L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

martedì 14 giugno 2022

Il paese, gli elettori, hanno capito che l'offerta politica, queste offerte politiche, oggi sono TUTTE fraudolente e non guardano agli interessi di chi deve eleggerli. La situazione potrebbe cambiare se sul palcoscenico si presentano forze nuove che verranno continuamente messe alla prova, il rapporto di fiducia bisogna conquistarlo e saperlo mantenere. La base di partenza è l'identità nazionale, le tradizioni, la cultura, la famiglia

DOPO LE COMUNALI/ Sapelli: grande centro e scenario libanese, attenti ai poteri esterni
Pubblicazione: 14.06.2022 - int. Giulio Sapelli
Le elezioni comunali sono la spia che il mondo politico, terreno di scontro di interessi tribali e poteri esterni, sta andando verso una disgregazione ulteriore

(LaPresse)

Ha già metabolizzato il risultato delle comunali e del referendum. Non sono in questione i ballottaggi, e neppure le prossime politiche. È in atto una trasformazione profonda che proietta la politica italiana verso qualcosa di nuovo, ma non per questo di innocente.

Al contrario. Per Giulio Sapelli, economista, “andiamo verso una situazione libanese”, dominata dal tribalismo politico e dallo scontro violento di interessi contrapposti, nel quale la stessa Italia è a rischio.

Professore, cos’è successo nelle urne?

È un voto di stallo. Mi pare che il popolo, anche se oggi non lo si può più definire così, sia in attesa.

Popolo è una parola desueta?

Il popolo esiste se c’è uno Stato. In Italia non c’è più, lo Stato intendo, quindi non c’è neppure il popolo.

Vada avanti.

Chiamiamoli gli elettori. Gli elettori attendono. Sanno che deve capitare qualcosa.

Che cosa esattamente?

Sentono che questo è un tempo di stragi.

Di quali stragi parla?

Di Piazza Fontana, dell’Italicus e di molte altre che gli italiani dovrebbero conoscere. Eventi di cui la storia d’Italia è segnata nella carne.

Si spieghi, per favore.

Andiamo verso una situazione libanese. Il mondo politico è lottizzato secondo appartenenze internazionali. I maroniti sono il Vaticano, i sauditi sono i francesi, mentre i russi non sono riconducibili a nessuno in particolare, pur essendo presenti in molti modi. Lo stesso vale per i cinesi. Gli americani sono la Meloni.

Atlantismo spinto. Come Letta?

Letta è un francese. Quindi non è totalmente affidabile. Per questo è un problema per gli americani. Non si possono fidare di lui, soprattutto ora che Macron è in gravissima crisi.

E si fidano più della Meloni che di Letta?

Certo.

FdI è cresciuto, ma dove è andato da solo ha preso meno di FI e Lega alleati.

Infatti gli elettori non l’hanno seguita. Per questo è tutto molto pericoloso, perché di fronte a questi disegni l’elettorato si è ritratto.

È questa l’astensione, un corpo che si ritrae?

Esattamente. Si ritrae perché non vuole partecipare. È stanco, non ci crede più.

Voto amministrativo o politico?

Distinzione superata. È il grande cambiamento: la politica è finita, quindi tutto, paradossalmente, diventa politica. Quando non riesci a fare un referendum sulla giustizia perché diventa un voto pro o contro Salvini, allora sei morto.

Non ho capito se la politica è morta o no.

È morta nella forma che aveva prima, ora continua sotto altra forma.

E qual è?

L’odio personale.

I risultati di Genova e Palermo?

Aspettiamo i risultati definitivi. E stiamo attenti alla mafia. È entrata in pieno nel gioco politico, e ha in mano più di quello che pensiamo. Sia chiaro, a Palermo come a Milano, se non più a Milano che a Palermo. A Genova ha vinto l’uomo che ha rifatto il Ponte Morandi. Altro errore di Letta: invece di candidargli qualcuno contro, doveva allearsi con Bucci e fare un governo di unità nazionale.

Perché?

Per non permettere che la politica sia sostituita dalla lotta tribale. Per questo è un tempo che mi ricorda il terrorismo: c’era gente con un odio tribale tale che uccideva. Ora non ci si uccide più, però si odia. Ma non si può fare politica con l’odio.

Verona?

Più lotta tribale di così. Senza la politica prevalgono interessi elettorali immediati. Perché altrimenti il centrodestra si è diviso?

Ha senso parlare delle ricadute politiche di questo voto amministrativo?

È un voto che segna ontologicamente la fine della politica e l’avvento del tribalismo. Il dramma è che tutto questo accade in un momento di grave incertezza internazionale. Dove i poteri europei non sono ben definiti, dove gli Stati Uniti non hanno ancora deciso come vincere la guerra contro la Russia, annichilendola con un colpo fatale o tornando al modello Eltsin, e pagando per questo un prezzo altissimo, il disordine.

L’Italia?

Nel suo piccolo ha ruolo importante perché è un ponte verso l’Africa. Nessuno può volere che milioni di africani si riversino in Europa. Diventerebbero un problema sociale per tutti, America compresa. C’è un problema. Adesso la lotta non è per il dominio del Mediterraneo, ma dell’Artico. C’è il rischio che gli Usa considerino l’Italia ininfluente. I tal caso, sarebbe la fine.

Quale fine?

La nostra, la fine dell’Italia come Stato. L’Italia da sola non può continuare a esistere.

Diventeremmo periferia?

No, non periferia, ma Shael. Organicamente Shael. Noi viviamo come Stato solo dentro l’anglosfera. Se l’anglosfera ci lascia andare, o se noi ce ne andiamo, per l’Italia è finita. Come negli anni Trenta, quando Mussolini con la sua avventura in Etiopia si mise contro la Gran Bretagna. Corriamo lo stesso pericolo di allora. Finis Italiae.

Chiunque ci sia al potere negli Usa?

Esiste solo l’America e basta, chiunque la governi. Il vassallo non deve preoccuparsi di chi è l’imperatore. Basta che ci sia l’imperatore.

Però deve far bene il vassallo.

Certo. Questo però è un altro discorso. È una ventina d’anni che non facciamo più bene il vassallo. Da quando abbiamo flirtato con Arafat e i terroristi arabi.

Tra meno di un anno ci saranno le elezioni politiche. Come andrà a finire?

Non lo sappiamo. Ma si formerà un grande partito di centro che guarda a destra, con dentro più gente possibile: Toti, Calenda, Renzi, e via dicendo. Un sistema centripeto che attirerà a sé anche la Meloni. Letta e M5s faranno il loro raggruppamento… sarà un marasma bestiale.

(Federico Ferraù)

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