L'albero della storia è sempre verde

L'albero della storia è sempre verde

"Teniamo ben ferma la comprensione del fatto che, di regola, le classi dominanti vincono sempre perché sempre in possesso della comprensione della totalità concettuale della riproduzione sociale, e le classi dominate perdono sempre per la loro stupidità strategica, dovuta all’impossibilità materiale di accedere a questa comprensione intellettuale. Nella storia universale comparata non vi sono assolutamente eccezioni. La prima e l’unica eccezione è il 1917 russo. Per questo, sul piano storico-mondiale, Lenin è molto più grande di Marx. Marx è soltanto il coronamento del grande pensiero idealistico ed umanistico tedesco, ed il fondatore del metodo della comprensione della storia attraverso i modi di produzione. Ma Lenin è molto di più. Lenin è il primo esempio storico in assoluto in cui le classi dominate, sia pure purtroppo soltanto per pochi decenni, hanno potuto vincere contro le classi dominanti. Bisogna dunque studiare con attenzione sia le ragioni della vittoria che le ragioni della sconfitta. Ma esse stanno in un solo complesso di problemi, la natura del partito comunista ed il suo rovesciamento posteriore classistico, individualistico e soprattutto anti- comunitario" Costanzo Preve da "Il modo di produzione comunitario. Il problema del comunismo rimesso sui piedi"

sabato 15 ottobre 2022

Una guerra contro l’Europa
di Gaetano Colonna
9 ottobre 2022

La terza, o forse la quarta guerra mondiale è già cominciata da tempo, ne siamo consapevoli. La quarta, se si considera come una vera guerra la cosiddetta Guerra Fredda, ovviamente. Il fatto è che di questa guerra, terza o quarta che sia, l’obiettivo non è, come ci si vuol fare credere, la Russia del cosiddetto autocrate Vladimir Putin — ma una possibile Europa unita ed indipendente. Sappiamo bene che formulare queste ipotesi oggi significa essere prontamente confinati nel ghetto dei complottisti, ma i fatti parlano chiaro.
Plan Arcadia

Partiamo da lontano, dal poco noto ma fondamentale e assai ben documentato Plan Arcadia, vale a dire il documento strategico, per lo più frutto di un’elaborazione che gli Inglesi non per nulla definirono allora “British Most Secret”, il massimo segreto inglese.

Nel corso della conferenza alleata anglo-americana, svoltasi a Washington tra il 24 dicembre 1941 ed il 14 gennaio 1942 (quindi poco dopo l’attacco giapponese a Pearl Harbour e l’entrata degli Usa nel conflitto mondiale), denominata in codice appunto Arcadia, i Britannici presentarono infatti il 5 gennaio un fondamentale documento, intitolato American-British Grand Strategy, nel quale, delineando i punti principali della strategia nel conflitto, si definiva operativamente la cosiddetta “quarta dimensione della guerra”, cioè l’insieme delle misure rivolte a colpire le coscienze, comprendenti guerra psicologica, propaganda, disinformazione, intossicazione, sovversione e terrorismo.

Non possiamo dunque dimenticare che questa dimensione è stata in realtà fondamentale per il raggiungimento della vittoria Alleata nella Seconda Guerra mondiale. Ne abbiamo spesso parlato sulle colonne di clarissa.it, soprattutto quando ci siamo dovuti occupare della storia della strategia della tensione in Italia. Riteniamo che questa impostazione sia connaturata allo stile anglo-sassone di condotta nei conflitti, nell’oramai lunga storia della loro politica di potenza a livello mondiale.


La crisi strutturale degli Usa

Un dato di fatto è che gli Stati Uniti d’America sono da almeno due decenni in una grave crisi strutturale: i loro interventi militari in Medio Oriente non hanno risolto, ma semmai aggravato, i problemi di quell’area, e la recente pesantissima sconfitta in Afghanistan ha rappresentato una decisiva conferma, per la classe dirigente statunitense (che si è infatti affrettata a farla cancellare dai media mondiali), della loro incapacità di affrontare e risolvere le tensioni geopolitiche mondiali.

Dal punto di vista industriale, la crescente affermazione della Cina mette in forse, per la prima volta dalla fine del XIX secolo, il predominio del capitalismo delle grandi multinazionali statunitensi, affermando un modello di capital-comunismo nel quale la centralizzazione del potere politico si accompagna ad un’eccezionale concentrazione di forza finanziaria, produttiva e ancor più commerciale.

Il debito pubblico Usa ha raggiunto, secondo Trading Economics, a settembre 2021, 28.428,919 milioni di dollari, tra le cifre più alte della storia del paese. Il rapporto debito/Pil, ora di poco superiore al 100%, sta lentamente raggiungendo i valori caratteristici del secondo conflitto mondiale, quando ha sfiorato il 120%. Gli Usa hanno evitato il default nel 2021 semplicemente innalzando per legge il tetto del loro debito pubblico di ben 480 milioni di dollari.

Il deficit della bilancia commerciale Usa, secondo i dati del Bureau of Economic Analysis (BEA) del Dipartimento del Commercio americano, si è attestato, a giugno, a 79,6 miliardi di dollari rispetto agli 84,9 miliardi di maggio: esportazioni per un valore di 260,8 miliardi, importazioni per 340 miliardi. Siamo dunque in presenza di un Paese la cui gigantesca economia acquista più di quanto vende all’estero.

Si aggiunga a questo la crisi di fondo della democrazia americana, dimenticata anche questa dai media italiani, causata dal deficit di rappresentatività di un sistema che è sempre più in mano a ristretti gruppi di pressione finanziari che hanno di fatto oramai completamente sottratto al controllo ed alla sovranità popolare la direzione del Paese. Sta tutto qui il nocciolo delle travagliate vicende della presidenza Trump, come bene si comprende leggendo testimonianze come quella, onesta e critica, del suo Attorney General, William Barr 1.


Stati Uniti ed Europa

In un siffatto contesto, la guerra scoppiata in Europa rappresenta un’occasione straordinariamente positiva per gli Stati Uniti.

In primo luogo, questa guerra ha oggettivamente condotto la Russia “revisionista” di Putin in un pantano politico-militare dal quale non sembra possibile riesca ad uscire in tempi brevi: se infatti questo conflitto non troverà una soluzione rapida, in una prospettiva di “quarta dimensione della guerra” esso potrebbe portare addirittura ad una destabilizzazione della Russia, obiettivo assai rilevante almeno per i settori del cosiddetto “interventismo democratico” degli Usa, di cui Jo Biden è un esponente fin dagli anni Ottanta del XX secolo.

In secondo luogo, lo stesso conflitto è andato ad impattare in maniera a quanto pare decisiva su di una questione di importanza strategica essenziale: la dipendenza energetica dell’Europa dall’estero, prima dal Medio Oriente, ora dalla Russia. Basta osservare infatti che, fino al 26 settembre 2022, i rifornimenti di gas dell’Unione arrivavano principalmente dalla Russia, tramite il gasdotto Brotherhood, che attraversa l’Ucraina, tramite il gasdotto Nord Stream, nonché mediante il Turkish Stream. Il gasdotto Brotherhood è ancora parzialmente funzionante, ma può essere tagliato definitivamente per volontà di Kiev, o magari a seguito di opportuni atti di sabotaggio; i condotti Nord Stream sono stati resi inutilizzabili, almeno momentaneamente; quanto al superstite Turkish Stream, non ne può essere effettuata la manutenzione a causa delle sanzioni adottate dalla Unione Europea, imposte dagli Stati Uniti.

Ridicolo quindi sostenere la paternità russa degli attentati ai Nord Stream 1 e 2, in quanto non solo gli stessi sono posseduti per almeno il 51% da un’azienda russa, ma il loro sabotaggio presuppone vicine basi d’appoggio, cioè l’ombrello protettivo della Nato. Sono dati di fatto ben noti alle cancellerie europee, per tacere del fatto che, con ogni probabilità, molte di esse sono in possesso di informazioni dettagliate sugli attacchi, trattandosi di strutture prevedibilmente monitorate h24: qualcuno quindi sa, ma preferisce tacere.

Infine, ma è questo il punto davvero fondamentale, questo secondo conflitto in Europa, dopo quello nella ex-Jugoslavia, cancella qualsiasi possibilità di formazione di un’Europa dall’Atlantico agli Urali, che è da sempre il maggiore timore delle classi dirigenti anglo-americane. La contrapposizione fra Russia ed Unione Europea, con l’autolesionistica applicazione di sanzioni indiscriminate, è da questo punto di vista un successo fondamentale per gli Usa, aumentando la dipendenza europea sul piano energetico, economico, militare e spingendo la Russia nelle braccia, assai poco accoglienti in verità, della Cina.


Germania e Stati Uniti

In questo contesto, non è sfuggito a taluni osservatori la dichiarazione di Olaf Scholz il 16 settembre 2022 (si noti la data) all’annuale conferenza della Bundeswehr (le forze armate tedesche), a Berlino. Il cancelliere tedesco, che da poco ha varato un piano di ammodernamento militare dal valore di 100 miliardi di dollari, ha affermato quel giorno, che, poiché la Germania è il Paese più popoloso e la maggiore economia dell’Unione, le forze armate tedesche dovranno diventare le “meglio equipaggiate” d’Europa: aggiungendo che “la Germania è pronta ad assumere un ruolo guida, ad assumere la responsabilità della sicurezza del nostro continente”, affrettandosi a precisare però, a scanso di equivoci, che “questo obiettivo non dovrebbe esser visto come una minaccia dai nostri amici e dai nostri partner Europei, al contrario si tratta di una garanzia” https://twitter.com/dw_politics/status/1570725809186377728">2.

Interessante a questo punto notare che il sabotaggio ai condotti Nord Stream, nella cui proprietà la Germania è da sempre presente accanto alla Russia, sia puntualmente avvenuta nel giro di una settimana. Siamo dunque nella “quarta dimensione” anche di questa guerra?

Ci dobbiamo quindi rendere conto che questo conflitto, probabilmente apertosi come una trappola in cui la Russia è caduta, nel momento in cui gli Stati Uniti attraversano una crisi epocale, ha come vero obiettivo impedire la formazione di un polo politico-economico (e potenzialmente militare, a sentire Sholz…) europeo, che avrebbe potuto e dovuto includere la Russia — essendo quindi in grado di porsi come fattore di equilibrio mondiale, nella prospettiva di una crescente competizione fra Cina e Stati Uniti.

Gli Ucraini, non accedendo ad una soluzione negoziata del conflitto, ma anzi prestandosi come esecutori in episodi come l’uccisione della figlia del filosofo russo Dugin o l’esplosione sul ponte della Crimea, divengono puro strumento anche della ”quarta dimensione della guerra” anglosassone, dimenticando quanto le garanzie degli Alleati abbiano valso, ad esempio nei confronti della Polonia, nella Seconda Guerra Mondiale.

È questo che governi come quello italiano, invece di ribadire prontamente il proprio assoggettamento alla Nato prima ancora di costituirsi, dovrebbero far capire agli Italiani, e poi agli Ucraini, ai Russia, agli Europei.

Eppure gli Italiani ben conoscono, dalla Seconda Guerra mondiale e dal secondo dopoguerra, quali siano gli effetti per la sovranità di un popolo degli Arcadia Plan alleati.

Note
W. Barr, One Damn Thing After Another: Memoirs of an Attorney General, 2022.[]


Il mestiere della sinistra nel ritorno della politica. Stefano Fassina
di Marco Pondrelli
8 ottobre 2022

Il motivo che dovrebbe spingere a leggere il libro di Stefano Fassina è ben spiegato da Mario Tronti nel commento finale, quando afferma che ‘questo è un libro da leggere con la matita, segnando i passi, marcando gli argomenti, trattenendo le dimostrazioni’ [pag. 166]. Non si può che essere d’accordo con questa affermazione che sottolinea il rigore di questo bel volume al centro del quale l’Autore pone il tema del lavoro. Scrive Fassina ‘il mestiere distintivo della Sinistra non è genericamente “stare dalla parte degli ultimi e dei più deboli”. È stare dalla parte del lavoro come specifico interesse economico: il lavoro subordinato, in forma esplicita (come il lavoro dipendente) o implicita (come la parte sempre più ampia del lavoro “autonomo”, delle professioni e della micro e piccola impresa soffocata dal “mercato”)’ [pag. 21].

L’approccio dell’Autore non si colloca dentro la tradizione comunista ma dentro quella socialdemocratica e riformista, parole che oggi hanno perso il loro reale senso e ci portano a pensare a Tanassi più che a Willy Brandt.

In questo quadro, e qui non si può non essere d’accordo, unito al tema del lavoro vi è quello del conflitto, proprio la mancanza di questi riferimenti ha portato la sinistra a divenire sempre più estranea e lontana dai lavoratori, che alle ultime elezioni hanno preferito il Movimento 5 Stelle, Fratelli d’Italia o l’astensione.

Recuperare il tema del lavoro vuole dire dare nuovo senso alla Politica, Alfredo D’Attore ha parlato del ‘ritorno del politico’ che diventa ‘carica di alternativa rispetto all’ordinamento sociale dato’, l’insegnamento più importante di Marx ed Engels sta proprio nel rifiuto a considerare la realtà sociale, fatta di sfruttamento e di sopraffazione, come un dato immutabile, figlia delle leggi economiche, o addirittura divine. La politica può, anzi deve, modificare i rapporti sociali esistenti.

Di pari passo con la ricentralizzazione del tema di classe va ripresa l’idea di nazione, afferma infatti l’Autore che ‘l’intreccio tra classe e nazione vige anche nel XXI secolo’ [pag. 97], lo Stato Nazione a differenza di quanto si vaticinava in passato non è scomparso e rimane fondamentale per la costruzione delle politiche pubbliche.

Chiarite le fondamenta della politica della sinistra Stefano Fassina affronta il problema europeo. Ad oggi secondo l’Autore il piano B non è più praticabile, sebbene ‘discusso dal 2015 dal sottoscritto con alcuni interlocutori della sinistra europea (da Jean-Luc Mélenchon de La France Insoumise, a Oskar Lafontaine e Sahra Wagenknecht della Die Linke, a Catarina Martins del Bloco de Esquerda, ai “dissidenti” di Syriza Yanis Varoufakis e Zoe Konstantopoulou) dopo la tragica offensiva dei governi dell’Eurozona contro la Grecia e poi contro l’Italia, è stato archiviato di fronte alla risposta della BCE e degli Stati dell’Unione alla pandemia. Prima, il feroce quadro politico portava, tra gli altri, anche il premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz a prospettare un “divorzio consensuale” nell’Eurozona di fronte all’impraticabilità della correzione di rotta delle politiche economiche dell’UE’ [pag. 120]. Venuta meno questa opzione l’unica che rimane sul tavolo è capire come ‘stare dentro’, anche in questo caso possiamo trovare un punto di contatto con l’analisi di D’Attore, se quest’ultimo parla di una ‘Confederazione europea’ che deve fondarsi sulla capacità di integrarsi nel pluralismo, Fassina usa la categoria della ‘demoicracy’ pensando ad una democrazia dei popoli, prendendo atto che la storia e la tradizione secolare degli stati europei non può essere superata facilmente.

Questa costruzione, ben lungi dall’avvicinarsi ai cosiddetti stati uniti d’Europa, cambia il paradigma attuale, per ‘arginare la svalutazione del lavoro, ridurre le disuguaglianze e avviare una credibile conversione ecologica, il primato della concorrenza scolpito nei Trattati va ricondotto, nella massima misura possibile, alle relazioni tra imprese, non, come ora vige, tra ordinamenti di Welfare State’. Evitare la concorrenza fra stati o Welfare State è un processo che cambierebbe radicalmente l’impostazione europea attuale, in un libro (Federalismo e secessione) scritto a quattro mani con Alessandro Barbera, Gianfranco Miglio affermava che ‘il federalismo è incompatibile con qualsiasi forma di stato sociale’, il federalismo è uno strumento per mettere in competizione fra loro gli stati e quindi le classi lavoratrici dei singoli stati. Costruire una struttura europea che unisca stati e popoli nel pluralismo, aprirebbe spazi di manovra maggiori per le forze progressiste.

Personalmente mi sento di fare due appunti a queste affermazioni. Il primo riguarda i confini dell’Europa, nel già citato commento finale Mario Tronti afferma che ‘l’Europa non è solo Occidente, è anche Oriente […] per questo va spezzato l’euroatlantismo delle classi dominanti, che le sinistre democratico-progressiste seguono come il cagnolino al guinzaglio’ [pg. 172], mi rendo conto che parlare oggi di un’Europa che va dall’Atlantico agli Urali è come bestemmiare in Chiesa, ma il tema dei rapporti con la Russia non può essere spostato sul piano militare. Pur condividendo le analisi di Fassina sulla guerra, sul fallimento degli accordi di Minsk e contro l’ingresso dell’Ucraina nella Ue mi sento di dissentire quando afferma che ‘il benaltrismo è la maschera del cinismo’ [pag. 85], non si può, sostiene l’Autore, ignorare la guerra in Ucraina perché se ne sono ignorate altre (ad esempio in Yemen). L’affermazione di principio è giusta e sacrosanta, come dire ‘due torti non fanno una ragione’, ciò che contesto è il sostegno, anche se non militare, a Kiev. La guerra in Ucraina non è iniziata il 24 febbraio, la stampa e la politica italiana in gran parte hanno ignorato il massacro della popolazione russofona degli ultimi otto anni. Se è giusto accogliere i rifugiati ucraini oggi, perché non era giusto farlo con chi scappava dai massacri dei neonazisti, perché non si vuole raccontare quello che è successo ad Odessa il 2 maggio 2014? Capire e conoscere il nostro passato è l’unico modo per arrivare alla pace ed in questo Fassina ha ragione quando scrive che ‘si doveva promuovere da subito la neutralità militare dell’Ucraina attraverso adeguate garanzie per la sua indipendenza’ [pag. 89].

Il secondo elemento che mi lascia perplesso è la capacità di autoriforma dell’Ue, come ho scritto recensendo il libro di Giacomo Gabellini, rimango convinto che il sistema attuale non è in grado di autoriformarsi, questo non vuole dire che siamo di fronte all’alternativa ‘socialismo o barbarie’, in futuro è possibile che nasca un nuovo ‘patto keynesiano’ ma solo dopo il crollo di questo sistema. Questa può essere accusata di essere una visione eccessivamente pessimista della realtà ma il fatto che dalla crisi del 2007-08 Stati Uniti ed Europa non abbiano ancora corretto i loro errori non fa guardare al futuro con speranza.

L’ipotesi di pace (provvisoria)
Ragionamento ipotetico
di Pierluigi Fagan
9 ottobre 2022

Nel post di qualche giorno fa abbiamo messo assieme un pacchetto di considerazioni, su fatti ed ipotesi, che andavano in direzione di una possibile de-escalation sul campo. Ho poi scoperto essere un “quasi-fatto” dato per tale da alcuni geopolitici televisivi, immagino meglio informati di me o meglio informati direttamente di ciò che circola in certi ambienti che io certo non frequento. Io mi limito ad osservare ed interpretare da lontano. Questo “da lontano” vale anche per coloro che non capisco bene perché, si sentono mobilitati fortemente in favore di questa o quella parte, come se quella parte fosse la “loro” parte. Comunque, un po’ di pathos ci sta, si comprende a livello ideologico, basterebbe non farlo tracimare.

Ad ogni modo. Questa ipotesi ci sia una trattativa su come trattare tra russi ed americani, è stata ripresa da più parti ed a questo punto la si potrebbe ritenere non un wishful thinking, ma qualcosa che siccome “circola” senza grandi contrasti, evidentemente ha dei fondamenti.

In tal senso, la attesa reazione russa all’attentato al ponte dirà del suo stato. Se i russi saranno poco meno o almeno proporzionati, vorrà dire che la cosa ha sostanza, se eccederà di un po’ vorrà dire che ha sostanza ma tende ad incagliarsi, se sarà amplificata vorrà dire che le cose non vanno bene.

Vediamo però di ragionare sul proseguo dell’ipotesi.

1. Una trattativa sarà più che altro una possibile sospensione del conflitto. Sospensione che sarà poi interrotta tutte le volte che una parte vuole forzare in un senso o mandare un messaggio di intransigenza. Una trattativa non porterà pace soluta, porterà solo de-escalation sul campo e raffreddamento relativo del conflitto.

2. Ciò perché il numero di variabili che debbono andare a posto per dirsi pace firmata, sono innumerevoli e le parti, soprattutto russi ed ucraini, partono da posizioni assai lontane ed inconciliabili.

3. In ordine di rigidità, gli US hanno conseguito almeno metà dei propri obiettivi ovvero la cattura egemonica completa dell’Europa (inclusa nuova clientela per shale ed armi), compattamento NATO e l’irreversibilità (per qualche anno) della rottura di relazioni UE con la Russia oltreché qualche danno alla stessa Russia.

4. I russi hanno conseguito anche loro poco più o poco meno dei loro obiettivi in termini di territorio. Sul resto ovvero la normalizzazione dell’Ucraina in termini politici e militari, la questione sarà sospesa per un bel po’. Hanno anche pagato dei prezzi, ma penso li abbiano messi in conto nella strategia iniziale.

5. Per gli ucraini il discorso è complesso. Ci sono almeno tre problemi: a) la perdita (provvisoria) di un 15-20% di territorio che vale. Si poteva dare per perso comunque il Donetsk ed il Lugansk, meno la zona di Zaporizhzhya e Kherson; b) per “resistere”, il governo di Kiev ha dovuto militarizzare la popolazione, accendere gli animi, dar libero sfogo ai nazionalisti. Sarà molto difficile ora riportarli al guinzaglio. Dato il blackout informativo sullo stato politico, sociale ed economico interno all’Ucraina, non sappiamo del livello delle contraddizioni interne che però si possono immaginare molto alte anche se sopite dal momentaneo allineamento a difesa della propria nazione con sopra la legge marziale; c) il problema più grosso e complesso è un misto di questioni geopolitiche ed economiche. Chi e cosa garantirà il futuro ucraino stante l’impossibilità che i russi accettino la sua integrale entrata nella NATO? Chi, come e quanto si farà carico della ricostruzione di una Paese già ai minimi termini prima della guerra e con oggi danni materiali ed immateriali enormi, più qualche milione di profughi prima o poi da rimpatriare? Questo secondo punto è anche più difficile da risolvere del primo.

Per gli ucraini i tre punti sono collegati. Possono accettare di lasciarti dei territori o parte di, ma in cambio cosa ottengo e non cosa ottengo dai russi, cosa ottengo dall’Europa e dagli USA? Cosa ottengo, valutato da chi? Ovvero “cosa ottengo” per il governo in carica, ma anche cosa ottengo come classe impreditorial-oligarchica e soprattutto “cosa ottengo” per le frange più estremiste e belliciste? Qui oltre alla cosa in sé c’è il problema della vendibilità di certi accordi, come ogni parte può sopravvivere ad eventuali concessioni, ognuno a cascata ha qualcuno più scontento che può impuntarsi, cosa che renderebbe molto problematica una trattativa. Se si mina l’equilibrio interno ovvero si mette in difficoltà l’attuale dirigenza, c’è sempre il rischio ci possa trovare con una più intransigente, il colpo di stato militar-nazionalista dopo un conflitto del genere è rischio certo. A meno non vi sia una contro-parte più votata al “puntiamo ad ottenere il massimo e diamoci un futuro normale”. Ma anche in questo caso il rischio di conflitto civile per parti imbottite di armi è dietro l’angolo.

La variabile territori, non del tutto ma in parte, potrebbe esser mediata da US-NATO-EU direttamente con i russi muovendo la leva de-sanzionatoria, in senso parziale ovvio. Sulla protezione militare o meglio garanzia di protezione dissuasiva una ripresa del conflitto, l’accordo è più semplice, si era già quasi trovato ai primi tentativi di colloquio tra le parti. Il “referendum legale” proposto da Musk (ovviamente Musk ripeteva ipotesi che girano in certo ambienti americani, sappiamo come i destini personali di Musk siano collegati alla macchina militar-aerospaziale di Washington, certo Musk non ha tutti i miliardi che spende e spande in missili e satelliti perché ha venduto un sacco di automobiline elettriche) è una possibilità. Nei fatti, soprattutto nel Donetsk e Lugansk, sono rimasti solo coloro che vedono con favore o non con sfavore l’annessione russa, far tornare indietro quelli scappati la vedo molto complicata. Un “referendum legale” è ciò che serve a tutti per mettersi al riparo da critiche interne ed esterne. I russi dovrebbero rivedere un punto della loro Costituzione per rimettere in giudicata l’annessione, ma anche qui dipende da cosa otterrebbero in cambio. Sulla Crimea si può accettare il dato di fatto al di là dei proclami.

Ma, ripeto, il nucleo delicato e decisivo della questione, dopo i territori, è nei soldi. Come ogni altro caso nelle crisi di società moderne, pioggia di soldi o meno lenisce molte ferite. C’è qualche altra decina di punti da quadrare, dagli equilibri sul Mar Nero alla interposizione di forze terze ai confini reciproci, dalla relativa normalizzazione o meno delle relazioni dirette tra russi ed ucraini alla revisione interna di leggi e costituzioni. Ma paradossalmente, più punti ci sono meglio è in quanto una trattativa con molti punti permette più flessibilità nel gioco “ti do, mi dai”.

I soldi da dare all’Ucraina andrebbero sostanzialmente considerati come “a fondo perduto”. Molto improbabile riceverne il saldo, l’Ucraina era una economia ai minimi termini prima della guerra e la perdita di buona parte delle industrie nelle zone occupate ed annesse da Mosca certo non ha migliorato le cose. Ricordo un discorso fatto da Zelensky un paio di mesi dopo l’inizio del conflitto, il quale citava il “modello Israele” ovvero un paese pronto al conflitto permanente e perciò votato alla ricerca avanzata soprattutto in ambito digital-tecnologico. Forse un sogno dell’élite più giovane ed liberal-cosmopolita di Kiev che circonda il soggetto Z, non so come questo potrebbe far quadrare i conti per un Paese che comunque ha tra 30-40 milioni di persone, in media, povere. A riguardo, "amici dell’est europeo" ed anglosassoni sarebbero senz’altro disponibili anche per ampliare influenza e delocalizzare a basso costo. Qualcosa si può scaricare su casseforti int'li come IMF-WB, inclusi cinesi ed indiani chiamati a fare meno gli "indiani". Temo però che la richiesta di soldi e riconoscimento sarà per lo più scaricata sull’Europa e non so dire quanto l’Europa potrà credibilmente farsene carico.

Semmai così andasse, US e Russia avrebbero ognuna preso il proprio come si conviene tra potenze, la prima più dei secondi ma, ripeto, credo sia stato previsto date le condizioni di partenza o meglio quelle questioni invisibili ai più che stavano per stritolare geo-militarmente la Russia ed a cui la Russia non ha potuto che reagire. Il saldo eventuale per l’Ucraina o forse solo per l’attuale élite ucraina, sarà da calcolare a bocce ferme. Sicuramente chi alla fine avrà il bilancio più negativo sarà l’Europa.

Dal che il mio sconcerto nel vedere tanti prodi tifosi per guelfi e gabellini visto che nei fatti siamo tutti iscritti di dovere nel sistema che pagherà il prezzo più alto. Del resto, se mediamente ci fosse stata -non dico tanto ma- almeno un minimo livello di comprensione di ciò che stava succedendo, non certo quello che hanno raccontato stava succedendo, le cose sarebbe andate diversamente sin dall’applicazione degli accordi di Minsk.

La stupidità costa, costa morti, migranti, sofferenze, distruzione materiale, ferite materiali ed immateriali ed un sacco di soldi, di restrizione delle condizioni di possibilità per lo sviluppo delle nostre forme di vita associata. Ma tanto tutto ciò lo stupido non lo sa altrimenti non sarebbe stupido.

https://www.sinistrainrete.info/articoli-brevi/24023-pierluigi-fagan-l-ipotesi-di-pace-provvisoria.html

Se il dollaro perde lo scettro per gli Stati Uniti sono guai seri serissimi

Una tabella di marcia per sfuggire alla morsa dell’Occidente
di Pepe Escobar
6 ottobre 2022

Il percorso geoeconomico di allontanamento dall'ordine neoliberale è irto di pericoli, ma le ricompense per l'instaurazione di un sistema alternativo sono tanto promettenti quanto urgenti


È impossibile seguire le turbolenze geoeconomiche inerenti alle “doglie del parto” del mondo multipolare senza le intuizioni del professor Michael Hudson dell’Università del Missouri, autore del già seminale Il destino della civiltà.

Nel suo ultimo saggio, [qui tradotto su CDC] il professor Hudson approfondisce le politiche economiche e finanziarie suicide della Germania, il loro effetto sull’euro, già in caduta, e accenna ad alcune possibilità per una rapida integrazione dell’Eurasia e di tutto Sud globale per cercare di spezzare la morsa dell’Egemone.

Ne è nata una serie di scambi di e-mail, in particolare sul ruolo futuro dello yuan, riguardo al quale Hudson ha osservato:

“I Cinesi con cui ho parlato per anni e anni non si aspettavano un indebolimento del dollaro. Non stanno piangendo per il suo aumento, ma sono preoccupati per la fuga di capitali dalla Cina, poiché penso che, dopo il Congresso del Partito [che inizierà il 16 ottobre], ci sarà un giro di vite nei confronti dei fautori del libero mercato di Shanghai.” La pressione per i prossimi cambiamenti si sta accumulando da tempo. Lo spirito di riforma per il controllo del ‘libero mercato’ aveva iniziato a diffondersi già più di dieci anni fa tra gli studenti [cinesi], e molti loro sono saliti in alto nella gerarchia del Partito.”

Sulla questione chiave dell’accettazione da parte della Russia del pagamento dell’energia in rubli, Hudson ha toccato un punto raramente esaminato al di fuori della Russia: “Non vogliono essere pagati solo in rubli. È l’unica cosa di cui la Russia non ha bisogno, perché può semplicemente stamparli. Ha bisogno di rubli solo per bilanciare i pagamenti internazionali e stabilizzare il tasso di cambio, non per farlo salire.”

Il che ci porta ai pagamenti in yuan: “Effettuare pagamenti in yuan è come effettuare pagamenti in oro – un bene internazionale che ogni Paese desidera, in quanto valuta non fittizia e che ha un valore se la si vende (a differenza del dollaro attuale, che può essere semplicemente confiscato, o, alla fine, abbandonato). Ciò di cui la Russia ha veramente bisogno sono alcuni prodotti industriali chiave come i chip per computer. Potrebbe chiedere alla Cina di importarli con gli yuan forniti dalla Russia.”

Keynes è tornato

In seguito ai nostri scambi di e-mail, il professor Hudson ha gentilmente accettato di rispondere in dettaglio ad alcune domande sui processi geoeconomici estremamente complessi in atto in Eurasia..

* * * *

The Cradle: I BRICS e, crediamo, anche i BRICS+ [allargati] stanno studiando l’adozione di una moneta comune. Come potrebbe essere attuata in pratica? È difficile immaginare che la Banca Centrale brasiliana si armonizzi con quella russa e con la Banca Popolare Cinese. Si tratterebbe solo di investimenti, attraverso la banca di sviluppo dei BRICS? Si baserebbe su materie prime + oro? Come si inserisce lo yuan? L’approccio dei BRICS si basa sulle attuali discussioni dell’Unione Economica Eurasiatica (EAEU) con i Cinesi, guidate da Sergey Glazyev? [Qui tradotto su CDC] Il vertice di Samarcanda ha fatto avanzare, in pratica, l’interconnessione dei BRICS e della SCO?

Hudson: “Qualsiasi idea di una moneta comune deve iniziare con un accordo di scambio di valute tra gli attuali Paesi membri. La maggior parte degli scambi commerciali dovrà avvenire nelle rispettive valute. Ma, per risolvere gli inevitabili squilibri (eccedenze e deficit della bilancia dei pagamenti), la nuova Banca Centrale dovrà creare una valuta artificiale.
In apparenza potrebbe assomigliare ai Diritti Speciali di Prelievo (DSP) creati dal Fondo Monetario Internazionale (FMI), in gran parte per finanziare il deficit degli Stati Uniti per le spese militari e i sempre più onerosi interessi che i debitori del Sud del mondo devono ai prestatori statunitensi. Ma questa valuta artificiale sarà molto più simile al “bancor” proposto da John Maynard Keynes nel 1944. I Paesi in deficit potrebbero attingere ad una quota specifica di bancor, il cui valore sarebbe stabilito da una selezione comune di prezzi e tassi di cambio. I bancor (insieme alle valute nazionali) verrebbero così utilizzati per pagare i Paesi in surplus.

Ma, a differenza del sistema di DSP del FMI, l’obiettivo di questa nuova Banca Centrale alternativa non sarà semplicemente quello di sovvenzionare la polarizzazione economica e l’indebitamento. Keynes aveva proposto un principio secondo il quale se un Paese (all’epoca pensava agli Stati Uniti) avesse accumulato eccedenze croniche, sarebbe stato un segno del suo protezionismo o del suo rifiuto di sostenere un’economia reciprocamente stabile, e i suoi crediti avrebbero dovuto essere estinti, insieme ai debiti in bancor dei Paesi le cui economie impedivano la capacità di bilanciare i pagamenti internazionali e di sostenere la propria valuta.

Gli accordi proposti oggi sosterrebbero sì i prestiti tra le banche partecipanti, ma non allo scopo di sostenere la fuga di capitali (il destino principale dei prestiti del FMI, quando sembra probabile l’elezione di governi “di sinistra”), e il FMI e la sua alternativa associata alla Banca Mondiale non imporrebbero piani di austerità e politiche anti-lavoro ai debitori. La dottrina economica promuoverebbe l’autosufficienza alimentare e i beni di prima necessità, così come la formazione di capitale agricolo e industriale tangibile, non la finanziarizzazione.

È probabile che anche l’oro costituisca un elemento delle riserve monetarie internazionali di questi Paesi, semplicemente perché l’oro è un bene che centinaia di anni di pratica mondiale hanno già riconosciuto come accettabile e politicamente neutrale. Ma l’oro sarebbe un mezzo per regolare i saldi dei pagamenti, non per definire la valuta nazionale. Questi saldi si estenderebbero ovviamente al commercio e agli investimenti con i Paesi occidentali che non fanno parte di questa banca. L’oro sarebbe un mezzo accettabile per regolare i saldi del debito occidentale verso la nuova banca centrata sull’Eurasia. Si tratterebbe di un mezzo di pagamento che i Paesi occidentali non potrebbero semplicemente ripudiare, a condizione che l’oro sia conservato nelle mani dei membri della nuova banca e non più a New York o a Londra, come è stata la pericolosa prassi fin dal 1945.

Nella creazione di tale banca, la Cina si troverebbe in una posizione dominante, simile a quella degli Stati Uniti nel 1944 a Bretton Woods. Ma la sua filosofia operativa sarebbe molto diversa. L’obiettivo sarebbe quello di sviluppare le economie dei membri della banca, con una pianificazione a lungo termine o con i modelli commerciali più appropriati per le loro economie, per evitare il tipo di relazioni di dipendenza, le acquisizioni e le privatizzazioni che hanno caratterizzato la politica del FMI e della Banca Mondiale.
Questi obiettivi di sviluppo comporterebbero la riforma fondiaria, la ristrutturazione industriale e finanziaria, la riforma fiscale e le riforme bancarie e creditizie nazionali. I dibattiti degli incontri della SCO sembrano aver preparato il terreno per stabilire una generale armonia di interessi nella creazione di riforme in tal senso.”

Eurasia o fallimento

The Cradle: Nel medio termine, è possibile aspettarsi che gli industriali tedeschi, contemplando l’imminente deserto e la loro stessa fine, si ribellino in massa alle sanzioni commerciali e finanziarie imposte dalla NATO contro la Russia e costringano Berlino ad aprire il Nord Stream 2? Gazprom garantisce che il gasdotto è recuperabile. Non c’è bisogno di entrare nella SCO per farlo…

Hudson: “È improbabile che gli industriali tedeschi facciano qualcosa per impedire la deindustrializzazione del loro Paese, data la morsa degli Stati Uniti e della NATO sulla politica dell’Eurozona e gli ultimi 75 anni di ingerenze politiche da parte dei funzionari statunitensi. È più probabile che i dirigenti delle aziende tedesche cerchino di sopravvivere mantenendo intatta la propria ricchezza personale e aziendale dopo che la Germania si sarà trasformata in un relitto economico di tipo baltico.

Si è già parlato di spostare la produzione – e la gestione – negli Stati Uniti, il che impedirà alla Germania di ottenere energia, metalli ed altri materiali essenziali da qualsiasi fornitore non controllato dagli interessi statunitensi e dai loro alleati.

Il grande interrogativo è se le aziende tedesche emigreranno verso le nuove economie eurasiatiche, la cui crescita industriale e la cui prosperità sembrano destinate a superare di gran lunga quella degli Stati Uniti.

Ovviamente i gasdotti Nord Stream sono recuperabili. È proprio per questo che le pressioni politiche del Segretario di Stato Blinken sono state così insistenti affinché la Germania, l’Italia e gli altri Paesi europei raddoppiassero l’isolamento delle loro economie dal commercio e dagli investimenti con la Russia, l’Iran, la Cina e gli altri Paesi di cui gli Stati Uniti stanno cercando di bloccare la crescita.”

Come sfuggire a “Non c’è alternativa”

The Cradle: Stiamo forse raggiungendo il momento in cui gli attori chiave del Sud globale – più di 100 nazioni – si metteranno finalmente d’accordo e decideranno di mandare tutto al diavolo e impedire agli Stati Uniti di mantenere l’economia globale artificiale neoliberista in uno stato di coma perpetuo? Questo significa che l’unica opzione possibile, come lei ha sottolineato, è quella di istituire una valuta globale parallela che aggiri il dollaro USA, mentre i soliti sospetti, nella migliore delle ipotesi, fanno balenare l’idea di una Bretton Woods III. Il casinò finanziario dell’economia FIRE (finanza, assicurazioni, immobili) è abbastanza forte da schiacciare ogni possibile concorrenza? Prevede altri meccanismi pratici oltre a quelli discussi da BRICS/ EAEU/ SCO?

Hudson: “Un anno o due fa sembrava che il compito di progettare un vero e proprio sistema alternativo di valuta, moneta, credito e commercio a livello mondiale fosse così complesso che difficilmente si sarebbe potuto pensare ai dettagli. Ma le sanzioni statunitensi si sono rivelate il catalizzatore necessario per rendere tali discussioni pragmaticamente urgenti.

La confisca delle riserve auree del Venezuela a Londra e dei suoi investimenti negli Stati Uniti, il sequestro di 300 miliardi di dollari di riserve valutarie russe detenute negli Stati Uniti e in Europa e la minaccia di fare lo stesso con la Cina e gli altri Paesi che resistono alla politica estera statunitense hanno reso urgente la de-dollarizzazione. Ho spiegato questa logica in molti punti, dal mio articolo sul Valdai Club (con Radhika Desai) al mio recente libro Il destino della civiltà, alla serie di conferenze che ho preparato per Hong Kong e per la Global University for Sustainability.

Detenere titoli denominati in dollari, e persino detenere oro o investimenti negli Stati Uniti e in Europa, non è più un’opzione sicura. È chiaro che il mondo si sta dividendo in due tipi di economie molto diverse tra loro e che i diplomatici statunitensi e i loro satelliti europei sono disposti a distruggere l’ordine economico esistente nella speranza che una crisi dirompente consenta loro di uscirne vincitori.

È anche chiaro che la sottomissione al FMI e ai suoi piani di austerità è un suicidio economico e che seguire la Banca Mondiale e la sua dottrina neoliberale di dipendenza internazionale è autodistruttivo. Il risultato è stato quello di creare un cumulo impagabile di debiti denominati in dollari USA. Questi debiti non possono essere pagati senza prendere in prestito crediti dal FMI e accettare i termini di resa economica dei privatizzatori e degli speculatori statunitensi.

L’unica alternativa all’imposizione dell’austerità economica è uscire dalla trappola del dollaro e dare un taglio netto all’economia del “libero mercato” sponsorizzata dagli Stati Uniti (mercati liberi dalla protezione del governo e dalla capacità di quest’ultimo di recuperare i danni ambientali causati dalle compagnie petrolifere e minerarie statunitensi e dalla dipendenza industriale e alimentare ad esse associata).

La rottura sarà difficile e la diplomazia statunitense farà tutto il possibile per ostacolare la creazione di un ordine economico più stabile. Ma la politica statunitense ha creato uno stato di dipendenza globale in cui, letteralmente, non c’è altra alternativa se non quella di staccarsi.”

Germanexit?

The Cradle: Qual è la sua analisi sulla conferma da parte di Gazprom che la linea B del Nord Stream 2 non è stata toccata dal terrore dei gasdotti? Questo significa che il Nord Stream 2 è praticamente pronto a partire – con una capacità di pompare 27,5 miliardi di metri cubi di gas all’anno, che, si dà il caso, è la metà della capacità totale del Nord Stream – danneggiato. Quindi la Germania non è condannata. Questo apre un capitolo completamente nuovo; una soluzione dipenderà da una seria decisione politica del governo tedesco.

Hudson: “Ecco il punto cruciale: La Russia non sosterrà di certo i costi [del ripristino della condotta] per rischiare poi di vedere il gasdotto saltare nuovamente in aria. Dipenderà dalla Germania. Scommetto che l’attuale regime dirà “no.” Questo dovrebbe rendere interessante l’ascesa dei partiti alternativi.

Il problema finale è che l’unico modo in cui la Germania può ripristinare gli scambi con la Russia è ritirarsi dalla NATO, rendendosi conto di essere la principale vittima della guerra della NATO. Questo potrebbe riuscire solo allargandosi all’Italia e anche alla Grecia (che non è stata protetta dalla Turchia, fin dai tempi di Cipro). Sembra che lo scontro sarà lungo.

Forse è più facile che l’industria tedesca faccia le valigie e si trasferisca in Russia per contribuire a modernizzare la sua produzione industriale, in particolare BASF per la chimica, Siemens per l’ingegneria, ecc. Se le aziende tedesche si trasferiranno negli Stati Uniti per poter continuare a produrre, questo sarà percepito come un’incursione degli Stati Uniti nell’industria tedesca, a tutto vantaggio degli Stati Uniti. Anche così, questo non avrà successo, visto che l’economia americana è in una condizione di post-industrializzazione.

Quindi, l’industria tedesca potrà spostarsi verso est solo se creerà un proprio partito politico nazionalistico anti-NATO. La costituzione dell’UE richiederebbe alla Germania di ritirarsi dall’UE, il che metterebbe gli interessi della NATO al primo posto a livello federale. Il prossimo scenario sarà quello di discutere l’ingresso della Germania nella SCO. Potremmo scommettere su quanto tempo ci vorrà.”

Fonte: thecradle.co
Scelto e tradotto da Markus per comedonchisciotte.org
Pepe Escobar è un analista geopolitico e autore indipendente. Il suo ultimo libro è Raging Twenties. È stato politicamente cancellato da Facebook e Twitter. Seguitelo su Telegram.

Chi l'ha detto che le donne al potere sono meglio degli uomini? Non è il genere a stabilire i buoni fini, ma la formazione umana e politica, e specialmente la capacità di pensare il proprio tempo storico e di partecipare alla vita degli uomini e delle donne

Donne al potere
di Salvatore Bravo
13 ottobre 2022

Ci avevano detto che le donne al potere avrebbero cambiato le sorti del decadente occidente. Ora al potere vi sono le donne: la von der Leyen in Europa ne è un esempio assieme a Sanna Marin leader della Finlandia, la Truss in Inghilterra, in Italia è a un passo dal potere la Meloni. Se è stato possibile cadere nella trappola artatamente organizzata dal dominio per il quale: donna è sempre meglio, ciò è dovuto al nichilismo genetista che si aggira in Europa e non solo. Gli esseri umani senza fondamento metafisico universale sono solo “tipi” da classificare nella tassonomia del dominio. Al momento le donne appaiono geneticamente superiori, perché utili al potere. Sono altro rispetto agli uomini, il cui unico merito è di partecipare per imitazione e copia al vero essere umano: le donne, il resto è frattaglia.

Senza un comune fondamento universale da declinare nella forma dell’individuo e da “leggere” all’interno del materialismo storico, gli esseri umani sono preda dell’ideologia del potere che distorce la visione della realtà scindendo la relazione tra pensiero ed essere.

Le donne al potere sono lo spot pubblicitario del dominio neoliberista che per celebrarsi come progressista e inclusivo deve “includere” i migliori e ristabilire la sua giustizia cosmica e genetica.

Nel passato gli uomini rissosi e violenti hanno governato, ora, il sistema liberista riequilibra la storia: include le donne, le pone al servizio dell’umanità con le loro qualità eccelse, sono naturalmente superiori.

La Gorgone del potere

Dietro la cortina dell’inclusione si cela un potere gerarchico e profondamente fascista, uso il termine in senso generico, il fascismo è categoria storica dell’autoritarismo gerarchico e razzista. Il passato non vuole morire, ma si è rafforzato e veste la bandiera arcobaleno, non vuole essere riconosciuto, deve necessariamente travestirsi per nascondere la Gorgone che si cela dietro i sorrisi dell’inclusione.

Le qualità di genere sono il nuovo volto del razzismo liberista.

Sono gli individui con la loro storia ad affinarle e a renderle prassi. L’uguaglianza e il riconoscimento della comune natura è profondamente avversata dal neoliberismo, esso deve gerarchizzare all’occorrenza per introdurre faglie e conflittualità orizzontali. In questo momento si usano le donne con ideologia afferente per naturalizzare la gerarchia tra gli esseri umani. Le divisioni consolidano il potere, consentono una incrinatura nell’uso pubblico della ragione a tutto vantaggio dei dominatori.

La von der Leyen nell’ultimo discorso vestita con i colori dell’Ucraina ha dato prova della sua “sensibilità politica”. Vestirsi e farsi fotografare con un nugolo di signore agghindate con i colori della bandiera ucraina inquieta: la guerra è stata trasformata in partita di calcio, in sfilata di moda o se si vuole in club esclusivo: per entrare bisogna vestirsi in modo adeguato. Incarnare una bandiera e vestirla è un atto di nazionalismo e non certo di imitazione empatica. Si sollecita il nazionalismo e si rafforzano le derive “nazi” presenti già in quell’area ucraina. Nessuno spazio è dato alla mediazione, ma si spinge verso il conflitto. Al dialogo, il cui scopo è salvare vite umane di ogni nazionalità, si contrappone un tifo da stadio e un “Gloria all’Ucraina” pronunciato dalla von der Leyen con il quale il peggior nazionalismo si sente legittimato. Gloria all’Ucraina era il grido di Stepan Bandera.

Lo scopo non detto di questa sensibilità da stadio mortifera e fatale per gli ucraini e per i russi è minacciare l’oriente e fare gli affari con gli Stati Uniti che generosamente ci venderanno gas a prezzo di mercato stabilito da loro.

Tanta mostruosità è rara, ma è tra di noi. L’Ucraina con la sua debole democrazia è ora nello sguardo della Gorgone: è una colonia americana, con questa guerra a prescindere dai risultati sarà il popolo ucraino a perdere. L’agricoltura ucraina è nelle mani delle multinazionali statunitensi, si pensi alla Archer Daniels Midland, Bunge e Cargill che gestiscono la produzione e la vendita del grano ucraino. Le multinazionali forniscono anche le sementi, per cui l’agricoltura ucraina è già colonizzata e non solo geneticamente. Il resto sarà preso dopo la guerra.

Le signore della globalizzazione si stringono intorno all’Ucraina, sono l’immagine gentile di un mondo senza cuore e senza anima, parlano per slogan, educano al semplicismo fascista.

La Presidente della Commissione Europea, inoltre, nel suo discorso ai popoli elogia i ceramisti italiani, i quali per sopravvivere al disastro energetico della guerra sono costretti a turni inauditi, lavorano di notte per evitare la chiusura. L’impudicizia e l’insensibilità non ha limiti: persone che lavorano la notte, modello per noi tutti, secondo la Presidente della Commissione Europea, non hanno le forze fisiche per una normale vita sociale e relazionale. Vivono da alienati.

Alla signora figlia dell’economismo interessa solo il risultato finale. Sembra dirci che se ci sacrificheremo per il liberismo, possiamo farcela. Nello stesso tempo in Ucraina si muore e forse la guerra è entrata in una fase più aggressiva per le armi che arrivano a iosa dal civile occidente. Ai popoli si chiede in nome del liberismo aggressivo di vivere al gelo, di essere disponibili a immolarsi per obbiettivi misteriosi e fatali. Essi sono servi di immensi ingranaggi rappresentati dalle donne:

La Truss è disponibile a lanciare bombe atomiche, la leader finlandese a firmare l’entrata nella NATO senza battere ciglio, la Meloni nell’arco di un tempo nullo ha cambiato idea su tutto, ora che sente l’odore del dominio, è per l’atlantismo e per l’euro, dunque è per la continuità del disastro antropologico.

Nessuna donna verrà a salvarci, dobbiamo uscire dalla chiacchiera affilata e mortifera dell’ideologia per entrare nell’ottica del pensiero complesso. Non è il genere a stabilire i buoni fini, ma la formazione umana e politica, e specialmente la capacità di pensare il proprio tempo storico e di partecipare alla vita degli uomini e delle donne. I personaggi che il dominio osanna, secondo la formula del nuovo che avanza, sono figure dell’astratto e del privilegio lontane in modo siderale dalla vita dei popoli. Il potere, se non è al servizio delle comunità e dei popoli, è sempre un male, per cui l’urgenza è comprendere che non esiste un dominio buono nel caso vi siano donne che lo gestiscono, così come non esistono nazisti buoni. Il dominio dev’essere rovesciato, perché l’umanità possa fiorire.

Vinta la GUERRA FINANZIARIA con Euroimbecilandia in piena RECESSIONE gli Stati Uniti potrebbero pensare di portare i NAZISTI ucraini sul tavolo delle trattative

Se Pepe Escobar annuncia al mondo che il Grande Reset è Europeo e passa per la deindustrializzazione EU…
Nel mentre Elon Musk annuncia, di fatto, la fine della guerra in Ucraina. Il piano del Reset forse non andrà come da attese iniziali, ma ci sarà una costante: la fine dell'EU e dell'euro (e la nascita di un nuovo nazismo restaurativo per le vecchie aristocrazie, come dopo il 1848)



Pepe Escobar ci ha dato una pillola interessante, in un suo interessante essay degli scorsi giorni: il grande reset, fenomeno prettamente EUropeo (determinato dal fallimento dei sistemi previdenziali, in primis, che poi si portano dietro la fine della competitività EU, ndr), passa per la deindustrializzazione dell’EUropa.

Un pillola di somma grandezza.

Tale deindustrializzazione viene generata da prezzi energetici ai massimi, che deindustrializzano e poi fracassano la società.

Fa specie per altro che i prezzi elevati dell’energia inizialmente furono voluti alti dall’EU, stoccaggi non riempiti, stop al nucleare EU ecc., per far passare in emergenza in North Stream, d’accordo coi russi (come furono d’accordo, russi e tedeschi, per il NS1, “fottendo” Varoufakis e il suo referendum per l’uscita dall’euro, ndr).

Questa volta gli anglo hanno mangiato la foglia e, per salvare prima di tutto Londra, hanno fatto degenerare la guerra in Ucraina in una guerra senza fine. Poi il North Stream bombardato, opera di professionisti, che lascia aperta solo una piccola dorsale, sufficiente a far litigare famiglie e fabbriche in Germania per chi dovrà sopravvivere.

Che poi oggi gli UK siano attaccati dalla finanza EUropea è solo una normale contro-conseguenza.

*****
Ora qualcuno vorrebbe la guerra con la Russia, ma non ci sarà…

Poi è stata la guerra con la Russia, in fieri, ben sapendo che non sarà comunque necessaria, lato USA: infatti se l’EUropa implode anche la Russia verrà degradata economicamente, a termine. Un bel piano, non c’è che dire.

Se però vi aspettate che chi scrive stia con l’EU vi sbagliate di grosso. La battaglia col comunismo si vinse infatti perché l’alternativa di vita migliore era quella non comunista.

Oggi l’EU ci mette sul piatto della bilancia tornare a sieri non testati, lockdown, dirigismo, simil piano Aktion T4, imposizioni regolatorie da Bruxelles che sembrano la DDR, asimmetria in EU a favore dei paesi ex Vichy. Ed élite al potere, vedasi il film visionario ed iper-realistico Ready Player One. Con annessa punizione (eventuale) per i mavercick antiprogetto del Reset tipo “Troika greca“, che poi si tradusse in esplosione della mortalità infantile post 2010 ad Atene, via EU e – appunto – Troika (Lagarde a capo dell’FMI e Cottarelli come emissario in Grecia, dice qualcosa?).

Dunque, fatta tale considerazione, non si può che considerare l’EU, questa EU, come il male assoluto, parlo a nome/a favore della gente che non è né nobile né elitaria, ossia come classe media/la gallina da spolpare (…)

Come capite, non è possibile tifare contemporaneamente per partiti come la Lega dichiaratamente pro Germania e dirsi sovranisti allo stesso tempo.

Oggi la sfida è tra gente comune e élite che si auto-rigenerano. Chiaramente, giunti a questo punto, con il sistema economico prima di tutto italiano, il vero canarino nella miniera EU, prossimo all’implosione, saranno necessarie azioni drastiche. Ossia non tasse, che sarebbero confische e trasformerebbero il governo in un regime, non si è ancora pronti. Ma con qualcosa di più sottile: eliminare il dissenso, a 360 gradi.

->Salvare le cadreghe e i privilegi storici è la base di tutto, oggi..

Dunque, da una parte abbiamo la censura, che vedete ovunque. Dall’altra la necessità di depopolare, vedremo gli effetti che i sieri inoculati avranno nel medio termine (…).

Lascio perdere le prossime mosse finanziarie ed economiche degli USA, che porteranno tassi mondiali e dollaro dove vogliono a Washington, fracassando l’EU con mosse inconsulte. Le analisi economiche restano argomento che discuteremo solo ex post, sempre, nessuna previsione anticipata è gratis, dove ci sono soldi da fare (…).

In soldoni possiamo riassumere: futuro EU in mano delle aristocrazie/élite, come sempre, i Don Rodrigos reloaded in veste azzurra e stelline d’oro a cerchio. Ma con l’euro che inopinatamente morirà, per mano anglo prima di tutto (aiutati in modo sostanziale dall’incapacità delle élite politiche EU).

*****
Caso Elon Musk

Il tycoon USA, che acquisterà Twitter ma solo in prossimità delle Midterm, per quello che verrà dopo (…), ha già annunciato che:

– vuole la pace in Ucraina

– non darà più i servizi Starlink all’Ucraina, o si paga o nulla (praticamente, nulla)

Stante che Musk è l’uomo dei militari USA nell’imprenditoria, il loro seeding diciamo, ciò significa che la guerra in Ucraina è prossima alla fine.

Ed i boiardi ucraini, che perdono così potere e soldi, sbraitano…

La GUERRA FINAZIARIA voluta dagli Stati Uniti contro Euroimbecilandia è stata vinta, mancano pochi dettagli, la deindustrializzazione cercata e ottenuta è certa, RECESSIONE assicurata, le poche aziende che rimarranno verranno acquistate per pochi spiccioli dagli Stati Uniti.

14 Ottobre 2022 10:00
Pepe Escobar - La sottile linea rossa della NATO: "benvenuti nella vita sulla Soglia dell'Apocalisse"


La Russia non permetterà all'Impero di controllare l'Ucraina, costi quel che costi. Questo è intrinsecamente legato al futuro del Partenariato della Grande Eurasia.

di Pepe Escobar – Strategic Culture

[Traduzione di Nora Hoppe]

Cominciamo con il Pipelineistan. Quasi sette anni fa, ho mostrato come la Siria sia stata l'ultima guerra del Pipelineistan.

Damasco aveva rifiutato il progetto – americano – di un gasdotto Qatar-Turchia, a vantaggio di Iran-Iraq-Siria (per il quale era stato firmato un memorandum d'intesa).

Ne è seguita una feroce e concertata campagna "Assad deve andarsene": la guerra per procura come strada per il cambio di regime. Il quadrante tossico è aumentato esponenzialmente con la strumentalizzazione dell'ISIS – un altro capitolo della guerra del terrore (corsivo mio). La Russia ha bloccato l'ISIS, impedendo così un cambio di regime a Damasco. Il gasdotto favorito dall'Impero del Caos ha morso la polvere.

Ora l'Impero si è finalmente vendicato, facendo esplodere i gasdotti esistenti – Nord Stream (NS) e Nord Stream 2 (NS2) – che trasportano o stanno per trasportare il gas russo a un importante concorrente economico dell'Impero: l'UE.

Ormai sappiamo tutti che la linea B di NS2 non è stata bombardata, né forata, ed è pronta a ripartire. Riparare le altre tre linee bucate non sarebbe un problema: una questione di due mesi, secondo gli ingegneri navali. L'acciaio delle Nord Stream è più spesso di quello delle navi moderne. Gazprom si è offerta di ripararle, a patto che gli europei si comportino da adulti e accettino severe condizioni di sicurezza.

Sappiamo tutti che questo non accadrà. Nulla di tutto ciò viene discusso dai media di NATOstan. Ciò significa che il Piano A dei soliti sospetti rimane in vigore: creare una carenza di gas naturale inventata, che porti alla deindustrializzazione dell'Europa, il tutto parte del Great Reset, ribattezzato "The Great Narrative" ["La Grande Narrativa"].

Nel frattempo, il Muppet Show dell'UE sta discutendo il nono pacchetto di sanzioni contro la Russia. La Svezia si rifiuta di condividere con la Russia i risultati della losca "indagine" intra-NATO su chi ha fatto esplodere i Nord Stream.

Alla Settimana dell'Energia Russa, il Presidente Putin ha riassunto i fatti:

  1. L'Europa incolpa la Russia per l'affidabilità delle sue forniture energetiche, anche se riceveva l'intero volume acquistato in base a contratti fissi.
  2. Gli "orchestratori degli attacchi terroristici del Nord Stream sono coloro che ne traggono profitto".
  3. La riparazione dei fili del Nord Stream "avrebbe senso solo nel caso in cui il funzionamento e la sicurezza continuassero".
  4. L'acquisto di gas sul mercato spot causerà una perdita di 300 miliardi di euro per l'Europa.
  5. L'aumento dei prezzi dell'energia non è dovuto all'Operazione Militare Speciale (OMS), ma alle politiche dell'Occidente.
Ma lo spettacolo dei Dead Can Dance deve continuare. Mentre l'UE si proibisce di acquistare l'energia russa, l'eurocrazia di Bruxelles aumenta il proprio debito nei confronti del casinò finanziario. I padroni imperiali ridono fino in fondo con questa forma di collettivismo – mentre continuano a trarre profitto dall'uso dei mercati finanziari per saccheggiare e depredare intere nazioni.

Il che ci porta al fattore decisivo: gli psicopatici straussiani/neo-con che controllano la politica estera di Washington alla fine potrebbero – e la parola chiave è "potrebbero" – smettere di armare Kiev e iniziare i negoziati con Mosca solo dopo che i loro principali concorrenti industriali in Europa saranno falliti.

Ma anche questo non sarebbe sufficiente – perché uno dei principali mandati "invisibili" della NATO è quello di capitalizzare, con qualsiasi mezzo, le risorse alimentari della steppa pontico-caspica: stiamo parlando di 1 milione di km2 di produzione alimentare dalla Bulgaria fino alla Russia.

Judo a Kharkov

La OMS si è rapidamente trasformata in una Operazione anti-terroristica "soft", anche senza un annuncio ufficiale. L'approccio senza fronzoli del nuovo comandante generale con piena carta bianca dal Cremlino, il generale Surovikin, alias "Armageddon", parla da sé.

Non ci sono assolutamente indicatori che indichino una sconfitta russa lungo gli oltre 1.000 km del fronte. La "ritirata" da Kharkov, storia rigirata a morte, potrebbe essere stata un colpo da maestro: la prima fase di una mossa di judo che, ammantata di legalità, si è sviluppata pienamente dopo il bombardamento terroristico di Krymskiy Most – il ponte di Crimea.

Guardiamo alla "ritirata da Kharkov" come a una trappola – come a una dimostrazione grafica di "debolezza" da parte di Mosca. Questo ha portato le forze di Kiev – in realtà i loro referenti della NATO – a gongolare per la "fuga" della Russia, ad abbandonare ogni cautela e a darsi da fare, avviando persino una spirale di terrore, dall'assassinio di Darya Dugina al tentativo di distruzione di Krymskiy Most.

In termini di opinione pubblica del Sud globale, è già stato stabilito che lo Spettacolo Mattutino Quotidiano dei Missili del generale Armageddon è una risposta legale (corsivo mio) a uno Stato terrorista. Putin potrebbe aver sacrificato, per un po', un pezzo della scacchiera – Kharkov: dopo tutto, il mandato dell'OMS non è quello di tenere il terreno, ma di smilitarizzare l'Ucraina.

Mosca ha persino vinto post-Kharkov: tutto l'equipaggiamento militare ucraino accumulato nell'area è stato lanciato in offensive, solo perché l'esercito russo si impegnasse allegramente in un tiro al bersaglio senza sosta.

E poi c'è il vero colpo di scena: Kharkov ha messo in moto una serie di mosse che hanno permesso a Putin di dare scacco matto, attraverso l'Operazione anti-terroristica "soft", pesante come un missile, riducendo l'Occidente collettivo a un branco di polli senza testa.

Parallelamente, i soliti sospetti continuano a rigirare senza sosta la loro nuova "narrativa" nucleare. Il Ministro degli Esteri Lavrov è stato costretto a ripetere ad nauseam che, secondo la dottrina nucleare russa, un attacco può avvenire solo in risposta a un attacco "che mette in pericolo l'intera esistenza della Federazione Russa".

L'obiettivo dei killer schizzati di Washington – nei loro sogni erotici sfrenati – è quello di provocare Mosca a usare armi nucleari tattiche sul campo di battaglia. Questo è stato un altro vettore nell'affrettare i tempi dell'attacco terroristico al ponte di Crimea: dopo che tutti i piani dell'intelligence britannica erano stati elaborati per mesi. Tutto questo si è risolto in un nulla di fatto.

La macchina isterica della propaganda straussiana/neocon sta freneticamente, preventivamente, incolpando Putin: è "messo all'angolo", sta "perdendo", sta "diventando disperato" e quindi lancerà un attacco nucleare.

Non c'è da stupirsi che l'Orologio dell'Apocalisse, creato dal Bulletin of the Atomic Scientists nel 1947, sia ora posizionato a soli 100 secondi dalla mezzanotte. Proprio sulla "Soglia dell'Apocalisse".

Ecco dove ci sta portando un branco di schizzati americani.

La vita sulla Soglia dell'Apocalisse

Mentre l'Impero del Caos, della Menzogna e del saccheggio è pietrificato dal sorprendente doppio fallimento di un massiccio attacco economico/militare, Mosca si sta sistematicamente preparando per la prossima offensiva militare. Allo stato attuale, è chiaro che l'asse anglo-americano non negozierà. Non ci ha nemmeno provato negli ultimi 8 anni e non ha intenzione di cambiare rotta, nemmeno incitato da un coro angelico che va da Elon Musk a Papa Francesco.

Invece di darci dentro alla Tamerlano, accumulando una piramide di teschi ucraini, Putin ha invocato eoni di pazienza taoista per evitare soluzioni militari. Il Terrore sul Ponte di Crimea potrebbe aver cambiato le carte in tavola. Ma i guanti di velluto non sono stati tolti del tutto: La routine aerea quotidiana del generale Armageddon può ancora essere vista come un avvertimento – relativamente educato. Anche nel suo ultimo storico discorso, che conteneva un duro atto d'accusa contro l'Occidente, Putin ha chiarito di essere sempre aperto ai negoziati.

Tuttavia, Putin e il Consiglio di Sicurezza sanno ormai perché gli americani non possono negoziare. L'Ucraina sarà anche solo una pedina del loro gioco, ma è pur sempre uno dei nodi geopolitici chiave dell'Eurasia: chi la controlla, gode di una maggiore profondità strategica.

I russi sanno bene che i soliti sospetti sono ossessionati dall'idea di mandare all'aria il complesso processo di integrazione dell'Eurasia – a partire dalla BRI cinese. Non c'è da stupirsi che importanti istanze di potere a Pechino siano "a disagio" con la guerra. Perché questo è molto negativo per gli affari tra la Cina e l'Europa attraverso diversi corridoi trans-eurasiatici.

Putin e il Consiglio di Sicurezza russo sanno anche che la NATO ha abbandonato l'Afghanistan – un fallimento assolutamente miserabile – per puntare tutto sull'Ucraina. Quindi, perdere sia Kabul che Kiev sarà il colpo mortale definitivo: ciò significa abbandonare il XXI secolo eurasiatico a favore del partenariato strategico Russia-Cina-Iran.

I sabotaggi – dai Nord Stream a Krymskiy Most – fanno capire il gioco della disperazione. Gli arsenali della NATO sono praticamente vuoti. Ciò che resta è una guerra del terrore: la sirianizzazione, anzi l'ISIS-izzazione del campo di battaglia. Gestita da una NATO decerebrata, agita sul terreno da un'orda di carne da cannone cosparsa di mercenari provenienti da almeno 34 nazioni.

Mosca potrebbe quindi essere costretta ad andare fino in fondo – come ha rivelato il totalmente sbrigliato Dmitry Medvedev: ora si tratta di eliminare un regime terroristico, smantellare completamente il suo apparato politico-sicurezza e poi facilitare l'emergere di un'entità diversa. E se la NATO continua a bloccarla, lo scontro diretto sarà inevitabile.

La sottile linea rossa della NATO è che non può permettersi di perdere sia Kabul che Kiev. Ma ci sono voluti due atti di terrore – in Pipelineistan e in Crimea – per imprimere una linea rossa molto più netta e bruciante: La Russia non permetterà all'Impero di controllare l'Ucraina, costi quel che costi. Questo è intrinsecamente legato al futuro del Partenariato della Grande Eurasia. Benvenuti nella vita sulla Soglia dell'Apocalisse.

L'inflazione è esplosa, la miccia è stata la tassa sulla CO2 che producevano le aziende. Ma è strutturale, quella montagna di soldi mandati in circolo per salvare le banche, il sistema finanziario, non poteva non creare inflazione, gli aumenti dei tassi d'interessi statunitensi, la guerra in Ucraina ha fatto il resto. Ora nonostante la Stagflazione (recessione+inflazione) in cui siamo immersi, vogliono ritirare questi capitali creati con il clic, diciamolo un momento meno opportuno

Cos’è il ‘quantitative tightening’ della BCE che colpisce i BTp
La BCE ha già iniziato a sondare il quantitative tightening, mandando ancora più sotto pressione i titoli di stato italiani
di Giuseppe Timpone , pubblicato il 14 Ottobre 2022 alle ore 06:05


La BCE ha iniziato a discutere dalla scorsa settimana circa la possibile riduzione del suo portafoglio di asset, che alla fine del mese di settembre valeva qualcosa come circa 5.100 miliardi di euro, il 40% del PIL dell’Eurozona. La discussione è stata confermata in questi giorni dal governatore olandese Klaas Knot. Egli si ascrive a quella parte del board favorevole al cosiddetto “quantitative tightening”. Praticamente, sin dal 2015 la BCE ha acquistato titoli di stato e obbligazioni private per iniettare liquidità sui mercati e tendere così al target d’inflazione. Negli ultimi mesi, a fronte di un obiettivo formale di medio periodo del 2%, l’inflazione nell’Eurozona è esplosa. A settembre, toccava il 10% esatto.

QE e PEPP terminati

Non solo non c’è più alcuna necessità di aggiungere liquidità al sistema, anzi essa si rivela essere ormai eccessiva. E di fatti i due programmi di acquisto sono stati cessati. Il PEPP, varato a inizio pandemia, si è concluso a marzo di quest’anno. Il “quantitative easing” (QE) è finito a giugno. Tuttavia, i bond che arrivano a scadenza continuano ad essere riacquistati dalla BCE, in modo da mantenere inalterate le dimensioni del portafoglio.

Formalmente, Francoforte si è impegnata con la “forward guidance” a proseguire i reinvestimenti con il PEPP fino al 2024. Nessuna data è stata, invece, fissata per cessare i reinvestimenti con il QE. Secondo Knot, sarebbe immaginabile che i bond arrivati a scadenza siano solo parzialmente reinvestiti.
Esempio di quantitative tightening

Cosa significa? Mettiamo che in un dato mese arrivino a scadenza titoli di stato e obbligazioni private per complessivi 30 miliardi di euro. Coloro che hanno emesso tali titoli (governi, banche e imprese) pagano alla BCE il valore nominale.Questa liquidità, anziché essere totalmente reinvestita dall’istituto per riacquistare nuovi titoli, per una parte rimane inutilizzata. Se su 30 miliardi, i reinvestimenti fossero per 20 miliardi, il portafoglio si ridurrebbe di 10 miliardi. La liquidità sui mercati sarebbe inferiore. I debitori dovranno trovare capitali da altre fonti (private) per coprire le scadenze.

Ed è per questa ragione che le voci su un possibile imminente “quantitative tightening” hanno fatto risalire lo spread BTp-Bund a 10 anni sopra 240 punti base. L’Italia, così come tutti gli altri stati dell’Eurozona, non avrebbe più copertura totale dei bond in scadenza nelle mani della BCE. La domanda istituzionale risulterebbe più bassa, mandando giù i prezzi già da ora. Essendo il nostro un Paese molto indebitato, ne risente in termini di percezione del rischio sovrano sui mercati.

Già nel bimestre agosto-settembre, il portafoglio PEPP della BCE era diminuito di 4,32 miliardi di euro. Nel solo mese di settembre, il programma vedeva gli asset contrarsi di 1,5 miliardi. Ma questi appaiono ancora piccoli aggiustamenti tecnici. Il “quantitative tightening” prospettato da Knot sarebbe sì graduale, ma in ogni caso comporterebbe un calo più marcato del portafoglio di mese in mese. Decine e decine di miliardi di euro di sotto-investimenti che peserebbero sui rendimenti sovrani e corporate.

Il cambio di rotta alla BCE

Alla BCE sostengono che non si arriverà a quel punto fintantoché i tassi d’interesse non avranno raggiunto il loro livello “neutrale”. Ad oggi, esso sarebbe intravisto in area 2,50% o poco più. I tassi di riferimento a settembre sono stati alzati a 1,25%. Probabile che al board di ottobre saliranno ancora al 2% e che entro la fine dell’anno saranno al 2,50%. In altre parole, al più tardi il “quantitative tightening” arriverebbe nei primi mesi del 2023. Un’operazione già avviata dalla Federal Reserve, che ha rafforzato tantissimo il dollaro e fatto lievitare i rendimenti dei T-bond.

Alla Banca d’Inghilterra non sta filando così liscia. Ha dovuto rinviare il suo programma di riduzione del portafoglio alla fine di ottobre. Fino ad allora, ha ripreso a riacquistare Gilt per il crollo dei prezzi verificatosi nelle ultime settimane e che stava e sta tutt’ora destabilizzando il mercato.Il punto è che per un decennio il pianeta si era abituato all’idea che le banche centrali comprassero asset, sostenendone i prezzi. Sono bastati pochi mesi di alta inflazione per azzerare simili certezze. Nessuno immaginava che ciò sarebbe avvenuto così presto. Siamo a un punto di svolta nel periodo peggiore possibile. La recessione incombe e i governi hanno bisogno di indebitarsi contro il caro bollette.

Prosegue inesorabile gli aumenti dei tassi d'interessi statunitensi per esportare RECESSIONE nel resto del mondo, cominciando dal calo delle monete per cui serviranno più dollari per comprare il petrolio

Giappone: prosegue il calo inesorabile dello yen, ai minimi da 32 anni sul dollaro

- di: Redazione
14/10/2022

La moneta giapponese è scesa, nelle contrattazioni di ieri a New York, oggi al minimo di 32 anni contro il dollaro, alimentando le aspettative tra gli investitori che la banca centrale nipponico attui un altro consistente intervento a sostengo della sua valuta. Durante la giornata , sul mercato dei cambi di New York, il dollaro è salito oltre la soglia dei di 147 yen. un livello che non si vedeva dal 1990. Da quando a marzo la Federal Reserve degli Stati Uniti, nell'ambito della sua strategia per fermare l'inflazione, ha iniziato ad aumentare i tassi di interesse, la valuta giapponese si è deprezzata di 32 yen rispetto al biglietto verde.

Giappone: prosegue il calo inesorabile dello yenL'ultimo calo dello yen è stato innescato da un rapporto pubblicato ieri dal Dipartimento del Lavoro degli Stati Uniti secondo il quale l'indice dei prezzi al consumo di settembre è aumentato dell'8,2% rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, superando le previsioni e accrescendo la speculazione secondo cui la Fed continuerà ad aumentare i tassi di interesse per contenere l'inflazione. Al contrario, il Giappone ha mantenuto bassi i tassi di interesse e non mostra segni di volersi discostare dalle sue politiche di allentamento monetario.

Ciò ha ampliato il divario dei tassi di interesse tra Giappone e Stati Uniti e ha accelerato la tendenza a vendere yen e acquistare dollari. Il governo e la Banca del Giappone il 22 settembre sono intervenuti sul mercato per la prima volta in 24 anni per sostenere lo yen. Ma da allora, lo yen è scivolato di 1,70 yen rispetto al dollaro. La Banca del Giappone ieri ha reso noto che l'indice dei prezzi alla produzione è aumentato del 9,7% a settembre rispetto allo stesso mese dell'anno precedente, il secondo aumento più grande dal 1981, anno in cui sono diventati disponibili dati comparabili. Si è quindi trattato del diciannovesimo mese consecutivo di aumento anno su anno per l'indice, che rappresenta i prezzi delle merci vendute e acquistate tra società. Lo yen più debole ha più che raddoppiato l'aumento dei prezzi delle merci importate. All'inizio di quest'anno, secondo i dati della Banca centrale, dal 20 al 29 percento dell'aumento dei prezzi delle merci importate è stato attribuito al calo dello yen.

Il rapporto è ora salito a oltre il 50 percento a causa dell'ulteriore deprezzamento dello yen. Per le aziende giapponesi che utilizzano lo yen per acquistare materiali importati e altri prodotti, la valuta giapponese più debole è diventata un onere finanziario maggiore rispetto agli effettivi aumenti dei prezzi delle risorse. Per questo sempre più aziende trasferiscono l'aumento dei costi di acquisto sui prezzi dei prodotti di uso quotidiano. L'indice dei prezzi al consumo in Giappone è aumentato del 2,8% ad agosto su base annua, il più grande aumento degli ultimi 30 anni e 11 mesi, esclusi i periodi interessati dagli aumenti dell'aliquota dell'imposta sui consumi. Secondo gli analisti, le famiglie saranno ulteriormente sotto pressione se continuerà la situazione attuale, in cui gli aumenti salariali non riescono a eguagliare quelli dei prezzi.