiottito la Cina e l’India, e Vladimir Putin ha appena ricordato all’Europa che il suo approvvigionamento di carburante dipende dalla buona volontà russa.

Il panico ci ricorda che la vita moderna ha bisogno di energia in abbondanza: senza di essa, le bollette diventano inaccessibili, le case si congelano e le imprese si bloccano. Il panico ha anche esposto problemi più profondi mentre il mondo si sposta verso un sistema energetico più pulito, compresi gli investimenti inadeguati nelle energie rinnovabili e in alcuni combustibili fossili di transizione, i rischi geopolitici crescenti e i deboli ammortizzatori di sicurezza nei mercati energetici. Senza riforme rapide ci saranno più crisi energetiche e, forse, una rivolta popolare contro le politiche climatiche – scrive The Economist.

L’idea di una tale carenza sembrava ridicola nel 2020, quando la domanda globale è scesa del 5%, il massimo dalla seconda guerra mondiale, innescando il taglio dei costi nell’industria energetica. Ma con la ripresa dell’economia mondiale, la domanda è aumentata anche se le scorte si sono pericolosamente ridotte. Le scorte di petrolio sono solo il 94% del loro livello abituale, i depositi di gas europei l’86% e il carbone indiano e cinese sotto il 50%.

I mercati sono vulnerabili agli shock e alla natura intermittente di alcune energie rinnovabili. La lista delle interruzioni include la manutenzione ordinaria, gli incidenti, troppo poco vento in Europa, siccità che ha ridotto la produzione idroelettrica in America Latina, e inondazioni asiatiche che hanno impedito le consegne di carbone. Il mondo potrebbe ancora sfuggire a una grave recessione energetica: gli inconvenienti potrebbero essere risolti e la Russia e l’OPEC potrebbero aumentare a malincuore la produzione di petrolio e gas. Come minimo, però, il costo sarà un’inflazione più alta e una crescita più lenta. E potrebbero esserci più compressioni di questo tipo in arrivo.

Questo perché tre problemi incombono. In primo luogo, gli investimenti energetici sono a metà del livello necessario per soddisfare l’ambizione di raggiungere lo zero netto entro il 2050. La spesa per le energie rinnovabili deve aumentare. E l’offerta e la domanda di combustibili fossili sporchi devono essere ridotte di pari passo, senza creare pericolosi squilibri. I combustibili fossili soddisfano l’83% della domanda di energia primaria e questa deve scendere verso lo zero. Allo stesso tempo il mix deve spostarsi dal carbone e dal petrolio al gas che ha meno della metà delle emissioni del carbone. Ma le minacce legali, la pressione degli investitori e la paura dei regolamenti hanno portato gli investimenti nei combustibili fossili a crollare del 40% dal 2015.

Il gas è il punto di pressione. Molti paesi, in particolare in Asia, ne hanno bisogno come combustibile ponte negli anni 2020 e 2030, passando ad esso temporaneamente mentre abbandonano il carbone, ma prima che le rinnovabili aumentino. Oltre a usare i gasdotti, la maggior parte importa il gas naturale liquefatto (Lng). Troppo pochi progetti stanno entrando in funzione. Secondo Bernstein, una società di ricerca, il deficit globale di capacità di GNL potrebbe aumentare dal 2% della domanda attuale al 14% entro il 2030.

Il secondo problema è la geopolitica, dato che le ricche democrazie abbandonano la produzione di combustibili fossili e l’offerta si sposta verso autocrazie con meno scrupoli e costi più bassi, compresa quella gestita da Putin. La quota di produzione di petrolio dell’Opec più la Russia potrebbe aumentare dal 46% di oggi al 50% o più entro il 2030. La Russia è la fonte del 41% delle importazioni di gas dell’Europa e la sua influenza crescerà con l’apertura del gasdotto Nord Stream 2 e lo sviluppo dei mercati in Asia. Il rischio sempre presente è che riduca le forniture.

L’ultimo problema è la progettazione imperfetta dei mercati energetici. La deregolamentazione dagli anni ’90 ha visto molti paesi passare da decrepite industrie energetiche statali a sistemi aperti in cui i prezzi dell’elettricità e del gas sono fissati dai mercati, forniti da fornitori concorrenti che aggiungono offerta se i prezzi aumentano. Ma questi stanno lottando per far fronte alla nuova realtà del declino della produzione dei combustibili fossili, dei fornitori autocratici e di una quota crescente di energia solare ed eolica intermittente. Proprio come Lehman Brothers ha fatto affidamento su prestiti a breve termine, così alcune aziende energetiche garantiscono alle famiglie e alle imprese forniture che acquistano in un mercato spot inaffidabile.

Il pericolo è che lo shock rallenti il ritmo del cambiamento. Questa settimana Li Keqiang, il premier cinese, ha detto che la transizione energetica deve essere “sana e ben ritmata”, in codice per usare il carbone più a lungo. L’opinione pubblica in Occidente, compresa l’America, sostiene l’energia pulita, ma potrebbe cambiare quando i prezzi alti mordono.

I governi devono rispondere ridisegnando i mercati dell’energia. Buffer di sicurezza più grandi dovrebbero assorbire le carenze e affrontare l’intermittenza dell’energia rinnovabile. I fornitori di energia dovrebbero avere più riserve, proprio come le banche hanno un capitale. I governi possono invitare le aziende a fare offerte per contratti di fornitura di energia di riserva. La maggior parte delle riserve sarà nel gas, ma alla fine le tecnologie delle batterie e dell’idrogeno potrebbero prendere il sopravvento. Più impianti nucleari, la cattura e lo stoccaggio dell’anidride carbonica, o entrambi, sono vitali per fornire un carico di base di energia pulita e affidabile.

Una fornitura più diversificata può indebolire la presa di petrostati autocratici come la Russia. Oggi questo significa costruire il business del GNL. Nel tempo richiederà più commercio globale di elettricità in modo che i lontani paesi ventosi o soleggiati con energia rinnovabile da risparmiare possano esportarla. Oggi solo il 4% dell’elettricità nei paesi ricchi è scambiato oltre confine, rispetto al 24% del gas globale e al 46% del petrolio. Costruire reti sottomarine è parte della risposta e convertire l’energia pulita in idrogeno e trasportarla sulle navi potrebbe aiutare.

Tutto questo richiederà una spesa di capitale per l’energia più che raddoppiata fino a 4trn-5trn di dollari all’anno. Eppure, dal punto di vista degli investitori, la politica è sconcertante. Molti paesi hanno promesso lo zero netto, ma nessun piano su come arrivarci e devono ancora far capire al pubblico che le bollette e le tasse devono aumentare. Una serie di sussidi per le energie rinnovabili, e ostacoli normativi e legali rendono troppo rischioso investire in progetti per i combustibili fossili. La risposta ideale è un prezzo globale del carbonio che abbassi inesorabilmente le emissioni, aiuti le aziende a giudicare quali progetti sarebbero redditizi, e aumenti le entrate fiscali per sostenere i perdenti della transizione energetica. Eppure i sistemi di prezzi coprono solo un quinto di tutte le emissioni. Il messaggio dello shock è che i leader di Cop26 devono andare oltre le promesse e affrontare la stampa fine di come funzionerà la transizione. Tanto più se si incontreranno sotto lampadine alimentate a carbone.

(Estratto dalla rassegna stampa di Epr)

23 ottobre 2021

 

Segnalazioni e commenti degli utenti sulle notizie più recenti.

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Il picco del 2020 dei morti è stato innestato dal divieto di cura domiciliare dalla VIGILE ATTESA e tachipirina obbligo di ospedalizzazione-intubazione di massa e inseriti in centrali di infezioni come gli ospedali e cliniche affine-dipendenti hanno aiutato ad accelerare il passaggio dalla vita alla  morte. E la normale influenza ha fatto la sua parte

 

Sistemi di guerra elettronica sconosciuti hanno iniziato l’accecamento della base statunitense nella Siria orientale

dal sito russo  AVIA.pro –

Le provocazioni statunitensi contro l’esercito russo e siriano, così come l’aggressione a formazioni iraniane e filo-iraniane sul territorio della Repubblica Araba, sono diventate il motivo dell’inizio del “blocco” della base militare americana nella Siria orientale con l’ausilio di sistemi di guerra elettronica. Al momento, è noto che nell’area della base militare americana nella zona di Al-Tanf sono soppresse quasi tutte le stazioni radar, i sistemi di difesa aerea, le comunicazioni satellitari e un sistema di posizionamento globale. Il discorso, a giudicare dalla zona di disturbo, riguarda un sistema di guerra elettronica abbastanza potente. Il raggio della “zona morta” è di circa 120-150 chilometri e interessa non solo il territorio della Siria, ma anche il territorio dei vicini Giordania e Iraq.

Gli esperti hanno richiamato l’attenzione sul fatto che nella zona Et-Tanf c’è un’interruzione praticamente costante con le comunicazioni mobili e satellitari. Allo stesso tempo, le strutture GPS e una serie di sistemi elettronici direttamente collegati allo scambio di informazioni con i satelliti non funzionano effettivamente nella zona Et-Tanf. Ciò è evidenziato, tra l’altro, dall’impossibilità di tracciare aerei su questa regione, come indicato dai dati dei servizi specializzati.

Gli analisti richiamano l’attenzione sul fatto che l’uso di contromisure elettroniche crea ostacoli molto seri per gli Stati Uniti e un certo numero di altri paesi all’uso di droni e caccia F-35, che devono necessariamente mantenere la comunicazione con diversi veicoli spaziali.
Подробнее на: https://avia.pro/news/neizvestnye-kompleksy-reb-nachali-blokadu-bazy-ssha-na-vostoke-sirii

Truppe russe sono “apparse” in tutto il nord della Siria

Le truppe turche non possono lanciare un’offensiva in Siria a causa della “comparsa” delle truppe russe.

L’esercito turco, che avrebbe dovuto lanciare un’offensiva nella parte settentrionale della Siria, è stato costretto a ridurre l’operazione offensiva e persino a smettere di colpire il territorio delle regioni settentrionali della repubblica araba dopo aver praticamente lungo l’intera linea della zona delle operazioni militari delle forze armate turche “Ramo d’ulivo” e  “Scudo dell’Eufrate »  sono stati schierati i posti di blocco russi. Non ci sono ancora dichiarazioni ufficiali del comando delle forze armate russe su questo punto, tuttavia, secondo alcune informazioni, militari russi potrebbero effettivamente apparire su alcune delle posizioni delle formazioni curde, mentre su altre sono state semplicemente poste bandiere di stato russe. – qualsiasi aggressione in In questo caso, può diventare fatale per la Turchia e per Ankara ufficiale.

 

siria-bandieraNella foto presentata puoi vedere il punto di osservazione nell’area della città di Ain Issa. Secondo le fonti, si tratta del posto di osservazione delle forze democratiche siriane, su cui è stata issata la bandiera dello stato russo. In altre parole, qualsiasi attacco dell’esercito turco diventerà un’aggressione diretta contro la Russia, e dato che qui potrebbe trovarsi anche personale militare russo, è improbabile che Erdogan corra rischi per il bene delle proprie ambizioni, rendendosi conto che la successiva gli attacchi distruggeranno tutte le forze turche nella regione.

I media filo-turchi hanno già definito le azioni dei curdi e della Russia una provocazione contro la Turchia, tuttavia, la parte russa si oppone risolutamente a qualsiasi aggressione turca sul territorio della Siria, di cui Erdogan è già stato chiarito.
Подробнее на: https://avia.pro/news/rossiyskie-voyska-poyavilis-na-vsey-territorii-severnoy-sirii

 

L’esercito turco fornisce armi alle reti terroristiche.

“La Turchia ha   inviato  nelle ultime ore un nuovo convoglio composto da 31 veicoli carichi di armi, munizioni e materiale logistico per supportare le reti terroristiche  a Idleb e nei suoi sobborghi”, informa l’agenzia Sana giovedì 21 ottobre 2021.

 

Secondo l’agenzia  statale siriana, “fonti hanno sottolineato che un certo numero di veicoli” dell’esercito turco “trasportavano armi di qualità alle reti terroristiche, compresi i lanciatori termici anti-corazza prodotti dall’esercito turco. ‘NATO e vari anti- sistemi aerei con lo scopo di ostacolare le operazioni dell’esercito arabo siriano per liberare la città di Idleb e ciò che resta dei suoi sobborghi sotto il controllo di reti terroristiche affiliate al regime turco, in particolare il Fronte Al-Nosra, iscritto nell’elenco del terrorismo internazionale”. fonte: http: //www.observateurcontinental.fr/? module = news & action = view & id = 3233

Russia e Turchia molto vicine alla guerra in Siria


Istituzioni politiche e giornalistiche MENTITORI SERIALI

 

IStituto Superiore di Sanità: su 130 mila morti, quelli davvero per Covid sono 3.700

Marco Tosatti

Cari amici e nemici di Stilum Curiae, non credo che Franco Bechis, direttore de Il Tempo di Roma, sia un complottista, un no vax, o appartenente a una qualche altra categoria di quelle esecrate normalmente dai servi e lacchè di Big Pharma, Big Tech e Big Finance, sui giornali o alla televisione, o dai “politici” del Partito Trasversale degli Affari, quello che va dagli ex comunisti alla compagine – nani e ballerine – guidata dal vecchietto monomaniaco. Perciò mi ha colpito l’incipit del suo articolo di ieri:

Secondo il nuovo rapporto (che non veniva aggiornato da luglio) dell’Istituto superiore di Sanità sulla mortalità per Covid, il virus che ha messo in ginocchio il mondo avrebbe ucciso assai meno di una comune influenza. Sembra un’affermazione strampalata e da no vax, ma secondo il campione statistico di cartelle cliniche raccolte dall’istituto solo il 2,9% dei decessi registrati dalla fine del mese di febbraio 2020 sarebbe dovuto al Covid 19. Quindi dei 130.468 decessi registrati dalle statistiche ufficiali al momento della preparazione del nuovo rapporto solo 3.783 sarebbero dovuti alla potenza del virus in sé. Perché tutti gli altri italiani che hanno perso la vita avevano da una a cinque malattie che secondo l’Iss dunque lasciavano già loro poca speranza.

Avete capito? Abbiamo avuto di tutto, dal coprifuoco al lockdown, alla strage di attività e a ogni altro disastro economico e sociale a causa di poco meno di quattromila morti; e bisognerebbe poi vedere COME sono stati curati. Perché la Tachipirina e la vigile attesa, che sono state la risposta unica fino a poco fa, di sicuro un ruolo l’hanno giocato.

Fortuna che questi dati escano. Anche se c’è da chiedersi perché ora, e non prima. …
 
22.10.2021

Il rapporto ufficiale dell’ISS non fa che confermare che il Covid è una malattia pericolosa per la popolazione anziana e per le persone con gravi patologie concomitanti. Dei 130.468 decessi registrati dalle statistiche ufficiali al momento della preparazione del nuovo rapporto, solo 3.783 sarebbero dovuti al virus in sé. Una cifra che non giustifica il pandemonio scatenato tra lockdown e green pass. Le 126.000 persone morte nel corso degli ultimi 18 mesi sono morte perché il Covid ha destabilizzato equilibri di salute fragili, forse troppo fragili. Queste erano le persone che avrebbero potuto e dovuto essere messe in sicurezza.

https://www.maurizioblondet.it/istituto-superiore-di-sanita-su-130-mila-morti-quelli-davvero-per-covid-sono-3-700/

Se non sono euroimbecilli non siedono a Bruxelles

Migliaia di minatori polacchi scendono in Lussemburgo per protestare contro l’UE

Maurizio Blondet 22 Ottobre 2021

Solidarność protesta contro la sentenza della Corte di giustizia che ordina alla Polonia di pagare multe giornaliere per essersi rifiutata di chiudere la miniera di carbone

Migliaia di minatori polacchi sono scesi in Lussemburgo venerdì per una marcia di protesta, che si è svolta pacificamente in mezzo a un’enorme presenza di polizia, contro una sentenza della più alta corte dell’UE che ordinava la chiusura di una miniera nel loro paese.

Membri e sostenitori del sindacato Solidarność, che ha chiamato la protesta, sono arrivati ​​nel Granducato in pullman carichi dalla Polonia, indossando giubbotti ad alta visibilità con lo slogan “Giù le mani da Turów”, suonando i clacson e sventolando bandiere e cartelli.

La Corte di giustizia di Kirchberg ha stabilito il mese scorso che la Polonia deve pagare 500.000 euro al giorno alla Commissione europea per essersi rifiutata di interrompere temporaneamente il lavoro nella miniera di Turów, vicino al confine con la Repubblica Ceca, che si è lamentata dei danni che la miniera provoca all’ambiente

“Vogliamo dare un messaggio alla comunità internazionale, che è ingiusto per i minatori e il nostro obiettivo principale è quello di impedire la chiusura della miniera,” Jaroslaw Grzesik, uno dei principali organizzatori della manifestazione, ha detto al Lussemburgo tempi attraverso un traduttore. “Non è vero accusare la miniera di avere un impatto ambientale negativo. La nostra miniera non ha un tale impatto.”

Il sindacato polacco Solidarność è noto per il suo ruolo nel rovesciare il governo comunista del paese. Il Lussemburgo si era preparato all’aumento delle tensioni durante la protesta con circa 840 agenti di polizia coinvolti, compresi agenti di unità come la polizia speciale, la polizia aeroportuale e la polizia giudiziaria.

Sono stati dotati di veicoli militari, cani e supporto aereo e hanno installato barricate di filo spinato mentre la polizia belga ha fornito cannoni ad acqua e due veicoli simili a mezzi corazzati militari. Gli ufficiali hanno anche installato barricate di filo spinato attraverso l’area di Kirchberg intorno alla Corte di giustizia europea, dove è iniziata la protesta, e davanti all’ambasciata ceca.

“Come risultato della decisione completamente insensibile della Corte di giustizia dell’UE di chiudere la miniera di Turów, stiamo affrontando la perdita di centinaia di migliaia di posti di lavoro, la paralisi di un’intera regione e la spinta di noi stessi e dei nostri famiglie in povertà energetica e indigenza”, si legge in un volantino distribuito dai manifestanti.


Venerdì, in un comunicato stampa, un portavoce della Corte di giustizia europea ha affermato che il caso Turów è ancora in corso e che l’ordine di sospensione delle attività della miniera è una misura provvisoria.

Giovedì, la Polonia ha presentato un’istanza formale alla Corte di giustizia europea chiedendo la revoca dell’ordinanza, una richiesta che la più alta corte dell’UE ha definito “in esame”.

La protesta di venerdì “si è svolta senza incidenti di rilievo”, ha detto un portavoce della Corte di giustizia europea. “Le autorità lussemburghesi hanno adottato misure speciali per proteggere il perimetro degli edifici della Corte in considerazione del numero previsto di manifestanti”, ha aggiunto. “La continuità dell’attività dell’istituto è stata pienamente assicurata”.

La manifestazione pianificata è avvenuta sullo sfondo di una più ampia discussione tra la Polonia e l’Unione europea su questioni come lo stato di diritto e i diritti LGBTQ, con il blocco che ha minacciato di trattenere i finanziamenti dovuti al paese in risposta.

La scorsa settimana il governo nazionalista polacco ha cementato in legge una sentenza che sfida l’ordinamento giuridico dell’UE affermando che la legge polacca può prevalere su di esso. Questa mossa è avvenuta lo stesso giorno in cui è stato discusso un caso presso la Corte di giustizia in cui la Polonia ha presentato ricorso contro un meccanismo istituito a gennaio che consente all’UE di trattenere le distribuzioni di bilancio agli Stati membri.

La marcia è iniziata intorno alle 9.30, con i minatori che hanno iniziato la loro protesta alla corte, attraversando il distretto finanziario di Kirchberg, per poi passare all’ambasciata ceca, che si trova subito dopo il ponte della Grand Duchesse Charlotte che porta da Kirchberg a Lussemburgo centro.