L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

giovedì 12 maggio 2022

Gli statunitensi rubano le banche centrali, prima l'Afghanistan poi la Federazione Russa la fiducia tradita non si riconquista facilmente. Oggi la prospettiva di legarsi al carrozzone Usa imprevedibile e in furibondo declino comincia a fare paura per la prospettiva di essere coartati nelle decisioni, sfruttati per gli interessi statunitensi e poi gettati via. Nel tempo di internet sempre più difficile nascondere la sostanza delle cose

Gli Usa hanno perso la battaglia delle Filippine



Il declino di potere degli Stati uniti si misura anche in questo, nella sempre maggiore difficoltà a far eleggere i “propri ” candidati nei Paesi sottoposti per qualche verso alla loro dittatura coloniale. Sono stati fatti sforzi enormi per far vincere nelle Filippine Leni Robredo, la candidata neoliberista a stelle e strisce che avrebbe dovuto troncare il dialogo con la Cina, ma non c’ è stato nulla da fare, è stata sconfitta senza appello. Questa signora dal nome raro che ricorda quello della celebre regista di Hitler è stata supportata dall’ex giudice della Corte Suprema Antonio Carpio, e dall’ex segretario agli esteri Albert del Rosario, un uomo d’affari-milionario ovvero dai principali protagonisti della coalizione liberale anti-cinese” i quali hanno avuto il pieno supporto dei .media filippini finanziati dal National Endowment for Democracy (NED), il cui budget viene coperto in gran parte al Congresso degli Stati Uniti: si tratta del diffusissimo sito online Rappler ( facente parte dell’universo Soros) , il Center for Media Freedom and Responsibility (CMFR), il Philippine Center for Investigative Journalism (PCIJ) e, in misura minore, Mindanews. Altri 4,5 milioni di dollari sono andati a decine di organizzazioni non mediatiche, inclusa la ‘Young Leaders for Good Governance Fellowship’ che ha incamerato 300.000 dollari. Ma tutto questo non è stato sufficiente perché è stato scelto l’avversario della Robledo, Ferdinand Marcos, figlio del presidente delle Filippine dal 1965 al 1986 e sostenitore di una politica più equilibrata e aperta nei confronti della Cina. .

Il fatto che ha determinato la sconfitta è stata proprio l’individuazione di Leni Robledo come quella di un “manchurian candidate” di Washington, ovvero nel gergo politico americano che una volta tanto non è penetrato in Europa, un politico legato a un Paese straniero. Guarda alle volte il caso: abbiamo adottato, spesso a sproposito, tante espressioni americane, ma non quella che definisce meglio tutte l’élite politica europea e dei singoli stati i cui leader sono tutti manchurian candidate dell' Usa o se non lo sono in origine lo diventano ben presto. Ma torniamo dall'altra parte dell’Eurasia: pochi giorni prima di andare alle urne – questo è solo un esempio – l’editorialista del Manila Times Rigoberto Tiglao aveva esortato a non votare un burattino degli Stati Uniti: “Nel suo servilismo nei confronti degli Stati Uniti, Robredo annullerà i guadagni del presidente Duterte (il presidente uscente ndr) nello sviluppo delle nostre relazioni con la Cina”. E un giornalista dello stesso quotidiano ha aggiunto: “Gli Stati Uniti si sono immischiati nelle elezioni dal 1948 e stanno interferendo attraverso la Cia anche su quelle del 2022″.

Tutto questo accade perché le Filippine sono a poche centinaia di chilometri dalla Cina che è la maggiore potenza manifatturiera del pianeta , mentre ne distano 9000 dagli Stati Uniti che ormai producono solo brand vuoti , armi, sanzioni e falsi presidenti in stato di Alzheimer: è ovvio che gli interessi di Manila non possono che essere prevalentemente diretti verso Pechino verso la quale c’è di gran lunga il maggior interscambio commerciale. Votare un candidato ” americano” significa dare il Paese in ostaggio alla guerra di Washington contro Pechino, e dunque andare in linea di collisione con gli interessi elementari del Paese. Non è certo un caso Se Rappler il media sorosiano nell'arcipelago dopo la sconfitta chiede una maggiore censura per evitare che la prossima volta si sappia di avere a che fare con un candidato pagato a piè di lista dagli Usa. Probabilmente trent'anni fa questo darebbe stato avvertito come un vantaggio in molte parti del mondo, ma adesso la prospettiva di legarsi al carrozzone Usa imprevedibile e in furibondo declino comincia a fare paura per la prospettiva di essere coartati nelle decisioni, sfruttati per gli interessi americani e poi gettati via. Gli esempi sono ormai innumerevoli e l’Europa si appresta ad essere quello più clamoroso. I filippini di certo non vogliono fare questa fine.

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