L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 20 novembre 2021

20 novembre 2021 - TUTTI i #GreenPass italiani online! Ma è vero?

20 novembre 2021 - NEWS DELLA SETTIMANA

Apartheid avanza in Euroimbecilandia. Ieri gli ebrei, oggi chi rifiuta di far da cavia ai vaccini sperimentali, domani se hai gli occhi azzurri, dopodomani se hai i capelli bianchi. Questo è

18 NOVEMBER 2021


Lo Strudel viennese di mele è servito. Non bastava promulgare per mezzo della solita "fiducia" parlamentare il green pass peggiore d'Europa detto "hard", tanto per rimanere nelle parole inglesi. Un passaporto sanitario che esclude già i "non vaccinati" da buona parte delle attività sociali, lavorative, economiche, sportive e ricreative. No, bisognava stringere ancora di più il nodo scorsoio rivelando malvagità e sadismo negli attuali gestori del potere. E così, mentre in Austria si scende già nelle strade e nelle piazze tutti uniti (vaccinati e non), qualcuno mettendo per ironia le tute bianche anti-contagio, per mostrare che non hanno nessuna intenzione di accettare il "lockdown alla viennese" con relativo apartheid per i non vaccinati, in Italia la classe politica e gli amministratori regionali e comunali, sprofondano nell'infamia più assoluta proponendo quel modello mostruoso anche per i cittadini italiani. Omettendo, però, di dire che in Austria almeno i tamponi sono gratuiti. E già fanno tutti a gara per spararle più grosse e più infami, senza che si distinguano "quelli di destra" da "quelli di sinistra". Toti, che pratica il modello KGB e Stasi, Fedriga che pretende "premi" per i vaccinati e "castighi" con tanto di lazzaretto domestico per i non vaccinati. Anche Cirio del Piemonte è della partita "apartheid" per non vaccinati E pure De Luca che fa il cialtrone partenopeo passando dal lanciafiamme sotto il governo Conte, al napalm sotto il governo Draghi. Non poteva mancare Renzi di Italia Viva ex aequo con la Ronzulli di FI, a sparare i loro mefitici petardi. Ma cos'è la destra/ e che cos'è la sinistra? - cantava Gaber. E poi avete il coraggio di stupirvi se la gente non corre più a votarvi, o scellerati?


Per chi dovrebbero votare gli Italiani, di grazia? Per il partito trasversale della Psicopolizia Orwelliana? Inalberando i simboli dell'Apartheid viennese allo Strudel da trapiantare anche in Italia? Questa volta non finisce bene, per tutti voi, perché la gente ha capito che questa è un'emergenza dolosa che ha come scopo la distruzione di ogni attività economica e lavorativa nonché il fallimento della nazione. Ha compreso che voi volete prolungare ad libitum l'emergenza per le vostra prebende e privilegi di non eletti che possono circolare da tutte le parti, senza limiti, anche quando ci ficcate in casa. A proposito, a che punto sono le vostre pingui pensioni? Ce la farete a maturarle prima delle elezioni? Chissà che fifa avete che il governo Draghi possa cadere prima, eh? Sconvolgerebbe non poco i vostri piani. Sì, perché a voi è concesso farli, mentre da due anni a questa parte, noi non possiamo nemmeno più progettare la nostra vita da una settimana all'altra. Ma che dico? Da un giorno all'altro.

Gli Italiani imparino ad unirsi (vaccinati e non vaccinati, di destra, centro e sinistra) per assestare un colpo letale a questi malvagi criminali. E ricordino che la parola Diavolo (Διάβολος, diábolos, significa "colui che divide", "calunniatore", "accusatore" ) . E qui si sente puzza di zolfo lontano un miglio. Loro se ne stanno tutti insieme e tutti uniti sotto la coda a scaglie del Drago per maturare i privilegi di casta. Pertanto, noi dobbiamo imparare a non dividerci e ad evitare le guerricciole intestine, se vogliamo uscirne vivi. Vaccinati e non vaccinati. Per questi secondi, è già pronta l'obbligatorietà della terza dose. Nessuno vi obbliga, ma - chissà perché - vi costringeranno a farla lo stesso coi soliti metodi obliqui e striscianti. Scommettiamo? Inventeranno l'ennesimo ricatto nemmeno troppo occulto: il rinnovo del green pass che senza la terza dose, scadrebbe. O qualche altra idiozia simile. Copione déjà vu.

S. Oddone di Cluny

L'inflazione schianta Erdogan

Turchia, la banca centrale manda a picco la Lira: il grafico della settimana

20 Novembre 2021 - 09:00

Inflazione a due cifre e taglio del costo del denaro non vanno molto d’accordo. Non a caso la decisione della banca centrale della Turchia di ridurre il tasso ufficiale ha fatto sprofondare la lira turca.


Nel corso del 2022, la Bank of England tra un mese potrebbe anticipare tutti, le maggiori banche centrali si troveranno costrette ad innalzare il costo del denaro per combattere le pressioni inflazionistiche che, in alcuni casi (come negli Stati Uniti), sembrerebbero andate un po’ troppo in là.

Si può discutere dell’opportunità di una tale misura, è probabile che la politica monetaria possa fare poco con tensioni che riguardano in gran parte il lato dell’offerta, ma un rialzo dei tassi, o anche solo l’annuncio di condizioni monetarie più stringenti, rappresenta il minimo sindacale quando l’inflazione continua a fare capolino.

In Turchia evidentemente non devono pensarla così: con un’inflazione galoppante, la Banca centrale qualche giorno fa ha annunciato di aver nuovamente ridotto il costo del denaro.
Banca Centrale Turchia: taglio tassi fa sprofondare la Lira

In linea con quanto già fatto ad ottobre, quando il costo del denaro è stato portato dal 18 al 16 per cento, la Banca Centrale turca qualche giorno fa ha annunciato di aver tagliato il tasso di riferimento portandolo al 15%.

Quella che potrebbe sembrare una mossa azzardata in un contesto normale, tutte le altre banche centrali stanno iniziando o pianificando il ritiro delle misure straordinarie, assume una valenza rocambolesca in un contesto in cui l’inflazione viaggia in quota 20%.

La misura, espressamente richiesta dal presidente Recep Tayyip Erdogan (che negli ultimi anni non ha esitato a sostituire i banchieri centrali non in linea con i dettami governativi), ha avuto come naturale conseguenze quella di spingere il cambio tra il dollaro USA e la Lira Turca verso un nuovo massimo storico di 11,327.

A 11,07, il cambio USD/TRY nell’ultima settimana è salito di oltre 10 punti percentuali, in un mese ha messo a segno un +19% e da inizio anno ha guadagnato quasi il 50%.

Cambio Euro/Dollaro USA (USD/TRY). Fonte Teletrader

Andamento simile per l’incrocio con l’euro che, segnato un nuovo top a 12,839, in una settimana ha guadagnato il 9,4%, nell’ultimo mese registra un +15,7% e nel 2021 ha guadagnato il 37,7%.

Cambio Euro/Lira Turca (EUR/TRY). Fonte Teletrader

Banca Centrale Turchia: le prossime mosse

Il ragionamento portato avanti dall’istituto guidato da Şahap Kavcıoğlu per giustificare una mossa apparentemente assurda è semplice: se le cause dell’innalzamento dei prezzi non sono riconducibili alla politica monetaria, ma a fattori legati all’offerta, possiamo ridurre i tassi per creare un ambiente favorevole alla crescita.

Ma, con un tasso di inflazione in quota 20% (19,89% annuo ad ottobre), la volontà di compiacere il potere esecutivo rischia di costare parecchio all’economia di un Paese strutturalmente in deficit nella bilancia commerciale e delle partite correnti (la svalutazione della moneta rende i beni importati più cari, continuando ad alimentare la spirale inflazionistica).

Quanto meno, è confortante sapere che il Comitato di politica monetaria della banca centrale turca ha annunciato che il processo di allentamento monetario potrebbe terminare presto.

Deve ri-intervenire il covid per ri-bloccare l'economia con la speranza che DOMANDA e OFFERTA SI riallineino (ILLUSI) e l'inflazione "transitoria" rientri insieme alle strozzature delle catene d'approvvigionamento

Per non alzare i tassi, occorre abbassare le serrande. Altrimenti, qui salta il banco

20 Novembre 2021 - 13:00

Il mercato prezza una nuova crisi da Covid come arma non convenzionale contro un’inflazione che imporrebbe l’aumento del costo del denaro. Ma le curve dicono che da 0% non ci si può muovere. Mai più


Dopo il flop della settimana scorsa, Christine Lagarde ci ha riprovato. La rassicurazione di tassi inchiodati per tutto il 2022 avanzata nel corso del suo discorso per i 175 della Banca centrale portoghese aveva garantito solo un sollievo di breve termine. Serviva dell’altro.

Ed ecco che ieri, intervenendo alla Euro Finance Week di Francoforte, la numero uno dell’Eurotower è stata ancora più esplicita: Un rialzo dei tassi d’interesse adesso non avrebbe effetto sullo shock inflazionistico che sta colpendo l’economia europea ma colpirebbe i redditi disponibili delle famiglie, ponendo un freno alla ripresa. Il perché? Le strozzature all’offerta globale non possono essere risolte dalla politica monetaria. In compenso, ne possono essere esacerbate. Come accaduto finora.

Missione compiuta, questa volta? Apparentemente, sì. Proprio ieri Bloomberg comunicava come i money markets ora si aspettino un aumento del tasso di deposito di 10 punti base da parte della Bce solo nel febbraio 2023, quando solo mercoledì i wagers erano per un intervento nel dicembre 2022. Apparentemente, questione di lana caprina. Ma non nella realtà. E in ossequio a quest’ultima, occorre ammettere dell’altro: non è stata Christine Lagarde a far virare nuovamente le attese di mercato verso prospettive da colomba, bensì quanto successo il giorno prima. Giovedì, infatti, la Commissione europea ha deciso di prorogare fino al 30 giugno 2022 il quadro temporaneo per gli aiuti di Stato, la cui scadenza era invece prevista per il 31 dicembre di quest’anno. Data, giova sottolinearlo, a sua volta frutto di un allungamento dei tempi deciso il 13 ottobre 2020.

Il motivo? Semplice, la quarta ondata di Covid. Piaccia o meno, il virus è tornato non solo negli ospedali e sui media. Ma soprattutto sul mercato. E la conferma, paradossalmente, arriva da Oltreoceano, dove l’attesa per la scelta della guida della Fed sta ponendo ulteriore pressione su dinamiche post-taper che ancora si muovono in pirandelliano ordine sparso e in cerca d’autore. Questi grafici, invece, parlano chiaro:

Ratio fra panieri di titoli pro-lockdown e pro-riapertura Fonte: Bloomberg/Zerohedge
Correlazione fra numero di nuovi contagi in Europa e Usa Fonte: Bloomberg

la settimana appena trascorso ha infatti visto il paniere di titoli legati alla ripresa post-pandemica, il cosiddetto Get out and party letteralmente schiantato da quelli che beneficiano di chiusure e lockdown, denominati Stay at home.

Non solo i primi sono andati in out-performance sui secondi per 4 delle ultime 5 settimane ma, soprattutto, oggi viaggiano sui livelli della grande paura del gennaio scorso. Ed ecco che il secondo grafico mette il tutto in prospettiva: sospinta da Austria e Germania, l’Europa (linea rossa) sta vivendo un picco senza precedenti ma, attenzione, anche gli Usa (linea blu) stanno già silenziosamente registrando un trend di nuova crescita dei contagi.

E tanto per non lasciare nulla di intentato, a livello di dimostrazione pratica della correlazione, queste altre due immagini
Andamento intraday (19 novembre) del rendimento del Treasury Usa a 2 anni Fonte: Bloomberg/Zerohedge
Andamento dei tassi reali sul decennale Usa ed eventi di mercato correlati Fonte: Bank of America

paiono fare al caso nostro. Nella giornata di ieri, il rendimento del Treasury Usa a 2 anni ha vissuto un vero e proprio stress test da pandemia. Se infatti il riesplodere dei contagi in Europa ha spinto quello yield al minimo dal marzo 2020, ecco che il combinato di Germania che nega un lockdown generalizzato come in Austria e il commento della numero due della Fed, Richard Clarida, rispetto la necessità di un taper più spedito, ha immediatamente annullato i cali e riportato il rendimento del biennale a un valore di giornata invariato. Piaccia o meno, il grande driver sanitario è tornato.

C’è però un problema, testimoniato dal secondo grafico contenuto nell’ultimo studio del CiO di Bank of America, Michael Hartnett: per quanto Wall Street possa essere deliziata dall’ipotesi di tassi negativi, oggi quelli reali sul Treasury a 10 anni sono a -4,6%. Ecco il commento al riguardo dell’analista: Un livello simile negli ultimi 200 anno ha coinciso con inflazione fuori controllo, panico generalizzato, guerre e depressioni economiche. Oggi, invece, è direttamente responsabile per la «schiuma» che osserviamo su tutti le asset classes, dai titoli azionari alle criptovalute fino alle commodities. Tradotto, ogni qualvolta i tassi reali comincino a muoversi anche timidamente al rialzo, la Fed non avrà altra scelta se non quella di intervenire per contrastare quella dinamica.

L’alternativa? Il crash terminale, il banco del grande casinò globale del Qe che salta. Su tutti gli assets a rischio, uno dopo l’altro come in un domino. E l’Europa? Non stupisca la decisione austriaca di mandare in lockdown generale il Paese per 20 giorni, prima di cominciare le chiusure selettive e attivare la campagna di obbligo vaccinale dal prossimo febbraio. Occorreva inviare un segnale ma a farlo doveva essere un’economia relativamente piccola e controllabile, sicuramente non quella tedesca. La quale, infatti, ha escluso una scelta drastica di quel tipo, quantomeno per adesso. Perché una cosa è tranquillizzare il mercato sui tassi, un’altra mostrare platealmente al mondo come la narrativa della ripresa post-terza ondata stia per infrangersi contro un muro di inflazione e rallentamento della crescita da colli di bottiglia sulla supply chain.

Ragione per cui, ad oggi, Mario Draghi ha ignorato le richieste delle Regioni per soluzioni più drastiche, prendendo tempo: c’è una narrativa del 6% di Pil da salvaguardare, quantomeno fino a quando il mercato non sarà pronto a digerire un suo tracollo, poiché sufficientemente controbilanciato in ottimismo dall’ennesima campagna di sussidio a oltranza. E che un simile epilogo fosse all’orizzonte, lo si era capito già mercoledì, leggendo le parti meno nobili e mediatiche della Financial Stability Review della Bce. Ad esempio, questo passo: La situazione debitoria dei Paesi dell’Eurozona ha beneficiato della ripresa e delle condizioni di finanziamento favorevoli. Tuttavia, se i costi di finanziamento dovessero salire e la crescita economica risultasse inferiore alle aspettative, ciò potrebbe mettere la dinamica del debito sovrano in una traiettoria sfavorevole, specie nei Paesi a più alto debito, e contribuire a una certa rivalutazione del rischio sovrano da parte dei mercati.

Prospettiva per ora solo ipotetica, pessimistica e di lungo termine? No. Di immediata, stringente e allarmante attualità, come mostra plasticamente questo grafico finale,
Correlazione fra indice bancario spagnolo e curva dei rendimenti Fonte: Oxford Economics/Haver Analytics

la cui didascalia ufficiosa potrebbe essere Ecco perché Christine Lagarde è ossessionata dalla rassicurazione sui tassi. Ed ecco perché, complice l’emergenza Covid giunta come un assist perfetto solo da spingere in porta, la Commissione Ue ha prorogato gli aiuti di Stato e la stessa Christine Lagarde ha confermato come al board del 15-16 dicembre verrà dettagliato il piano per il PEPP dopo il 31 marzo. Di fatto, giunto a poco più di quattro mesi dalla scadenza ma con l’emergenza pandemica ritornata in grande stile.

La grafica parla chiaro, in fatto di rialzo anche minimo dei tassi: se per caso la parte lunga della curva smette di seguire quella a breve, il canarino nella miniera equity del comparto bancario spagnolo esploderebbe. Overnight. Prepariamoci quindi a convivere con restrizioni e lockdown ciclici, esattamente come già sta facendo il mercato. Almeno fino all’arrivo della prossima emergenza ad hoc. Perché da quota 0% dei tassi di interessi è ormai impossibile muoversi. Punto.

Contro corrente - e sette e otto e nove - Banche centrali che aumentano i tassi d'interesse - Si aggiunge la Polonia, la Repubblica Ceca, la Romania al Canada alla Nuova Zelanda, Norvegia, Islanda, Ungheria, Russia + 22 paesi emergenti tra cui Brasile, Corea del Sud, Uruguay.

Come e perché l’inflazione picchia in Romania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria


20 novembre 2021

A ottobre l’inflazione è aumentata del 5,8% in Repubblica Ceca, del 6,5% in Ungheria e del 6,8% in Polonia. Secondo quanto riferisce Le Monde, quest’anno dovrebbe aumentare del 7% in tutta l’Europa centrale e orientale, contro il 3,7% della zona euro

L’impennata dei prezzi delle materie prime, le difficoltà di approvvigionamento, la carenza di manodopera e gli aumenti salariali stanno spingendo i prezzi in Romania, Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria.

Da giorni, gli abitanti di Timisoara, nell’ovest della Romania, iniziano la loro giornata con lo stesso rituale: tastare ansiosamente il loro radiatore. Il 26 ottobre, più di 50.000 case, così come scuole e ospedali della città, sono rimasti senza riscaldamento e acqua calda per diversi giorni.

Il motivo: l’impennata dei prezzi dell’energia ha spinto la società di riscaldamento locale, Colterm, sull’orlo del fallimento. Di fronte all’accumulo di fatture non pagate, il produttore di gas E.ON ha smesso di fornirlo. Da allora – scrive Le Monde – le autorità municipali stanno lottando con altri fornitori per ottenere gas e carbone per le centrali di Colterm. Ma le consegne sono irregolari. Così, mentre il paese entra nell’inverno, i caloriferi di Timisoara non riscaldano tutti i giorni.

In ottobre, l’indice dei prezzi al consumo rumeno è aumentato del 7,9% su base annua, il più alto in dieci anni, secondo l’Istituto nazionale di statistica. Ciò è dovuto in gran parte all’impennata dei prezzi del gas (+46%), e le cifre sono sconcertanti anche nei paesi vicini.

Nello stesso mese, l’inflazione è aumentata del 5,8% in Repubblica Ceca, del 6,5% in Ungheria – il massimo dal 2012 – e del 6,8% in Polonia. Secondo le previsioni della società di consulenza britannica Oxford Economics, quest’anno dovrebbe aumentare del 7% in tutta l’Europa centrale e orientale, contro il 3,7% della zona euro.

“Questa regione è quella in cui il rischio di vedere un aumento sostenuto dei prezzi nei prossimi anni è il più alto”, ha commentato Liam Peach, della società britannica Capital Economics.

“Per il momento, questo shock inflazionistico è in gran parte legato all’aumento dei prezzi delle materie prime e ai problemi di approvvigionamento, in particolare nei paesi altamente integrati nelle catene di produzione europee”, ha osservato Rafal Benecki, un economista di ING a Varsavia.

E, non a caso, le famiglie sono le prime a soffrire. In Romania e Ungheria, i costi di riscaldamento e di energia rappresentano rispettivamente il 25% e il 22% delle spese familiari, rispetto al 7% in Germania, secondo la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS). “La pressione per i governi a prendere misure a favore di queste famiglie aumenterà”, ha detto Beata Javorcik, capo economista della BERS.

LE CARENZE DEL MERCATO DEL LAVORO

Alcuni hanno iniziato a farlo. Nel tentativo di placare l’elettorato in vista delle elezioni parlamentari del 2022, il gabinetto del primo ministro nazionalista ungherese Viktor Orban ha annunciato giovedì 11 novembre che i prezzi di benzina e diesel alla pompa saranno limitati a 480 fiorini (1,31 euro) al litro per i prossimi tre mesi. La Romania sta considerando misure simili.

Tuttavia, le pressioni inflazionistiche non sono nuove nella regione: erano già evidenti prima della pandemia. “Il Covid ha congelato il fenomeno, ma nel 2019 le carenze del mercato del lavoro e la bassa disoccupazione stavano già spingendo in alto l’indice dei prezzi”, ricorda Liam Peach. In primavera, la forte ripresa economica ha stimolato le assunzioni.

Secondo Eurostat, il tasso di disoccupazione è sceso a settembre al 3,9% in Slovenia, al 3,6% in Ungheria, al 3,4% in Polonia e al 2,6% in Repubblica Ceca, lontano dal 7,4% registrato nella zona euro.

“Tutti stanno lottando per assumere”, ha detto Sandor Baja, direttore generale di Randstad per Ungheria, Romania e Repubblica Ceca. “Soprattutto perché sempre più gruppi dell’Europa occidentale e dell’Asia, come Atos, Citigroup e l’indiana Tata, stanno aprendo centri di servizi informatici e amministrativi nella regione”.

AUMENTI SALARIALI

Queste carenze di manodopera sono esacerbate dalla fuga di cervelli verso l’Occidente e dal calo della popolazione attiva, legato al basso tasso di natalità. “Ogni anno in Ungheria, il numero di persone che vanno in pensione supera il numero di persone che entrano nel mercato del lavoro di 50.000 unità”, ha fatto sapere Baja. Questa mancanza di candidati sta alimentando l’aumento dei salari e, a sua volta, l’aumento dei prezzi.

In Repubblica Ceca, il salario minimo mensile è aumentato da 11.000 a 15.200 corone (da 435,40 a 601,70 euro) tra gennaio 2017 e gennaio 2021. Il 5 novembre, il governo ha annunciato che sarebbe salito a 16.200 corone nel gennaio 2022 (641,22 euro), mentre il salario medio (38.275 corone, o 1.507 euro) è aumentato dell’11,3% nei primi sei mesi dell’anno.

In Ungheria, Viktor Orban ha promesso di aumentare il salario minimo locale da 167.400 a 200.000 fiorini (da 458,90 euro a 548,29 euro) all’inizio del 2022.

Gli aumenti sono ancora più marcati per le posizioni più qualificate. E per farvi fronte, le aziende non hanno altra scelta che trasferirli nei prezzi. “Nella regione, le carenze del mercato del lavoro e gli aumenti salariali sono fondamentali per comprendere le dinamiche inflazionistiche”, ha spiegato Benecki.

Nei prossimi mesi, continueranno ad alimentare gli aumenti dei prezzi quando gli effetti dell’impennata dei prezzi delle materie prime potrebbero svanire. “Soprattutto perché le pensioni in molti di questi paesi sono anche indicizzate ai salari o all’inflazione”, ha aggiunto Javorcik.

INASPRIMENTO MONETARIO

Le banche centrali hanno iniziato ad agire per frenare questi aumenti. Il 3 novembre, l’istituto monetario polacco ha aumentato il suo tasso di riferimento dallo 0,5% all’1,25%.

Il 4 novembre, la sua controparte ceca ha sorpreso aumentando il suo tasso dall’1,5% al 2,75%. “Questo è il quarto aumento da giugno e il più alto dalla metà degli anni ’90”, ha osservato Tomas Dvorak, uno specialista del paese presso la Oxford Economics.

Questa stretta monetaria, che è in corso anche in Romania e Ungheria, dovrebbe rallentare i prezzi e il credito, senza danneggiare troppo la crescita a breve termine, dicono gli economisti. C’è un certo dibattito sugli sviluppi del mercato del lavoro nella regione. La carenza di manodopera potrebbe limitare la crescita futura, anche se l’automazione delle linee di produzione, che è già iniziata nell’industria automobilistica, potrebbe compensare in parte la mancanza di manodopera. “In Polonia, gli 1,5 milioni di emigranti ucraini coprono anche alcune necessità in certi settori”, ha sottolineato Benecki.

La transizione ecologica potrebbe anche distruggere posti di lavoro nelle industrie tradizionali e causare un nuovo aumento della disoccupazione. “Sarà necessaria molta formazione per riorientare i dipendenti verso le nuove professioni digitali e di sviluppo sostenibile”, ha concluso Dvorak.

(Estratto dalla rassegna stampa estera a cura di Epr Comunicazione)

17 settembre 2019 intervento della Fed che immette miliardi nel sistema finanziario in crisi di liquidità. L'influenza covid cristallizza l'economia, raffredda la DOMANDA, le aziende più deboli falliscono l'OFFERTA diminuisce. Le banche centrali sono giustificate ad immettere nel sistema finanziario montagne di soldi. Si rallentano le restrizioni covid l'economia riparte. Trova ostacoli nel suo cammino. Le materie prime aumentano, la logistica è in crisi, mancano i microchip . Tutto ciò continua a devastare l'OFFERTA che non riesce a stare al passo alla normale ripresa della DOMANDA. Deve ri-intervenire l'influenza covid per ri-bloccare l'economia, con la speranza che OFFERTA e DOMANDA si riallineino. Il Sistema è completamente impallato. L'Occidente reagisce non reagendo con monitoraggio vigile e costante. La Cina/Eurasia si chiude a riccio, si concentra nel superamento delle contraddizioni più macroscopiche tipo bolla del mattone e riportando nell'alveo del controllo statale, sempre più stretto, le aziende tecnologiche e commerciali più avanzate che diventando troppo grandi rischiano di sfuggirgli, creando ulteriori bolle e disallineamenti. Si sta attrezzando per superare al meglio la probabile possibile certa crisi economica che aleggia nell'aria

SPY FINANZA/ Due grafici per capire il grosso guaio del Qe perenne

Pubblicazione: 19.11.2021 - Mauro Bottarelli

Due grafici possono valere più di mille parole, numeri e percentuali sulla situazione economica e finanziaria che abbiamo e avremo di fronte

Lapresse

Nel mondo del giornalismo, una fotografia spesso vale più di mille reportage. In quello dell’economia, un grafico spesso vale più di mille parole, numeri e percentuali. Oggi ve ne propongo due e le mie parole, quindi, saranno meno del solito. Perché per fotografare il momento che stiamo vivendo è inutile dilungarsi troppo. Quando un membro di primo livello della Bce come Isabel Schnabel arriva a sostenere che, «da un certo punto di vista, l’aumento delle prospettive inflazionistiche rappresenta uno scenario cui dare il benvenuto», d'altronde c’è poco da dire. Siamo alla negazione della realtà. Dolosa. E non tanto perché di fronte alla commissione Affari economici dell’Europarlamento la stessa Christine Lagarde, non più tardi di tre giorni fa, abbia dovuto ammettere come il rialzo dei prezzi sarà più persistente di quanto si pensasse. Bensì perché all’Eurotower hanno le spalle al muro e sperano in un miracolo. Ma attenzione: o questo accade in tempi brevissimi o l’ultimo board dell’anno atteso per il 15-16 dicembre rischia di tramutarsi in un redde rationem decisamente pericoloso.

Certo, il precipitare della situazione Covid sta paradossalmente aiutando: nessuno, infatti, a mente fredda spingerebbe troppo sull’acceleratore della normalizzazione monetaria in un momento di rinnovata crisi che rischia di impattare nuovamente sulle dinamiche dell’economia reale, produzione intesta. C’è però il quadro di medio-lungo periodo da tenere in considerazione: quanto l’inflazione resterà transitoriamente ben oltre il target statutario e, soprattutto, sopra il livello accettabile di erosione del potere d’acquisto e dei risparmi dei cittadini?

Ed è in questo quadro prospettico che si inseriscono i due grafici di oggi. Il primo è questo e ci dice un qualcosa di decisamente serio: per la prima volta dal 2007, quindi subito prima della grande crisi finanziaria, l’intera gamma dei metalli trattati alla London Metal Exchange è in modalità di cosiddetta backwardation. Ovvero, i prezzi spot sono superiori a quelli dei futures. Tradotto, l’offerta non riesce a tenere il passo della domanda.


Da un certo punto di vista, quello accademico, un qualcosa di positivo: se c’è richiesta, c’è output. Da un altro punto di vista, un campanello d’allarme davvero epocale, stante l’ultima volta in cui si sostanziò. Ovvero, la carenza strutturale di materiali di fondamentale importanza per pressoché ogni tipo di produzione unita alle criticità sulla supply chain stanno delineando uno scenario di completo e totale scardinamento delle dinamiche post-globalizzazione, già messe pesantemente in crisi dalla prima, devastante ondata di Covid del 2020. Siamo di fronte a un reset dell’impianto di domanda e offerta globale, totalmente sbilanciato su lato cinese del monopolio e oggi drammaticamente messo in discussione da carenze sulla logistica che certamente richiederanno trimestri e non settimane per trovare un assetto rinnovato e in grado di rispondere alle nuove sfide post-pandemiche. Tradotto, qui non siamo di fronte a un boom della ripresa, siamo all'accaparramento disperato e quasi a ogni costo del poco materiale presente e a disposizione sul mercato. E con il comparto auto che ha appena segnalato un nuovo crollo a ottobre in Europa, -29,3%, la componentistica rischia di andare ad aggravare un quadro già drammaticamente simile a quello della tarda primavera del 2020.

Insomma signori, pensavamo di essere nel pieno del ciclo di ripresa e invece ci ritroviamo punto e a capo. Con una differenza: a dispetto dello scenario di un anno e mezzo fa, le Banche centrali sono in ritirata sul fronte dello stimolo e l’inflazione in ebollizione a tal punto da far prezzare ai mercato addirittura un aumento dei tassi prima del previsto. Devastante.

Ed eccoci al secondo grafico, di fatto prosecuzione naturale del precedente, ma anche compendio generale del contesto macro con cui andremo a fare i conti. Quantomeno, da qui ai primi due trimestri del nuovo anno.


L’immagine compara il trend dell’impulso creditizio cinese (linea blu), il balsamo di liquidità del mondo, con le vendite globali di semiconduttori su base annua (linea grigia). Un qualcosa che deve farci preoccupare, perché – come dicono gli anglosassoni – something’s gonna give. Insomma, qualcuno deve pagare dazio a una situazione totalmente sbilanciata dai fondamentali. E dalle serie storiche con le loro correlazioni. La scarsità di produzione e reperibilità dei chip – di fatto il Sacro Graal di ogni tipo di produzione, dalle automobili ai pc, dagli elettrodomestici agli smartphone – ha infatti dato vita a una folle corsa all'accaparramento, garantendo ai produttori un potere pressoché illimitato di imposizione dei prezzi sul brevissimo termine, gonfiando gli utili e le valutazioni di Borsa. Normalmente, questa verrebbe prezzata come una deviazione emergenziale da una dinamica bilanciata di domanda e offerta che il mercato, una volta superata la fase di crisi o recessione, tenderà a ribilanciare in autonomia. E in tempi abbastanza brevi, solitamente spinto da stimoli che si traducono (o, meglio, dovrebbero tradursi) in investimenti in CapEx per venire incontro ai nuovi equilibri. Quale il rischio, oggi?

Intuitivamente viene da pensare che la maggior criticità alle porte potrebbe essere quella segnalata dai precedenti di trend, ovvero un re-couple tra le due voci che veda crollare le vendite di semiconduttori, generando scarsità e crisi dei conti per i produttori. Paradossalmente, invece, è il contrario. Se si rompe quella correlazione storica fra iniezioni di liquidità della Pboc, di fatto sostegno all’economia reale cinese e alla sua bolla creditizia e vendite dell’elemento base delle produzioni tech (e non solo) mondiali, ci sarà da festeggiare la perdurante domanda di materiale solo per poche settimane. Dopodiché, il Sistema si porrà la domanda delle domande: se l’impulso creditizio cinese non è più il silenzioso e invisibile driver delle dinamiche finanziarie, economiche e commerciali globali come è stato dal 2008 in poi, chi lo sarà adesso? La Fed, forse? La Bce, magari?

Sembra una follia, un paradosso, ma quello di fronte a noi è un rischio addirittura superiore a quello del reset post-pandemico. È quello di un re-price furioso di tutte le manipolazioni dei prezzi degli assets poste in essere dalle Banche centrali appunto dal 2008 in poi, stante la mancanza percepita o reale di un nuovo deus ex machina che garantisca un minimo di equilibrio fra domanda e offerta e di price discovery nel caos di un Qe percepito ormai come perenne e ipotecato. Il sistema è completamente impallato, come un computer che necessita della mano di un esperto. O di un anti-virus potentissimo, al pari del vaccino anti-Covid. Chi è in grado di fornirlo, oggi? E, soprattutto, siamo certi che un corpo indebolito come quello delle attuali dinamiche finanziarie ed economiche regga quella cura da cavallo e non ne rimanga vittima degli effetti indesiderati?

Paradossalmente, la quarta ondata sta garantendo al Sistema un altro po’ di tempo per settarsi su nuovi equilibri. Perché quando basi l’intero reticolato dei rapporti di mercato e produttivi sulla manipolazione di base attraverso tassi mantenuti artificialmente a zero, a prescindere dalla condizioni macro e dei fondamentali sottostanti, già sul medio periodo i costi accessori sono questi. E sono alti, molto alti. Potenzialmente, poi, addirittura esiziali.

I decisori politici di Euroimbecilandia non riescono a fermarsi, sono impazziti e sparano a chi non vuole fare da cavia ai vaccini sperimentali e non vuole essere confinato prigioniero in casa

Rotterdam : si spara ai dimostranti

Colpi di arma da fuoco sono stati sparati nel corso delle proteste contro i confinamenti e le chiusure in Olanda. La situazione ormai sta sfuggendo completamente di mano alle élite europee che provano a tenere in vita l’ormai morente operazione terroristica del coronavirus. I popoli europei non accettano più di vivere sotto questa dittatura opprimente. L’Europa è una enorme pentola a pressione surriscaldata. Un solo minimo aumento della pressione rischia di far saltare definitivamente in aria.
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JUST IN – Multiple gunfire shots heard at anti-lockdown protest in Rotterdam, Netherlands

Da DWN:

Violenza brutale e stato di emergenza: a Rotterdam sono scoppiati gravi disordini tra i manifestanti di Corona e le forze di polizia. Un agente di polizia ha sparato colpi di avvertimento con munizioni vere.

Pesanti battaglie di strada tra i manifestanti di Corona e le forze di polizia si sono svolte a Rotterdam nella notte tra il 19 e il 20 novembre 2021. Sono stati utilizzati elicotteri della polizia e cannoni ad acqua. Le auto sono state date alle fiamme in alcuni punti. Non sono ancora disponibili informazioni sul numero di feriti e feriti gravi.

“La polizia di Rotterdam ha sparato diversi colpi di avvertimento durante i disordini sul Coolsingel. La polizia antisommossa era anche in azione per scacciare i rivoltosi, ha detto un portavoce della polizia. Centinaia di manifestanti si sono riuniti venerdì sera sul Coolsingel di Rotterdam. Hanno protestato contro la cosiddetta politica 2G mirata dal governo (…) La manifestazione si è poi trasformata in disordini”, riporta “ Trouw ”.

“L’atmosfera nel centro della città è cambiata rapidamente e sta diventando sempre più cupa. C’è gente che va in giro con i piedi di porco (…) Diverse auto della polizia sono state gravemente danneggiate. I vetri delle finestre sono andati in frantumi e un’auto è stata incendiata. I manifestanti hanno acceso pesanti fuochi d’artificio, sono scoppiati diversi incendi e vengono abbattuti i segnali stradali e le pietre del selciato. Anche la polizia e i vigili del fuoco sono stati colpiti”, secondo il quotidiano ” Eindhovens Dagblad “.

Gerrit van der Kamp, presidente del sindacato di polizia ACP, e Hanneke Ekelmans della polizia di stato parlano di “immagini terribili”. Koen Simmers, direttore generale dell’Associazione di polizia olandese, ha dichiarato al quotidiano ” AD.nl “: “Non ha nulla a che fare con la dimostrazione, ma con scarti scatenati e ingenui stupidi seguaci”.

Gli eventi possono essere seguiti dagli utenti dei social media su Twitter sotto #Rotterdam . Un video mostra come la polizia apparentemente spara in aria con proiettili veri .

Il “ BILD ” letteralmente: “Un elicottero della polizia sta sorvolando il centro della città, osservando la situazione dall’alto. Le persone stanno protestando contro la politica 2G del governo. I video mostrano la polizia che spara colpi di avvertimento. Si dice che un uomo sia stato colpito. Non è ancora chiaro se sopravviverà alla notte”.

“BILD” ha poi annunciato: “Secondo l’emittente olandese ‘NOS’, due persone sarebbero state colpite dai servizi di emergenza. Tuttavia, i dettagli esatti non sono chiari”.

La polizia di Rotterdam ha semplicemente detto: “Ci sono stati feriti in relazione ai colpi sparati”.

“Inoltre, vengono sparati pesanti fuochi d’artificio e si grida ‘libertà’. Almeno un’auto della polizia è stata anche data alle fiamme, altre sono state danneggiate dai rivoltosi”, secondo “ VRT.be ”. Quando l’incendio è stato spento, gli oggetti sono stati lanciati contro i vigili del fuoco. Sono stati lanciati anche oggetti contro la polizia.

La polizia ha chiuso la stazione centrale di Rotterdam e una stazione della metropolitana, secondo il quotidiano ” De Telegraaf “. Secondo un rapporto , la manifestazione non è stata registrata.

🔴 La police néerlandaise a tiré à balle réelle sur un manifestant ce soir à Rotterdam. Un second manifestant a été blessé par balle réelle dans la soirée.

Pour ne rien rater des manifs
👉 t.me/AnonymeCitoyen

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Trattato del Quirinale, 25 novembre, si formalizza di essere colonia della Francia. Perseguito con perseveranza da Gentiloni, Mattarella e quel coacervo di interessi rappresentati nel Pd. Fanfulla Salvini, borgatara Meloni, se ci siete battete un colpo o siete dei falsi ideologici come si è dimostrato il M5S?

Cosa aspettarsi dal Trattato Italia-Francia?


19 novembre 2021

Come cambieranno i rapporti fra Italia e Francia con il cosiddetto Trattato del Quirinale? Conversazione di Start Magazine con Alberto Toscano, saggista, politologo e presidente del Club de la Presse européenne, l’Associazione della stampa europea in Francia

Come cambieranno i rapporti fra Italia e Francia con il cosiddetto Trattato del Quirinale?

“Anche se a oggi non conosciamo il testo del Trattato, penso di poter dire che è senza dubbio ispirato dalla ricerca di una vera collaborazione tra Italia e Francia. La questione però non sarà nelle affermazioni di principio, quanto piuttosto nella sua capacità di articolare una stretta collaborazione operativa tra i due Paesi”, risponde Alberto Toscano, giornalista, saggista, già all’Ispi e poi collaboratore dalla Francia per diversi quotidiani italiani fra cui il Giornale e Italia Oggi, ora presidente del Club de la Presse européenne, l’Associazione della stampa europea in Francia.

Del Trattato italo-francese si parla da parecchi mesi, l’argomento ricorre in ogni occasione di contatto ufficiale tra Presidenti o di vertice bilaterale, tra Sergio Mattarella ed Emmanuel Macron, o con Mario Draghi, anche a margine di vertici più ampi.

Il Trattato sarà firmato il prossimo 25 novembre a Roma.

Ma come nasce il Trattato?

Per tracciarne la struttura, fu formato da un gruppo di lavoro di persone che sono tra loro amiche – dice Toscano – Per citarne due, vorrei ricordare Gilles Pécout, massimo storico francese del Risorgimento e di Cavour e oggi ambasciatore di Francia a Vienna dopo essere stato rettore dell’Académie de Paris. È una persona che conosce bene e che ama l’Italia, nei cui confronti nutre un grande sentimento di rispetto e di amicizia. L’altra persona che vorrei citare è Sylvie Goulard, che è stata braccio destro di Mario Monti quand’era commissario europeo alla concorrenza: anche lei ha un grande amore e stima per il nostro Paese.

Tra Francia e Germania ci sono riusciti, in gran parte.

Infatti, lo stesso nome di Trattato del Quirinale rimanda al Trattato dell’Eliseo, che fu firmato da Charles De Gaulle e Konrad Adenauer nel 1963 e che segnò il superamento del lungo conflitto e in particolare della ferita della II guerra mondiale. Fu capace di aprire una stagione di fertile collaborazione tra Germania e Francia, con ulteriori approfondimenti della collaborazione fino al Trattato di Aquisgrana del 2019. Ha prodotto azioni concrete, come per la brigata franco-tedesca a cui diedero vita Helmut Kohl e François Mitterrand. Noi con la Francia abbiamo una riunione intergovernativa annuale, tra Francia e Germania è semestrale, con parecchi ministri e con dossier operativi. La collaborazione franco-tedesca non ha paragone tra le collaborazioni bilaterali all’interno dell’Unione europea.
Fin dove si spingerà il Trattato del Quirinale sul piano concreto?

Possiamo dare la parte simbolica per acquisita, il trattato senz’altro esprimerà una grande amicizia. Si dovrà però essere capaci di affrontare temi puntuali. Per esempio, quando Fincantieri ha provato a prendere il controllo dei cantieri di Saint-Nazaire si è trovata davanti un muro, e alla fine ha rinunciato. Quando oggi un italiano entra in Francia può capitare che sia sottoposto a controlli che sono imbarazzanti alla luce di Schengen, per quanto si comprendano la preoccupazione per l’ingresso di migranti irregolari e le questioni di sicurezza. Tutto questo sarà superato con il Trattato, la Francia sarà più accogliente rispetto agli investimenti italiani o nel superamento dei controlli alla frontiera? Si sarà capaci a scendere dalle affermazioni di principio alla realtà quotidiana? È uno sforzo che va fatto da entrambe le parti, e vorrei notare che l’Italia ha le sue colpe, anche solo ricordando le maleparole, o insulti, che a Macron che furono all’epoca indirizzate dall’allora ministro degli interni, Matteo Salvini.
Quali altri temi sono da considerare sensibili?

Mi sembra che l’aviazione civile e militare meriti un’osservazione attenta. Siamo oggi discutendo del futuro supercaccia europeo, ma finora nel settore aeronautico Francia e Italia hanno collaborato meno di quanto sarebbe stato possibile. L’Italia non è entrata in Airbus ed è stata rimpiazzata dalla Spagna, anche perché ha considerato le offerte anglo-franco-tedesche inferiori alle sue attese. Con la Francia ha pur realizzato gli ATR 42 e poi gli ATR 72, che sono stati dei successi, ma per lo più siamo stati su campi diversi e in competizione, con nel caso dell’Eurofighter e del Rafale. Questo settore sarà una cartina di tornasole per capire se il Trattato avrà effetti concreti. Un altro ambito su cui porre l’attenzione credo sia nella revisione del Patto di stabilità che consentirà, nei dialoghi preparatori alla formazione delle posizioni europee, di capire la vera natura e forza della collaborazione italo-francese. Il Trattato del Quirinale, se precisa la modalità del lavoro, potrebbe essere di aiuto.

Come si colloca il Trattato del Quirinale rispetto alla relazione francese con la Germania?

Credo che il Trattato aiuterà nel riequilibrio europeo dei rapporti con la Germania, ma temo che la Francia continuerà a basare le sue scelte principali sul suo rapporto con l’oltre Reno. Bisognerà poi capire se in Francia si vorrà impiegare la relazione con l’Italia – insieme a quella con la Spagna – come semplice strumento di proprio rafforzamento rispetto al peso tedesco. Per saperlo, dovremo iniziare a leggere il Trattato e poi osservare i comportamenti concreti. In questo contesto, all’Italia spetta un ruolo decisivo, che sia proattivo sia nella relazione con la Francia sia nel contesto europeo. D’altra parte, esiste anche uno scenario trilaterale italo-franco-tedesco che è emerso più volte negli anni recenti.

L'Occidente dopo aver braccato e ucciso Gheddafi come una bestia farà di tutto, soprattutto con mezzi subdoli per impedire l'elezioni di Saif al-Islam

ESTERI
Mercoledì, 17 novembre 2021
Libia, Haftar contro Gheddafi Jr. Si muovono anche le potenze, rischio caos

Il 24 dicembre si dovrebbe votare per le presidenziali libiche. Il generale sfida il figlio del raìs, ma dietro i candidati ci sono anche le potenze straniere


Il generale Haftar contro il figlio di Gheddafi: le elezioni in Libia è roba da uomini forti

Le elezioni per la presidenza della Repubblica, certo. Ma prima ancora si svolgerà un altro voto fondamentale per l'Italia. Anche se non si svolge in Italia. Si tratta delle elezioni presidenziali in Libia, programmate per il prossimo 24 dicembre. Una vigilia di Natale movimentata per un paese cruciale per gli equilibri geopolitici del nord Africa e del Mediterraneo, con un diretto impatto dunque anche e soprattutto sull'Italia. E tra i candidati ci sono anche volti forti, anzi fortissimi. Da Gheddafi Jr. al generale Haftar, il rischio che emerga un presidente divisivo è alto, con il rischio che il caos interno che ha portato a un aumento vertiginoso degli sbarchi di migranti in Italia si ripeta di nuovo.
Libia, dopo averci provato con le armi ora Haftar ci prova alle urne. Con l'appoggio più o meno segreto di partner esteri

I due candidati più noti sono certamente Haftar e Gheddafi. Il primo aveva provato a prendere Tripoli con le armi, ci riproverà ora dalle urne. L'uomo forte della Cirenaica ha deciso di scendere nell'agone politico e sfidare Saif al-Islam Gheddafi, subito dopo che il figlio del raìs aveva sciolto le riserve sulla sua partecipazione al voto. "Dichiaro la mia candidatura alle elezioni presidenziali, non perché corro dietro al potere, ma per condurre il nostro popolo alla gloria, al progresso e alla prosperità", ha dichiarato il Haftar in un discorso pronunciato in diretta tv e atteso da oltre due mesi: ossia da quando, a settembre, si era autosospeso da ogni incarico militare palesemente per rispettare un requisito della legge sulle presidenziali libiche.

"La Libia è a un punto di svolta. O si opta per la libertà e l'indipendenza, o per la corruzione e il caos", ha detto Gheddafi. Un netto cambio di tono rispetto a quanto diceva in precedenza, cioè che "la Libia non è ancora pronta per la democrazia". Sostenuto in maniera esplicita dalla Russia, dagli Emirati Arabi Uniti e dall'Egitto e in maniera implicita dalla Francia, Haftar ha diversi amici internazionali che potrebbero vedere di buon occhio una sua vittoria che di fatto rovescerebbe a livello ufficiale il debole governo di Tripoli sostenuto da Nazioni Unite e Italia. Quella di Haftar è però percepita come una figura controversa e divisiva, rispettato e anche amato a est, ma disprezzato a sud e a ovest della Libia.

Elezioni Libia, gli Usa non vogliono Gheddafi Jr.

Anche Gheddafi Jr. non sembra avere il carisma del padre. Senza contare che Saif è accusato dalla Corte penale internazionale dell'Aja di crimini contro l'umanità. La sua candidatura sta scatenando diverse polemiche. Gli Stati Uniti in particolare sono contrari a un ruolo per Gheddafi Jr. nel futuro governo della Libia. Lo ha detto esplicitamente il portavoce regionale del Dipartimento di Stato americano, Samuel Werberg, citato dal Libya Observer. Anche se qualche tempo fa Mosca aveva fatto trapelare il sostegno a Gheddafi, compreso quello "implicito" dell'Italia. Difficile però che per la comunità internazionale sia accettabile il ritorno della famiglia che si è deciso di radere al suolo.

Elezioni Libia, tutti gli altri candidati. Le Nazioni Unite puntano su Maitig?

Ma i candidati sono tantissimi e con esperienze variegate. C'è per esempio l'ex premier Ali Zeidan, in carica tra il novembre 2012 e il marzo 2014. Oppure l'ex vicepremier Ahmed Maitig, già vicepresidente del passato Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale dell'allora premier Fayez al-Sarraj. Uomo d'affari che proviene da una potente famiglia Misurata di origine turca, Maitig è noto per le sue idee liberali e moderate. Maitig, 49 anni, fu eletto premier per pochi giorni nel maggio 2014 ma si dimise il mese dopo per una controversia sulla propria nomina. Potrebbe essere lui un nome buono per la comunità internazionale. In corsa anche un attore comico, Hatem al-Kour, il capo del comitato direttivo del partito 'Progetto nazionale' ed ex ministro dell'Industria, Fathi bin Shatwan, l'ex ambasciatore libico negli Emirati Arabi Uniti, Aref Al-Nayed. E ancora: l'ex ministro dell'Interno Fathi Bashagha, il leader del Partito per la pace e la prosperità, Muhammad Khaled Abdullah Al-Ghweilm, l'ex ministro dell'Istruzione Othman Abdul Jalil e Fathi bin Shatwan, capo del Comitato direttivo del Movimento nazionale, già ministro dell'Industria prima della Rivoluzione del 2011.

Elezioni in Libia e rischio caos, lo spettro degli sbarchi e dell'instabilità sull'Italia

Ma c'è anche chi scommette che le elezioni alla fine non si svolgeranno anche per la grande distanza e differenza tra candidati così divisivi. Haftar d'altronde resta un militare, Gheddafi potrebbe in realtà mirare a cementare la sua presa nel Fezzan. Insomma, il rischio è che in molti corrano per spartirsi potere e pezzi di territorio libico, ma in assenza di una visione di carattere nazionale e unitaria. Col rischio che ci si ritrovi peggio di prima. Il tutto menre Luciana Lamorgese ha ribadito che i flussi di migranti sono un "problema sovranazionale", citando i numeri relativi al 2021, con 59 mila arrivi in Italia. "I temi migratori occupano un posto eminente nell'agenda politica del governo", ha detto Lamorgese. "La stabilizzazione della Libia e' una condizione indispensabile: è fondamentale che la transizione istituzionale in quel paese possa compiersi con le elezioni del 24 dicembre". La speranza esiste, la certezza no.

Solo Gheddafi Saif al-Islam ha la caratura politica, spessore culturale, visione strategica per riunire la Libia sotto l'unica bandiera

Una dichiarazione attribuibile a Saif Al Islam Gheddafi invita i libici a ritirare le proprie schede elettorali

18 novembre 2021


Oggi, mercoledì 17 novembre 2021, una dichiarazione attribuibile a Saif al-Islam Gheddafi, candidato alle elezioni presidenziali, ha invitato tutti i libici a partecipare in gran numero al processo elettorale. Il documento ha sottolineato che le elezioni sono l’unica via di uscita dalla crisi che sta vivendo il paese. Ha invitato tutti i cittadini a recarsi presso gli uffici dell’Alta Commissione Elettorale Nazionale (HNEC), in tutte le regioni e città, per ricevere le proprie tessere elettorali.

La dichiarazione attribuibile a Saif al-Islam Gheddafi ha indicato che la partecipazione e il processo decisionale non possono essere fatti senza le carte. Inoltre, “Le vostre tessere elettorali sono il vostro passaggio alle urne per partecipare al processo decisionale nazionale indipendente”. Ha dichiarato rivolgendosi ai libici.

L’appello per il successo delle elezioni è arrvato dopo che la commissione ha registrato la riluttanza dei libici coinvolti nel processo di voto a ricevere le schede elettorali in tutte le città. La tessera elettorale, che HNEC ha iniziato a distribuire da pochi giorni, è necessaria per partecipare al voto. Il basso numero di elettori che hanno già ritirato i propri documenti elettorali sta facendo temere una bassa affluenza alle urne che si apriranno il 24 dicembre.

Secondo i dati HNEC, circa 2,8 milioni si sono iscritti per partecipare al processo di voto, ma l’affluenza alle urne appare debole nella ricezione delle tessere elettorali. Gli osservatori attribuiscono la responsabilità di questa mancanza di fiducia da parte degli elettori ai conflitti che circondano il processo elettorale, nonché all’assenza di campagne promozionali e di sensibilizzazione per le elezioni sui media e nelle strade nonostante gli sforzi di HNEC nel preparare le elezioni in un tempo relativamente breve. Si ricorderà che la presentazione delle candidature è iniziata il 15 novembre. A ieri è salito a dieci il numero di candidati presidenziali che hanno ufficializzato la loro corsa alle elezioni, mentre sarebbero 826 coloro che hanno scelto di correre per un seggio in Parlamento.

Roma - cominciamo dalle cose semplici. Un cassonetto che serve cinque palazzi e uno che ne serve due. Il primo è sempre pieno e intorno naviga puntualmente la spazzatura, il secondo semivuoto, lindo e dipinto. E poi tutto il resto


Assistenza malati aziendali, Roma

19 Novembre 2021

Apprendiamo che Ama, la municipalizzata romana della spazzatura, ha realizzato un piano straordinario di pulizia della capitale e stanziato tre milioni di euro allo scopo. Quello che colpisce è il tipo di incentivazione che sarebbe offerta ai dipendenti. Uso il condizionale per cautelarmi contro forzature interpretative e distorsioni narrative, o forse per esprimere in tal modo la speranza che sia tutto uno scherzo.

Dalle pagine romane di Repubblica: tre milioni di euro per “l’incentivazione all’aumento del tasso di presenza”. Questo sarebbe l’obiettivo qualificante messo a verbale da azienda e sindacati, con ulteriore obiettivo mirato della “riduzione del tasso di assenza per malattia di almeno il 10% nei mesi di dicembre e gennaio”. Italia, dove nuovi meravigliosi bonus prendono forma.
Un’azienda molto malata

Il nuovo amministratore unico di Ama, l’ex ministro Angelo Piazza, già ministro per la Funzione pubblica del governo D’Alema, cerca di “risolvere” la cronica emergenza capitolina per conto del sindaco Roberto Gualtieri, muovendosi su più direttrici. Una, fondamentale, è quella della ricerca di siti di smaltimento in Italia ed Europa (soprattutto Germania e Austria), per la gioia dei gestori di quei siti, che in tal modo riescono a saturare la propria capacità e fare soldi. Una criticità, quella dei siti di smaltimento, che durante i lunghissimi cinque anni di Virginia Raggi si è acuita, narrano i faziosi.

Ma se i mezzi della nettezza urbana non funzionano o paiono usciti da un episodio bellico, è dura raccogliere la spazzatura. E diventa ancor più dura quando hai a disposizione materiale umano con rilevanti problemi di salute, diciamo:

Il 57% dei mezzi della flotta aziendale è fermo in rimessa. Impressionano anche i numeri relativi al personale. In servizio ci sono 3.950 netturbini. Ma 1.464 operatori sono parzialmente idonei e 110 sono completamente inarruolabili. Tra gli autisti le cose non vanno meglio: su 900 conducenti ci sono 185 idonei parziali e 25 inidonei.

Vedete? Un bollettino di guerra, che dovrebbe stimolare uno stato degno di chiamarsi civile a investire maggiormente nella salute dei propri cittadini. Perché questa fragilità dei dipendenti Ama è davvero preoccupante, ecco. Secondo me, ci sono gli estremi per una commissione parlamentare d’indagine sulla morbilità in contesti di lavoro.
Dove vai se l’autocompattatore non ce l’hai?

I più aridi tra voi potrebbero chiedersi perché un’azienda debba tenere in organico soggetti inidonei alle mansioni. Ma ciò deriva dal fatto che, se pensate questo, siete affetti dalla tabe del neoliberismo e dall’ossessione per gli utili, al punto da avervi obnubilato la mente portandovi a rimuovere la dimensione “sociale”, soprattutto di un’azienda a controllo pubblico.

Per fortuna i sindacati vigilano, al punto da aver già lanciato il grido d’allarme della carenza di organico, dove peraltro i 260 ultimi nuovi assunti, a cui auguriamo tanta salute in caso l’avessero al momento dell’ingresso in azienda, non possono essere utilizzati in mansioni con le maggiori carenze di organico. Il destino si accanisce contro Ama.

Sempre i rappresentanti dei lavoratori hanno quindi suggerito la linea strategica, ritenendo

[…] necessario procedere con un piano che incentivi l’aumento del tasso di presenza su tutti i settori operativi di Ama”. I 3 milioni finiranno nelle buste paga di febbraio: 360 euro lordi a chi “avrà garantito la propria presenza per tutte le giornate” del piano, 260 euro lordi per chi si assenterà per un massimo di tre giorni da qui al 9 gennaio 2022, 200 euro lordi per chi farà al massimo cinque giorni di assenza.

Di conseguenza,

Il premio aggiuntivo verrà riconosciuto qualora, oltre alla totale pulizia di tutte le strade principali di Roma, alla rimozione di tutti i rifiuti rimasti a terra attorno ai cassonetti, alla igienizzazione degli stessi e alla rimozione delle discariche abusive ai lati delle strade, si registri una riduzione del tasso di assenza per malattia di almeno il 10% rispetto alla percentuale registrata nei mesi di settembre e ottobre 2021.
Occhio ai mezzi

E qui, proprio per i motivi sopra elencati, mi corre obbligo di allertare lavoratori e loro rappresentanti su una potenziale trappola: occhio alle condizioni dei mezzi. Perché, se saranno tali da invalidare (scusate la battuta) le operazioni di raccolta, il rischio è che i lavoratori che avranno dato prova di risanamento delle proprie condizioni di salute non abbiano il premio.

Noi restiamo in attesa degli sviluppi ma suggeriamo sin d’ora all’Istituto Superiore di Sanità ma anche all’Organizzazione Mondiale della Sanità di monitorare questo esperimento di salute pubblica. Se dovesse funzionare, potrebbe aprirsi una vera rivoluzione nei protocolli di igiene pubblica, oltre a sconfessare la credenza popolare secondo cui i soldi non comprano la salute né la felicità.

Siamo di fronte a una rivoluzione, ha proclamato un dirigente sindacale. Soprattutto, pare incredibile che tale rivoluzione non la facciano, in punta di forcone, gli utenti e in generale i lavoratori in contesti meno critici. Ma forse si tratta di persone dotate di grande spirito sociale e capacità di mostrare empatia. Oppure che puntano a estendere questo rivoluzionario modello anche al proprio lavoro.