L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 20 agosto 2022

La sintesi del vivere non è appannaggio dei molti, ma solo di pochi fortunati/sfortunati per caso e necessità. Le morse delle fiamme che costringono a cercare di capire il TUTTO, diciamolo una piccolissima parte del TUTTO

Capire e ricreare
di lorenzo merlo
13 agosto 2022

Pensiamo che capire sia tutto, che acquisire dati attraverso lo studio sia conoscenza. È un peccato che ci limita e che ci obbliga ad una storia di conflitto.

Penso di condividere la platonica prospettiva dalla quale appare in tutta chiarezza il mondo delle idee. Il filosofo ateniese lo chiamava Iperuranio. Uno spazio in tutto è già presenza, fuori dal tempo e dallo spazio. Uno spazio, aggiungo banalmente, in cui tutti i perché hanno già la loro risposta. In cui la circolarità del tempo diviene facile da riconoscere, così come la contiguità e la relazione di tutte le cose, ovvero l’autoreferenzialità dello spazio. L’eterno ritorno, il nichilismo come culmine della conoscenza, l’Uno come dimensione accessibile nell’astensione.

Il concetto non è semplice. Non lo si agguanta con un ragionamento. Serve ricrearlo. Come sennò andare oltre il materialistico e razionalistico limite del tempo oggettivo, della separazione delle cose, dello spazio misurabile che si pone tra esse?

Ma non si tratta di richiamare ad una questione elitaria, di graduatoria d’intelligenza. A sua volta – come tutte – nient’altro che un’autoreferenziale affermazione umana. Ogni nostra affermazione, financo quella imitativa, adagiata su un modello confezionato da altri, acquisita o rubata al mercato delle idee, appunto, presuppone una ricreazione di una delle infinite prospettive disponibili nell’infinito. Se non altro, nella misura in cui quell’idea, quella posizione e affermazione, occupa lo spazio del nostro pensiero e della nostra azione, impedendo così l’affermarsi di altro, alternativo da essa. La ricreazione non riguarda soltanto dunque le idee cosiddette innovative.

Nella mia personale concezione, quel mondo delle idee – pur non potendogli porre confini – è una sorta di volume che tutto contiene. Un cosmo nel quale tutte le dimensioni che gli uomini elaborano sono presenti. Un corpo dal quale ogni posizione può essere assunta. Un terreno sul quale tutte le affermazioni trovano il loro contrario. Un oceano nel quale ogni cosa si muove, offrendoci la sensazione di saperci nuotare, ovvero di trovare la conoscenza.

Se Platone, con la metafora del Mito della caverna – ricreazione occidentale del schopenhaueriano Velo di Maya, di vedica origine – alludeva all’abbaglio della presupposta conoscenza, nel pensiero del Volume la medesima debacle prende il nome di Bidimensione. Essa non è altro che una specie di fermo immagine della vorticosa realtà volumetrica. Un espediente obbligato dal nostro crederci e sentirci indipendenti da ciò che stiamo osservando, nonché dai lacci della logica a sintassi unica soggetto-verbo-complemento.

La bidimensione è necessaria per affermare, diviene superflua nell’ascolto. Essa, come una fotografia, contiene tutta la realtà che la nostra concezione, coniugata con l’interesse personale, è in grado di cogliere. Solo davanti alla fotografia che, non sempre inconsapevolmente, abbiamo estratto dal Volume, possiamo disquisire su come stanno le cose, su dove è la verità, su come progettare e raggiungere lo scopo. Ma non è un caso che ogni progetto che non sia relativo a pochi elementi, come un ponte, un sifone, un aereo o un palazzo, implichi la sua contraddizione. È ordinariamente così nel mondo delle relazioni, dove l’infinito di ognuno non può essere compresso entro le intenzioni di una sola parte.

Inconsapevoli di queste banalità ci si accapiglia per dimostrare, fare proseliti, avere ragione, attribuire responsabilità, eccetera. Si va così a mantenere la storia di conflitto che tutti conosciamo. Strano, verrebbe da dire, visto che la saggezza dei Veda risalgono al IX secolo A.C., che Platone ce la ricordò settecento anni dopo, e che Schopenhauer, sintetizzò il concetto con la sua espressione Velo di Maya circa centocinquanta anni fa. Ma anche come l’altro ieri, in altro modo, ci hanno fatto presente Gregory Bateson con la sua Ecologia della mente e Humberto Maturana con Francisco Varela con il loro Autopiesi e cognizione. Ma strano soltanto se siamo inconsapevoli prede del campo bidimensionale del razionalismo. Altrimenti logico. Sì, perché il Volume, non è da capire è da ricreare.

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