L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

domenica 15 maggio 2022

Da decenni la politica degli ebrei sionisti è basata sulla certezza dell’impunità nell'uso della forza su tutti i Territori occupati della Cisgiordania, sulla Striscia di Gaza, finanche fra gli arabo-israeliani di casa.

GIOVEDÌ 12 MAGGIO 2022
Shireen, uccisa perché palestinese


Pensare che l’assassinio della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh da parte dell’esercito di Israele possa venir denunciato come crimine, secondo quanto chiede l’Autorità Nazionale Palestinese, è una speranza che si schiude e appassisce appena viene pronunciata. E non perché il premier di Tel Aviv Bennett abbia già schermato i suoi militari, accusati da molti testimoni di aver fatto fuoco a freddo sulla troupe televisiva, sostenendo che si tratta di “accuse senza fondamento”. Ma perché da decenni la politica d’Israele è basata sulla certezza dell’impunità nell’uso della forza su tutti i Territori occupati della Cisgiordania, sulla Striscia di Gaza, finanche fra gli arabo-israeliani di casa. Insomma su ogni palestinese si presenti al cospetto della sua polizia e dell’Israel Defence Forces durante operazioni di ordine pubblico. Shireen volto notissimo, non solo perché appariva su un’emittente che segue la geopolitica di ogni angolo del mondo, era conosciuta dagli stessi militari israeliani, fossero pure giovani di leva, perché era spessissimo presente di persona nei momenti caldi, com’era ieri nel campo profughi di Jenin dove le truppe di Tsahal compivano un raid. Non sono bastati l’elmetto, il giubbotto antiproiettile su cui era evidenziato a caratteri cubitali la scritta “Presse” a salvarle la vita. E’ stata proditoriamente colpita al volto, per chiuderle la bocca per sempre, come in un delitto di mafia, come quei gesti criminali compiuti dai mafiosi della geopolitica. Assassinata perché era una palestinese, nota, ma pur sempre palestinese, dunque passibile di esecuzione sommaria, come tanti conterranei diventati da settantaquattro anni senza terra. In più era una comunicatrice, puntuale, rigorosa, appassionata - questo dichiara chi l’ha conosciuta e amata come collega, come autrice di reportage, in genere segnati da sangue e dolore - o anche chi l’ha incrociata quale semplice spettatore, magari distaccato e disincantato. Anche il più lontano dal sostegno alla causa palestinese, le riconosceva impegno e ardimento in un territorio quotidianamente lacerato se non apertamente martoriato. Shireen è diventata una martire in quel luogo, non lontano dalla nativa Bethlehem, sezionata, come peraltro tutta la West Bank, dal muro dell’apartheid. Lei lavorava non certo per morire, evidenziava quel che da decenni è sotto gli occhi del mondo della geopolitica e della stessa informazione, senza che la maggioranza dei suoi attori se ne preoccupi. Quel sistema del doppio livello, che discetta su aggressori e vittime secondo convenienze e preferenze. Stamane Abu Akleh ha ricevuto gli onori da quello Stato di Palestina, costretto a non essere tale dalle usurpazioni dalla geopolitica, da vessazioni e soprusi quotidiani che la sua gente subisce da truppe d’occupazione, lasciando da settantaquattro anni cadaveri su una terra santa, maculata di sangue.

Pubblicato da Enrico Campofreda a 03:36

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