L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

giovedì 21 aprile 2022

Le prospettiva della dominanza globale della Finanza statunitense: il suo obiettivo rimane sempre lo stesso, quello di conquistare anche la Russia e la Cina. Questo per le anime belanti e benpensanti

Riequilibrare? Meglio Isolare per Disgregare

Oltre la Globalizzazione, la nuova strategia per il Dominio dell'Occidente

19 aprile 2022
Guido Salerno Aletta
Editorialista dell'Agenzia Teleborsa



Con lo slogan MAGA, acronimo di "Make America Great Again", la Presidenza americana di Donald Trump aveva preso atto di un errore strategico: la New Economy basata sulle tecnologie informatiche e di telecomunicazioni su cui gli Usa avevano puntato a partire dagli Anni Ottanta non era stata in grado di sostituire né in termini di occupazione, né di valore della produzione, le importazioni dall'estero delle merci prodotte dalla Old Economy. La industria manifatturiera era stata infatti abbandonata progressivamente per delocalizzare dapprima in Messico e poi in Cina. Nel processo di globalizzazione dei mercati, soprattutto a partire dal 2001 quando la Cina entrò a far parte del WTO, alla crescita economica della Cina medesima era corrisposto un progressivo impoverimento degli Usa, costretti ad importare merci a debito anche dall'Europa. La componente di esportazione dei Servizi, su cui avevano puntato gli Usa, non era riuscita a compensare l'importo delle merci importate, nonostante la riduzione del loro valore unitario che era stata determinata dai bassi costi salariali impliciti.

La strategia di riequilibrio delle relazioni commerciali con l'estero, al fine di riassorbire l'enorme deficit con la Cina che fu impostata dalla presidenza Trump, si basava sulla imposizione di dazi a carico delle importazioni dalla Cina, rendendole artificiosamente più care per i consumatori americani: aumentandone il costo, la produzione domestica sarebbe diventata competitiva.

L'obiettivo di Trump di riequilibrare le relazioni commerciali con la Cina si scontrava con un'altra, e ben diversa, strategia: quella della Finanza americana, sostenuta da Wall Street e dai grandi Fondi ai Investimento, volta ad invadere la Cina per poter intermediare l'enorme risparmio di quel Paese. Mentre Trump cercava di limitare l'import di merci cinesi, Wall Street cercava all'opposto di aumentare la propria penetrazione in Cina.

La strategia del riequilibrio è lunga, complessa, ma soprattutto riduce le prospettiva della dominanza globale della Finanza americana: il suo obiettivo rimane sempre lo stesso, quello di conquistare anche la Russia e la Cina.

La Presidenza Biden si è dunque mossa su un binario completamente diverso: nei confronti della Cina ha alleggerito la pressione economica sui dazi, ma ha aumentato quella politica: rispetto a Taiwan, la riunificazione sempre agognata da Pechino non potrà avvenire con la forza.

Lo stesso è accaduto per quanto riguarda i rapporti degli Usa nei confronti della Russia: è stato enfatizzato lo scontro sulla Ucraina, una questione che durante la presidenza Trump era rimasta in sordina.
La nuova strategia della Presidenza Biden comporta l'isolamento di Russia e Cina con l'obiettivo di farne implodere i sistemi politici che le governano:
  1. nei confronti della Russia, occorre che in Europa si rivitalizzi il ruolo della Nato per creare una sorta di nuova Cortina di Ferro nei confronti della Russia. Si tratta di isolarla politicamente, economicamente e finanziariamente: le sanzioni, che servono a questo scopo, sono state adottate però solo dai Paesi Occidentali, Usa, Ue e Canada. Molti altri si sono astenuti dall'imporle, dalla Turchia alla Cina, passando per l'India, l'Iran ed il Brasile;
  2. nei confronti della Cina, per contrastare la crescente presenza militare nel Pacifico, è stata costituita una nuova Alleanza, denominata AUkUs, composta da Australia, UK ed Usa.
La strategia statunitense dell'isolamento di Russia e Cina non mira solo a creare un Nuovo Grande Occidente, denominato Anglosfera nella visione britannica, ma un intero mondo su cui finalmente si estenderà la dominanza statunitense:
  • la Russia finirà per frammentarsi in diverse componenti territoriali che saranno soggette ad influenze straniere, da quella della americana a quella cinese;
  • la Cina vedrà finalmente prevalere la componente globalista, sostenuta dall'influenza americana, sul Partito comunista.
Oltre la Globalizzazione, la nuova strategia per il Dominio dell'Occidente

Riequilibrare? Meglio Isolare per Disgregare

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